PITTURA dal 1000 al 1180

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

PITTURA dal 1000 al 1180

A. Iacobini; F. Pomarici

Area mediterranea. - In età romanica, la storia della p. murale nell'Europa mediterranea - dall'Adriatico alla penisola iberica - costituisce un fenomeno regionalmente assai differenziato. Pur all'interno degli specifici indirizzi di territori e scuole, il punto di riferimento comune è rappresentato dal modello figurativo bizantino, che fece sentire - con maggiore o minore intensità a seconda dei momenti - la sua indiscutibile auctoritas iconografica e formale. L'arte di Costantinopoli aveva le sue punte avanzate di penetrazione in Italia: a Venezia e, soprattutto, nelle regioni meridionali, che - fino alla conquista normanna del Catepanato di Bari (1071) - facevano ancora parte politicamente dell'impero d'Oriente. La Puglia e la Calabria, in particolare, costituivano l'altra sponda di un bacino artistico unitario, che dalla fine del sec. 9° legava strettamente le coste italiane alle isole Ionie e al continente greco. Di natura del tutto diversa fu invece l'innesto bizantino attuatosi a Montecassino - e poi irradiatosi nelle regioni circostanti - in occasione dell'arrivo delle maestranze costantinopolitane convocate dall'abate Desiderio (v.) per decorare la chiesa di S. Benedetto. Questo non fu infatti un evento da inscriversi tra i fenomeni di lunga durata, ma fu determinato dalle scelte consapevoli di un committente, nel più ampio quadro ideologico e artistico legato al momento della riforma gregoriana. Inoltre - come conferma il Chronicon cassinese - tra le motivazioni poste alla sua origine vi fu anche l'esplicita intenzione, da parte dell'abate, di addestrare un vero e proprio cantiere-scuola che infondesse nuova vita alla declinante perizia della magistra Latinitas (Schlosser, 1896, pp. 204-205). Si trattò, per l'Italia meridionale, di una vera e propria 'scintilla', alla quale si lega, ca. settant'anni più tardi, anche l'inizio di quel macroscopico fenomeno di bizantinismo - anzi di vera e propria 'arte coloniale' bizantina (Demus, 1970) - che è rappresentato dai mosaici parietali della Sicilia normanna. La tecnica musiva, che fu di fatto la tecnica-guida della figuratività occidentale almeno fino alla metà del Duecento, dominò dalla metà del sec. 11° a tutto il 12° sia al Sud che nell'area altoadriatica, a Torcello, Venezia, Ravenna e Trieste. La p. murale di questo periodo è legata al mosaico da un rapporto che si potrebbe definire di 'soggezione': non solo per la dipendenza linguistica, denunciata dal passaggio in p. di formule nate nella sfera espressiva del mosaico, ma anche per la diffusa consuetudine di adottare l'una o l'altra delle due tecniche a seconda dell'importanza degli spazi da decorare. È questo il caso della perduta chiesa desideriana di Montecassino, in cui la zona absidale e il vestibolo d'ingresso erano rivestiti di mosaici, mentre i cicli narrativi del quadriportico esterno erano ad affresco. Benché se ne sappia assai meno, lo stesso meccanismo doveva ripetersi, tra sec. 11° e metà 12°, anche nella prima decorazione della S. Marco 'contariniana', che prevedeva mosaici nell'abside, nell'esedra esterna del portale centrale e sui principali pilastri interni, ma semplici p. murali in zone ritenute sussidiarie, come testimonia il bel frammento d'Ascensione (metà sec. 12°) ritrovato sulla parete settentrionale dell'od. Battistero. Partendo da Torcello e soprattutto dal cantiere di S. Marco, i modelli bizantini fecero scuola anche nell'entroterra veneto e risalirono le valli alpine, dando vita a una koinè figurativa che vide strettamente congiunte la città lagunare, Aquileia e Salisburgo (Demus, 1959). Sebbene manchino testimonianze pittoriche dirette, una delle tappe intermedie di questa via verso il Nord dovette essere Verona. Sulle coste dell'Italia nordorientale (Liguria) e nel Sud della Francia (Provenza e Linguadoca occidentale) si conosce, per i secc. 11°-12°, una percentuale talmente irrisoria di p. murali, da non consentire se non la mera registrazione di un vero e proprio vuoto documentario. Non lo colmano, per es., gli esigui lacerti di un ciclo realizzato a metà del sec. 12° nelle navate minori di S. Lorenzo a Genova, con i Trionfi militari della repubblica. A differenza di quanto accadeva nello stesso periodo in Francia centrosettentrionale, forse negli edifici del Sud dovette dominare incontrastata la decorazione scultorea. In posizione geograficamente più interna, fa eccezione in parte l'Alvernia, con gli affreschi di Saint-Michel d'Aiguilhe (sec. 10°-11°) e del transetto nord di Notre-Dame (seconda metà sec. 11°) a Le Puy: questi ultimi legati stilisticamente a un filone di matrice italobizantina. Le scoperte degli ultimi vent'anni hanno invece contribuito in larga misura a incrementare la mappa della Francia del Sud-Ovest, riportando alla luce una nuova provincia pittorica, contigua - anzi culturalmente omogenea - a uno dei 'serbatoi' più ricchi del Romanico europeo: l'area che, attraversando i Pirenei, si estende fino in Catalogna. Le p. murali dei centri urbani maggiori sono andate, purtroppo, in gran parte perdute, con l'unica eccezione di Tolosa, dove un restauro (1970-1978) ha consentito di recuperare nella chiesa di Saint-Sernin ampi brani di una decorazione (1170-1180 ca.), che restituisce concretamente l'immagine interna di un prestigioso monumento del Midi. Come l'affresco con S. Agostino in trono dell'ambulacro corale (1130-1150), questo piccolo nuovo ciclo rivela, nel modellato minuzioso e raffinato, agganci con il linguaggio della grande scultura coeva della regione. Il sec. 11° e il 12° videro anche l'irrompere della Spagna sulla scena artistica della p. romanica, soprattutto grazie all'accelerazione dei contatti politici e artistici favoriti dalla Reconquista e dagli scambi lungo le vie di pellegrinaggio verso Santiago de Compostela. In particolare, nei territori dei regni cristiani del Nord l'indirizzo antinaturalistico autoctono, di matrice mozarabica, si innesta sulla tradizione carolingia, dando vita a una tendenza espressionistica nuova, che attinge e supera i suoi modelli di riferimento occidentali e bizantini.In termini molto generali, si può affermare che il forte legame con l'eredità carolingia, da un lato, l'ascendente esercitato dall'autorità figurativa greca, dall'altro, furono alla base del sostanziale tradizionalismo della p. romanica in area mediterranea: che di fatto non toccò mai, sia nei temi sia nel linguaggio, il tono altamente fantastico e visionario della coeva scultura. Da questo punto di vista - lo ha osservato Demus (1968) -, è perciò sintomatico che quel violento polemista che fu Bernardo di Chiaravalle, nell'Apologia ad Guillelmum, rivolga le sue censure soprattutto nei confronti dell'universo plastico, non menzionando se non di sfuggita la pittura. Questo tradizionalismo di fondo non corrisponde comunque all'osservanza di un rigido canone iconografico o a un'omogeneità di repertorio tematico. Al contrario, si può dire che siano rari i casi di monumenti pittorici che ripropongano lo stesso schema o la stessa intelaiatura figurativa. Tale varietas è in gran parte dovuta al ruolo forte dei committenti, i quali, nel pianificare i programmi, tendono ad applicare scelte peculiari, talora ai confini della personalizzazione (Toubert, 1987). Nulla di più lontano, dunque, dal regime di controllo sulle immagini che fu in vigore nella contemporanea p. dell'Oriente bizantino, a partire dalla fine della lotta iconoclasta (843). Nonostante l'ampiezza delle varianti, è comunque possibile enucleare, nella decorazione degli edifici sacri d'Europa, il ricorrere di alcuni temi chiave, che obbediscono a un criterio di distribuzione più o meno costante all'interno dello spazio della chiesa. Qualunque forma architettonica essa presenti, l'abside è di norma riservata alla Maiestas divina, nella doppia accezione di gloria del Cristo o della Vergine con il Bambino, attorniati da figure della corte celeste. La Maiestas del Cristo può seguire la forma - di ascendenza paleocristiana romana - della Traditio, con la figura eretta del Salvatore tra Pietro e Paolo (S. Anastasio a Castel Sant'Elia, inizio del sec. 12°; S. Silvestro a Tivoli, fine del sec. 12°) o quella, più ampiamente diffusa del Cristo seduto in trono. Questa versione, caratteristicamente romanica, prevede l'accompagnamento dei simboli degli evangelisti o di cherubini e serafini, in un contesto iconografico di marca teofanica, di preferenza apocalittico. Si va da composizioni semplici, come quella dell'abside di Sant'Angelo in Formis (v.; 1072-1087), con i simboli degli evangelisti sospesi sull'uniforme fondo blu, a versioni in cui il Cristo è circondato da una mandorla luminosa e lo sfondo è fittamente ripartito a zone geometriche o a fasce popolate di figure (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya: dalle chiese di Esterri de Cardós, seconda metà sec. 11°; Santa Eulalia di Estaon, metà sec. 12°; San Clemente di Taüll, 1123). La stessa solennità e frontalità di presentazione viene conferita anche alle scene di Maiestas mariana. La Vergine può essere effigiata in veste di Regina tra angeli (Saint-Martin-de-Fenollar, inizio sec. 12°; S. Maria di Foroclaudio, fine sec. 12°) o addirittura essere inserita, come il Cristo, in una mandorla da cui emergono i quattro animali apocalittici, accompagnata da figure di santi e committenti: è quanto accade, in area veneta, nel raro affresco dell'abside della basilica patriarcale di Aquileia (1031). Talora, però, anche un episodio narrativo di estrazione evangelica può essere interpretato in