PIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 83 (2015)

PIO

Anna Maria Ori

– I Pio, signori di Carpi dal 1329 al 1529, emersero con una propria identità familiare nel XII secolo – assieme ad altre nobili casate, tra cui i Pico della Mirandola – dal folto gruppo parentale dei ‘figli di Manfredo’, un miles protetto dai Canossa, in particolare dalla contessa Matilde. Prese nome da un Pio di Bernardo, cittadino di Modena dal 1168, podestà del Comune e rettore della Lega lombarda nel 1177.

Nel XIII secolo, la casata acquistò importanza tra i ghibellini modenesi, vantando podestà in vari Comuni dell’Italia centro-settentrionale e due vescovi, a Vicenza e Modena; e si divise in vari rami.

Fino agli inizi del Trecento i Pio di Modena non sembrarono interessati a Carpi, già castrum dei Canossa, la cui pieve di Santa Maria, passata alla Santa Sede assieme all’eredità matildica (1115), fu dichiarata diocesis nullius e soggetta direttamente a Roma (bolla di Callisto II, 1122); i suoi abitanti disponevano nel XII secolo di alcune franchigie, scarni indizi di un’organizzazione locale autonoma. La ‘terra’ di Carpi fu conquistata nel 1215 dal comune di Modena, da cui dipese fino al 1327, conoscendo un arricchimento della vita economica e sociale, la costruzione di borghi esterni al castrum e anche momenti di conflittualità tra famiglie locali cospicue, come quelle dei Brocchi e dei Tosabecchi.

Nel 1306 Manfredo di Federico Pio di Modena sposò Flandina di Gandolfo detto Preposto de’ Brocchi di Carpi, erede di diritti su Carpi. L’occasione per far valere tali diritti si presentò a Manfredo nel 1319: cacciò dal castrum Zaccaria Tosabecchi, di parte guelfa, che se ne era impadronito con la forza provocando la morte dell’arciprete Giliolo de’ Brocchi; ma poco dopo dovette a sua volta cederlo a Passerino Bonacolsi, vicario imperiale di Modena, che lo fortificò con un sistema di difese di cui resta la torre che porta il suo nome. Nel 1327, espulsi i Bonacolsi da Modena, Manfredo Pio riprese il dominio di Carpi, ottenendo la conferma papale, e quella imperiale da Ludovico il Bavaro nonché nel 1331 da Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, che lo nominò anche vicario imperiale di Modena assieme al cugino Guido di Egidio Pio. Nel 1332 la moglie Flandina gli cedette i diritti su Carpi, e Manfredo iniziò a fortificare il castrum con nuove mura (completate nel 1342).

Ma fu nel 1336 che si concretizzò una svolta decisiva nella storia dei Pio e di Carpi: il contrasto con gli Estensi e le opposizioni interne indussero i Pio a cedere ai signori di Ferrara il vicariato di Modena, in cambio del riconoscimento del dominio di Carpi per Manfredo, di San Felice per Guido Pio e di varie tutele per i loro congiunti, amici e alleati. Il trattato fu siglato a Verona dal solo Manfredo a nome anche di Guido Pio, forse già malato: morì nel 1337 e fu sepolto a Modena, nella cappella ‘della Vittoria’, innalzata in piazza Grande vicino al duomo nel 1306 per ricordare la cacciata di Azzo d’Este e fatta demolire dagli Estensi nel 1481.

Poco si sa di Manfredo per gli anni successivi; non ebbe contrasti con gli Estensi e morì a Carpi il 12 settembre 1348, a circa 65 anni d’età, lasciando due figli, Galasso e Agnese. Le fonti lo ricordano come combattente valoroso e politico prudente e accorto; armato cavaliere nel 1332 da Carlo di Lussemburgo, in tale veste è effigiato nel sepolcro marmoreo, opera di Sibellino de’ Caprari di Bologna, nella Sagra di Carpi. Ivi è rappresentato anche san Possidonio, culto specifico dei ‘figli di Manfredo’.

Galasso Pio, promulgati i nuovi statuti cittadini nel 1353, l’anno successivo si staccò dall’alleanza estense per schierarsi con i Visconti, come molti altri signori dei piccoli stati della zona, all’inizio di quella lunghissima fase di contrasti politici e militari che per quasi un secolo avrebbe visto opporsi all’espansionismo milanese le maggiori potenze italiane. Capitano nell’esercito visconteo, Galasso Pio si distinse per rapidità d’azione e audacia. Assieme ai figli Marsilio e Giberto, anch’essi a capo di milizie milanesi, si impadronì e perse castelli e terre nel modenese, e devastò territori nel reggiano e nel bolognese, esponendo i suoi domini ad analoghe ritorsioni. Morì nel 1367, lasciando sei figli e una figlia (Orsolina) nati da Agnese Rossi, con cui era stato ascritto alla cittadinanza di Padova nel 1341.

