OLIO, PITTURA A

Enciclopedia Italiana (1935)

OLIO, PITTURA A

Carlo Alberto Petrucci

. Fra le numerose sostanze che servono ad agglutinare le materie coloranti per renderle adatte alla pittura, l'olio è quella che ha avuto e ha tuttora il più largo favore, presentando tale somma di qualità da far senz'altro rassegnatamente accettare le sue pur non lievi manchevolezze; tanto più che queste ultime riguardano soprattutto l'avvenire del dipinto, pientre le prime sono per l'artista di godimento immediato. Oltre al conferire ai colori insuperata intensità, splendore e vigore di tono, l'olio permette di stenderli con estrema facilità in generosi impasti o in tenui velature; di ricercare lungamente il modellato; di sovrapporre, raschiare, riprendere gli strati rendendo i colori stessi adatti e ubbidienti ai più disparati criterî tecnici, e, soprattutto, tenacemente aderenti alle imprimiture, lungamente resistenti all'azione del tempo. Le numerosissime cause di alterazioni fisiche e chimiche che insidiano questo processo di pittura hanno in gran parte origine dalla trascuranza di quelle sane norme pratiche fondate sulle leggi naturali delle materie impiegate, e consacrate da secolare esperienza. Tuttavia, anche prescindendo dal cattivo, irrazionale impiego dei materiali, rimane pur sempre imputabile all'olio un inconveniente inevitabile: il suo progressivo, fatale ingiallimento, a impedire il quale nessun rimedio è stato fino ad ora trovato. Per ridurlo, non c'è che diminuire la quantità d'olio, non essendo la scienza riuscita a darci altra materia da stistituirgli con vantaggio. Ma ciò equivale a privare i colori di quella difesa che forma proprio una delle prerogative del processo; col risultato di una pittura opaca, non sgradevole certo, ma impotente a raggiungere profondità di tono; poiché la sostituzione di parte dell'olio con un'equivalente quantità di vernice è connessa ad altri inconvenienti, che si riflettono specialmente nella esecuzione del lavoro (v. anche pittura). Pur accettando, quindi, le manchevolezze inevitabili, il pittore non può esimersi dal conoscere bene la natura e il modo di comportarsi di ognuno degli elementi di cui si vale, se vuole ridurre tali manchevolezze al minimo.

Gli olî che vengono adoperati per la pittura sono tutti di provenienza vegetale, a eccezione dell'olio d' uovo, il cui impiego, non essendo quest'olio previamente isolato dal tuorlo che lo contiene, che viene integralmente mescolato ai colori, costituisce uno dei più antichi processi di tempera. Gli olî vegetali si dividono in olî propriamente detti e olî essenziali o essenze. Dei primi la pittura adopera quelli seccativi, quelli cioè che esposti all'aria s'induriscono per assorbimento di ossigeno, aumentando di volume e divenendo pressoché insolubili. I più adoperati sono quelli di lino, di papavero, di noce, di canapa. L'olio di lino o di linseme, di colore giallo carico, è il più seccativo; s'adopera sia crudo, dopo lavato e decolorato, sia cotto, cioè bollito con litargirio. L'olio di noce, estratto dalle noci mature e secche, è più chiaro del precedente, ma meno seccativo. Quello di papavero (detto anche impropriamente di garofano per un equivoco di traduzione dal francese aillette), spremuto dai semi del papavero bianco, è ancor meno seccativo degli altri due, e un poco meno trasparente, ma è bianchissimo, più fluido e irrancidisce difficilmente. Per queste sue proprietà è oggi il più usato in Francia nella macinazione dei colori, salvo per qualche tono oscuro più restio a seccarsi, che meglio si giova dell'olio di lino, anche per la maggiore consistenza di quest'ultimo. In Italia si preferisce, per la macinazione, l'olio di noce. Quello di lino serve principalmente come aggiunta ai colori nell'atto di dipingere, per averli più fluidi. A questo scopo lo si associa alle essenze, dissolventi energici, dei quali è spesso necessario compensare la tendenza ad asportarlo nella loro rapida evaporazione.