senso maiestatico, come attestano le absidi catalane di Santa Maria di Esterri d'Aneu (sec. 11°-12°) e di Santa Maria di Taüll (1123), in cui la Vergine in trono con il Bambino, sempre entro la mandorla, è affiancata dai re Magi che presentano i doni: tema questo che forse deriva dal perduto catino della chiesa della Natività a Betlemme. Molto diversificate sono invece le soluzioni applicate allo spazio del sottostante semicilindro absidale. Esso può essere occupato da schiere di angeli o di apostoli liberi, in posa eretta, accompagnati da donatori (Sant'Angelo in Formis; Notre-Dame a Saint-Chef; S. Maria di Foroclaudio) oppure da una partitura di tipo architettonico, in genere ad archi su colonne, che ospita al suo interno figure (St. Peter und Paul a Niederzell, 1120-1130; San Clemente e Santa Maria di Taüll, 1123). Non è infrequente, infine, che questa zona sia occupata da piccoli cicli con scene della vita dei santi titolari della chiesa (S. Vincenzo a Galliano, 1007; cappella di Berzé-la-Ville, prima metà del sec. 12°). Lo zoccolo più basso è invece riservato di norma a motivi di carattere ornamentale, il più delle volte finti tendaggi appesi che imitano modelli tessili, anche con le loro figurazioni zoomorfe (Notre-Dame a Saint-Chef; S. Maria di Foroclaudio); ma non mancano casi in cui vengono sviluppate rappresentazioni profane, per es. di genere venatorio (San Baudelio de Berlanga, prima metà del sec. 12°). Questa distribuzione gerarchica dell'iconografia, che man mano discende dalla sfera divina a quella terrena e mondana, costituisce una regola fissa che non vale solamente per l'area corale, ma si estende all'intero edificio sacro. Normalmente, infatti, sono sempre le fasce inferiori delle pareti quelle destinate a contenere soggetti ornamentali o drôleries, che possono poi sconfinare, senza soluzione di continuità tematica, anche nei pavimenti. Lo stesso principio si trova applicato, a metà del sec. 12°, nella decorazione della cripta di Aquileia (v.), in cui lo zoccolo reca splendidi velari dipinti con finti ricami monocromi di probabile soggetto guerresco. Per quanto riguarda la controfacciata - qualora essa presenti una superficie libera - il tema canonico è quello del Giudizio finale, anche se gli esempi conservati sono complessivamente pochissimi, soprattutto a causa delle perdite provocate nei secoli passati dalla costruzione delle cantorie. Particolarmente rari sono dunque gli esempi italiani, da Sant'Angelo in Formis a S. Michele a Oleggio (1070 ca.), a S. Giovanni a Porta Latina a Roma (1190 ca.), ai quali si sono aggiunti negli ultimi anni tre casi frammentari, recuperati in area padana e laziale: quelli di S. Tommaso ad Acquanegra sul Chiese, di S. Maria Immacolata a Ceri e di S. Benedetto in Piscinula a Roma, tutti del sec. 12°. Assai meno si può dire invece sui programmi iconografici dei transetti, cui non sembra fossero riservati temi specifici. A questo proposito si possono citare infatti solo dei casi tra loro molto differenziati: gli affreschi di S. Anastasio a Castel Sant'Elia (inizi sec. 12°), dove compaiono scene apocalittiche, e quelli di una campata del Saint-Sernin a Tolosa (1170-1180 ca.), con cinque registri sovrapposti ruotanti attorno al tema della Risurrezione di Cristo. È nelle navate - soprattutto in quella centrale - che si dispiegano le più spettacolari scenografie pittoriche dell'epoca romanica. Sia che gli edifici fossero voltati o a copertura lignea, lo spazio longitudinale della chiesa era infatti il luogo privilegiato per i lunghi cicli narrativi del Vecchio e Nuovo Testamento. Gli episodi delle due grandi ere della storia sacra, ante e post gratiam, potevano scorrere paralleli, secondo l'antico schema paleocristiano di concordantia, oppure essere contrapposti in senso tipologico. Il primo schema organizzativo era quello che derivava dalle vetuste decorazioni delle grandi basiliche romane, S. Pietro in Vaticano e S. Paolo f.l.m., il secondo costituiva invece un sistema più tipicamente romanico. Le lunghe sequenze orizzontali di episodi potevano essere ordinate su uno o più registri negli spazi principali (St. Georg a Oberzell; Sant'Angelo in Formis; S. Maria Immacolata a Ceri), mentre negli spazi di risulta (tra le finestre, nei pennacchi degli archi) erano di solito collocate singole figure con cartigli: profeti o patriarchi. Questi incarnavano il legame intercorrente tra i due Testamenti ed erano destinati ad attivare una lettura verticale - in senso profetico - degli eventi rappresentati, alternativa a quella orizzontale di tipo narrativo. Sono esemplari in questo senso gli affreschi di Sant'Angelo in Formis, dove il modello ciclico di origine paleocristiana romana è integrato con l'inserimento di Profeti e di una Sibilla, selezionati con questo preciso intento (de' Maffei, 1984). Particolarmente originali per la loro scelta tematica sono le p., assai frammentarie, della navata centrale di S. Maria in Cosmedin a Roma, eseguite nella fase trionfale della lotta del Papato contro l'Impero, all'indomani del concordato di Worms (1122). Nei registri più bassi esse comprendevano scene del Nuovo Testamento; in quelli superiori, invece, erano contrapposte storie tratte dai libri di Daniele ed Ezechiele, in cui la superbia di Nabucodonosor e la ribellione a Dio del popolo ebraico costituivano gli exempla biblici appositamente scelti come monito per chi osasse contestare l'autorità pontificia (Stroll, 1991). La linea di lettura della narrazione non costituisce in questi cicli un elemento costante: si può adottare il sistema di origine paleocristiana (S. Pietro in Vaticano), in cui le scene sono ordinate parallelamente, su ciascuna parete, dall'abside alla facciata; o quello "a movimento avvolgente", introdotto a cavallo del Mille, in cui gli episodi si susseguono da sinistra a destra - a partire dalla destra dell'abside - procedendo verso la facciata e ritornando verso l'altare, scendendo gradualmente dall'alto in basso, come accade a Sant'Angelo in Formis (Aromberg Lavin, 1990). Nella varietà di soluzioni applicate, l'elemento costante va comunque rintracciato nel fatto che la lettura non è mai concepita a senso unico, solo come sequenza lineare di eventi; erano infatti possibili anche collegamenti in verticale tra registri diversi e in trasversale tra scene di pareti contrapposte. A quest'idea di sostanziale specularità di visione nella lettura della decorazione interna dell'edificio sacro si ispira forse il celebre rotulo di Vercelli (inizi del sec. 13°; Vercelli, Arch. Capitolare), che riproduce - l'una contrapposta all'altra - ma con i bordi superiori coincidenti, le due pareti con gli affreschi del sec. 11°, oggi perduti, della cattedrale di S. Eusebio a Vercelli (Demus, 1968). Un caso assolutamente originale di programma di navata è quello recuperato durante il restauro degli anni 1977-1984 (Toesca, 1990) nell'abbaziale benedettina di S. Tommaso ad Acquanegra sul Chiese presso Mantova (inizi del sec. 12°). Qui il sistema decorativo è concepito in termini completamente rovesciati rispetto alla prevalente norma narrativa. In posizione sussidiaria, nei pennacchi degli archi longitudinali e trasversali, trovano posto le scene storiche, mentre le pareti sono dominate, in due registri sovrapposti, da monumentali figure isolate di re e profeti dell'Antico Testamento. Il ciclo sembra congegnato in modo tale da attribuire all'architettura della chiesa, intesa come struttura fisica, il significato di edificio simbolico che racchiude la storia sacra anteriore all'incarnazione, impersonata dagli auctores dei singoli libri biblici. Si tratta di un sistema decorativo che - nonostante la sua scansione a colonne - di fatto risulta composto da sole figure, così come avviene, qualche decennio più tardi, negli affreschi del coro dell'abbaziale benedettina di Prüfening (secondo quarto del sec. 12°). In generale, nell'Europa nordoccidentale prevale la composizione continua a fregio (Saint-Savin, abbaziale; Saint-Agnan-sur-Cher a Brinay), mentre in Italia centrale e meridionale - dove è più forte il legame con l'Antichità - domina il principio del quadro rettangolare, anche quando la struttura di cornice non sia particolarmente sviluppata dal punto di vista spaziale. La narrazione figurata era accompagnata di solito da un ricco apparato epigrafico, sotto forma di tituli apposti alle scene o di cartigli attribuiti alle figure. I primi, redatti spesso in forma metrica e già ampiamente diffusi nella p. dell'Alto Medioevo, continuarono a essere impiegati dopo il Mille, come attesta per es. il caso della decorazione pittorica perduta della basilica di Montecassino, di cui sono note le didascalie composte dal vescovo Alfano I di Salerno. Nelle cattedrali, inoltre, i programmi potevano contemplare anche la presenza di piccoli cicli secondari, con i ritratti dei vescovi della diocesi: una tipologia che aveva per modello le lunghe sequenze dei ritratti papali delle basiliche romane (S. Pietro in Vaticano e S. Paolo f.l.m.). Tra i rari esempi conservati si possono ricordare le figure di vescovi sui pilastri della navata di Saint-Hilaire-le-Grand a Poitiers (fine sec. 11°). Alla stessa maniera, le pareti delle chiese abbaziali sovente erano corredate da 'genealogie' dipinte di abati, come testimoniano, sempre nello stesso periodo, un frammento a Sant'Angelo in Formis e le quattro effigi, entro medaglioni, riportate alla luce di recente in S. Benedetto a Capua (Speciale, Torriero Nardone, 1995).Negli spazi sussidiari degli edifici sacri (cripte, matronei, oratori, atri) di solito le p. murali seguono una scala ridotta, che comporta una loro visione più ravvicinata e una lettura