I suoi figli fecero politica non solo nel contesto regionale. Lodovico, esercitata con onore la carica di conservatore di Siena, mentre lasciava la città nel 1362 fu catturato a tradimento, spogliato degli averi, torturato e fatto decapitare senza processo da Francesco Orsini, successore nella carica. Marsilio, il fratello maggiore, denunciò la prevaricazione con un cartello di sfida inviato all’assassino e fatto circolare tra le corti italiane.

Dal 1367 risultano signori di Carpi i quattro figli legittimi di Galasso (Marsilio, Giberto, Giacomo e Antonio Pio; Taddeo, ecclesiastico, si autoescluse) sotto la protezione di Bernabò Visconti. Il conflitto tra loro fu inevitabile: Marsilio e Giberto si contrapposero ai più giovani Giacomo e Antonio, appoggiandosi agli Estensi. Nel 1374 l’esercito visconteo, di cui Antonio era uno dei capi, occupò Carpi, costringendo Marsilio e Giberto alla fuga; ma dovette poi ritirarsi di fronte a John Hawkwood, capo delle milizie estensi. Nei mesi successivi Marsilio e Giberto bandirono i fratelli e sottoscrissero un trattato di aderenza agli Estensi, compensati da un ingrandimento territoriale (Limidi, Cortile, San Tommaso e San Zenone della Lama) e dalla cittadinanza ferrarese.

Fu questa un’altra svolta cruciale nella storia politico-diplomatica dei Pio, che a partire da questa data accettarono con realismo politico di legarsi volta in volta agli Estensi, a Bologna e ai Gonzaga, pur più vicini e potenzialmente più pericolosi rispetto ai Visconti. Stipularono trattati di aderenza che contemplavano un complesso di obblighi politico-militari (fedeltà in guerra e in pace, disponibilità a fornire uomini, animali e vettovaglie) in cambio di benefici, privilegi e compensi in denaro pattuiti di volta in volta.

Giacomo, protetto di Bernabò Visconti, fu podestà di Lodi, Milano, Bergamo e Piacenza; ottenne da lui varie proprietà e il castello di Budrione (1374) nel territorio reggiano, da cui ancora nel 1394 inviò un contingente militare a incendiare case e devastare raccolti nelle campagne carpigiane; Antonio percorse un’importante carriera al servizio dei Carraresi, ottenendo la cittadinanza di Padova nel 1384; morì nel 1410, dopo essere stato podestà di Mantova e di Cremona. La scarna notizia di una congiura in castro Carpi nel 1389, conclusasi con diverse condanne a morte, fa pensare a un possibile tentativo degli eredi esclusi di recuperare il potere. Ma anche tra i vincitori sorsero conflitti e tensioni, e nel 1378 Giberto e Marsilio si spartirono i castelli, le ville e gli abitanti del distretto di Carpi con un atto rogato a Ferrara e più volte confermato e ritoccato negli anni successivi. La morte di Marsilio, nel 1384, evitò forse più feroci scontri, visto che il figlio Nolfo, avuto dalla moglie Agnese di Castelbarco, fu escluso dalla successione al dominio; ma la figlia di questo, Apollonia, moglie del condottiero Conticino d’Elci, trasmise il cognome Pio al figlio Taliano, anch’egli capitano di ventura.

Poco prima della morte (1389), Giberto nel 1387 ottenne consistenti ampliamenti territoriali (Fossoli, Novi, Gorgadello, Santo Stefano, Rovereto) dall’imperatore Venceslao che li confermò poi ai quattro figli ed eredi Marco, Nicolò, Alberto e Gian Galeazzo, tutti tranne Marco, sotto la tutela della madre e seconda moglie di Giberto Bianca Fieschi (che gli diede anche due figlie, Taddea e Verde, mentre dalla prima moglie, Bianca Casati di Milano, era nata Agnese, emancipata nel 1377).