Le essenze adoperate son quelle di trementina e di lavanda. La prima proviene dalla distillazione del liquido che cola da alcune conifere (pino, abete, larice). La seconda si ricava dal fiore della lavanda o spigo. È pure di largo uso l'essenza di petrolio ottenuta dalla distillazione del liquido omonimo; essa tende oggi a sostituire la trementina per la sua completa solubilità negli olî, la perfetta volatilità e l'assenza di residui.

Oltre che di olî e di essenze, la pittura a olio si vale anche più o meno largamente di vernici. L'uso di queste rappresenta per il pittore, nella totalità dei casi, la salvaguardia finale del quadro, la sua protezione contro l'azione della luce, dell'aria, delle cause di attrito, ed è quindi l'ultimo atto della pittura. Ma la vernice trova anche il suo impiego nel corso del lavoro, sia mescolata con i colori, per aumentarne l'essiccabilità e la vivezza, sia adoperata per facilitare l'aderenza degli strati successivi. Di qui il raggruppamento delle vernici in tre categorie: vernici per dipingere, vernici per ritoccare, vernici finali di protezione. Le vernici in genere sono soluzioni di resine nelle essenze o nell'alcool. Perché siano adatte alla pittura devono essere trasparenti, incolori, inalterabili all'aria e agli agenti gassosi che spesso l'inquinano, dure e, dentro certi limiti, elastiche. Le più adoperate sono la sandracca, la dammara, la mastice, la copale e l'ambra. E sempre ottima pratica per il pittore prepararle da sé, ciò che non richiede se non un poco di pazienza e di attenzione. Scegliendone bene gl'ingredienti, verificandone la genuinità e la freschezza, manipolandoli con cura e pulizia, adoperando, quando è possibile, il sole a preferenza del fuoco, si ottengono prodotti di uso sicuro. Specialmente raccomandabile è la vernice mastice, che risponde assai bene a tutte le necessità. Ottenuta facendo sciogliere al sole in un matraccio sottile le lacrime più bianche e pure della resina originale in buona essenza di trementina rettificata, decantando con precauzione e facendo riposare la soluzione, serve così senz'altro come vernice finale; mescolata con olio di lino ed essenza di trementina in parti uguali costituisce un'ottima vernice per ritocco; e si consiglia di aggiungerne sempre un poco alla vernice per dipingere (olio di lino e trementina) in proporzioni a piacere.

Assai importante e molto complessa è la questione delle materie coloranti. Debbono, queste, presentare le maggiori garanzie di stabilità, solidità, durata; resistere all'azione chimica dei raggi luminosi, e a quella dei gas che di frequente inquinano l'atmosfera. La loro preparazione dev'essere accuratissima e tale da assicurarne la purezza assoluta. Oltre poi all'essere inalterabili singolarmente, è necessario che non subiscano né provochino alterazioni nelle altre materie coloranti con cui vengono a contatto nei varî miscugli. La composizione della tavolozza va limitata a quei pigmenti strettamente indispensabili, la cui mescolanza non dia preoccupazioni di sorta. I più sicuri, per l'olio, sono i seguenti: i gialli di cadmio (chiaro, medio, scuro); il rosso, pure di cadmio, che può sostituire benissimo il pericoloso vermiglione, le ocre o terre, gialle (chiare, scure e rosse); la terra di Siena bruciata; le lacche di robbia o garanze; il verde smeraldo (ossido di cromo idrato), uno dei più belli e solidi colori; l'oltremare (solfuro di sodio e silicato di allumina), che ha sostituito il lapislazzuli; l'azzurro di cobalto (alluminato di cobalto); il violetto di cobalto (fosfato di cobalto); il nero d'avorio (avorio calcinato). La materia colorante che, nella pittura a olio, ha la maggior importanza, è il bianco; dalla sua solidità dipende quella del quadro, poiché entra in tutti i colori. Non potendosi infatti, per la natura del processo, approfittare, come nell'acquerello o nell'affresco, degli effetti di trasparenza del piano soggetto per alleggerire le tinte, non c'è altro modo di graduare la forza delle tinte medesime che l'impasto col bianco. Non esiste, purtroppo, un bianco il cui impiego sia del tutto scevro d'inconvenienti. I due più usati sono il bianco d'argento o biacca di piombo (carbonato di piombo puro) e il bianco di zinco (ossido di zinco). Il primo è il più bello, dà maggior rendimento, copre assai bene; ma tende a ingiallire naturalmente essiccandosi, ad annerire per l'azione stessa dell'aria, e ad alterare quei colori contenenti zolfo (cadmî, oltremare) coi quali viene mescolato. Inoltre è tossico in sommo grado. Il secondo è relativamente inalterabile, può essere liberamente mescolato a tutti i colori, ma è piuttosto trasparente, lento a seccarsi e ha tendenza alle screpolature. È consigliabile adoperare questi due bianchi promiscuamente, sfruttandone con accortezza le singole qualità. E così, ad esempio, abbozzare a corpo con la biacca di piombo per dare una solida base alla pittura, e finire con quella di zinco, adoperando quest'ultima specialmente nelle parti chiare e brillanti e nel miscuglio coi cadmî e l'oltremare. Recentemente è stato posto in commercio il bianco di titanio (ossido di titanio) che sembra molto solido e può rendere ottimi servigi.

