PIO X, papa, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PIO X, papa, santo

Maurilio Guasco

PIO X, papa, santo. – Giuseppe Melchiorre Sarto nacque a Riese, diocesi di Treviso, il 2 giugno 1835, da Giovanni Battista e Margherita Sanson, secondogenito di dieci tra fratelli e sorelle. Dopo gli studi ginnasiali a Castelfranco Veneto, vinse una borsa di studio per un posto gratuito nel seminario di Padova, dove frequentò le scuole fino al sacerdozio, con ottimi risultati. Dedicò anche molto tempo alla musica sacra, attività che lo accompagnò tutta la vita. Fu ordinato prete il 18 settembre 1858 e fu impegnato in attività pastorale per diciassette anni, prima come vicario a Tombolo e poi come parroco a Salzano, un comune di circa tremila abitanti. Una delle sue maggiori preoccupazioni fu la liturgia, avviando anche una scuola di canto. L’altra sua preoccupazione fu la catechesi: preparò per i suoi parrocchiani un catechismo con moltissime domande e risposte, con immagini desunte dal mondo contadino e di facile comprensione, che poi continuò a migliorare.

Nel novembre 1875 fu nominato canonico e nello stesso tempo ricoprì i ruoli di cancelliere vescovile, direttore spirituale del seminario di Treviso e insegnante di religione nel liceo vescovile. Dimostrava inoltre una buona conoscenza del diritto canonico. Le sue doti di oratore lo resero noto in tutta la zona, dove veniva spesso invitato a predicare.

Nel settembre 1884 fu nominato vescovo di Mantova, una diocesi particolarmente difficile, data la presenza di movimenti di base ostili alla Chiesa e anche di preti poco favorevoli alla conservazione del potere temporale. Da Roma si era sperato di trovare rimedio a quella situazione con la nomina di alcuni vescovi che, con la loro intransigenza, avevano finito per complicare ulteriormente le cose. Giuseppe Sarto prese possesso della diocesi nell’aprile 1885. Qui dimostrò ulteriormente le sue doti di pastore, senza però trascurare il lavoro sociale. Nei confronti dello Stato italiano, seguì la linea intransigente espressa dall’Opera dei congressi, l’organizzazione cattolica nata nel 1874, e dal suo presidente, il conte Paganuzzi, di cui condivideva l’atteggiamento ostile verso lo Stato e il conseguente rifiuto dei cattolici liberali. Ma nello stesso tempo volle presentarsi come uomo di pace e di dialogo. Scrisse infatti al sindaco di Mantova, prima di farvi l’ingresso: «Assicuro la SV. Ill.ma che nel campo d’azione contribuirò in tutti i modi per mantenere il pacifico accordo, disposto, se pur fosse d’uopo, ad ogni onesto sacrificio per evitare il più piccolo dissapore […] non solo confido che non mi mancherà l’appoggio per l’esercizio delle prerogative di cittadino e di Vescovo, ma colla benevolenza e coll’opera di tutti vedrò prosperare la mia missione» (Romanato, 2014, p. 242). Nella sua azione non avrebbe rinunciato né alle sue idee intransigenti né al profondo senso della sua dignità e del suo ruolo di vescovo; ma nello stesso tempo avrebbe evitato di dare l’impressione di prestare eccessiva attenzione ai problemi politici, dedicandosi in primo luogo alla riorganizzazione dell’azione pastorale; con la costante preoccupazione per l’unità dei cattolici in tutti gli ambiti.

Nel giugno 1893 fu eletto cardinale e inviato come patriarca a Venezia, dove entrò nel novembre 1894. Le attese che intercorsero tra la nomina e l’ingresso in diocesi, sia a Mantova sia a Venezia, dipesero dalla difficoltà a ottenere l’«exequatur» (cioè l’autorizzazione a prendere possesso della diocesi) da parte del governo italiano, senza il quale era praticamente impossibile fare l’ingresso nella sede vescovile cui si era inviati. A Venezia continuò la sua attività prevalentemente pastorale, dedicando molta attenzione alla liturgia, al culto eucaristico, al canto e alla musica sacra, avendo in questo campo uno straordinario collaboratore, Lorenzo Perosi, futuro direttore della Cappella Sistina. Il che però non lo portò a trascurare l’attenzione alle vicende politiche e sociali. A più riprese avrebbe avuto occasione di pronunciarsi in favore di associazioni di carattere confessionale, il cui statuto avrebbe dovuto essere approvato dall’autorità ecclesiastica. Ma nonostante che nelle lettere pastorali e negli scritti continuasse la sua condanna verso il mondo liberale, in concreto assunse atteggiamenti in parte diversi, fino al punto da appoggiare alle elezioni amministrative del 1895 un’alleanza tra i cattolici e i liberali stessi: cosa d’altronde non rara in varie diocesi italiane, dal momento che tali alleanze in genere nascevano dalla volontà di opporsi all’eventuale vittoria delle sinistre, che proprio in quegli anni stavano affacciandosi alla ribalta politica in modo organizzato. Rimaneva però fermo nella sua adesione alle scelte pontificie, affermando in modo crescente, e sarebbe stata una caratteristica del suo pontificato, la necessità per i preti di obbedire sempre e comunque ai superiori. Un’ulteriore prova di tale atteggiamento si ebbe nel 1902, in occasione di un forte attacco portato da Romolo Murri al presidente dell’Opera dei congressi, il conte Paganuzzi: che venne difeso apertamente dal patriarca, e forse da allora rimase in lui un atteggiamento negativo nei confronti di uno dei massimi esponenti, nel mondo cattolico, della necessità di un rinnovamento e soprattutto della preparazione al ritorno dei cattolici alla partecipazione politica.