di tipo analitico, lontana dai valori scenografici e monumentali cui si punta in navate e absidi. Le cripte, deputate ad accogliere sepolture e reliquie di santi, avevano come tema privilegiato scene di carattere agiografico, non di rado abbinate a composizioni mariane e cristologiche che fungevano da perno della decorazione: è il caso della cripta della basilica patriarcale di Aquileia, con episodi relativi alla Vita dei ss. Marco, Ermagora e Fortunato, disposti attorno a una Maiestas della Vergine (Dale, 1997). Decisamente insolito è il programma della cripta della chiesa di S. Maria del Piano ad Ausonia, non lontano da Montecassino (1100 ca.), in cui, accanto a miracolose scene di guarigione che hanno per protagonista la Vergine, titolare del santuario, compare la rappresentazione di un gruppo di pellegrini in visita al luogo venerato (Macchiarella, 1981). Assai pochi sono, in area mediterranea, gli esempi di cicli pittorici all'interno di battisteri. Quello del battistero di Concordia Sagittaria (fine sec. 11°) è provvisto nell'abside centrale della scena 'eponima' del Battesimo di Cristo, ma è dominato al centro della cupola da un Pantocratore, accompagnato da profeti nel tamburo e da evangelisti nei pennacchi: una trasposizione piuttosto fedele del programma canonico del naòs delle chiese mediobizantine a pianta centrale. Tra gli annessi con speciale destinazione, vale la pena ricordare il Panteón de los Reyes, allestito a fine sec. 11°, con funzione di mausoleo, in un atrio della collegiata di San Isidro a León e decorato negli anni avanti il 1124 (Williams, 1973). Oltre alla rappresentazione della coppia dei sovrani committenti, la sala a tre navate con volte e lunette dipinte non presenta una tematica specifica. Vi si accumulano soggetti evangelici attorno a una Maiestas Domini, mentre in un sottarco si snoda il ciclo profano dei Mesi. Assai più rara è la documentazione relativa ad ambienti particolari posti all'interno di complessi monastici. Costituisce un'eccezione in Italia il ciclo eseguito, tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 12°, nel refettorio dell'abbazia di Nonantola presso Modena, di cui sono state rinvenute nel 1983 alcune scene frammentarie tratte dagli Atti degli Apostoli e dalla vita di S. Benedetto (Segre Montel, Zuliani, 1991). Per la Francia va invece ricordato il caso, altrettanto unico, della sala capitolare dell'abbazia della Trinité a Vendôme (1096 ca.), dove la solenne scena - oggi frammentaria - dell'investitura di S. Pietro in cattedra rispecchia l'ideologia pontificale del committente, l'abate Geoffroy, cardinale della Chiesa romana (Toubert, 1983). Per ciò che riguarda la decorazione dei palazzi, essa rappresenta di fatto un capitolo del tutto sconosciuto, ma si possono almeno citare due importanti cicli perduti, noti nella loro iconografia da disegni del Seicento, collocati in origine nel Patriarchio lateranense di Roma. Il primo è quello della Camera pro secretis consiliis, fatto eseguire al principio del sec. 12° da Callisto II (1119-1124) per rievocare trionfalmente i papi che avevano condotto la lotta per le investiture, da Alessandro II allo stesso Callisto II, tutti effigiati in cattedra nell'atto di calpestare gli antipapi di nomina imperiale. Il secondo ciclo, voluto da Innocenzo II (1130-1143), illustrava invece le fasi dell'incoronazione di Lotario II, svoltasi nel 1133, dando particolare spicco alla scena in cui il sovrano compiva, nei riguardi del pontefice, l'atto di sottomissione feudale dell'officium stratoris (Walter, 1970; 1971).Nella mappa della p. romanica, l'Italia costituisce senza dubbio la punta avanzata dell'Europa mediterranea: un vero e proprio crocevia di culture, dal Nord legato alla tradizione ottoniana al Sud profondamente filobizantino. Nella Terra sancti Benedicti, dopo il vuoto documentario della prima metà del sec. 11°, la soglia di un nuovo corso fu segnata dall'età dell'abate Desiderio, che convocò a Montecassino, per la costruzione della nuova abbaziale, maestranze di provenienza costantinopolitana. Perduta la decorazione interna della chiesa di S. Benedetto, la testimonianza che riflette più fedelmente le esperienze di questa fase decisiva va individuata negli affreschi di Sant'Angelo in Formis, commissionati dallo stesso Desiderio: un'impresa alla quale forse lavorarono maestri greci coadiuvati da quegli allievi locali che furono, a loro volta, i protagonisti della successiva fioritura pittorica che investì i territori tra Lazio (v.) e Campania (v.). I caratteri dell'arte immediatamente postdesideriana sono ben rappresentati dai frammenti di affreschi recentemente recuperati nelle navate laterali di S. Benedetto a Capua (ca. 1100), parte di un ciclo con i ritratti degli abati cassinesi compiuto sotto il governo di Oderisio I (1087-1105; Speciale, Torriero Nardone, 1995). Lo stile cui sono improntati - con impasto cromatico denso e sottolineatura decisa dei tratti facciali - si ritrova negli stessi anni anche nelle p. della cripta di S. Maria del Piano ad Ausonia (Macchiarella, 1981). Sempre a questa fase appartengono altre testimonianze dello stesso territorio - a S. Angelo di Lauro e a S. Maria in Caldana presso Mondragone - mentre a S di Napoli l'irradiazione della maniera cassinese fu certamente meno intensa. Nella chiesa di S. Pietro a Eboli, nell'entroterra salernitano, rimane un interessante lacerto con il viso di S. Paolo, che attesta, per un'epoca più avanzata (forse il terzo quarto del sec. 12°), il passaggio di un pittore bizantino, la cui maniera sembra improntata allo stile dei mosaici siciliani di Cefalù (v.). L'episodio rappresenta, sul piano storico, un'interessante premessa di quel fenomeno di disseminazione del linguaggio bizantino che, alla fine del sec. 12° - nella fase tardocomnena -, investì largamente l'Italia meridionale. Attorno al 1100, l'indirizzo pittorico desideriano penetra invece verso N-E, nei territori 'benedettini' dell'Abruzzo (v.). Qui, la decorazione absidale di S. Pietro ad Oratorium presso Capestrano trae infatti diretta ispirazione dalla maniera degli affreschi di Sant'Angelo in Formis, ma ne espunge la componente antichizzante implicita nei modelli bizantini a favore di un linguaggio più marcatamente lineare. Come tutto il Sud, anche l'Abruzzo sarebbe stato toccato molti decenni più tardi dall'ondata di stile tardocomneno (Pianella, S. Maria Maggiore, affreschi dell'abside), che lascerà il suo segno anche nella parte meridionale della Marche (Montemonaco, S. Giorgio all'Isola, affreschi dell'abside).Una situazione del tutto peculiare è invece quella che si riscontra in Puglia (v.), la regione adriatica che fece parte, dall'891-892 al 1071, del tema greco di Longobardia. Qui il bizantinismo rappresenta una componente di lunga durata, ben riconoscibile già a partire dalla metà del sec. 10° nelle p. della cripta delle Ss. Marina e Cristina a Carpignano (959) e poi in quelle della prima fase del S. Pietro di Otranto (ca. 1000), legate allo stile tardomacedone della vicina penisola greca. Sempre in postazione periferica, ma non ritardataria, all'interno della koinè bizantina, si colloca anche una serie di monumenti scalati nella prima metà del sec. 11°: gli affreschi più antichi di S. Maria della Croce a Casaranello, quelli della cripta dei SS. Stefani a Vaste (forse del 1032) e quelli della seconda fase decorativa di S. Marina a Muro Leccese. Questi ultimi sono storicamente molto importanti perché contengono forse il primo ciclo occidentale con storie di S. Nicola, anteriore alla traslazione delle reliquie del santo da Myra a Bari, avvenuta nel 1087. Tranne rare eccezioni, all'interno dello spazio sacro di chiese e 'cripte' pugliesi dominano incontrastate le grandi immagini devozionali, secondo la consuetudine vigente negli impianti rupestri. Dopo la conquista normanna (1071), la Puglia non solo resta pittoricamente greca, ma questo orientamento va addirittura rinforzandosi, sia in Terra di Bari, sia, soprattutto, nell'area ellenofona del Salento, dove lo stile bizantino resterà quasi l'unico stile praticato fino allo scadere del Medioevo.In Italia centrale, il maggior polo d'attrazione è costituito da Roma (v.), la cui area d'influenza coinvolge ampiamente i territori papali, sia a S sia a N della città. Sebbene il sec. 11° sia - soprattutto nei primi decenni - un periodo relativamente povero di testimonianze, non è da escludere che in questa fase l'arte romana fosse già orientata verso quell'interesse per l'antico - inteso nell'accezione di antichità cristiana - che sarà uno degli elementi-cardine del movimento culturale legato alla riforma gregoriana (Toubert, 1970). Già subito dopo il Mille, infatti, gli affreschi di S. Urbano alla Caffarella a Roma sembrano voler riprendere - nella loro impaginazione a riquadri con scene sovrapposte - il vetusto modello paleocristiano dei mosaici di S. Maria Maggiore. Questa tendenza retrospettiva sembra decisamente consolidarsi a metà secolo nel ciclo con storie benedettine della chiesa inferiore di S. Crisogono. Qui i singoli episodi, con le loro monumentali figure, sono infatti impaginati entro una vera e propria quadratura architettonica, con mensoloni scorciati e colonne, che rimonta alle p. paleocristiane di S. Pietro e S. Paolo fuori le mura. Lo stile degli affreschi, collegabile ai modi dello scriptorium desideriano, e il loro probabile committente, il cardinale Federico, già abate di Montecassino e poi papa dal 1057 con il nome di Stefano IX (Brenk, 1985), pongono su un piano problematico il ruolo svolto dalla città papale e dal celebre cenobio benedettino nella fase formativa della renovatio religiosa e artistica