PORTINARI, Pigello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PORTINARI, Pigello

Maria Paola Zanoboni

PORTINARI, Pigello. – Nacque a Firenze nel 1421 da Folco di Adoardo (Adovardo) Portinari, appartenente a un’importante famiglia mercantile, e da Caterina di Tommaso Piaciti.

Insieme ai fratelli minori Acerrito (nato nel 1427) e Tommaso (nato nel 1428), alla morte del padre Folco (1431) venne accolto in casa di Cosimo il Vecchio, che si prese cura degli orfani dei quali avrebbe in seguito fatto i direttori di due delle sue principali filiali: quella di Milano e quella di Bruges.

Iniziò la sua carriera nel 1434 a Firenze come garzone di bottega dei Medici, nel cui banco avevano già lavorato in compartecipazione societaria il padre Folco (nella sede fiorentina, dal 1420 al 1431) e lo zio Giovanni (direttore nel 1416 e poi socio dal 1419 al 1435 di quella veneziana).

Nel 1435 Portinari venne inviato quattordicenne a Venezia, e nel 1452 a Milano per aprire la nuova filiale voluta da Francesco Sforza in accordo con Cosimo de’ Medici. Nella città lo seguì Acerrito, mentre Tommaso fu inviato a Bruges.

Entrambe queste sedi distaccate del banco mediceo avrebbero in seguito svolto in modo informale, grazie alle capacità dei loro funzionari – pedine da dislocare in modo strategico nei punti chiave per lo sviluppo economico e per le alleanze politico-militari di Firenze – un ruolo di prim’ordine nella gestione della politica estera (sia economica sia militare) fiorentina. Furono passaggi importanti del processo di aggregazione di una macroregione economica e di formazione dello Stato regionale, perseguita dal ceto dirigente fiorentino fin dall’inizio del XV secolo avendo come obiettivo la centralizzazione decisionale, il superamento della parcellizzazione giurisdizionale corporativa, il protezionismo interno e l’espansionismo commerciale sui mercati esteri.

Poco dopo il suo arrivo a Milano Portinari stabilì la sede della filiale del banco e la propria abitazione in un palazzo (già di Teodoro e Aluisio Bossi) donato da Francesco Sforza a Cosimo de’ Medici il 20 agosto 1455.

L’edificio, situato a porta Comasina, parrocchia S. Tommaso «in cruce Sichariorum» (l’odierna via dei Bossi al numero 4) e oggi non più esistente, rimase di proprietà dei Medici, ai quali la filiale versava una pigione di 200 lire annue. Fu fatto ampliare, abbellire e parzialmente ricostruire da Pigello e Cosimo rendendolo quella che il Filarete (Antonio Averlino) designò come la più bella casa di Milano: ed è proprio il Filarete che ne ha lasciata l’unica e fondamentale descrizione coeva.

I lavori di rinnovamento del banco mediceo, quasi sicuramente terminati tra il 1459 e il 1461, furono attribuiti da alcuni storici dell’arte a Michelozzo Michelozzi, l’architetto preferito da Cosimo de’ Medici, da altri al Filarete e, più recentemente, ad architetti lombardi non precisabili.

Nel 1459 Pigello Portinari sposò Costanza Serristori, appartenente a una famiglia mercantile fiorentina, dalla quale ebbe quattro figli: Ludovico, Folco, Antonio e Benedetto.

Le qualifiche con cui Portinari viene designato nei documenti offrono pochi ma significativi indizi sulle sue vicende biografiche durante il periodo milanese. In primo luogo quella di «civis Florentiae et mercator Mediolani»: Pigello aveva cioè mantenuto la cittadinanza fiorentina per i vantaggi che ne potevano derivare, come la possibilità di gestire più facilmente le sue proprietà nel rione di San Giovanni a Firenze; di partecipare all’amministrazione dell’ospedale di Santa Maria Nuova, fondato dalla sua famiglia due secoli prima; nonché di essere eletto priore nel medesimo rione, come avvenne nel 1459. La cittadinanza fiorentina non venne mai meno, fino a prevalere definitivamente poco prima della morte, nonostante l’acquisizione, nel 1456, di quella milanese.

