Pirro

Enciclopedia Dantesca (1970)

Pirro (o Neottolemo)

Antonio Martina

Figlio di Achille, che attraverso Eaco faceva risalire la sua stirpe a Zeus, e di Deidamia, figlia di Licomede re dei Dolopi in Sciro.

Morto Achille, Ulisse lo andò a prendere da Sciro (cfr. Omero Od. XI 505 ss.), poiché un oracolo aveva predetto che Troia non sarebbe mai caduta se non ci fosse stato tra gli assedianti un discendente di Eaco. Fu tra gli eroi greci rinchiusi nel ventre del cavallo di legno, che consentì la distruzione della città. Ma mentre molti piangevano e tremavano di paura, P. dovette esser trattenuto da Ulisse, perché impaziente e smanioso di combattere (Od. XI 530 ss.). Nell'ultima notte di Troia uccise, come narra Virgilio (Aen. II 526-558), Polite sotto gli occhi del vecchio Priamo e poi lo stesso Priamo, che Achille aveva risparmiato. Precipitò giù dalle mura Scamandrio o Astianatte, figlio di Ettore e di Andromaca, strappandolo dal seno della nutrice; condusse schiava Andromaca, dalla quale ebbe un figlio, ma poi l'abbandonò per Ermione, figlia di Menelao e di Elena, suscitando l'odio di Oreste, che lo avrebbe ucciso. Secondo una tradizione molto diffusa, ma diversa da quella dei Canti Cipri, sacrificò presso la costa della Tracia Polissena, di cui l'ombra di Achille, apparsa ai Greci che ritornavano in patria recando tra i prigionieri insieme con Ecuba la fanciulla, aveva reclamato il sacrificio, che in un certo senso richiama quello di Ifigenia compiuto da Agamennone. Virgilio (Aen. II 469 ss.) lo descrive come eroe crudele e violento, baldanzoso nelle sue forbite armi di bronzo. Ebbe a Delfi, come attesta Pausania (X XXIV 6), culto eroico e fu considerato capostipite dei re della stirpe dei Molossi: Pirro, il re dell'Epiro (318-272 a.C.), si vantava di discendere da lui.

Nel primo girone del VII cerchio dell'Inferno, che accoglie i violenti contro il prossimo nelle persone e negli averi, il centauro Nesso mostra ai due poeti un P. immerso, con Attila e Sesto (il famoso corsaro figlio di Pompeo Magno), in un bagno di sangue: La divina giustizia di qua punge / quell'Attila che fu flagello in terra, / e Pirro e Sesto (If XII 135).

Circa l'identificazione di questo personaggio non sono d'accordo già gli antichi. Incerto si dichiara l'Ottimo, seguito tra i moderni, per esempio, dal Barbi e dal Sapegno; il Boccaccio propende per il figlio di Achille " percioché il primo [il figlio di Achille], come assai si può comprendere, per lo suo corseggiare e per l'altre sue opere, fu e crudelissimo omicida e rapacissimo predone; questo secondo [il re dell'Epiro], quantunque occupatore di regni fosse, e ogni suo studio avesse alle guerre, fu nondimeno, secondo che Giustino e altri scrivono, giustissimo signore ne' suoi esercizi "; Benvenuto, per il re dell'Epiro: " multi exponunt hic de Pyrrho filio Achillis, qui fuit, ut dicunt, valde violentus... Sed certe quicquid dicatur non credo quod autor intelligat hic de praedicto Pyrrho, quia violentias praedictas fecit iuste contra hostes suos; imo credo quod loquatur de Pyrrho rege Epiri in Graecia, qui fuit valentissimus et violentissimus ".

A queste contrastanti interpretazioni giungono, sebbene con motivazioni spesso diverse, anche i moderni. Un argomento recato a favore della prima tesi è che D. non potrebbe aver condannato tra i bolliti del Flegetonte il re dell'Epiro, di cui altrove parla con ammirazione, lodando la nobiltà del sangue e dei costumi: bene Pirrus ille, tam moribus Aeacidarum quam sanguine generosus (Mn II IX 7; e cfr. Pd VI 44), giudizio fortemente contrastante con la presente condanna. Il personaggio di If XII 135 sarebbe perciò il figlio di Achille, della cui crudeltà e violenza D. aveva notizia dal passo di Virgilio. Tuttavia il Renucci (p. 376 n. 382), richiamandosi a un passo di Giovanni di Salisbury (Policr. VII 25), dove il sovrano epirota è considerato un tiranno, e osservando (p. 261) che s. Tommaso (Sum. theol. II II 42) definisce la tirannide un regime che si propone come fine la soddisfazione personale del principe e non il bene di tutti i soggetti, ritiene che per il rivale di Roma, che aveva fallito nel disegno di contrastare la sua provvidenziale missione, la condanna nell'Inferno si possa giustificare. In favore della seconda tesi milita il fatto che il figlio di Achille, a differenza del re dell'Epiro, non è mai ricordato altrove da D., e anche, secondo alcuni, la considerazione che il primo, non essendo stato un tiranno, non potrebbe trovar posto tra i tiranni. Su questo punto però si è obiettato che non abbiamo a che fare soltanto con tiranni, dal momento che almeno i due Rinieri, ricordati al v. 137, non furono certo tali.

Allo stato attuale della questione non sembra che si possa giungere a una sicura soluzione del problema (v. voce seguente). Bibl. - Oltre ai commenti più accreditati, v.: Toynbee, Dictionary; A. Renaudet, D. humaniste, Parigi 1952, 384, 446-447; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, ibid. 1954, 227, 261, 376 n., 382.

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