sostenuta dalla Chiesa della riforma. Al di là di un riconoscimento di priorità a senso unico, il panorama superstite sembrerebbe suggerire, pur nella sua frammentarietà, l'esistenza di un rapporto dialettico tra i due centri, escludendo in ogni caso per Roma una posizione di semplice ricettività o dipendenza (Gandolfo, Aggiornamento, 1988). Dopo gli affreschi della chiesa inferiore di S. Clemente (post 1084), che costituiscono il primo maturo punto d'arrivo di questo indirizzo formale, i primi decenni del sec. 12° segnano a Roma il consolidarsi di una vera e propria fase di classicismo antiquario, in corrispondenza con la trionfale conclusione della lotta per le investiture. I monumenti-chiave del periodo vanno individuati negli affreschi di S. Maria in Cosmedin (1123) e di S. Nicola in Carcere (1128; Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca), entrambi contrassegnati dall'esibizione di un sofisticato repertorio decorativo di sapore archeologico e da una materia pittorica coloristicamente fluida. Verso la metà del secolo un interessante innesto allogeno è documentato dagli affreschi di S. Croce in Gerusalemme, di cui fu promotore papa Lucio II (1144-1145), già cardinale titolare della basilica. Qui, infatti, risultano attivi due pittori di formazione veneziana, in stretto rapporto con i frescanti della cripta del duomo di Aquileia (Gandolfo, 1989). Al di là di questo episodio eccentrico, che non fu recepito se non parzialmente all'interno stesso del cantiere, Roma e il territorio romano restano fedeli per tutto il sec. 12° allo stile della renovatio, che aveva avuto il suo testo esemplare nei murali di S. Clemente. La scoperta di un ampio ciclo pittorico, avvenuta nel 1974 nella chiesa di S. Maria Immacolata a Ceri, ha immesso nel quadro generale un nuovo, consistente, elemento di discussione. Storicamente, è difficile infatti stabilire se le bellissime p. di Ceri costituiscano una diretta emanazione della bottega di S. Clemente (Zchomelidse, 1996) o non piuttosto un'estrema dimostrazione, in termini di lunga durata (verso il 1170-1180), della longevità della tradizione romana, alla vigilia del suo impatto con la nuova ondata del bizantinismo tardocomneno (Cadei, 1982).Nell'Italia padana, in particolare in Emilia, le scoperte degli ultimi decenni hanno sensibilmente incrementato il patrimonio pittorico, con il recupero di ben tre nuovi cicli, cronologicamente scalati tra l'inizio dell'11° e l'inizio del 12° secolo. Il più antico è quello di S. Giovanni a Vigolo Marchese, presso Piacenza, inquadrabile a pieno titolo nell'ambito della cultura ottoniana lombarda (Segagni, 1971), per la stretta parentela che i volti di profeti e santi ostentano rispetto a quelli dei coevi affreschi della chiesa di S. Vincenzo a Galliano (v.; 1007). Allo stesso indirizzo stilistico appartengono anche i resti dell'ampia decorazione della navata di S. Antonino a Piacenza (v.), della metà del sec. 11° (Segagni, 1970). Qui - come a Vigolo Marchese - l'impaginazione parietale ha inizio dall'alto, con la caratteristica cornice a meandro prospettico e riquadri figurati, ma prosegue poi più in basso con un'elaborata loggia a colonne con archi e timpani triangolari, che si alterna alle finestre e ospita al suo interno re e profeti del Vecchio Testamento. Lo schema era così concepito per creare un tangibile effetto illusionistico, che integrasse in un continuum p., architettura reale e architettura dipinta. L'esempio più tardo di questi cicli padani è tornato alla luce nel 1983, nel refettorio dell'abbazia benedettina di Nonantola presso Modena (Segre Montel, Zuliani, 1991). Realizzate tra sec. 11° e 12°, le p., purtroppo molto frammentarie, presentano storie apostoliche contrapposte a scene della Vita di s. Benedetto, tutte sovrastate da un'elaborata incorniciatura a meandro. Le solenni figure, che mostrano un'assimilazione consumata dei canoni bizantini, sono caratterizzate dall'impiego di colori intensi e contorni decisi (Toubert, 1987).La vera e propria enclave bizantina nell'Italia del Nord va localizzata a Venezia (v.) e nel contiguo arco altoadriatico, fino a Concordia, Aquileia e Trieste (v.). Subito dopo il Mille, tuttavia, l'indirizzo culturale dell'area non è ancora unitario. Nella cattedrale di Torcello, rinnovata nel 1008 dal vescovo Orso Orseolo, l'abside era in origine decorata da affreschi, di cui si sono trovati alcuni frammenti sotto lo zoccolo marmoreo che rifinisce la base dei successivi mosaici della metà dell'11° secolo. Ciò che resta delle slanciate figure di vescovi aderisce già a uno stile bizantino fluido e raffinato, perfettamente in sintonia con quello del pieno periodo macedone. Pochi anni più tardi, invece, ad Aquileia, nella basilica rinnovata dal patriarca Poppone (1031), il vasto affresco absidale, in cui sono effigiati anche l'imperatore Corrado II e la sua famiglia, sembra tutto orientato - e lo spiegano anche le scelte politiche del suo committente - verso una cultura di matrice ottoniana (Cavalieri, 1976). Questa iniziale dicotomia venne però presto superata con l'opera di forte omologazione linguistica attuata dalle maestranze greche che - nella seconda metà del secolo - avviarono la decorazione interna della basilica di S. Marco a Venezia. I modi dei più antichi mosaici marciani segnano a fondo la p. murale degli anni novanta. Lo dimostra assai bene il ciclo del battistero di Concordia Sagittaria, le cui figure trovano calzanti raffronti con gli apostoli del portale centrale di S. Marco. Questa ondata di austero stile bizantino dovette precocemente raggiungere anche Salisburgo, dove se ne trova traccia sia nella miniatura che nella pittura. Ne danno conferma soprattutto gli affreschi dell'abbaziale di Lambach (ante 1089), opera di un maestro salisburghese formatosi probabilmente a Venezia (Demus, 1970). Accanto ai mosaici, nella città lagunare rimane oggi solo un affresco frammentario della metà del sec. 12° a testimoniare, nel battistero di S. Marco, il successivo percorso della p. veneziana: una Vergine orante con un angelo, che faceva parte probabilmente di una più ampia scena d'Ascensione.Questo brano si ricollega - con il suo plasticismo cromaticamente pastoso - alla massima impresa veneta del periodo, il ciclo della cripta di Aquileia, con episodi della vita dei santi Marco, Ermagora e Fortunato e storie della Passione di Cristo (Dale, 1997). Se davvero questi affreschi furono realizzati in una data alta, al tempo del patriarca Pellegrino I (1132-1162; Dalla Barba Brusin, Lorenzoni, 1968) e non - come comunemente si ritiene (Demus, 1968) - a cavallo del 1200, allora si deve individuare qui - soprattutto nel ciclo della Passione - la più precoce testimonianza dell'irruzione nella p. murale europea della nuova poetica bizantina degli affetti.Nella Francia meridionale, fatta eccezione per l'Alvernia, con gli affreschi della cattedrale di Le Puy (seconda metà del sec. 11°), il polo di maggior interesse è senz'altro il sud-ovest: la regione compresa tra la valle della Dordogna e i Pirenei, sottomessa a quel tempo alle dinastie rivali dei duchi d'Aquitania e dei conti di Tolosa. Se rapportata ai territori centrosettentrionali, essa non possiede un patrimonio pittorico tanto ricco, fatto questo che ha sempre ostacolato una chiara valutazione del ruolo svolto nei confronti della vicina Spagna cristiana. Tuttavia, le scoperte fatte negli ultimi vent'anni hanno senz'altro contribuito a chiarire meglio la reale fisionomia artistica dell'area (Toubert, 1987). L'unico monumento pittorico recuperato in un grande centro urbano è rappresentato dal ciclo nel braccio occidentale del transetto nord di Saint-Sernin a Tolosa (1170-1180 ca.), che si sviluppa su cinque registri sovrapposti e ruota attorno al tema della Risurrezione di Cristo. Se per certi elementi, quali la figura del Battista nella scena della Déesis, traspare la presenza di un modello di ascendenza bizantina, il linguaggio che impronta l'opera nel suo complesso è però decisamente tolosano. Sono esplicite in questo senso le parentele stilistiche con la grande scultura coeva della regione, soprattutto per il caratteristico movimento angolato delle figure e il panneggio 'a lamelle'. Uno dei brani meglio conservati, l'Angelo presso il sepolcro, si può inoltre confrontare con le illustrazioni di un esemplare del De bello iudaico di Flavio Giuseppe (Parigi, BN, lat. 5058), eseguito a Moissac o nella stessa Tolosa verso il 1100. In area pirenaica, il Rossiglione è, tra le regioni del Sud-Ovest, quella che presenta senza dubbio la maggior densità monumentale, anche se il patrimonio delle grandi abbazie (Saint-Michel-de-Cuxa, Serrabone) è andato quasi integralmente perduto. Il ciclo pittorico in migliori condizioni è quello di Saint-Martin-de-Fenollar (prima metà sec. 12°), una piccola cappella coperta a botte provvista di un ciclo narrativo che ripropone, in forma abbreviata, modelli presenti nelle chiese maggiori. Le poche tinte decise, il plasticismo pesante e i tratti marcati dei visi sono elementi che avvicinano questi affreschi a quelli coevi della parrocchiale dell'Ecluse e di Saint-Jean-Baptiste a Saint-Plancard (metà sec. 12°). Tra Rossiglione e Linguadoca, va segnalata ancora la presenza di alcuni monumenti recentemente recuperati nelle valli della Garonna, dell'Ariège e dell'Aude. Queste p. confermano una volta di più l'ampiezza dell'area d'influenza della p. catalana, rimarcando l'artificialità del confine politico attuale, che taglia in due un 'paesaggio artistico' medievale profondamente omogeneo. Nella cattedrale di Saint-Lizier l'abside presenta una serie di belle figure di apostoli (inizi del sec. 12°), nelle