Il 4 agosto 1903 fu eletto papa, nel conclave reso famoso dal veto emesso dall’imperatore d’Austria nei confronti del cardinale Rampolla, trasmesso dal cardinale arcivescovo di Cracovia, Jan Puzyna. Evidentemente l’Austria non gradiva che il Vaticano proseguisse negli orientamenti politici che erano stati del defunto pontefice, Leone XIII, di cui Rampolla era stato segretario di Stato. È difficile dire se Rampolla sarebbe stato eletto papa dai sessantadue cardinali presenti in conclave se non ci fosse stato quel veto: in effetti, dopo l’annuncio del veto i voti a Rampolla crebbero ancora, senza però raggiungere il numero richiesto per l’elezione.

Possiamo dire che per il cardinale Sarto si trattò di una nomina inattesa: è molto probabile che non avesse mai pensato a un simile esito quando lasciò Venezia per recarsi al conclave. Ma, stando ad alcune testimonianze, gli elettori si orientarono su un personaggio che veniva dall’attività pastorale, e forse avrebbe retto la Chiesa trascurando in parte l’azione diplomatica e privilegiando quella pastorale.

Il nuovo papa portava dunque in Vaticano un’esperienza pastorale molto ricca e una formazione culturale non troppo ampia – anche se non così povera come talvolta è stato detto – basata più sui manuali che sulla ricerca personale. Questo potrebbe spiegare le diverse scelte del suo pontificato: una prevalente attenzione alle riforme in vista di un migliore annuncio del Vangelo, e una certa diffidenza verso la nuova scienza, i cui influssi stavano producendo modifiche anche nelle scienze teologiche e bibliche.

Non appena eletto papa, iniziò immediatamente la sua opera tesa a riformare molte delle strutture ecclesiastiche, coadiuvato dal suo giovane segretario di Stato, Rafael Merry del Val, che Pio X aveva scelto tra alcuni pretendenti a quel ruolo, in quanto, oltre ad avere una buona conoscenza del mondo diplomatico ed essere poliglotta, era anche considerato dal nuovo papa quasi un santo.

Il neoeletto Pio X si dimostrò fin dagli inizi – non per caso aveva scelto il motto «Instaurare omnia in Christo»uno dei grandi papi riformatori del XX secolo. La sua biografia spiega in parte le sue scelte: papa Sarto aveva percorso tutte le tappe tipiche di un pastore, aveva conosciuto direttamente le varie situazioni grazie a questo suo curriculum, probabilmente aveva sentito la necessità di introdurre riforme in vari settori della vita della Chiesa, chiamata a una migliore attività pastorale. Proprio per questo uno studioso particolarmente credibile, e non certo accusabile di atteggiamenti apologetici, Roger Aubert, ha potuto definire Pio X «il più grande riformatore della vita interna della Chiesa dopo il Concilio di Trento» (Pio X tra restaurazione e riforma, in Il grande libro dei Papi, a cura di M. Greschat - E. Guerriero, Cinisello Balsamo 1994, p. 684). Un papa dunque attento soprattutto ai bisogni pastorali della Chiesa; anche se appare come una mitologia l’affermazione che viene fatta in genere di un papa impegnato nella pastorale e alquanto alieno dalle problematiche politiche: certi suoi atteggiamenti nei confronti, per esempio, della Francia e del Portogallo sembrano smentire una simile affermazione.

Per prima cosa, il nuovo pontefice ribadì alcune delle convinzioni che avevano orientato il suo impegno di vescovo, in particolare sul dovere dell’obbedienza. Ne parlò fin dai primi atti del suo pontificato: lo affermò il 24 settembre 1903, poche settimane dopo la sua elezione, in un discorso che rivolse agli allievi del seminario francese di Roma, e quindi lo ripeté nell’enciclica programmatica del 4 ottobre, E supremi apostolatus cathedra. Qualche tempo dopo denunciò in modo accorato, nell’enciclica Pieni l’animo rivolta ai vescovi italiani il 28 luglio 1906, «lo spirito di insubordinazione e d’indipendenza che si manifesta qua e là in mezzo al clero […] spargendosi in mezzo ad essi nuove e riprovevoli teorie intorno alla natura stessa dell’obbedienza».