Non si ricordano dissapori tra questi fratelli: Nicolò morì alla fine del 1394, appena iniziata la carriera di uomo d’arme; Alberto I e Gian Galeazzo, anch’essi capitani (il secondo, in occasione dei funerali di Gian Galeazzo Visconti a Milano, figurava tra i nobili che reggevano sulla cassa il grande baldacchino di tessuto d’oro foderato d’ermellino) scomparvero senza eredi attorno al 1408. Marco rimase unico signore. Sposato con Taddea Roberti, sorella di Giovanna, moglie del marchese Alberto d’Este, visse spesso a Ferrara, a corte; ma nel 1400 fu incarcerato, sospettato di coinvolgimento in una congiura contro Nicolò III per cui furono decapitati un cognato e la suocera, Margherita del Sale. Fu rilasciato nel 1402, perché difendesse Carpi da un possibile attacco di Giovanni Bentivoglio che aveva prigioniero Alberto, mentre Gian Galeazzo era lontano.

In quegli anni lo stato dei Pio si ingrandì ancora con due ville (Budrione e Migliarina) cedute dai monaci di San Prospero di Reggio e con l’investitura estense, nel 1405, di diciotto feudi nel modenese, alcuni ricchi e popolosi come Soliera e Formigine, altri poveri e lontani, quasi sul crinale dell’Appennino, che i Pio tennero per tutto il loro dominio. Le fonti attribuiscono a Marco Pio la costruzione della prima cinta muraria di Carpi con quindici torrioni quadrati e quattro porte in sostituzione delle difese dei singoli borghi e l’introduzione del primo banco feneratizio ebraico: iniziative che testimoniano la vitalità e l’attrattiva economica del luogo, in deciso sviluppo dopo la grande peste del secolo precedente.

Marco Pio morì nel 1418 a Ferrara; le sue spoglie, collocate in un sarcofago che riutilizza i marmi di uno di età paleocristiana, si trovano oggi nella chiesa di San Francesco di Carpi. Lasciò sette figlie e quattro figli: Giovanni, Giberto II, Alberto II, Galasso II (gli ultimi tre ancora minorenni). Sembra evidente tra i fratelli il desiderio di evitare scontri, dopo la morte del maggiore, Giovanni (m. 1431): separarono le abitazioni e si spartirono beni allodiali e castelli del contado e della montagna, lasciando indiviso Carpi.

Restano poche notizie di Giberto II, ucciso in battaglia nel 1446 (come più tardi Angelo, figlio naturale di Alberto II scomparso nel 1451, i soli Pio a morire sul campo, fra i tanti che esercitarono il mestiere delle armi). Aveva avuto due mogli: Alda di Aldrovandino da Polenta di Ravenna ed Elisabetta di Lodovico Migliorati di Fermo, che gli avevano dato, oltre ad alcune figlie, un erede ciascuna, rispettivamente Marco e Lodovico, associati al potere in età minorile da Alberto II e Galasso II rimasti al potere.

Prendendo spunto da questi legami quattrocenteschi, è opportuno qui puntualizzare in termini generali quanto un’accorta politica matrimoniale, spesso concertata anche con gli Estensi, fosse un elemento strutturale della ‘strategia di sopravvivenza’ portata avanti dai Pio nel difficile contesto politico del Quattrocento (ma già nel Trecento si era guardato lontano per la scelta dei consorti: i Rossi di Parma, i Pannocchieschi d’Elci, i Roberti). Non a caso l’archivio familiare ha prestato attenzione al fenomeno, raccogliendo sistematicamente notizie sulle provenienze delle mogli dei Pio (Padova, Milano, Fermo, Finale Ligure, Firenze, Piombino) e sulle destinazioni delle donne Pio (collocate preferibilmente in corti vicine: Correggio, Scandiano, Mirandola, Guastalla). Le parentele cospicue si rivelarono fondamentali in caso di necessità: ad esempio, dopo l’esecuzione di Gian Lodovico Pio nel 1469, Lorenzo de’ Medici provvide ad adeguati matrimoni sia per la vedova, sorella di sua moglie, sia per le tre figlie.

Alberto II, protonotario apostolico e canonico della cattedrale di Modena dopo brillanti studi a Ferrara e a Padova, nel 1434 rinunciò alla carriera ecclesiastica per dedicarsi con successo a quella delle armi. Nel 1450, rimasto senza denaro per le sue truppe in una condotta contro Lodovico duca di Savoia, passò al suo servizio, ottenendo in cambio il privilegio per sé, fratelli e discendenti di fregiarsi del cognome e dell’insegna dei Savoia (croce bianca in campo rosso e leone verde in campo d’oro). Morì nel 1463, dopo essere rimasto vedovo (1456) di Agnese, figlia di Galeotto del Carretto, marchese di Finale Ligure, da cui erano nati Leonello e Maddalena, ed essersi risposato (1461) con Camilla Contrari di Ferrara.