quali si è voluto riconoscere l'intervento dell'équipe del Maestro di Pedret, un artista catalano fortemente legato alla cultura lombarda. Altri affreschi della stessa chiesa, scoperti nel 1980 nell'absidiola nord, orbitano stilisticamente sempre verso la Catalogna, ma nella direzione di Saint-Martin-de-Fenollar. Gli stessi rapporti culturali vengono confermati infine dai monumenti della valle dell'Aude, dove la decorazione più antica dell'abbaziale di Saint-Polycarpe presso Limoux (metà sec. 12°) rimanda a quella di Estevar. A una data più avanzata, verso la fine del sec. 12°, le p. di Saint-Martin-des-Puits mostrano invece una certa autonomia dai modelli della Catalogna e una maggiore aderenza alla prestigiosa corrente tolosana. Dal punto di vista dell'iconografia, è qui di speciale interesse il registro che presenta l'Annunciazione giustapposta alla figura di Nabucodonosor e ai Tre giovani nella fornace: un esempio, piuttosto raro, di figurazione tipologica stricto sensu.Nella penisola iberica, la regione di maggior spicco, anche per la ricchezza del patrimonio pittorico, è senz'altro la Catalogna. I suoi contatti con i centri del Mediterraneo furono particolarmente favoriti dai traffici marittimi della contea di Barcellona, mentre la temporanea costituzione di uno stato catalano-linguadocano la rese aperta e permeabile nei confronti della Francia. A questi due fattori si deve poi aggiungere la straordinaria mobilità culturale sulle lunghe distanze terrestri garantita dalle vie di pellegrinaggio che l'attraversavano in direzione di Santiago de Compostela (Wettstein, 1971; 1978). Nonostante il numero particolarmente elevato, gli affreschi conservati - oggi in gran parte staccati ed esposti a Barcellona (Mus. d'Art de Catalunya) - provengono da chiese rurali e dunque documentano solo di riflesso l'arte perduta dei grandi centri urbani. La densità dei monumenti rispetto a un territorio relativamente limitato ha permesso di individuare vere e proprie équipes di artisti itineranti, attivi nei ca. cinquant'anni, tra sec. 11° e 12°, che costituiscono il periodo di massima fioritura della p. catalana. Dal punto di vista cronologico, la prima bottega nota, quella del Maestro di Pedret, lavora a cavallo del 1100 nella chiesa di Sant Quirce de Pedret, le cui p., oggi staccate, sono divise tra Barcellona (Mus. d'Art de Catalunya) e Solsona (Mus. Diocesano). Alcuni dettagli stilistici e tecnici - per i quali si sono invocati rapporti con gli affreschi di S. Vincenzo a Galliano e di S. Pietro al Monte a Civate - hanno fatto ritenere che il pittore principale del ciclo potesse essersi formato in Lombardia o presso un artista giunto in Catalogna al seguito dei maestri costruttori lombardi. Tuttavia, rispetto ai modelli dell'Italia del Nord, il solenne plasticismo originario cede qui gradualmente a una maniera grafica e sostanzialmente priva di rilievo. È quanto si può riscontrare anche in altri due cicli realizzati dalla stessa bottega, a Santa Maria di Esterri d'Aneu e a Sant Pere de Burgal (inizi del sec. 12°). Fanno eccezione solo le figure di apostoli della cappella del castello di Orcau (Barcellona, Mus. d'Art de Catalunya), che conservano un senso piuttosto spiccato della volumetria e un'ambientazione 'paesistica' di matrice italobizantina. Puntano in direzione del tutto diversa le opere realizzate verso la metà del sec. 12° dall'équipe del Maestro di Osormort, che fu operosa nell'area tra Vic e Gerona. Gli affreschi di San Saturnino de Osormort e di Sant Martí del Brull (Vic, Mus. Diocesano) e di Sant Joan de Bellcaire (Gerona, Mus. Diocesano) si distinguono infatti per uno stile di ascendenza francese, che traduce in forme un po' rustiche il linguaggio della p. del Poitou (Saint-Jean-Baptiste a Château-Gontier; abbaziale di Saint-Savin). I due monumenti emblematici della produzione catalana della prima metà del sec. 12° sono le chiese di S. Clemente e S. Maria di Taüll, consacrate a un giorno di distanza l'una dall'altra, rispettivamente l'11 e il 12 dicembre 1123. In entrambi i casi occorre distinguere il linguaggio colto e francesizzante degli autori delle p. absidali da quello più semplificato del pittore delle navate, improntato a componenti autoctone di ascendenza mozarabica. L'abside di S. Clemente è occupata da una grandiosa e incombente Maiestas Domini circondata dai simboli degli Evangelisti. Tre di questi - precisamente quelli zoomorfi - sono rappresentati con un'iconografia particolare, ironicamente trattenuti per la coda o per una zampa dagli angeli accompagnatori, come si riscontra anche a Sant Miguel di Engolasters e a Saint-Martin-de-Fenollar. Iconograficamente interessante è anche una delle figure del semicilindro absidale, Maria che reca in mano un calice fiammeggiante, probabile attestazione - come l'analoga immagine in Sant Pere de Burgal - della devozione catalana per il Graal. L'autore dell'abside di S. Clemente si distingue per un gusto delle forme ieratiche e possenti, realizzate con una cromia brillante e un senso minuto della decorazione. Certe soluzioni adottate nel panneggio rivelano i suoi legami con l'arte della Linguadoca e del Poitou. Il pittore che fu contemporaneamente attivo, sempre a Taüll, nella chiesa di S. Maria mostra una formazione altrettanto complessa, ma diversa: da un lato, è debitore al Maestro di S. Clemente per il senso del colore e della monumentalità delle forme, dall'altro guarda però anche alla bottega del Maestro di Pedret, dando vita così a un intreccio tra i due principali indirizzi stilistici della Catalogna del Nord. Vi si aggiunge poi un fattore, del tutto personale, di rigida e severa astrazione di origine mozarabica: elemento questo che ritorna in modo ancora più pronunciato nelle scene delle navate, dovute alla mano del Maestro del Giudizio finale, attivo anche nella chiesa di S. Clemente. In Aragona, nella diocesi di Jaca, si situa una delle scoperte più importanti degli ultimi decenni: le p. della chiesa di San Julian y santa Basilissa a Bagüés, dell'inizio del sec. 12° (Jaca, Mus. Diocesano). Si tratta della decorazione di un intero edificio, dall'abside, all'arco trionfale, alle pareti della navata: ricoperte, queste ultime, con scene narrative a registri sovrapposti, secondo la tradizione paleocristiana e carolingia. Lo stile delle figure, di proporzione larga e di grande forza espressiva, mostra interessanti agganci con il ciclo della cripta di Saint-Savin e con le miniature della Vita sanctae Radegundis (Poitiers, Bibl. Mun., 250). Ciò ha indotto a ipotizzare per il loro autore una formazione o una provenienza dal Poitou, ma non vanno sottovalutate anche altre componenti formali, che orientano invece verso la Catalogna e la Francia del Sud-Ovest (Toubert, 1987). Sempre in territorio aragonese, vanno ricordati per la loro eccezionale qualità, gli affreschi della cripta di San Juan de la Peña. La scena meglio conservata, quella del Martirio dei ss. Cosma e Damiano, è stata rapportata agli affreschi di Berzé-la-Ville e - essendo l'abbazia nell'orbita di Cluny - se ne è tratto spunto per prospettare addirittura una provenienza dell'autore dalla Borgogna (San Vicente, 1971). La Toubert (1987) ha invece indicato persuasivi riferimenti alla seconda Bibbia di Saint-Martial di Limoges (Parigi, BN, lat. 8) e, indirettamente, alle p. murali perdute di questa città, sottolineando come gli affreschi di San Juan - più di quelli di Bagüés - si prestino a illustrare il fenomeno degli artisti itineranti lungo le vie tra Francia e penisola iberica. Per quanto riguarda la Spagna centrale, le più antiche p. murali della Castiglia - quelle della cappella della Vera Cruz a Maderuelo (Madrid, Mus. del Prado) e di San Baudelio de Berlanga (Madrid, Mus. del Prado; Boston, Mus. of Fine Arts; New York, Dereppe Coll.) - non sono anteriori al 1130 ca., epoca nella quale questa parte del regno castigliano era sotto la dominazione aragonese. La situazione storica spiega dunque perché in entrambi i casi gli artisti siano fortemente debitori nei riguardi dell'arte catalana del maestro di S. Maria di Taüll, il cui diretto intervento è stato riconosciuto a Maderuelo. Nell'area di Nord-Ovest un monumento quasi unico, ma di assoluto prestigio, è rappresentato dal Panteón de los Reyes, il portico voltato a tre navate, con funzioni di sepoltura dinastica, annesso alla collegiata di San Isidro a León. Tradizionalmente fissata al regno di Ferdinando II (1157-1188), la datazione dei suoi affreschi è stata contestata - anche per considerazioni di carattere archeologico sulla storia costruttiva dell'edificio - giungendo a un arretramento ai primi decenni del sec. 12°, ante 1124 (Williams, 1973). Dello stile robusto e volumetrico di queste p., vivaci per la loro cromia su fondo bianco, non si conoscono precedenti locali. Diversi indizi rivelano comunque contatti con l'arte francese dell'Ovest - dagli affreschi di Montoire, a quelli di Bernay e Saint-Savin -, anche se nel complesso non sembrano tali da mettere in discussione l'origine autoctona del Maestro di León (Demus, 1968). In Galizia, regione in forte ascesa grazie alle fortune del santuario di Santiago de Compostela, restano frammenti sporadici e poco significativi di p. romanica, ma - come per il León - anche in questo caso si deve supporre che in origine il patrimonio del territorio dovesse essere ben più ricco. Tra i ritrovamenti recenti, va segnalato un interessante affresco della chiesa rupestre di San Pedro de Rocas: una mappa mundi della metà del sec. 12°, che costituisce un unicum in campo monumentale e si ispira direttamente ai codici del Commentario all'Apocalisse del Beato di Liébana (Yarza Luaces, 1995).