Prima d'incorporare la materia colorante all'olio, per renderla atta alla pittura, bisogna assicurarsi che l'olio stesso non sia acido, inconveniente questo assai spesso derivato dalle pratiche della sua epurazione; il che, oltre al produrre nei tubi, con certi colori, combinazioni chimiche che li alterano, è una delle principali cause di future screpolature del quadro.

La macinazione dei colori, che veniva una volta fatta personalmente dagli antichi pittori, consisteva nello stritolare e impastare i colori stessi con l'olio sopra un piano di porfido mediante una pietra adatta, pure di porfido, in forma e in grandezza di una scodella, per lo spazio di mezz'ora o di un'ora, o "di quanto tu vuoi" dice Cennino Cennini; e aggiunge: "se 'l triassi un anno, tanto sarà miglior colore". Ora viene fatta a macchina. I colori macinati erano conservati in vaselli di piombo, o di stagno, o di maiolica; e, più recentemente, in vesciche, prima degli odierni tubetti di stagno.

Nell'imminenza del lavoro, i colori si dispongono sulla tavolozza ordinatamente, nella quantità che si stima sufficiente al consumo della giornata; essendo necessario averli sempre freschi. Dopo il lavoro, per meglio conservare quelli che avanzano, almeno i più seccativi, si usa trasferirli sopra una lastra di vetro, che si lascia immersa nell'acqua. Al momento di servirsene, basta togliere la sottile pellicola formaiasi alla superficie, per ritrovare la pasta fresca, che si riporta sulla tavolozza, accuratamente pulita prima con acqua ragia o benzina. Il piano su cui si deve dipingere deve essere solido e ressitente, poco soggetto a dilatazione o restrizione; non contenere acidi, né resine, né sostanze capaci di alterare i colori. Le qualità adesive dell'olio permettono di applicarlo sopra un grande numero di materie, i metalli, le pelli conciate, l'ardesia, la lava, la pietra, il vetro. Ma, per ragioni di evidente praticità, quando la scelta è libera, si dipinge quasi esclusivamente sulla tela o sul legno rivestiti di una preparazione, detta imprimitura, che isola la pittura dal piano soggetto, con vantaggi a vario titolo importanti (v. imprimitura). Per tutto quanto riguarda i varî modi di condurre il lavoro sotto il punto di vista delle finalità artistiche da raggiungere, v. pittura; si fa qui parola solamente del razionale impiego del materiale per ottenerne il miglior rendimento e la maggiore durabilità dell'opera. Sull'imprimitura si usa disegnare generalmente a carboncino o alla sanguina, come preparazione all'abbozzo che può farsi all'acqua (acquerello o tempera) oppure all'olio, adoperando in tal caso i colori come escono dal tubo se l'abbozzo vuol essere a corpo; o diluendoli con essenza di trementina o di petrolio se a velatura. L'abbozzo ad acqua suppone, naturalmente, l'imprimitura a gesso, non aderendo esso sopra la superficie grassa dell'imprimitura a olio. Se si dipinge su quest'ultima è necessario, nell'imminenza del lavoro, sgrassarla con un accurato lavaggio all'acqua saponata per togliere, con l'aiuto di uno spazzolino, la pellicola d'olio condensata alla superficie che impedirebbe l'aderenza del colore. L'abbozzo a olio su tela molto assorbente o su legno non preparato si può facili: tare passando sul piano uno strato regolare di vernice da dipingere che renderà il lavoro meno penoso; la