Sostanzialmente, dunque, i legami del banchiere mediceo con la città natale sembrano decisamente prevalenti. Talvolta Portinari soggiornava a Firenze anche per molti mesi: nel 1459, avendo ottenuto il priorato nel rione di San Giovanni, e per gli incarichi affidatigli dai Medici, vi rimase dall’inizio di maggio all’inizio di ottobre. Ed è probabile che durante tale permanenza sia stato celebrato il suo matrimonio, avvenuto appunto in quell’anno. A confermare ulteriormente questo suo scarso interesse per Milano, è anche il fatto che i pochi beni che Portinari vi possedeva (qualche terreno nel suburbio) erano stati da lui acquisiti come garanzia di somme che non gli erano state restituite, oppure perché rappresentavano affari particolarmente ghiotti in quanto beni venduti a prezzi piuttosto vantaggiosi da mercanti in difficoltà economiche. Tra questi villa Mirabello, uno dei pochi edifici quattrocenteschi ancora oggi esistenti a Milano, venduta il 5 maggio 1467 per 5000 fiorini dal mercante Pietro Vismara a Pigello, che cercò immediatamente di rivenderla con un certo guadagno. Il tentativo comunque non andò in porto, per cui la residenza rimase di proprietà dei Portinari, che nel 1472 la ristrutturarono e la fecero affrescare dal pittore Bartolomeo Bresciano, detto da Prato.

Sebbene fosse consigliere e amico di Francesco Sforza e rivestisse un ruolo di primo piano nel mondo economico, politico e artistico milanese, non pare che Portinari abbia mai rivestito cariche pubbliche. Erano esclusivamente la sua posizione di direttore del banco, e quindi di finanziatore dei duchi e della corte per le principali e più diverse esigenze (dalle spese militari agli arazzi, ai gioielli e ai tessuti preziosi), nonché i suoi svariati contatti e rapporti di patronage, a farne uno dei personaggi più insigni e potenti di Milano. Il suo unico incarico ufficiale fu quello di riformatore delle entrate ducali con cui venne deputato, il 30 agosto 1466, insieme ad alcuni esponenti dell’entourage sforzesco, a effettuare la vendita di buona parte dei dazi, delle gabelle e dei principali cespiti di entrata dello Stato. Ciò nonostante Portinari fu in realtà un uomo di governo di primaria importanza, rappresentando l’espressione degli indirizzi della politica estera dei Medici tanto dal punto di vista economico quanto da quello diplomatico e militare.

Due sembrano infatti gli scopi principali della fondazione, da parte dei Medici, della filiale milanese: in primo luogo quello politico, volto a influenzare, con la forza della diplomazia e con il potere del denaro, le alleanze di Francesco Sforza, in modo che fossero costantemente allineate a quelle di Cosimo il Vecchio. In secondo luogo quello economico, costituito dal tentativo di accaparrarsi almeno una parte della domanda di drappi auroserici della corte milanese per favorire l’esportazione dei tessuti fiorentini. La vendita di tessuti serici, il cui migliore acquirente era la corte, rappresentava infatti l’oggetto principale delle operazioni mercantili della filiale di Milano che importava le seterie sia da Venezia sia, soprattutto, da Firenze. I panni di lana e i berretti provenienti dalle sedi di Londra e di Bruges, i gioielli e gli arazzi (della Borgogna e delle Fiandre) costituivano le altre merci trattate.

Come banchiere Portinari si trovò a dover affrontare le difficoltà della filiale milanese, le cui risorse si basavano per la maggior parte sui prestiti di terzi: un capitale di appena 43.000 lire, rispetto a una disponibilità finanziaria complessiva di 589.000 lire. A questo si deve aggiungere il fatto che nel 1460 la filiale di Milano vantava crediti con la corte sforzesca per 218.000 lire, cioè quasi per la metà della disponibilità finanziaria: i prestiti ai duchi si avvicinavano dunque pericolosamente al limite di sicurezza fissato da Cosimo de’ Medici, fatto che spinse Portinari a suggerire di tagliare ulteriori anticipi alla corte milanese. Non venne tuttavia ascoltato, sicché dopo la sua morte il banco si trovò in condizioni tali da avere difficoltà nel rimborso dei fondi quando i depositanti volevano ritirarli.

Il ruolo di Portinari non si esauriva in quello di prestatore, ma la sua figura appare molto più complessa e articolata.

Personaggio autorevole in ogni campo e dotato di non comuni capacità di dialogo e di mediazione, fu il fulcro dei rapporti diplomatici non solo tra Firenze e Milano, ma anche con gli altri potentati della penisola. Pigello rappresentò a tutti gli effetti l’estendersi dell’influenza di Cosimo de’ Medici sul Ducato di Milano, un’influenza improntata ad attenuare le troppo nette e drastiche scelte dell’alleato Francesco Sforza, anticipando quella politica di ‘ago della bilancia’ che avrebbe visto il suo più noto esponente in Lorenzo il Magnifico.