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A. Iacobini

Europa centrale e settentrionale. - Agli inizi del sec. 11°, la decorazione pittorica della pieve di S. Vincenzo a Galliano (v.) in Brianza (consacrata nel 1007) rivela la grande complessità della tradizione pittorica formatasi in Lombardia durante l'Alto Medioevo. Le p. dell'abside, in particolare, con la loro alta qualità tecnica e formale - che ben si accorda con la persona del committente, il futuro arcivescovo di Milano Ariberto da Intimiano (v.), allora custos della pieve comasca - attestano il ruolo di primo piano dei pittori lombardi nell'elaborazione dell'arte ottoniana. Tale ruolo preminente è parso confermato dalle fonti in cui si ricordano due pittori lombardi attivi Oltralpe (Nordenfalk, 1988; Lomartire, 1994, p. 59): Nivardo, pictorum peritissimus, presente nell'abbazia di Fleury (Saint-Benoît-sur-Loire) all'epoca dell'abate Gauzlin (1004-1030), ma soprattutto Iohannes, chiamato dall'imperatore Ottone III (980-1002) per decorare la Cappella Palatina di Aquisgrana, per il quale è stata proposta l'identificazione con l'artista noto come Maestro del Registrum Gregorii (v.), attivo principalmente a Treviri negli ultimi due decenni del sec. 10° (Nordenfalk, 1988); un'ipotesi che, benché indimostrabile, appare motivata dall'evidente substrato lombardo nella cultura figurativa del grande maestro ottoniano.Dalla decorazione pittorica dell'abside di Galliano, con la Maiestas Domini e le Storie di s. Vincenzo, si distingue per un più modesto livello quella della navata con Storie bibliche e di santi; tale divario stilistico è stato di volta in volta attribuito vuoi a uno scarto cronologico, vuoi all'attività di aiuti, vuoi - e questa sembra la soluzione più pertinente - alla contrapposizione tra un linguaggio aulico e un linguaggio popolare, ciascuno con una propria storia locale (Lomartire, 1994, p. 61).Lo stesso aulico linguaggio dell'abside di Galliano si esprime, all'incirca negli stessi anni, nel ciclo apocalittico con i Sette squilli di tromba che decora il tamburo del battistero di Novara, rinnovato all'epoca del vescovo Pietro III (993-1032), opera la cui eccezionale rilevanza riguarda tanto gli aspetti formali e iconografici, quanto l'efficace integrazione tra partito decorativo e architettura (Segagni Malacart, 1988). La complessità di queste decorazioni pittoriche - a cui va aggiunta la decorazione frammentaria del sottarco che precede l'ultima navatella nord della basilica di S. Ambrogio a Milano con due clipei racchiudenti i busti di un santo giovane e di un vecchio con pallio episcopale sopra cespi di acanto (Valagussa, 1997) - ha stimolato molteplici valutazioni delle loro qualità formali e del loro ruolo nell'ambito del panorama artistico dell'epoca. Prescindendo dalle distinzioni all'interno del gruppo, che pure sono state rilevate (Segagni Malacart, 1988; Valagussa, 1993; Lomartire, 1994, p. 62), si è teso progressivamente a ridimensionarne la componente bizantina dello stile, sostenuta da Toesca (1912), che peraltro non conosceva il ciclo di Novara, scoperto solo nel 1961, in favore di una 'tesi ottoniana' (Salvini, 1954; de Francovich, 1955) intesa già in origine, e progressivamente precisata, come partecipazione dell'ambiente lombardo, in un ruolo guida, all'elaborazione della tradizione figurativa carolingia operata nella cerchia imperiale.Il risalto dei volumi, gli accostamenti cromatici raffinati, la sofisticata trama delle lumeggiature, così come i movimenti ritmici e solenni delle possenti figure e l'astrazione degli sfondi, accomunano le p. in esame alla produzione di corte ottoniana del periodo, conosciuta per lo più attraverso codici miniati e intagli in avorio. Forti analogie sono state riscontrate, a più riprese, anche tra le p. lombarde in questione e il ciclo affrescato sulle pareti della navata centrale della chiesa di St. Georg a Oberzell, nella Reichenau (v.), raffigurante, tra alte fasce a meandro prospettico, Miracoli di Cristo. La recente anticipazione della data di esecuzione degli affreschi dalla fine del sec. 10° all'epoca dell'abate Atto III (888-913), quando venne eretta la chiesa, accettata da parte della critica e sostenuta da puntuali riscontri con opere tardocarolinge, è stata ultimamente messa in dubbio grazie alla constatazione della presenza di uno strato coprente di intonaco tra la muratura della chiesa e la decorazione pittorica (Exner, 1995, p. 175), e ciò costituisce un chiaro esempio di quanto grandi siano ancora le difficoltà a cui va incontro la ricerca storico-artistica che si occupa delle decorazioni pittoriche del periodo in esame (come del resto anche di quello precedente), difficoltà dovute, da un lato, alla percentuale estremamente esigua del materiale conservato e alla casualità delle sopravvivenze - a cui spesso si aggiunge il cattivo stato di conservazione - e, dall'altro, al lungo perdurare dei modelli e delle tecniche pittoriche. Per tutte queste circostanze i casi di cronologia oscillante, anche di oltre un secolo, restano dovunque tutt'altro che rari, benché le numerose campagne di restauro abbiano portato e portino oggi con notevole frequenza nuove scoperte, o riscoperte, di p. liberate da fuorvianti rifacimenti ottocenteschi o del primo Novecento. Per far fronte a questa situazione negli ultimi tempi, in diversi paesi, sono state messe in campo e affinate tecniche di ricerca sugli intonaci dipinti, sia in situ, sia ritrovati negli scavi, in modo da recuperare, grazie al lavoro interdisciplinare di archeologi, architetti, storici dell'arte e restauratori, anche da piccoli frammenti, il maggior numero possibile di dati utili alla ricostruzione della fisionomia dei rivestimenti pittorici degli edifici romanici (Edifices et peintures, 1994; Rollier-Hanselmann 1997; Schmid, 1998), in particolare per quanto riguarda il rapporto con la struttura architettonica che costituisce il loro carattere fondamentale (Demus, 1968, trad. it. p. 11ss.; L'emplacement, 1993).Al di là delle complesse problematiche che scaturiscono dai tentativi di precisare i rapporti tra i grandi cicli lombardi degli inizi del secolo e l'ambiente ottoniano d'Oltralpe, è comunque da constatare la loro folta discendenza locale. La mancanza tuttavia di qualsiasi solido ancoraggio cronologico, insieme a una notevole messe di nuove acquisizioni, ha prodotto, per quanto riguarda la p. di area lombarda (compresi Piemonte e Canton Ticino) dei secc. 11° e 12°, una tale proliferazione di ipotesi contrastanti da scoraggiare qualsiasi veduta complessiva di sintesi. Tra le tante questioni si può ricordare che l'opera del maestro dell'abside di Galliano è stata riconosciuta da Valagussa (1993; 1994) nelle p., assai frammentarie, della basilica dei Ss. Pietro e Paolo ad Agliate e in quelle della chiesa di S. Ambrogio Vecchio presso Prugiasco, in Canton Ticino, opere da altri datate alla seconda metà del sec. 11° (Gilardoni, 1967, p. 123; Lomartire, 1994, pp. 63, 74), o che l'indubbia funzione di modello della Teofania di Galliano appare documentata dalla sua ripresa in forma semplificata nella chiesetta di S. Fedelino a Novate Mezzola (prov. Sondrio; Brenk, 1988; Valagussa, 1995), mentre nell'ampio ciclo della chiesa castrense di S. Martino a Carugo (prov. Como) appare una maniera pittorica che ricorda le Storie di s. Cristoforo della navata di Galliano, con un incremento dell'impostazione narrativa che suggerisce una data alla fine del secolo (Segagni Malacart, 1988; Lomartire, 1994, p. 69). Caratteri in parte autonomi mostra la bottega che lavorò ad Aosta (v.) nella cattedrale e in S. Orso, tra il 1015 e il 1140, realizzando p. in cui spiccano il gusto per il racconto a volte umoristico e la cura per i dettagli ornamentali di cui è particolare espressione il fregio ad archetti pensili abitati da busti, oggetti e animali che corona la decorazione della cattedrale (Segre Montel, 1994, p. 34).Sintomatica di un quadro storico ancora da concretizzare è la tormentata vicenda critica della maggiore impresa pittorica di ambito lombardo dell'epoca conservatasi: la decorazione del complesso benedettino del borgo di Civate (v.), importante non solo per l'estensione e il livello qualitativo delle p., ma anche per lo straordinario programma iconografico, distribuito tra la chiesa di S. Calocero e quelle di S. Pietro al Monte e S. Benedetto, e per i rilievi in stucco che nella chiesa di S. Pietro integrano la decorazione pittorica fornendo una estrema testimonianza di una nobile tradizione altomedievale cara alla Lombardia, come testimoniano gli esempi di S. Salvatore a Brescia (v.) e di S. Maria Maggiore a Lomello (v.). Tralasciando il quasi inestricabile groviglio di proposte, spesso antitetiche, circa l'identificazione di botteghe e maestri diversi e circa le varie fasi cronologiche (Valagussa, 1993; Lomartire, 1994, p. 69ss.), si può comunque osservare che il complesso di Civate, a una data verosimilmente da porsi tra la fine del sec. 11° e l'inizio del 12°, rivela - in alcune tipologie così come nell'ammorbidirsi del modellato - l'avvenuto accoglimento di moduli bizantini propri del classicismo comneno, in sintonia con un processo che riguardò tutto l'Occidente (Demus, 1968, trad. it. p. 33); moduli bizantini di cui un primo, più fedele, tramite locale è individuabile nell'opera del maestro che diresse la decorazione di S. Michele a Oleggio (v.) entro il sesto decennio del secolo.Echi del linguaggio di Civate si ritrovano ovunque nel territorio lombardo; tra i tanti casi vanno ricordati S. Martino di Aurogo, in Val Chiavenna (Lomartire, 1994, p. 74), S. Maria di Sorengo, nel Canton Ticino (Valagussa, 1994), e soprattutto la cappella di S. Eldrado alla Novalesa (v.). Nello stesso arco di tempo nelle p. di S. Maria Gualtieri a Pavia, assai guaste ma databili sulla base della data di consacrazione del 1096, si riscontra l'adozione di formule bizantine all'interno di modi lineari ancora legati alla precedente tradizione (Lomartire, 1994, p. 75), mentre un netto stacco verso forme morbidamente fuse mostrano gli affreschi provenienti dall'antica chiesa di S. Giorgio a Borgovico sul lago di Como (Borgovico, Sant'Abbondio), per cui talora si è dubitato della loro datazione al 1082 dedotta da un'epigrafe (Lomartire, 1994, p. 65; Valagussa, 1994).Già nell'inoltrato sec. 12° sembrerebbe porsi una interessante variante espressionistica della maniera di Civate testimoniata dalle p. frammentarie in S. Michele a Gornate Superiore (prov. Varese) e da quelle della parete nord di S. Salvatore a Casorezzo (prov. Milano), anche se vi sono proposte in favore di una datazione entro l'11° secolo. Significativo è il fatto che per la decorazione della parete sud di Casorezzo - assai distante stilisticamente da quella del lato opposto e finora ritenuta più tarda per la maggiore componente bizantina - sia stata recentemente ipotizzata una prima campagna pittorica alla fine del sec. 10° (Lomartire, 1994; Valagussa, 1997). Con l'inoltrarsi del secolo, comunque, oltre all'elaborazione della