stessa vernice si può anche mescolare ai colori, che vanno applicati con la maggiore regolarità e uniformità di spessore, evitando lacune e tocchi violenti. Si deve anche tenere presente che l'abbozzo di un quadro tende a riapparire alla superficie attraverso gli strati sovrapposti. Ottima abitudine è quindi quella di valersi di toni chiari e brillanti, che con l'andar del tempo saranno un certo qual correttivo all'inevitabile abbassamento di tono che avviene in superficie. L'abbozzo va quindi lasciato seccare, ciò che richiede per l'olio un mese circa di tempo nell'interno dello studio, o una quindicina di giorni al sole d'estate, parlando, s'intende, dell'abbozzo a corpo, e tenendo conto, in ogni modo, della grossezza dell'impasto. Prima di riprenderlo, è necessario dargli uno strato di vernice da ritoccare allo scopo di riempire tutti i vuoti capillari formatisi nello strato di colore a causa del passaggio dell'olio nell'imprimitura che lo ha assorbito. La vernice stessa, con lo straterello di resina che lascia alla superficie, aiuterà poi l'aderenza del nuovo strato di pittura. Se nel corso dell'esecuzione si rende necessario allontanarsi dall'abbozzo, e modificarne in qualche parte il disegno o il colore, è ottima regola quella di rimuovere completamente con la benzina la parte da cambiare, e riabbozzarla di nuovo. Si abbia pure cura, nell'abbozzare, di non lasciar nulla che possa, al momento dell'esecuzione, riuscire d'impaccio.

L'esecuzione ideale, nei riguardi della migliore utilizzazione della materia, è per l'olio quella cosiddetta "alla prima", senza, cioè, esitazioni o pentimenti, condotta rapidamente sopra un abbozzo ben ponderato. La pasta del colore (v. impasto) vuol essere tormentata il meno possibile, sia sulla tavolozza nel formarne il miscuglio, sia sul quadro, nello stenderla e nel modellarla, ciò che si fa di solito coi pennelli e talvolta col mestichino o coltella. Sennonché, all'atto pratico, ben pochi artisti sono capaci di risolvere oggi alla prima un lavoro, senza dire che la molteplicità delle tecniche venute in uso ai nostri tempi in conseguenza delle nuove ricerche pittoriche, richiede un lavoro più guardingo, in genere, e calcolato. Raramente quindi accade di non dover riprendere una pittura. Ciò si può liberamente fare quando lo strato precedente è ancora piuttosto molle; ché se fosse indurito, converrebbe aspettarne il disseccamento completo, e passare uno strato di vernice da ritoccare o meglio di una leggiera vernice d'ambra prima di ridipingervi sopra. Per evitare d'ispessire troppo la pasta, è opportuno ricorrere, quando è necessario, a una preventiva raschiatura con lama affilatissima, che non deve però lasciare una superficie soverchiamente liscia, sdrucciolevole al pennello, ma conservare un poco di asperità, anche lievissime, che favoriscano l'adesione del nuovo strato e ne aiutino la modellazione. Le riprese si possono fare a corpo o a velature. Le velature si possono stendere a secco, adoperando il pennello appena intriso di colore piuttosto denso, oppure a umido, diluendo il colore stesso nella vernice per dipingere o nell'essenza di petrolio, o in un miscuglio di entrambe; e passandolo rapidamente sulla parte da velare che in questo caso deve aver cominciato a solidificarsi, ma non dev'essere ancora del tutto secca.