Nello stesso tempo, ritenne fosse importante modificare i piani di studio dei seminari, offrendo ai futuri preti strumenti culturali più adatti ai tempi: evitando però, come appare dai vari interventi della commissione biblica, che era stata istituita da Leone XIII nel 1902, di accettare in modo acritico i nuovi orientamenti degli studi. In vista di tali modifiche, il papa nominò una commissione pontificia per il riordinamento dei seminari in Italia, che portò alla pubblicazione nel 1907 di un Programma generale degli studi risolvendo uno dei problemi fortemente discussi in quegli anni, l’introduzione o meno dei programmi governativi nei ginnasi e nei licei dei seminari. La commissione, con l’avallo del pontefice, optò per l’introduzione di tali programmi anche nei seminari. Avviò anche la fondazione di seminari interdiocesani o regionali, dove dovevano affluire alunni provenienti da diocesi che, data la loro dimensione molto ridotta, non erano in grado di garantire le strutture indispensabili e un insegnamento che potesse assicurare una buona formazione intellettuale dei futuri preti.

Le modifiche ai piani di studi dei seminari e una maggiore attenzione ai progressi delle scienze anche bibliche non portarono il pontefice ad accettare una qualsiasi deroga alla sua linea. Il papa non accettò che si mettesse in discussione la sua autorità anche in materie opinabili. Al papa si obbediva e basta. Di fronte a chi affermava che l’autorità ecclesiastica avesse diritto a intervenire in ambito dogmatico e morale, non in materie del tutto opinabili, il papa rispondeva che solo lui indicava i limiti dell’obbedienza, e che quando il papa interveniva in un certo ambito, stava affermando il suo diritto a intervenire.

Il suo lavoro di riforma proseguiva intanto nei confronti della Curia romana. Anche in questo caso, una commissione elaborò una serie di proposte per ridurre il numero delle congregazioni romane, fra le quali avrebbe avuto un ruolo più significativo la congregazione Concistoriale, incaricata delle nomine dei vescovi, e la congregazione del Concilio, custode della disciplina del clero e dei fedeli. La congregazione dell’Indice restava distinta dal S. Uffizio, nonostante avessero compiti analoghi. Tale distinzione avrebbe quasi subito rivelato la sua utilità: in effetti, i libri da leggere e spesso da condannare sarebbero diventati numerosi nel corso del pontificato di Pio X. I nuovi ordinamenti concernenti la Curia romana sarebbero entrati in vigore nel giugno 1908, con la costituzione Sapienti consilio.

Alla riforma della Curia romana fece seguito quella del Vicariato. Roma assumeva l’immagine di una diocesi, il papa provvide a riorganizzare le parrocchie e anche a istituirne di nuove nelle zone di periferia. Ma nello tempo furono dati maggiori poteri al cardinale vicario, che agiva in nome del pontefice, pur sempre titolare della diocesi: tuttavia il suo vicario avrebbe avuto una maggiore autonomia. Nel 1904 Pio X decise anche di sopprimere l’Opera dei congressi, che stava prendendo alcuni orientamenti che non gli erano graditi. Venne lasciata in vita solo la seconda sezione, quella che si occupava delle opere economiche e sociali, diretta da una personalità di fiducia del papa.

Ancora nella linea di un miglioramento dell’azione pastorale, nel 1905 fu preparato un progetto per la riduzione del numero delle diocesi in Italia, che avrebbe dovuto portare alla scomparsa di diocesi troppo piccole, e quindi impossibilitate a svolgere un lavoro dignitoso causa la mancanza di personale e di risorse economiche.

Fra le riforme, assumeva molta importanza quella con la quale, di fatto, si realizzò l’auspicio del Concilio di Trento, cioè che tutti i giovani destinati al sacerdozio fossero ospiti di un seminario o di un collegio. Le università ecclesiastiche romane non dovevano più accettare come alunni dei giovani che non fossero ospiti di un collegio ecclesiastico. La stessa norma valeva per quanti venivano a Roma per proseguire gli studi, essendo già ordinati preti: dovevano inoltre avere l’esplicita richiesta e autorizzazione del vescovo della propria diocesi, che si impegnava a riaccoglierli quando avessero terminato gli studi.

Nel 1904, con il documento Arduum sane munus, era iniziato il lavoro in vista della preparazione del codice di diritto canonico, destinato a mettere ordine tra le molte norme e leggi approvate in tempi diversi. Pio X non avrebbe assistito alla fine dei lavori, e il codice di diritto canonico sarebbe stato promulgato nel 1917 dal suo successore, Benedetto XV.

L’altro argomento che fu tra le maggiori preoccupazioni del pontefice era la catechesi, che fin dagli anni in cui era parroco lo aveva spinto a preparare diversi catechismi. Utilizzando e modificando alcuni catechismi diffusi in Italia, il papa poté varare nel 1912 un Catechismo della dottrina cristiana pubblicato per ordine di S.S. papa Pio X, che venne imposto a tutte le diocesi italiane.

Lo stesso si dica della sua attenzione al canto liturgico. La situazione che aveva trovato nelle diverse diocesi, ma soprattutto a Roma, era segnata da un forte disordine. Vi era ancora la prassi delle bande musicali che in chiesa eseguivano i più diversi tipi di musiche: e una delle prime cose che fece il nuovo papa, subito dopo l’elezione, fu quella di cercare di mettere ordine in quel campo, con un evidente ritorno alla sacralità dell’azione liturgica e con l’auspicio di una ripresa del canto gregoriano. Il maestro Perosi, da lui molto stimato, ne assecondò gli orientamenti, con la composizione di tanti brani molto più adatti allo svolgimento dei riti sacri.