tradizione lombarda nutrita della progressiva immissione di moduli bizantini, si segnalano nuovi innesti, come nella decorazione pittorica di S. Tommaso ad Acquanegra sul Chiese (prov. Mantova), in cui si è riscontrato, già agli inizi del secolo, l'influsso delle bibbie atlantiche umbro-laziali (Lomartire, 1994, p. 78), o in quella dell'oratorio di S. Siro nella cattedrale di Novara (v.), che attesta nel 1170-1180 la conoscenza delle novità mosane (Segre Montel, 1994, p. 41).Capitolo di grande importanza per la storia della p. romanica è quello che riguarda le regioni del Centro e dell'Ovest della Francia. In passato si è tentato di distinguere in base alla tecnica i dipinti murali francesi in due gruppi, quello delle p. opache su fondo chiaro proprio della zona del bacino della Loira e considerato espressione della vera e propria arte nazionale francese, e quello delle p. brillanti su fondo scuro presente in Borgogna e nella Francia sudorientale (Mercier, 1931; Deschamps, Thibout, 1951); a più riprese si è cercato di articolare meglio questa schematizzazione di base per farla effettivamente aderire alla situazione, giungendo però infine alla convinzione che essa non abbia ragione di esistere (Demus, 1968; Dodwell, 1993). Questo non solo perché la distribuzione dei fondi chiari e scuri tra le opere conservate ha continuato a sfuggire a qualsiasi ordinamento, ma anche perché analisi di laboratorio hanno dimostrato che nelle p. absidali della cappella dello Château des Moines del priorato cluniacense di Berzé-la-Ville (v.) - massimo esempio del gruppo dei fondi scuri - la brillantezza dei colori è in realtà dovuta a ritocchi a cera effettuati nei secc. 17°-18° (Rollier-Hanselmann, 1997, p. 81). Lo studio minuzioso della tecnica delle p. murali conservate in Borgogna ha portato a constatare, per il periodo in esame, l'uso generale della tecnica 'mista', combinazione di p. a fresco e a secco, secondo due versioni, una complessa e una semplice. La versione complessa - riscontrata in primo luogo a Berzé-la-Ville, ma anche a Tournus (Saint-Philibert), a Nevers (Saint-Cyr-et-Sainte-Julitte), a Sussey-le-Maupas (Saint-Pierre-et-Saint-Paul) e altrove - presenta una tavolozza più ricca, con blu e verdi, e una stesura più raffinata, con ombre graduate e velature, mentre la versione semplice (Burnand, Combertauld, Curgy, Moutiers) presenta una tavolozza limitata alle ocre gialle e rosse più bianco e nero stesa in ampie campiture articolate da colori contrastanti. Il procedimento più complesso, che trova parziale riscontro nella tecnica descritta da Teofilo nel De diversis artibus, è considerato di derivazione italo-bizantina mentre l'altro va ritenuto come più specificamente locale (Rollier-Hanselmann, 1997). Una distinzione analoga è stata osservata nelle p. murali inglesi (Park, 1987; Howard, 1990; Rickerby, 1990), ma allo stato attuale degli studi non è possibile dare conto delle ragioni dell'uso dell'una o dell'altra pratica pittorica, anche se ne risulta evidente il diverso dispendio economico.Riscontrando l'identità di procedimento pittorico tra i frammenti di intonaco dipinto provenienti dall'abbazia di Cluny III e le p. di Berzé-la-Ville, le indagini appena citate hanno avuto anche il merito di dare ulteriore concretezza alla consolidata opinione per cui queste ultime sono state considerate come alter ego dei cicli pittorici che le fonti ricordano realizzati alla fine del sec. 11° nell'abbazia madre (Avril, 1983, p. 171). Per questo motivo sulla cappella di Berzé-la-Ville si è imperniata la costruzione critica di una p. 'cluniacense', veicolo di diffusione europea dell'arte benedettina romano-cassinese. Secondo questo punto di vista, respinto vivacemente da de Francovich (1955, p. 507ss.), lo stile raffinato e fortemente impregnato di cultura bizantina di questi dipinti - a volte definito cloisonné per la trama lineare di lumeggiature - sarebbe derivato direttamente dall'arte italobizantina irradiatasi da Montecassino, mentre altrimenti lo si è ritenuto come uno sviluppo indipendente della c.d. prima ondata di influsso bizantino che investì l'Occidente alla fine del sec. 11°, a cui già si è accennato: uno 'sviluppo parallelo' che avrebbe attinto anche alle fonti locali carolinge e ottoniane (Demus, 1968). Va tuttavia ricordato che il riferimento delle p. di Berzé-la-Ville a fonti romane continua a trovare sostegno (Avril, 1983; Dodwell, 1993). Ma al di là delle controversie stilistiche, spesso facilmente opinabili, la relazione con l'ambiente della riforma gregoriana costituisce un punto di riferimento di primaria importanza per l'interpretazione delle p. murali di tutta l'area europea, per quanto riguarda sia le scelte iconografiche sia l'articolazione dei programmi decorativi all'interno degli edifici ecclesiastici, e lo studio di tali rapporti costituisce un elemento di grande interesse nella ricerca in questo campo (Toubert, 1990).Maggiore autonomia rispetto ai moduli bizantini e più evidenti reminiscenze ottoniane mostrano le p. della cappella al piano superiore del transetto nord della chiesa abbaziale di Notre-Dame a Saint-Chef (dip. Isère), nel Delfinato, con la raffigurazione della Gerusalemme celeste al colmo della volta, databili al terzo quarto del sec. 11°, anch'esse un tempo inserite nell'arte cluniacense (de Francovich, 1955, p. 513; Demus, 1968, trad. it. p. 137), così come carattere singolare ha, di nuovo in Borgogna, la decorazione della volta della cappella absidale della cripta della cattedrale di Auxerre, con Cristo cavaliere su una croce gemmata accompagnato da angeli anch'essi a cavallo; un tema di indubbio riferimento apocalittico, forse da riferire alla propaganda per la prima crociata e pertanto da datare intorno al 1100, al tempo del vescovo Humbaud che ne fu un grande sostenitore (Denny, 1985).

Sono però le regioni occidentali della Francia (Poitou, Turenna, Angiò, Maine), dove peraltro si concentra un'ampia percentuale delle opere conservate, a tramandare quella che è stata definita la p. propriamente francese, libera da qualsiasi influsso italiano o bizantino (Demus, 1968, trad. it. p. 66); p. per cui è stata anche coniata la definizione di Angevin style, in riferimento alla posteriore unione politica dell'ampio territorio effettuatasi con il matrimonio, nel 1152, tra Enrico II Plantageneto ed Eleonora d'Aquitania (Ayres, 1974). Alla fine del sec. 11°, epoca in cui si colloca l'opera che ne costituisce la testimonianza più imponente - il complesso pittorico di Saint-Savin-sur-Gartempe (v.) -, questo stile appare già pienamente sviluppato. Con le sue forme grafiche e gli eleganti movimenti di danza esso sembra risalire alle tradizioni carolinge, ragione per cui ha trovato crescente favore la proposta di vedere in Tours il suo primo centro propulsore (Bogner, 1977-1978; Toubert, 1987). Qui i resti di p. provenienti dalla Tour Charlemagne della chiesa di Saint-Martin (Tours, Mus. Gouin), tra cui spicca una delicata figura di S. Florenzio, mostrano, alla metà del secolo, una nobile maniera in cui si è vista una derivazione dalla scuola palatina (Bogner, 1977-1978), mentre le p. frammentarie nella torre della chiesa abbaziale di Saint-Julien, verso la fine del secolo, sembrano maggiormente rifarsi alle scuole carolinge di Tours e Reims, oltre a rivelare strette parentele con alcuni dei maestri di Saint-Savin-sur-Gartempe (Dodwell, 1993).Difficili si sono dimostrati i tentativi di dare una connotazione regionale alle molteplici varianti stilistiche che compaiono in tutta l'area in esame irradiandosi anche nelle regioni limitrofe (Kupfer, 1993), e tale difficoltà si rivela in tutta evidenza quando si consideri che nei quattro cicli pittorici di Saint-Savin-sur-Gartempe appaiono contemporaneamente all'opera botteghe con inflessioni diverse, ciascuna delle quali ricompare negli stessi anni in altri centri della vasta area: a Poitiers (v.), nei cicli di Saint-Hilaire-le-Grand, Notre-Dame-la-Grande e Saint-Jean; a Vendôme, in Turenna, nella sala capitolare dell'abbazia della Trinité - dove i dipinti frammentari con la scena dell'Apparizione al lago di Tiberiade seguita dall'Investitura di s. Pietro in cattedra costituiscono uno dei casi più significativi di ricezione delle idee della riforma gregoriana (Toubert, 1990, p. 365ss.) - o a Château-Gontier, nell'Angiò, nel coro e nel transetto della chiesa del priorato di Saint-Jean-Baptiste. E diffuse sono le varianti stilistiche, come quella che distingue le figure leggere, ritmicamente danzanti, della Maiestas Domini, databile al secondo quarto del sec. 12°, dipinta nell'abside orientale della cappella di Saint-Gilles a Montoire-sur-le-Loir (v.), in Turenna, mentre le Maestà che, con scelta iconografica di grande singolarità, decorano le altre due absidi nord e sud presentano tecnica e caratteri stilistici diversi, forse attribuibili a una fase successiva. La stessa leggerezza dell'abside orientale di Montoire-sur-le-Loir caratterizza la decorazione pittorica del coro e della cripta di Saint-Nicolas a Tavant, sempre in Turenna, da datare forse intorno alla metà del secolo, dove, nelle p. della cripta, dal programma iconografico di ardua decifrazione (Toubert, 1990, p. 431ss.), la grafica lineare, rapida e impetuosa, giunge ad alti e originali livelli di espressività. Anche nel Berry, le chiese parrocchiali di Saint-Aignan a Brinay e di Saint-Martin a Vicq - dove si conservano cicli cristologici che sono i più estesi e meglio conservati della p. francese del sec. 12° (dopo Saint-Savin-sur-Gartempe) - danno ampia testimonianza della diffusione locale dell'arte del Poitou e della Turenna (Kupfer, 1993), che soprattutto nel ciclo di Vicq appare caricata di manierismi, come gli ampi panneggi a ventaglio, di potente effetto dinamico.Con il procedere del secolo la vena creativa sembra esaurirsi generando arcaismi o barocchismi delle forme (Focillon, 1938; Demus, 1968, trad. it. p. 69), come mostrano, per es., le p. della cripta della collegiata di Saint-Aignan-sur-Cher (dip. Loir-et-Cher), o della cripta di S. Caterina in Notre-Dame a Montmorillon (v.).In Inghilterra, in alcune chiese parrocchiali del Sussex, quelle di Clayton, Coombes, Hardham, Plumpton e Westmeston - ma in quest'ultimo caso restano solo le copie -, si conservano cicli dipinti che sono stati accomunati sotto la definizione di Lewes Group, perché all'epoca della loro esecuzione Clayton e Hardham appartenevano probabilmente al vicino potente priorato di Lewes, fondato da Cluny (Park, 1983; v. Anglonormanna, Arte). Tali p., datate all'incirca tra il 1080 e il 1120, sono state accomunate sotto vari aspetti; in primo luogo dalla tecnica pittorica, che si avvale della tavolozza povera detta bacon and egg per il prevalere delle ocre rosse e gialle (Park, 1987; Howard, 1990), e anche dalla disposizione delle scene in due registri sulle pareti e sull'arco di trionfo degli edifici, tutti a una navata di modeste dimensioni, e soprattutto dalla presenza con varie funzioni di un singolare fregio a piccoli archi con un lobo al