L’impegno militare di Alberto II lasciò a Galasso II l’attività politico-diplomatica. Il loro lungo dominio (oltre 45 anni) assicurò al loro piccolo Stato una relativa stabilità e una più efficiente amministrazione, culminata nell’aggiornamento nel 1448 degli statuti cittadini e la redazione del primo estimo.

Carpi in quei decenni era in piena espansione. Fu necessario verso il 1460 l’ampliamento della cinta muraria, con un’addizione che le fece assumere le dimensioni e la forma conservate fino all’ultimo quarto del XIX secolo. Il catasto urbano redatto nel 1472, sotto Leonello e Marco II, dimostra che il centro storico aveva già raggiunto l’assetto urbanistico attuale, sia nella viabilità sia nelle due quinte della grande piazza rappresentate dal portico lungo e dalla loggia del grano, in attesa della trasformazione del castello in palazzo e della costruzione della nuova collegiata da parte di Alberto III Pio.

Galasso II, come già il padre, soggiornò spesso a Ferrara anche in quanto marito di Margherita d’Este, figlia naturale di Niccolò III, che gli diede tredici figli, otto maschi e cinque femmine. Nel 1453, rimasto vedovo, sposò l’amante Costanza di Bartolomeo Boiardo (rapita nel 1445). Partecipò alla vita di corte, accumulò molte proprietà, fu in primo piano in numerose cerimonie ufficiali (scortò nel 1438 l’imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo nel corso del suo ingresso in città per il concilio). A Carpi condusse una vita signorile nel grande torrione che porta il suo nome.

Alla morte di Galasso II i signori di Carpi erano dieci, di età diverse e sbilanciati come provenienza familiare: a Marco di Giberto II (Lodovico era morto non ancora ventenne nel 1464) e Leonello di Alberto II si affiancavano gli otto eredi di Galasso: Gian Marco, Gian Marsilio, Gian Lodovico, Gian Carlo, Gian Princivalle, Niccolò, Manfredo e Bernardino. I contrasti furono inevitabili, e la situazione esplose nell’estate del 1469: Gian Lodovico, riconosciuto colpevole di aver partecipato a una congiura ai danni di Borso d’Este, fu decapitato in Ferrara il 12 agosto 1469; il primogenito Gian Marco fu ucciso in carcere per non averlo denunciato; nonostante si proclamassero estranei gli altri fratelli furono arrestati e trattenuti in prigione fino al 1477, quando rinunciarono ai diritti su Carpi. Borso d’Este confiscò e incamerò tutte le loro proprietà, valutate 125.000 lire di bolognini, oltre ai castelli e al palazzo Paradiso in Ferrara, esclusi dalla stima ufficiale. I tentativi dei superstiti, una volta liberi, di recuperare i diritti signorili furono vani; fallì un loro tentativo di riprendere Carpi nel 1480 con le armi, mentre Marco II era prigioniero dei genovesi. Ebbero maggior fortuna i loro eredi nel recuperare una parte dei beni e delle proprietà confiscate dopo una vertenza giudiziaria conclusasi nel 1520.

Si può qui rilevare in termini generali che – se si fa eccezione da questo pur rilevante episodio (in occasione del quale peraltro Marco II e Leonello potevano aver approfittato delle circostanze, più che ordito un inganno contro i figli di Galasso II) – i Pio sembrano esser stati in grado di tollerare meglio di altre casate la condivisione del dominio, senza ricorrere sistematicamente all’assassinio di congiunti. In aggiunta, occorre ricordare i contrasti a fine Trecento tra i figli di Galasso I, sui quali non si hanno però dettagli.

Leonello e Marco II, ormai senza rivali, nel 1470 ottennero da Federico III d’Asburgo di riservare la successione ai soli primogeniti, per prevenire future contese. Leonello, uomo d’arme, morì nel 1477, lasciando un erede, Alberto III, di appena due anni, e un secondogenito, Leonello, neonato di pochi giorni, entrambi figli di Caterina Pico della Mirandola, sposata nel 1474.

Marco II fu spregiudicato capitano d’armi e gentiluomo raffinato, perfettamente a suo agio nello stile di vita delle corti rinascimentali padane. Fu, ad esempio, a Roma nel 1471 per l’investitura alla dignità ducale di Borso d’Este e gli fece dono di uno splendido codice miniato, la Cosmografia di Tolomeo (oggi alla Bibliothèque nationale de France); fece parte della scorta d’onore che condusse da Napoli a Ferrara Eleonora d’Aragona, sposa di Ercole d’Este, e nel 1476 fu padrino di battesimo del loro erede, Alfonso.