A livello internazionale, uno dei problemi che dovette affrontare fu la difficile situazione francese, a causa dell’atteggiamento ostile di quel governo, mentre i rapporti con il Vaticano erano ulteriormente aggravati da alcuni errori commessi dal rappresentante del Vaticano presso la Francia.

Tramontata la politica del ralliement voluta da Leone XIII, nel 1905 il governo francese era arrivato alla rottura con il Vaticano, proclamando la separazione tra Chiesa e Stato e decidendo l’incameramento di tutti beni di proprietà ecclesiastica: una decisione che il papa avrebbe giudicato un’ingiuria a Dio e un’iniquità verso la Chiesa nell’enciclica Vehementer nos dell’11 febbraio 1906. Alcuni vescovi francesi avevano cercato di rendere meno gravosa quella rottura, indicando la possibilità di tentare qualche compromesso: ma il papa fu irremovibile e lo dichiarò esplicitamente con l’enciclica Gravissimo officii munere del 10 agosto 1906. Non accettò alcun compromesso. Pur consapevole delle difficoltà in cui si sarebbe trovata la Chiesa di Francia, Pio X affermava di preferire il rischio della povertà nella libertà, piuttosto che la conservazione di qualche privilegio a prezzo di compromessi non sempre chiari. Proprio la diversa opinione sulla situazione francese espressa in alcuni articoli da Romolo Murri fu una delle cause della sospensione a divinis (cioè la proibizione temporanea di amministrare i sacramenti) dello stesso Murri.

In una situazione diversa, ma con alcune affinità, si giunse alla rottura dei rapporti con il Portogallo, dopo che il Paese nel 1910 aveva fatto cadere la monarchia e proclamato la Repubblica. Il papa espresse la sua divergenza dalle scelte del governo con l’enciclica Iamdudum in Lusitania, del maggio 1911, senza evitare la separazione, dichiarata nel 1913. Anche in questo caso Pio X non accettò situazioni ambigue, preferendo invece posizioni nette. Così, i problemi vissuti con la Francia e il Portogallo si sarebbero ripetuti in alcuni Paesi dell’America Latina: in Messico per esempio, a partire dal 1911, si arrivò a una vera e propria persecuzione nei confronti della Chiesa.

Ben diversa sembrava la posizione nei confronti della politica italiana. Era ancora in vigore il «non expedit», cioè la proibizione ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche. A partire dal 1904, Pio X suggerì in via ufficiosa ai vescovi che avrebbero potuto decidere caso per caso, arrivando anche a permettere ai cattolici di andare a votare, nel caso la loro astensione avesse favorito un candidato socialista nei confronti di un liberale. Tale indicazione, che veniva direttamente dal pontefice, avrebbe sollevato anche nel mondo cattolico qualche perplessità. Rimaneva comunque una scelta importante, quella cioè di privilegiare le alleanze con i liberali. La partecipazione ufficiosa dei cattolici alle elezioni politiche andò crescendo, fino al noto episodio del 1913, quando il conte Vincenzo Ottorino Gentiloni, direttore dell’Unione elettorale cattolica italiana, concluse una specie di patto con i candidati liberali, ai quali prometteva l’appoggio del voto cattolico se si fossero impegnati a non votare alcune leggi nel caso fossero state discusse in Parlamento.

Forse però il problema che maggiormente afflisse Pio X fu quello derivante dai diversi orientamenti, di carattere teologico, biblico, filosofico, storico e politico, che stavano diffondendosi tra il clero, soprattutto quello giovane, e che nel suo insieme sarebbero stati indicati con il termine ‘modernismo’. Da anni uno studioso francese, Alfred Loisy, che già era incorso in alcune censure da parte del cardinale arcivescovo di Parigi, stava cercando di applicare il metodo storico-critico alla lettura della Bibbia, elaborando dottrine che non erano per nulla gradite a Roma. Poco tempo dopo, dall’Inghilterra giunsero nuove correnti teologiche, grazie a un religioso gesuita, poi in rotta con il proprio ordine, George Tyrrell. In Italia il maggiore esponente di tale linea fu Ernesto Buonaiuti; ma in quegli anni il personaggio più noto era Romolo Murri, sia per le sue simpatie nei confronti di tali studiosi, sia soprattutto per i suoi scritti che affermavano la necessità per i cattolici di prepararsi al ritorno alla politica, con la costituzione di un vero e proprio partito. Già Leone XIII aveva fatto capire a Murri e ai suoi seguaci che solo la S. Sede avrebbe deciso quando e come si poteva pensare a un ritorno dei cattolici alla vita politica; ma il conflitto si estese e poco per volta divenne insanabile con l’avvento di papa Sarto. A Murri veniva rimproverato di essere il vero capo di quello che veniva indicato come il modernismo politico, la pretesa cioè di svincolarsi dalle direttive dell’autorità religiosa nell’ambito delle scelte sociopolitiche, quando si trattava per esempio di decidere come e in quale momento i cattolici italiani sarebbero potuti tornare all’attività politica diretta.

