Pitagorismo

Enciclopedia della Matematica (2013)

pitagorismo


pitagorismo movimento filosofico e scientifico sviluppato nel v secolo a.C. dagli immediati seguaci di Pitagora di Samo e che attribuiva particolare importanza ai numeri e alle regolarità numeriche. La scuola pitagorica, alla quale erano ammesse anche le donne, si presentava anche come setta mistico-religiosa e imponeva agli adepti l’osservanza del celibato, la comunione dei beni, nonché regole, divieti e pratiche di purificazione del corpo e dell’anima. All’insegnamento di Pitagora si fa risalire la distinzione dei discepoli in acusmatici (gli «ascoltatori», dal termine akoúsmata, cioè le cose udite), ai quali era imposto il silenzio e una rigida disciplina di apprendimento delle prescrizioni volte a condurre sana vita spirituale, e i matematici, più interessati alla conoscenza, cioè a cogliere l’armonia del mondo, che avevano facoltà di far domande e di esprimere opinioni personali e ai quali erano rivelate le dottrine più profonde della scuola. Questa divisione, col tempo, diede origine a due fazioni contrapposte che, dopo la morte del maestro, si contesero la sua eredità ideale.

Tra le discipline praticate dai pitagorici ebbe particolare importanza la musica, nell’ambito della quale ebbe rilievo la scoperta del rapporto numerico che governa l’altezza dei suoni. È probabilmente da queste prime esperienze che si sviluppò l’interesse dei pitagorici per l’aritmetica, da essi intesa come teoria dei numeri naturali. Il numero era concepito come collezione di più unità ed era raffigurato spazialmente, sia nel senso dei numeri figurati, sia nel senso di una loro identificazione con enti geometrici (per cui, se un numero è identificato con un segmento, esso, moltiplicato per sé stesso, dà, appunto, un quadrato). La matematica pitagorica fu perciò una “aritmogeometria” che favorì l’interpretazione del numero come principio primo della realtà. Secondo Filolao «tutte le cose che si conoscono hanno numero; senza questo nulla sarebbe possibile pensare né conoscere». Per i pitagorici gli elementi del numero sono poi, come riferisce Aristotele nella Metafisica, elementi di tutte le cose, poiché tutto l’universo è armonia e numero. Tali elementi sono anzitutto il dispari e il pari, ai quali corrispondono il determinato (péras) e l’indeterminato (ápeiron). Da qui derivano ulteriori opposizioni (maschio-femmina, luce-tenebra, buono-cattivo, retto-curvo ecc.) che mostrano la presenza, nella teoria dei numeri, di implicazioni morali, magico-religiose e cosmologiche. Valore emblematico rivestiva per esempio il numero 10 (la figura divina del tetraktýs sulla quale i pitagorici pronunciavano i loro giuramenti), risultante dalla somma dei primi quattro numeri e raffigurata come un triangolo equilatero che ha quattro unità (punti discreti o “pietruzze”) per lato. L’unità stessa ha poi un valore particolare in quanto parimpari, cioè partecipe della natura del pari e del dispari; essa infatti, aggiunta a qualsiasi numero, lo trasforma da pari in dispari e viceversa. Sulla base del numero si sviluppò anche l’ardita astronomia pitagorica, attribuita a Filolao e a Iceta. Al centro dell’universo vi è un fuoco, principio regolativo o forza che dirige i moti celesti. Intorno a esso ruotano, in ordine successivo, un primo pianeta chiamato Anti-Terra, poi la Terra che, tolta dal centro immobile dell’universo, passa al rango di pianeta; quindi la Luna, il Sole, i cinque pianeti e le stelle fisse. L’Anti-Terra, invisibile agli uomini, venne forse introdotta per spiegare le eclissi e anche, come riferisce Aristotele, per portare a dieci i corpi ruotanti intorno al fuoco centrale, in accordo con l’armonia universale raffigurata nella tetraktýs. Questa teoria cosmologica costituì un primo passo verso il sistema eliocentrico elaborato da Copernico, che infatti, come anche Keplero, si riferì al pitagorismo come a una delle sue fonti. I pitagorici furono i primi a tradurre l’universo mitico in un cosmo, cioè in un sistema razionalmente ordinato. La loro cosmologia obbediva peraltro anche a esigenze mistico-religiose: i moti dei corpi celesti, essendo regolati da rapporti numerici, producono un suono sublime (armonia delle sfere), non percepibile dall’orecchio umano. E anche l’anima dell’uomo, che, come riferisce Alcmeone, è immortale per la sua somiglianza con la Luna, il Sole e gli astri, consiste di una armonia musicale tra elementi contrari. Su tali concezioni si basa sia la nozione del divino o anima del mondo, sia l’etica fondata sulla giustizia e raffigurata da un numero quadrato: prodotto dell’uguale con l’uguale. L’anima, essendo immortale, è destinata, attraverso successive reincarnazioni (metempsicosì), a ricongiungersi con l’anima universale o divina. Questa era la verità misterica, attinta dall’orfismo, che la setta pitagorica trasmetteva ai suoi adepti attraverso la contemplazione del numero e della sua armonia. Lo sviluppo dottrinario della scuola fu però interrotto dalla scoperta delle grandezze incommensurabili (e in particolare della incommensurabilità tra diagonale e lato del quadrato). L’incommensurabilità tra due grandezze, cioè, in termini numerici, il fatto che il rapporto tra la diagonale e il lato del quadrato sia √(2), cioè un numero irrazionale, non esprimibile come frazione, metteva infatti in crisi l’idea che l’unità (identificata con il punto) sia il costituente di una molteplicità (identificata con un segmento): se così fosse, infatti, il rapporto tra due segmenti dovrebbe necessariamente essere un rapporto tra due molteplicità, cioè tra due interi, e quindi una frazione. La leggenda narra che tale scoperta, tenuta a lungo nascosta, fu rivelata dall’acusmatico Ippaso di Metaponto, che per tale “tradimento” fu vittima di un naufragio per volere dell’ira di Zeus (alcuni storici avanzano tuttavia l’ipotesi che la leggenda nasconda una vera e propria condanna a morte per affogamento eseguita dalla setta stessa). Da qui l’aprirsi di crisi e di contese in seno alla scuola. Di fatto l’aritmogeometria si rivelò inadeguata ad affrontare i paradossi dell’infinito e del continuo (esposti per esempio da Zenone di Elea) e dovette essere abbandonata: aritmetica e geometria presero direzioni diverse e indipendenti. La crisi della scuola pitagorica fu anche determinata da ragioni politiche. Fautori dell’aristocrazia, i pitagorici detenevano infatti il potere in vari centri della Magna Grecia e vennero travolti dalla rivoluzione democratica del 450 a.C., in seguito alla quale si dispersero in vari centri della Grecia e dell’Italia meridionale.

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