Quanto ai rapporti con Alberto III, lo incoraggiò a dedicarsi agli studi sotto la guida di Aldo Manuzio, suo istitutore a Carpi dal 1479; lo inviò quindi a completare la formazione nelle città universitarie di Ferrara (1482) e Padova, lontano dalla vita politica. Ebbe agio dunque di occuparne palazzo, beni allodiali e giurisdizioni, così come aveva preso dimora nel torrione già di Galasso II. Alberto III ottenne però da Federico III l’investitura della sua metà di Carpi, ove rientrò nel 1490.

Alla morte di Marco II (1494), si crearono le condizioni per un nuovo contrasto tra il suo erede Giberto III (primo dei dodici figli, quattro maschi e sette femmine, nati da Benedetta del Carretto, sorella minore di Agnese, prima moglie di Alberto II) e Alberto III. La discordia si allargò nel 1496 alle fazioni cittadine e degenerò in guerra civile; Ercole d’Este, dopo aver vanamente tentato di mettere pace, nel 1499 approfittò del contrasto per acquisire la metà di Carpi spettante a Giberto III (in cambio del feudo di Sassuolo), che morì nel 1500 a Bologna, dove aveva sposato Eleonora di Giovanni II Bentivoglio, da cui aveva avuto quattro figli, Alessandro, Costanzo, Gerolamo e Marco.

Con un duca estense come condomino, il destino della signoria dei Pio su Carpi era ormai segnato: Alberto III, creato conte di Carpi da Massimiliano d’Asburgo nel 1509, riuscì non senza contrasti a esercitare il potere dal 1512 al 1522, ma la sua era ormai una storia personale, non di una famiglia. Deposto da Carlo V per fellonia dopo la battaglia di Pavia (1525), morì esule a Parigi (gennaio 1531). Carpi, occupata dagli spagnoli, entrò nei domini estensi nel 1527, e fu confermata ai duchi dall’investitura imperiale nel 1530.

La famiglia Pio di Savoia era ormai divisa in tre rami che prendevano il nome da Alberto II, Giberto II e Galasso II.

Il ramo diretto albertino si estinse come detto in Alberto Pio III (Parigi, 1531), essendo morto a soli sei mesi di vita il suo erede Francesco (1526). Il ramo cadetto continuò in Leonello, che tentò invano di mantenere almeno il castello di Novi (1533), dopo aver rifiutato di cedere i diritti su Carpi trasmessigli dal fratello assieme alle signorie di Meldola e Sarsina, cui unì i diritti su Verucchio e Scorticata avuti dalla seconda moglie Ippolita Comneno. Sopravvissuto a molti dei suoi dieci figli (tra cui Rodolfo, 1500-1564, nato dalla prima moglie Maria Martinengo, creato cardinale nel 1536) morì nel 1571, a 94 anni. Gli successe il figlio Alberto (m. 1580), quindi il nipote Rodolfo, che, spogliato della signoria per indegnità (1589), fu assassinato a Venezia nel 1599.

Il ramo gibertino dei Pio, linea diretta, incontrò inizialmente difficoltà nel radicarsi nel feudo di Sassuolo, ottenuto dall’unione delle cinque podesterie di Sassuolo, Formigine, Brandola, Spezzano e Soliera, le ultime quattro già feudi di cui la famiglia Pio era stata investita nel 1405: sia per l’instabilità generale dei primi decenni del nuovo secolo, sia per la giovane età dei primi titolari, Alessandro (m. 1518) e Giberto II, suo primogenito nato da Angela Borgia. Ma successivamente essi provvidero allo sviluppo sociale e urbanistico della piccola capitale e dei centri maggiori del territorio, nonché a una prima trasformazione del castello in palazzo, più tardi grandiosamente ristrutturato da Francesco III d’Este. Degli altri figli di Giberto (III di Carpi, I di Sassuolo), Costanzo fu governatore di Reggio e letterato di qualche fama; Gerolamo, comandante del presidio di Reggio, reo confesso di congiura contro Alfonso d’Este, fu decapitato a Ferrara nel 1528; Marco (m. 1544) percorse una ricca carriera diplomatica e militare. Suo figlio Ercole, nato da Lucrezia Roverella, succeduto nel dominio di Sassuolo al cugino Giberto II morto nel 1554 senza eredi nonostante due mogli, promulgò nel 1561 gli Statuti rimasti in vigore fino al 1772. La sua morte improvvisa nel 1571 lasciò erede del dominio il figlio Marco di appena tre anni. La vedova, Virginia Marino, si risposò due anni dopo con don Martino de Leyva e si trasferì a Milano, dove morì nel 1576 dopo aver dato alla luce Marianna, la futura suor Virginia de Leyva (la manzoniana monaca di Monza).