I provvedimenti non tardarono a essere decisi, con la condanna nei primi anni di pontificato di molte opere di quelli che si cominciò a definire modernisti. La condanna che sollevò forte scalpore non solo in Italia fu quella inflitta nel 1906 al romanzo di Antonio Fogazzaro, Il Santo.

Il papa aveva già avuto varie occasioni di intervenire, ma tra il 1905 e il 1907 prese delle decisioni che pensò avrebbero potuto sconfiggere definitivamente quelle correnti di pensiero. In un discorso rivolto ai cardinali il 17 aprile 1907, protestò contro i nuovi ribelli che si annidavano nel seno della Chiesa e che «professano e diffondono sotto forme subdole errori mostruosi sulla evoluzione del dogma, sul ritorno al puro Vangelo, vale a dire sfrondato, come essi dicono, dalle spiegazioni della teologia, dalle definizioni dei concili, dalle massime dell’ascetica», e quindi definiva quelle nuove dottrine non un’eresia, «ma il compendio, il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede e annientare il cristianesimo» (Acta Sanctae Sedis, XL, 1907, pp. 266-269). Quelle parole furono la premessa dei due documenti che avrebbe pubblicato nello stesso 1907, a poca distanza tra loro, di particolare durezza: uno, il Lamentabili sane exitu, pubblicato nel luglio dalla Sacra romana e universale Inquisizione, era un elenco di sessantacinque proposizioni, desunte dalle opere dei modernisti, che si dovevano considerare «reprobatae et proscriptae», l’altro era un atto anche più significativo, un’enciclica nella quale il papa presentava il modernismo come una vera e propria dottrina.

Se il primo documento, al di là dell’unità della ispirazione, non conteneva l’esposizione di un sistema, questa sarebbe stata fatta due mesi dopo con l’enciclica intitolata Pascendi dominici gregis, datata 8 settembre 1907. L’enciclica era il primo tentativo di trasformare in un vero e proprio sistema di pensiero la parola, presentando una sintesi meticolosa di tutte le posizioni che si potevano trovare negli scritti di quelli che venivano considerati i veri e propri teologi ed esegeti del modernismo. Conteneva pure diverse pagine dedicate alla repressione della grave eresia, scritte con una durezza e uno stile che non potevano non stupire. Questo aspetto, e soprattutto il tentativo di elaborare un sistema che nessuno dei condannati aveva mai presentato come tale, spiegano lo stupore di molti studiosi del tempo, e anche il fatto che non pochi dissero di non riconoscersi nelle teorie presentate dall’enciclica; anche se, è bene ricordarlo, gli autori ai quali, pur senza nominarli, si faceva allusione, non ebbero difficoltà a riconoscersi nel testo pontificio. Il quale diede inizio a una vera e propria campagna di ricerca degli eretici, finendo per coinvolgere anche personaggi e studiosi che non avevano nulla a che fare con quella eresia. A coronamento dei provvedimenti enunciati nell’enciclica Pascendi, nel 1910 fu imposto a tutti i sacerdoti che dovevano assumere qualche responsabilità nella Chiesa (parroci, professori di seminario, superiori religiosi, ordinandi alla vigilia dell’ordinazione) uno speciale giuramento, detto appunto antimodernista, il quale vincolava chi lo pronunciava a non affermare e difendere dottrine considerate eterodosse. Un giuramento che sarebbe, di fatto, durato fino al Concilio ecumenico Vaticano II.

La stessa matrice, cioè un’organizzazione politica diretta da laici, era all’origine della condanna di un movimento che non aveva mai manifestato posizioni ereticali, il Sillon, sviluppatosi sull’onda di alcuni preti, definiti abbés démocrates, che avevano accettato i presupposti della modernità politica. Il fondatore, Marc Sangnier, aveva un largo seguito nei gruppi giovanili. Il suo successo era legato alla forza della sua utopia: i laici dovevano assumersi il compito di dare un’anima cristiana alla democrazia, riportando alla Chiesa le masse popolari e attuando la riconciliazione della stessa Chiesa con la Repubblica. Per aumentare il proprio influsso, il movimento aveva iniziato a estendersi anche al di fuori dei confini cattolici, cercando collaborazione negli ambienti laici. Quel solco (sillon) che i giovani volevano tracciare doveva diventare molto più grande.

Tale evoluzione portava il movimento a ripercorrere strade analoghe a quelle della Democrazia cristiana di Murri, con la progressiva affermazione dell’autonomia politica dalla gerarchia ecclesiastica e il coinvolgimento di non pochi chierici e preti.

Il timore del riemergere del modernismo politico e l’accusa di voler identificare il cattolicesimo con una forma di democrazia politica indussero il papa a condannare il movimento, che aveva già sollevato le preoccupazioni di non pochi vescovi. Nell’agosto del 1910 il papa inviò una lettera ai vescovi francesi con le accuse contro il Sillon: filomodernismo, emancipazione dall’autorità religiosa anche in questioni concernenti l’ambito morale, accettazione dei grandi principi delle libertà moderne contro la dottrina cattolica concernente la società civile. A differenza di Murri, che si ribellò apertamente contro la condanna, incorrendo nella scomunica maggiore il 22 aprile 1909, il fondatore del Sillon si sottomise immediatamente e non fece alcuna obiezione alla condanna.