Uno dei maggiori inconvenienti della pittura a olio è costituito dai prosciughi, porzioni più o meno grandi del quadro nelle quali il colore appare opaco e neutro per aver perduto in eccesso la quantità d'olio necessaria a mantenergli il suo aspetto lucido; ciò che può avvenire sia per eccessivo assorbimento da parte del piano soggetto, sia per l'evaporazione provocata dalla mescolanza di sostanze volatili ai colori, sostanze che tendono a trascinar seco l'olio medesimo. Per evitare del tutto il prosciugo, bisognerebbe quindi dipingere sopra una superficie impermeabile, evitando di allungare con le essenze i colori. Sennonché in questo caso si verrebbe a preparare un danno più grave, e cioè il distacco della pittura dalla superficie stessa; poiché l'aderenza di questa su quella è assicurata dal penetrare che l'olio fa negl'interstizî capillari, con ramificazioni che vi si solidificano a guisa di radici. Nell'impossibilità di prevenirlo, si può tuttavia limitare l'entità del prosciugo, e soprattutto renderne meno dannose le conseguenze. Per limitarlo, è necessario nutrire sufficientemente lo strato di colore, e distribuirlo con la maggiore uniformità di spessore. Per eliminarne gli effetti, non c'è che restituire alla pasta il liquido che le è stato sottratto dall'imprimitura, e ciò per mezzo di un'adatta vernice per ritoccare, la più leggiera e trasparente possibile.

La verniciatura finale del quadro non si può dire, a rigore, indispensabile, tanto più che essa non è scevra di pericoli, e che, spesso, gl'inconvenienti di cui è causa a lungo andare non compensano i vantaggi momentanei, quali la lucentezza e profondità del colore e la sua difesa dai gas che inquinano l'atmosfera. Oltre alla possibilità di alterarsi essa medesima, perdendo la limpidezza, screpolandosi spesso, la vernice affretta il sicuro e progressivo ingiallimento del quadro, che può giungere all'oscuramento; e può anche compromettere per varie ragioni la coesione degl'impasti. Volendo verniciare il quadro, è necessario aspettarne il disseccamento completo; quindi lavarlo con spirito allungatissimo d'acqua, asciugandolo poi con cura; scegliere una giornata secca e una stanza asciutta e ben riscaldata; stendere la vernice in un sottile strato con pennello morbido, e lasciare asciugare al riparo dalla polvere e lontano dall'umidità. Le malattie più frequenti alle quali è soggetta la pittura a olio sono le screpolature, le rugosità, le vesciche, il distacco di strati di colore o dell'intera pasta, la disgregazione della vernice (questa ultima assai difficile a evitarsi a lungo andare). Esse hanno cause svariatissime da ricercarsi nella qualità e costituzione dei piani di sostegno e delle imprimiture; nella qualità e quantità degli olî, delle vernici, dei colori e nell'errato impiego loro; nel deleterio uso, per fortuna oggi abbandonato, del bitume; nelle vicende atmosferiche, umidità, sbalzi di temperatura.

Curarle non è sempre facile, e costituisce una scienza a parte: il restauro. Ma il prevenirle dev'essere compito e preoccupazione costante del pittore, il quale, indagandone le cause, studiando con amorevole cura le proprietà e il vario comportarsi dei materiali che adopera per adattare alle loro esigenze il procedimento tecnico, sorvegliato sempre con assidua attenzione, può riuscire, almeno per quel che lo riguarda, a eliminare le possibilità del loro insorgere. Il resto spetta, compiuta l'opera, a chi avrà cura della sua conservazione.

Bibl.: C. Cennini, Il libro dell'arte, nuova ed., Lanciano 1913; C. L. Eastlake, Materials for a history of oil painting, Londra 1847; J. G. Vibert, La Science de la Peinture, Parigi 1902; J. Blockxfils, Compendium à l'usage des artistes peintres, Anversa 1904; G. Previati, La tecnica della pittura, Torino 1905; C. Moreau-Vauthier e U. Ojetti, La Pittura, Bergamo 1913.

TAG

Cennino cennini

Olî essenziali

Distillazione

Lapislazzuli

Evaporazione