Marco di Ercole Pio, ambizioso e irrequieto, tentò di trasformare il suo dominio in principato ed entrò in conflitto con gli Estensi; dopo la devoluzione di Ferrara, fu assassinato a Modena nel 1599. Fu l’ultimo del ramo diretto, non avendo avuto figli dalla moglie Clelia Farnese. Cesare d’Este incamerò Sassuolo, disconoscendo i diritti alla successione di Enea, fratello di Ercole, condottiero, diplomatico e consigliere dei Savoia. Da lui derivò il ramo cadetto, che vantò due cardinali, Carlo Emanuele (1578-1641) di Enea Pio, e il nipote Carlo (1622-1689). Quest’ultimo acquistò dal papa il titolo di principe di San Gregorio nel 1655 per il fratello Giberto, che si trasferì da Ferrara in Spagna.

Il ramo gibertino si estinse nel 1776, ma il titolo di principe Pio di San Gregorio, trasmesso alla discendenza femminile, sopravvive tuttora in Spagna. Il ramo galassino, costretto a rinunciare ai diritti signorili sin dal 1477, recuperò parte dei beni allodiali e risiedette a Carpi nella discendenza di Gian Marsilio Pio fino ai primi decenni del Novecento. È ancor oggi vitale, presente a Roma, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Nel 1870 questo ramo della famiglia ha ottenuto dal Regno d’Italia, che si era annesso gli Stati estensi, il risarcimento per la confisca di Sassuolo del 1599; il conte don Manfredo Pio nel 1930 ricevette il titolo principesco da re Vittorio Emanuele III.

Allo stato attuale delle ricerche una valutazione generale della signoria Pio in Carpi dev’essere molto prudente, a causa della perdita di molti documenti sia della famiglia sia della comunità locale in un incendio avvenuto nel 1527; ma consente di coglierne alcune specificità, rispetto ad altre famiglie di piccole signorie padane simili per mentalità, cultura ed esercizio delle armi al servizio di signorie maggiori, fonte di guadagni e onori ben più rilevanti delle entrate dei loro territori soprattutto dopo il consolidamento di quella rete di alleanze e accordi che regolerà i rapporti tra signori di diverso livello e reggerà il sistema politico italiano nei secoli XIV-XVI.

Limitando le considerazioni d’insieme a questo arco di tempo, sono individuabili come elementi costanti e caratterizzanti, e suscettibili di un apprezzamento d’insieme, non tanto l’organizzazione di una corte in senso proprio (non vi è infatti memoria specifica di una vita di corte, a Carpi, anche se dalle scritture notarili riusciamo a cogliere i nomi e le funzioni di alcune persone a servizio dei signori, come damigelle, scalchi, trombettieri, servitori vari), quanto il ‘filo rosso’ di un coinvolgimento personale nella vita culturale e letteraria e la politica religioso-ecclesiastica della casata.

A parte l’amicizia tra Francesco Petrarca e Manfredo Pio, attestata da una lettera del poeta del 1348, per tutti i rampolli Pio del XV secolo, maschi e femmine, legittimi e naturali, è documentata un’educazione di buon livello, da Alberto II, dedito agli studi prima che alle armi, ai figli di Galasso II, che in carcere composero versi dignitosi – addirittura Gian Marsilio un intero Canzoniere –, mentre la loro sorella Marsibilia, moglie di Taddeo Manfredi signore di Imola, confidava per lettera: «... molto me piace legere Dante»; Marco II onorò e gratificò non solo Giovanni della Porta, maestro dei propri figli, ma anche Aldo Manuzio, istitutore di Alberto III, ‘il dotto’. Nel secolo successivo, il cardinale Rodolfo di Leonello Pio, erede delle collezioni di Alberto III, una volta protettore della Santa Casa di Loreto (1542) vi commissionò la cappella del Sacramento; appassionato di musica, a lui Giovanni Pierluigi da Palestrina dedicò i Motecta festorum totius anni (1563).