Il papa però era anche consapevole della necessità di intervenire, come abbiamo ricordato, sulla formazione del clero e sulla sua preparazione culturale. Per esempio, l’attenzione al progresso degli studi biblici, anche se sotto la direzione dell’autorità ecclesiastica, si manifestò con l’imposizione a tutti i chierici di seguire un corso di Sacra Scrittura, decisa con un documento pubblicato nel marzo 1906, Quoniam in re biblica, mentre nel maggio 1909 venne fondato a Roma il Pontificio Istituto biblico.

Nel frattempo però iniziava l’attività una vera e propria centrale spionistica, diretta da un prelato che aveva incarichi di una certa importanza in Vaticano, Umberto Benigni, i cui membri si impegnavano a denunciare i presunti eretici. In omaggio al grande papa inquisitore, Pio V, tale organizzazione prese il nome di Sodalitium Pianum e nella caccia agli eretici usò metodi degni delle più ciniche organizzazioni spionistiche; e proprio perché certi metodi utilizzati per denunciare veri o presunti eretici si prestavano e si prestano a qualche critica, la storiografia più recente si è chiesta fino a che punto il papa fosse consapevole di quello che stava avvenendo. Certamente il suo assillo per la difesa della propria autorità e le vere o presunte ribellioni che si andavano verificando soprattutto tra il clero, possono in parte spiegare certi interventi del pontefice, ossessionato dal problema dell’obbedienza e non molto tenero verso i primi elementi di una dottrina sul ruolo del laicato nella Chiesa. Sarebbe però del tutto falso affermare che il papa ignorava certi interventi, spesso avallati solo dai suoi segretari. I vari documenti pubblicati in anni più recenti provano che il pontefice era del tutto al corrente di quanto si stava verificando. Ma il suo primo problema era la difesa delle prerogative della Chiesa, e ciò gli impedì di cogliere uno degli aspetti nuovi della vita politica e il radicale mutamento del concetto di potere e di legittimità democratica. Questo spiegherebbe anche la sua diffidenza verso i partiti di ispirazione cattolica: poteva accettarli dove erano già attivi, come in Germania, ma cercava di impedirne lo sviluppo dove ancora non esistevano, come in Italia. Ma non poteva ammettere che dei laici, emancipandosi in modo aperto o velato dalle indicazioni della gerarchia, preparassero programmi politici o attuassero alleanze desunte dallo studio delle diverse situazioni, più che dalle direttive ecclesiastiche. In parte, questo spiega anche la sua diffidenza verso un certo tipo di stampa e la sua tolleranza verso giornali di scarso livello, ma a lui fedeli, nonché i difficili rapporti con quella stampa cattolica che non gli dava garanzie di rigore dottrinale.

In qualche modo, infine, questo spiega pure la sua scarsa simpatia verso credenti che non appartenevano alla Chiesa cattolica, o verso gli ebrei. Con alcuni di questi intrattenne rapporti di amicizia, ma solo sul piano personale; sul piano istituzionale i suoi atteggiamenti furono sempre di severo distacco.

Durante il suo pontificato, ed esattamente nel 1910, ebbe inizio con il Congresso di Edimburgo il movimento ecumenico, l’incontro cioè tra varie Chiese cristiane in vista di un possibile dialogo. Ci sarebbero voluti anni prima che la Chiesa cattolica accettasse di presenziare a tali incontri. Anzi, certe decisioni di papa Sarto avrebbero scontentato le diverse Chiese ortodosse. La stessa diffidenza il papa manifestò nei confronti di quella parte dei sindacati tedeschi che preferì delle associazioni di carattere interconfessionale, mentre altre privilegiarono la confessionalità, che dava al papa una maggiore garanzia di dipendenza dall’autorità ecclesiastica. Dopo varie discussioni e l’intervento di diverse personalità, il papa evitò di condannare la tendenza interconfessionale, lasciando chiaramente intuire, con l’enciclica Singulari quadam del settembre 1912, la sua volontà di incrementare l’associazione confessionale, ma anche dichiarando che a certe condizioni si poteva anche tollerare la linea diversa. Quell’intervento non placò le polemiche e rimase forte il timore che in Vaticano si stesse preparando un altro documento molto più severo nei confronti dei sindacati tedeschi interconfessionali: un documento che comunque non vide la luce.

La condanna del Sillon aveva tra l’altro dato maggiore forza a un movimento che si andava diffondendo in Francia e che ben presto avrebbe visto la collaborazione di molti vescovi: il movimento di estrema destra fondato da Charles Maurras, che si dichiarava ateo, ma vedeva nella Chiesa uno dei grandi baluardi per la conservazione dell’ordine. Molte delle dottrine sostenute da quel movimento, denominato Action française, erano in netta antitesi con la dottrina cattolica. Per questo, una commissione nominata in vista dell’analisi delle opere del fondatore avrebbe concluso con una chiara condanna. Pio X si trovò quindi di fronte a un dilemma: condannare chi lo meritava, dando però l’ostracismo a chi difendeva la Chiesa cattolica, o non condannare, permettendo così la diffusione di un errore grave. Ne scaturì un compromesso: il papa approvò il documento che conteneva la condanna di Maurras, ma non rese pubblica tale condanna. Quel testo avrebbe atteso fino al 1926, quando venne pubblicato da Pio XI.