In numerose occasioni alquanto delicate Portinari venne chiamato sia da Cosimo de’ Medici, sia da Francesco Sforza, a svolgere in modo informale il ruolo di mediatore con altri potentati, o interpellato per un parere autorevole. Nel febbraio del 1460, in un momento particolarmente difficile per la situazione politico-militare della penisola, quando andavano delineandosi gli schieramenti per la guerra nel Regno di Napoli e si stava concretizzando la scelta filoaragonese degli Sforza, il duca di Milano chiamò Pigello Portinari per lamentarsi senza mezzi termini che i due figli di Cosimo de’ Medici, Piero e Giovanni, fossero eccessivamente partigiani dei francesi. Al che Portinari non mancò di ricordare al duca che i suoi debiti, già enormi, sarebbero aumentati ancora con una spedizione nel Regno di Napoli, concludendo con la raccomandazione di pensare bene a quello che stava per fare, di non impegnarsi in modo da non poter poi più tornare indietro, e di «non lasciarsi venire la guerra dei francesi alle spalle». Le parole alquanto esplicite di Portinari esprimevano, con una veemenza che rivela tutta la sua grande familiarità con il duca di Milano (ma anche il potere economico e politico che aveva alle spalle), il pensiero di Cosimo stesso, orientato verso un atteggiamento estremamente cauto nei confronti dei francesi ai quali non voleva in alcun modo contrapporsi.

Il ruolo politico fondamentale di Portinari ebbe occasione di manifestarsi ancora in un altro frangente di particolare tensione tra Firenze e Milano, nel momento in cui Francesco Sforza era appena uscito dalla prima fase di una lunga malattia che lo aveva messo in pericolo di vita, scatenando al tempo stesso le spinte autonomistiche di alcune zone del Ducato (1462).

D’altra parte il banco mediceo, con la sua rete di filiali dislocate nei punti strategici dell’Europa, svolgeva anche un ruolo diplomatico di prim’ordine, in quanto era il primo a essere aggiornato su avvenimenti politici e militari da cui potevano scaturire congiunture economiche più o meno favorevoli. Nel 1461 due lettere del fratello Tommaso, direttore della filiale di Bruges, informarono appunto Pigello, probabilmente prima di molti altri, della morte del re di Francia Carlo VII. Nello stesso anno, quando in Inghilterra le alterne vicende delle lotte fra gli York e i Lancaster portarono all’ascesa al trono di Edoardo di York, Portinari e il duca di Milano furono tra i primi ad apprendere la notizia. Le lettere al banchiere mediceo costituivano spesso la fonte ufficiale e attendibile anche per importantissime informazioni di carattere militare.

Portinari morì l’11 ottobre 1468, dopo una lunga malattia (si trattava probabilmente delle febbri malariche che lo avevano perseguitato per tutta la vita).

Dei suoi ultimi giorni forniscono un resoconto accorato numerose lettere del carteggio sforzesco.

La principale e più nota tra le opere attribuite dalla tradizione alla committenza di Portinari è la cappella Portinari in S. Eustorgio a Milano, costruita tra il 1462 e il 1468 e affrescata da Vincenzo Foppa. Tutta la biografia di Portinari, molto più legata a Firenze e al sepolcro di famiglia in S. Egidio, presso l’ospedale di Santa Maria Nuova, e l’assoluta mancanza di documentazione coeva che attesti la committenza del banchiere per la cappella Portinari e la sua sepoltura in essa, hanno però recentemente rimesso in discussione l’effettiva paternità di Pigello per la cappella in S. Eustorgio, e la presenza reale dei suoi resti nella chiesa milanese. Sempre secondo la tradizione, Portinari avrebbe patrocinato anche la costruzione dell’abside della sacrestia e del coro di S. Pietro in Gessate a Milano.

Fonti e Bibl.: R. De Roover, The rise and the decline of the Medici bank: 1397-1494, Cambridge (Mass.) 1963 (trad. it. Il Banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), Firenze 1970, pp. 373-394); L. Giordano, La Cappella Portinari, in La basilica di Sant’Eustorgio in Milano, a cura di G.A. Dell’Acqua, Milano 1984, pp. 86 s.; J. Gitlin Bernstein, A Florentine patron in Milan: Pigello and the Portinari chapel, in Florence and Milan: comparisons and relations. Acts of two Conferences at Villa I Tatti in 1982-1984, I, Florence 1989, pp. 171-200; M.P. Zanoboni, «Et che… el dicto Pigello sia piu prompto ad servire». P. P. nella vita economica (e politica) milanese quattrocentesca, in Storia economica, XII (2009), pp. 27-107.

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