Nella politica religiosa dei Pio signori di Carpi (altro il discorso che riguarda nel Duecento i Pio di Modena, tra i quali pur figurano vescovi e canonici) si intrecciano devozione personale e valenze politiche. Nel 1448 Elisabetta Migliorati, vedova di Giberto II, fondò il convento maschile e la chiesa di S. Agostino; mentre più tardi (1490-1500) Camilla Pio, sua figlia, entrò essa stessa (in età avanzata, a 60 anni) nel primo convento femminile della città, quello di S. Chiara. Quanto ai francescani, l’evoluzione è quella usuale: alla presenza antica (1248) dei conventuali, si aggiunse nel 1449 per volontà di Alberto II e Galasso II quella degli osservanti nell’antica chiesa di S. Nicolò. Rimase senza esito nel 1460 l’imposizione di papa Pio II ad Alberto II di costruirne uno di monache agostiniane per ricevere l’assoluzione degli abusi dei suoi soldati nelle tante condotte da lui guidate. Alberto III portò invece a Carpi entrambi gli ordini dei Servi di Maria, quello maschile (1495, Santa Maria delle Grazie) e quello femminile (1504, San Sebastiano). Fortemente condizionato dalla famiglia dominante è anche l’assetto delle chiese secolari carpigiane. Preso atto del declino dell’antica pieve, i signori Pio ne ottennero la conversione in commenda (1456), e ovviamente primo arciprete commendatario fu Tommaso, figlio naturale di Galasso II, seguito da Galeotto di Marco II. Ma nel 1512 Alberto III scardinò gli ordinamenti precedenti, declassando la pieve a oratorio e fondando una nuova collegiata, che avrebbe accentrato tutti i benefici delle parrocchie della diocesis nullius, non senza suscitare proteste e opposizioni.

Fonti e Bibl.: I principali nuclei di documenti della famiglia Pio sono a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Archivio Falcò Pio di Savoia, e a Carpi, Archivio storico comunale, Archivio Pio di Savoia. In entrambi più copie ms. della Cronica dei Figli di Manfredo, di Ingrano Bratti [1380 circa, che sposta le origini della famiglia al IV secolo d.C.], con varianti e aggiunte fino oltre il XVII secolo: I. Bratti, Cronica della Mirandola, dei Figli di Manfredo e della Corte di Quarantola, a cura di F. Ceretti, Mirandola 1872, rist. Mirandola 2011. Nel secondo, in Archivio don Paolo Guaitoli, documenti, spogli documentari e ricerche inedite sulla famiglia Pio dell’importante studioso locale (1796-1871), tra cui Aggiunte e correzioni [...] al Tiraboschi e al Litta.

Fonti edite: Ordo funeris Johannis Galeatii Vicecomitis, Oratio..., in RIS, XVI, 9, Mediolani 1730; Chronicon regiense, in RIS, XVIII, 1, Milano 1731; Memoriale Historicum Rerum Bononiensium, in RIS, II, Mediolani 1731; Historia Miscella Bononiensis, in RIS, XVIII, 3, Mediolani 1731; Annales Estenses Jacobi de Delayto, in RIS, XVIII, 5, Mediolani 1731; C. da San Giorgio, La congiura dei Pio signori di Carpi contro Borso d’Este e Supplicazione di Gio. Marco Pio di Carpi al al duca Borso d’Este, a cura di A. Cappelli, in Atti e memorie delle RR. Deputazione di storia patria per le provincie modenesi e parmensi, II (1864), pp. 367-416, 493-502; Annales forolivienses, a cura di G. Mazzatinti, in RIS2, XXII, 2, Città di Castello 1903-1909; Corpus Chronicorum Bononiensium, a cura A. Sorbelli, in RIS2, XVIII, 1, Città di Castello 1906-39; Storie pistoresi. 1300-1348, a cura di S.A. Barbi, in RIS2, XI, 5, Città di Castello 1907-27; Chronicon Estense, a cura di G. Bertoni - E.P. Vicini, in RIS2, XV, 3, Città di Castello 1908-37; C. Ghirardacci, Della Historia di Bologna, a cura di A. Sorbelli, in RIS2, XXXIII, Città di Castello 1915-32; Cronicon Mutinense Johannis de Bazano, a cura di T. Casini, in RIS2, XV, 4, Bologna 1917-19; Diario Ferrarese di autori incerti 1409-1502, a cura di G. Pardi, in RIS2, XXIV, 7, Bologna 1928-33; Annales Senenses, a cura di A. Lisini - F. Iacometti, in RIS2, XV, 6, Bologna 1931-39, pp. 569-685; Galeazzo e Bartolomeo Gatari, Cronaca Carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, in RIS2, XVII, 1, Città di Castello 1931; A. Morselli, Notizie e documenti sulla vita di Alberto Pio, in Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, XI (1931), pp. 51-205; Petri Azarii liber gestorum in Lombardia, a cura di F. Cognasso, in RIS2, XVI, 4, Bologna 1939; Guillelmi de Cortusis, Chronica de novitatibus Padue et Lombardie, a cura di B. Pagnin, in RIS2, XII, 5, Bologna 1941; A. Morselli, Il corredo nuziale di Caterina Pico (1474), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche provincie modenesi, s. 8, VIII (1956), pp. 3-46; F. Panini, Cronica della città di Modena. Historia di Casa Boschetta. Poesie, a cura di R. Bussi - R. Montagnani, Modena 1978; Repertorio della Cronachistica emiliano-romagnola (secc. IX-XV), a cura di B. Andreolli et al., Roma 1991.