Sarebbe però un grave errore ridurre tutto il pontificato di Pio X alla lotta contro il modernismo e i suoi epigoni; esso si può certamente considerare, come abbiamo già ricordato, come uno dei pontificati che hanno prodotto il maggior numero di riforme nella vita della Chiesa.

Così come era intervenuto per migliorare la vita liturgica del popolo di Dio, Pio X diede anche nuove norme, nel 1911, per la riforma del Breviario, la raccolta di preghiere utilizzata quotidianamente dal clero, e nello stesso tempo preparò nuove norme per il sacramento dell’eucarestia. Due erano le novità in proposito: da un lato l’invito ai fedeli alla comunione anche quotidiana, superando gli ultimi residui del rigorismo giansenista, dall’altro l’abbassamento dell’età per accostarsi alla comunione. Nell’agosto del 1911, con il decreto Quam singulari, il papa fissava l’età della prima comunione al primo uso di ragione, e concretamente attorno ai sette anni.

Rimaneva però sempre forte la sua preoccupazione per la necessaria sottomissione ai propri superiori, tema che riprese in un discorso ai nuovi cardinali, il 27 maggio 1914. I nuovi porporati erano invitati a combattere contro ogni errore, a guardarsi dai falsi profeti, a mettere in guardia i preti contro ogni forma di autonomia intellettuale e da tutte quelle pubblicazioni che la sostenevano. Inoltre, nello stesso discorso Pio X ribadì le sue preferenze verso le associazioni di carattere confessionale.

Il papa visse i suoi ultimi anni con un bilancio fortemente attivo sul piano pastorale, meno su quello dei rapporti con i diversi Paesi. Ne ebbe la prova nell’imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, quando i suoi vari tentativi per evitarla non ottennero alcun successo, neppure con l’Austria, per il cui imperatore, Francesco Giuseppe, Pio X nutriva grande stima. Il suo appello rivolto il 2 agosto 1914 a tutto il mondo cattolico chiedendo preghiere per la conservazione della pace, in un’Europa che sembrava ormai trascinata nel vortice della guerra, rimase inascoltato. Gli ultimi giorni della sua vita furono segnati dalle notizie della guerra, che finirono per peggiorare il suo già precario stato di salute.

Morì il 20 agosto 1914. Fu beatificato il 3 giugno 1951 e canonizzato il 29 maggio 1954 da Pio XII.

Fonti e Bibl.: Gli scritti e gli atti compiuti da Pio X negli anni del pontificato si possono trovare nei volumi degli Acta Sanctae Sedis (1903-08) e negli Acta Apostolicae Sedis (1909-14). Buona parte di essi si trovano nell’Enchiridion delle encicliche, IV, P. X e Benedetto XV (1903-1922), Bologna 1998. I documenti concernenti gli anni del suo pontificato sono conservati e consultabili presso l’Archivio segreto Vaticano. Sono in parte pubblicati nel volume, curato da A.M. Dieguez - S. Pagano, Le carte del “sacro tavolo”. Aspetti del pontificato di P. X dai documenti del suo archivio privato, I-II, Città del Vaticano 2006. Si vedano anche i volumi contenenti: la Positio super introductione causae, Città del Vaticano 1942; Positio super virtutibus, Città del Vaticano 1949; Disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi servi Dei respicientes in modernismi debellatione, Città del Vaticano 1950; Positio super miraculis, Città del Vaticano 1951; San P. X. Lettere, a cura di N. Vian, Padova 1958. Diverse altre indicazioni archivistiche si possono trovare in J. Metzler, Fonti dell’archivio vaticano per il pontificato di P. X, in P. X. Un papa e il suo tempo, a cura di G. Romanato, Cinisello Balsamo 1987, pp. 291-294; L. Pesce, Il fondo archivistico Giuseppe Sarto nel seminario vescovile di Treviso, in Le radici venete di San P. X, a cura di S. Tramontin, Brescia 1987, pp. 198-205; Venezia, Archivio della Curia patriarcale, Fondo moderno, Sezione Patriarchi, b, Patriarca Sarto. Si possono vedere anche Scritti inediti di San P. X, I-II, a cura di A. Sartoretto - F. da Riese, Padova 1971-74: vi si trovano gli scritti degli anni 1858-84. Inoltre: A.M. Dieguez, L’archivio particolare di P. X. Cenni storici e inventario, Città del Vaticano 2003; Id., Carte P. X. Scritti, omelie, conferenze e lettere di Giuseppe Sarto. Cenni storici, inventario e appendice documentaria, Città del Vaticano 2010.