G. Maggi, Memorie historiche della Città di Carpi, Carpi 1707, rist. Bologna 1968; G. Tiraboschi, in Biblioteca modenese, IV, Modena 1783 (voce Pio); Id., in Memorie storiche modenesi, II (su Guido e Manfredo Pio), IV (Della famiglia de’ Pii), Modena 1793-1794, con codice diplomatico; Id., in Dizionario topografico-storico degli stati estensi, Modena 1824, rist. Bologna 2002 (voce Carpi); P. Litta, Famiglie celebri italiane, Pio di Carpi, XII Milano 1858-62; P. Guaitoli, Carpi, in Dizionario corografico dell’Italia, a cura di A. Amati, Milano 1867; P. Guaitoli, Memorie sulla vita di Alberto Pio, in Memorie storiche e documenti sulla Città e l’antico Principato di Carpi, (= MSCD), I (1877), pp. 133-308; Carpi, Ein Fürstensitz der Renaissance, a cura di H. Semper - F.O. Schulze - W. Barth, Dresden 1882 (trad. it. Carpi. Una sede principesca del Rinascimento (Dresda 1882), trad. it. A. D’Amelio - A.E. Werdehausen, a cura di L. Giordano, Pisa 1999); P. Guaitoli, Bibliografia storica Carpigiana, Carpi 1882-83; Id., Annotazioni per servire alla storia di Carpi durante il dominio Pio, in MSCD, IV, (1888); pp. 5-82 (Manfredo e Galasso Pio); U. Fiorina, Inventario dell’archivio Falcò Pio di Savoia, Vicenza 1980. Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III Pio. Atti del convegno internazionale... Carpi... 1978, 2 voll., Padova 1981; Informatica e storia urbana. Il catasto di Carpi del 1472 analizzato al computer, in Storia della città. Rivista internazionale di storia urbana e territoriale, XXX (1985); A. Garuti, I Pio di Savoia..., in Le torri perdute. Rocche e castelli dei Pio, Modena 1986, pp. 7-24; B. Andreolli, I figli di Manfredo da vassalli canossani a signori, in I poteri dei Canossa, a cura di P. Golinelli, Bologna 1994, pp. 189-210; Id., I Pio di Carpi. Una signoria rurale nell’Italia padana, in Quadri rinomatissimi, a cura di J. Bentini, Modena 1994, pp. 9-24; M. Ghizzoni, La pietra forte. Carpi: città e cantieri alle fortificazioni (XII-XVIII secolo), Casalec-chio di Reno 1997; E. Svalduz, Da Castello a “città”: Carpi e Alberto Pio: 1472-1530, Roma 2001; M. Ghizzoni, Ordinamenti politici e strategie signorili: note di storia urbanistica carpigiana tra Medioevo e Rinascimento, in L’ambizione di essere città. Piccoli, grandi centri nell’Italia rinascimentale, a cura di E. Svalduz, Venezia 2004, pp. 121-153; Il palazzo dei Pio 2008 = Il palazzo dei Pio a Carpi. Sette secoli di architettura e arte, a cura di M. Rossi-E. Svalduz, Venezia 2008; Storia di Carpi. I. Dalle origini all’affermazione dei Pio, a cura di P. Bonacini - A.M. Ori, Modena 2008 (saggi di B. Andreolli, P. Bonacini, C. Corti); Storia di Carpi. II. La città e il territorio dai Pio agli Estensi, a cura di M. Cattini - A.M. Ori, Modena 2009 (saggi di G.M. Varanini, B. Andreolli, M. Fantoni, F. Forner); disponibile anche on-line, www.fondazionecrcarpi.it.

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