La bibliografia su papa Sarto è molto ricca, e va dagli iniziali scritti agiografici alle opere criticamente più fondate. A. Marchesan, P. X nella sua vita, nella sua parola e nelle sue opere, Roma 1910; E. Bacchion, P. X. Giuseppe Sarto Arciprete di Salzano (1867-1875) nella tradizione e negli atti di archivio parrocchiale e comunale, Padova 1925; B. Pierami, Vita del servo di Dio P. X, Torino-Roma 1925; R. Bazin, P. X, Paris 1928; G. Semeria, I miei quattro papi, Milano 1930, pp. 173-238; F. Crispolti, Pio IX, Leone XIII, P. X, Benedetto XV. Ricordi personali, Roma 1932, pp. 85-139; N.J. Schmidlin, Papstgeschichte der neusten Zeit, III, Munich 1934, pp. 1-177; E. Vercesi, Il pontificato di P. X, Milano 1935; R. Merry del Val, P. X. Impressioni e ricordi, Padova 1949; P. Occelli, Il beato P. X papa, Roma 1951; C. Ledré, P. X, Paris 1952; P. Fernessole, P. X, essai historique, I-II, Paris 1952-53; G. Dal Gal, Il papa santo. P. X, Padova 1954; G. Astori, S. P. X e il vescovo Geremia Bonomelli (note storiche con documenti inediti), in Rivista di storia della Chiesa in Italia, X (1956), pp. 226-266; R. Aubert, Documents relatifs au mouvement catholique italien sous le pontificat de S. P. X, ibid., XII (1958), pp. 202-243, 304-370; P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna 1961; M. Torresin, Il card. A. C. Ferrari, arcivescovo di Milano e San P. X. Contributo allo studio dei rapporti, in Memorie storiche della Diocesi di Milano, X, Milano 1963, pp. 37-297; S. Dalle Fratte, L’opera del canonico Giuseppe Sarto (futuro P. X) cancelliere della curia vescovile di Treviso dal 1875 al 1884, Treviso 1967; D. Secco Suardo, Da Leone XIII a Pio X, Roma 1967; P. Droulers, Politique sociale et christianisme. Le père Desbuquois et l’Action Populaire. Débuts. Syndicalisme et intégristes (1903-1918), Paris 1969; E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral. Un réseau secret international antimoderniste: la “Sapinière” (1909-1921), Tournai 1969; Id., La dernière bataille du pontificat de P. X, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXV (1971), pp. 83-107; M. Bartolucci, Il Ministero catechistico di San P. X dalla parrocchia di Tombolo al patriarcato di Venezia, Roma 1976; C. Snider, L’episcopato del cardinale Andrea C. Ferrari, II, I tempi di P. X, Vicenza 1982; D. Agasso, L’ultimo papa santo – P. X, Cinisello Balsamo 1985; R. Aubert, Profilo di P. X, in Il Veneto di Giuseppe Sarto (1835-1903), Treviso 1985, pp. 13-37; G. Campanini, P. X fra tradizione e rinnovamento, in Rassegna di teologia, XXVII (1986), pp. 153-173; Sulle orme di P. X. Giuseppe Sarto (1835-1914) dal microcosmo veneto alla dimensione universale, Salzano-Venezia 1986; A. Zambarbieri, Il patriarca Sarto, in La Chiesa veneziana dal 1849 alle soglie del ’900, Venezia 1987, pp. 129-164; P. X. Un papa e il suo tempo, a cura di G. Romanato, Cinisello Balsamo 1987; Le radici venete di San P. X, a cura di S. Tramontin, Brescia 1987; L. Nordera, Il catechismo di P. X. Per una storia della catechesi in Italia (1896-1916), Roma 1988; La diocesi del papa. Dieci anni di corrispondenza di P. X con il vescovo di Treviso A. G. Longhin, a cura di L. Urettini, Abano 1988Giuseppe card. Sarto (S. P. X). Le pastorali del periodo veneziano (1894-1903), I-II, a cura di A. Niero, Riese Pio X 1990-91; J.M. Mayeur, La séparation des Églises et de l’État, Paris 1991; G. Vian, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di P. X, I-II, Roma 1998; Y. Chiron, Saint P. X. Réformateur de l’Église, Versailles 1999; C. Fantappié, La riforma dei seminari tra Stato e Chiesa (1859-1917), in Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, a cura di L. Pazzaglia, Brescia 1999; M. Guasco, P. X, santo, in Enciclopedia dei papi, III, Roma 2000, pp. 593-608; M Casella, P. X e la riforma dei seminari a Roma, Roma 2001; P. X e il suo tempo, a cura di G. La Bella, Bologna 2003; Giuseppe Sarto vescovo di Mantova 1884-1893. Lettere pastorali, a cura di S. Siliberti, Mantova 2006; G. Vian, P. X grande riformatore?, in Cristianesimo nella storia, XXX (2009), pp. 167-189; G. Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la modernità, Roma 2012 (con bibliografia aggiornata sul modernismo); A. Stelitano - Q. Bortolato - A.M. Dieguez, Bicicletta, società e Chiesa ai tempi di P. X, Treviso 2013; G. Romanato, P. X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Torino 2014 (con ampia bibliografia su Pio X).

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