vertice, nonché da una serie di scelte iconografiche, spesso rare, che trovano alcuni punti di contatto con l'ideologia riformista a cui si è accennato (Toubert, 1987). Appartiene però ormai al passato un'interpretazione strettamente 'cluniacense' di questi cicli, tanto più che recentemente ne è stata messa in discussione la stessa appartenenza a un ambito comune, evidenziando le molteplici differenze tra una decorazione e l'altra (Milner-Gulland, 1990; Park, 1990). Per gli stretti legami con la cultura figurativa anglosassone, il complesso di Clayton andrebbe situato infatti non oltre la metà del sec. 11°, mentre come sue riprese modernizzanti andrebbero considerati Plumpton e Coombes; difficile da situare resta, anche per la sua disomogeneità stilistica, il ciclo di Hardham, con cui mostrano qualche affinità formale le p. nella chiesa di Witley, nel Surrey, databili al primo terzo del sec. 12°, che hanno la stessa ristretta cromia del Lewes Group (Milner-Gulland, 1990; Taylor, 1990). Una singolare estrema stilizzazione, in rosso e 'pseudo-blu', delle zoccolature a finti marmi dipinte presente a Coombes - uno degli elementi base nell'articolazione decorativa della p. murale dell'epoca - si ritrova nella parete nord del coro della chiesa di Quatford (Salop), intorno al 1120-1150 (Howard, 1990).Nel secondo quarto del sec. 12° i cicli pittorici delle chiese di Ickleton (Cambridgeshire) e di Kempley (Gloucestershire) e i pochi resti visibili della decorazione originaria in St Mary a Copford (Essex) attestano un arricchimento della tavolozza con ampio uso del blu e l'immissione di nuovi modi formali di provenienza continentale (Ayres, 1974; Park, 1987; Rickerby, 1990), in parallelo a quanto avviene nel campo della miniatura con il Salterio di St Albans (Hildesheim, Dombibl., St. Godehard, 1) e le opere da esso derivate, in primo luogo il Salterio di Shaftesbury (Londra, BL, Lansdowne, 383).A giudicare dagli scarsi frammenti superstiti nelle cappelle di S. Gabriele e di S. Anselmo, negli stessi anni la decorazione pittorica del coro della cattedrale di Canterbury (consacrato nel 1130) dovette segnare l'adesione a nuove correnti stilistiche palesemente di importazione. Tuttavia nei dipinti sulla volta della cappella sotterranea dedicata a s. Michele Arcangelo, in elementi come l'ulteriore stilizzazione del panneggio cloisonné con motivi geometrici a incastro, si rivelano chiari rapporti con la p. coloniense degli inizi del sec. 12° - secondo quanto attesta il frammento ritrovato a St. Gereon (Colonia, Schnütgen-Mus.; Plotzek, 1985) - mentre in ciò che resta della decorazione della cappella di S. Anselmo nell'ambulacro sud, la raffigurazione di S. Paolo con la vipera, domina un 'moderno' naturalismo classicheggiante in stretto rapporto con la Bibbia di Bury (Cambridge, C.C.C., 2), senza che ciò necessariamente sia rapportabile a fasi cronologicamente distinte.Ancora un avanzamento sul fronte del naturalismo, in particolare per quanto riguarda la resa dei volti, è testimoniato, tra l'ottavo e il nono decennio del secolo, dal primo strato della decorazione della cappella del Santo Sepolcro nella cattedrale di Winchester. In tali p., anch'esse strettamente apparentate con la produzione miniata coeva, in particolare con l'opera del Maestro del foglio Morgan (Master of the Morgan Leaf), si riconosce chiaramente la presenza di modelli derivati dai mosaici siciliani di Cefalù e Palermo della prima metà del secolo, ma anche adattamenti alle esigenze e ai gusti locali (Demus, 1968, trad. it. p. 174ss.; Dodwell, 1993, p. 368ss.). Già in clima protogotico si situa una serie di decorazioni pittoriche della fine del secolo - nelle cattedrali di Norwich ed Ely e a Petit-Quevilly presso Rouen, in Normandia - caratterizzate dalla disposizione delle scene entro medaglioni all'interno di una struttura fitomorfa.I territori dell'impero si mantennero a lungo fedeli all'eredità ottoniana. Nel Giudizio universale della cappella di S. Michele in St. Georg a Oberzell, della fine del sec. 11°, nel coevo ciclo (assai danneggiato) di St. Michael a Burgfelden (Baden-Württemberg), e nella Maestà dell'abside della chiesa di St. Peter und Paul a Niederzell appare ancora viva la tradizione della Reichenau, non senza qualche eco delle novità diffuse in Francia (Demus, 1968, trad. it. p. 90).Un frammento con una figura di profeta della decorazione nel decagono della chiesa di St. Gereon a Colonia, a cui si è già accennato, testimonia comunque agli inizi del sec. 12° la diffusione locale, anche nel campo della p. murale, di quei modi italo-bizantini che, come si è visto più volte, investono tutta l'area europea a partire dal terzo quarto dell'11° secolo. In seguito però appare manifestarsi a Colonia uno stile originale che Demus (1968, trad. it. p. 85ss.) ha definito weichfliessend ('morbidamente fluente'), determinandone la genesi in una tradizione locale di antica origine, raffinata e armoniosa ma anche severamente monumentale, che per questa età ha lasciato testimonianza soprattutto nei grandi capolavori di oreficeria. Il nucleo di opere in cui si incarna tale corrente stilistica, per gran parte in condizioni di difficile leggibilità, si situa tra gli anni sessanta e settanta ed è formato principalmente dai dipinti della chiesa doppia di St. Clement a Schwarzrheindorf (1150-1170) e da quelli della sala capitolare dell'ex abbazia benedettina di Brauweiler (seconda metà sec. 12°), a cui si univano le distrutte decorazioni dell'abside del decagono di St. Gereon a Colonia e delle vele della campata antistante il coro nella cattedrale di Essen (v.): tutti cicli pittorici che inoltre si distinguono nettamente dalla maggioranza delle decorazioni murali romaniche per la complessità dei programmi iconografici, rispecchianti sofisticate concezioni teologiche (Demus, 1968, trad. it. p. 85; Dodwell, 1993, p. 277ss.; v. Reno). Come esempio della lunga e ampia discendenza di questo weichfliessenden Stil si possono menzionare le p. della chiesa di St. Ägidius a Keferloh (Monaco), degli ultimi decenni del secolo (Waldvogel, 1991).Nella chiesa della fondazione premostratense di Knechtsteden, nei pressi di Colonia, le p. dell'abside (1170-1180) mostrano un'influenza dei mosaici siciliani di Cefalù che le accomuna all'opera del maestro che, negli stessi anni, lavorò nella cattedrale di Tournai (Belgio), nella cappella di S. Caterina e sopra i due altari nella parete orientale del transetto, e a cui si rifanno anche i resti di p. ritrovati nel refettorio dell'abbazia di S. Bavone a Gand (v.), della fine del secolo. Queste poche testimonianze, peraltro frammentarie e deturpate, in cui i modelli siciliani si coniugano con quelli del channel style franco-inglese, costituiscono ciò che resta per quanto riguarda la p. murale di un'altra grande scuola dell'epoca, quella mosana, ben altrimenti rappresentata nel campo della miniatura e delle arti suntuarie (Demus, 1968, trad. it. p. 86ss.; Dodwell, 1993, p. 276ss.; v. Mosana, Arte).La decorazione della chiesa parrocchiale di Idensen, presso Hannover, in Bassa Sassonia, fondata come cappella privata del vescovo Sigward di Minden (1120-1140), è l'unico esempio pittorico di rilievo che si sia conservato nella Germania centrosettentrionale. In compenso si tratta di un esempio altamente rappresentativo sia per la disposizione dei dipinti, sulle pareti e sulle volte dell'edificio, secondo una gerarchia delle forme figurative in perfetta sintesi con l'architettura, sia per il programma iconografico, che comprende, tra l'altro, temi dell'Antico e del Nuovo Testamento in contrapposizione tipologica, tra i quali di particolare interesse è la raffigurazione simbolica del sacramento del battesimo con S. Pietro che battezza tre fedeli in una vasca a forma di croce al cospetto di santi e diaconi (Brudern, 1995). Lo stile delle p., severamente arcaizzante ma percorso da sottili geometrizzazioni e da distaccati bizantinismi, è stato messo in rapporto con la produzione miniata della vicina abbazia di Helmarshausen, un altro dei grandi centri propulsori dell'arte del tempo (v. Roger di Helmarshausen).I modi pittorici diffusi in Inghilterra e nella Germania centrosettentrionale si ritrovano nell'area scandinava. Data la posizione periferica di quest'ultima, per lungo tempo si è ritenuto che le p. murali di epoca romanica che vi si conservano costituissero una tarda ripresa dei loro modelli, ma questa tesi oggi non è più generalmente condivisa dagli studiosi e si tende ad anticipare la datazione di gran parte dei cicli dipinti; va comunque ricordato che ciò avviene nell'ambito di un ripensamento delle questioni stilistiche e iconografiche, perché manca qualsiasi aggancio cronologico documentario (Danske Kalkmalerier, 1986; Frederiksen, Kolstrup, 1993). Vi è accordo nel ritenere che le più antiche p. murali danesi siano quelle delle chiese di Jelling, presso Vejle (meglio valutabili nelle copie ad acquarello fatte all'epoca della scoperta che non nel successivo rifacimento), e di Tamdrup, presso Horsens, entrambe nello Jutland, databili tra la fine del sec. 11° e gli inizi del 12° e assegnabili a una stessa bottega con caratteri bassorenani. Nelle p. del coro della chiesa di Raasted, sempre nello Jutland, il più vasto ciclo conservatosi, che presenta inoltre interessanti varianti iconografiche, databile intorno al 1125, appaiono invece modi stilistici accostabili alla p. inglese della cerchia del Maestro del Salterio di St Albans. Rilevanti dal punto di vista iconografico sono anche le p. della chiesa di Fienneslev, nel Sjaelland (1125-1150), con la raffigurazione dei donatori - Asser Rig, della grande casata degli Hvide, e sua moglie Inge - posta in parallelo con quella dei Magi. Altre p. affini sono conservate a Soderup (Sjaelland) e in altri centri di questa regione e della Scania, tanto che si è pensato a un'unica bottega, quella di Finja (Finjavaerksted), dal nome di una località della Scania, che appare alquanto legata ai modi sella scuola di Helmarshausen (Dodwell, 1993, p. 317). La ricezione dei più recenti sviluppi stilistici dell'area europea nordoccidentale è attestata ancora dai frammenti di Kyrke Hyllinge (Sjaelland), che, dato il buono stato di conservazione, estremamente raro, permettono anche un esame della tecnica pittorica (ca. 1125). A una data di poco anteriore al 1170, anno in cui il re Valdemaro il Grande ne confermò la concessione ai Premostratensi, deve risalire la decorazione della chiesa di Vä in Scania, il cui programma iconografico si distingue per il riferimento all'inno ambrosiano del Te Deum.L'influsso dell'arte delle regioni del Basso Reno e della Mosa si ritrova ancora in Polonia, a giudicare dalle uniche p. di un certo interesse attualmente conosciute, quelle della collegiata di Tum, vicino Łęczyca, databili alla metà del sec. 12°, dove si trova una singolare raffigurazione del tetramorfo con testa di aquila che appare negli stessi anni in una illustrazione del libro di Ezechiele della Bibbia di Floreffe (Londra, BL, Add. Ms 177737-17738; Świechowski, 1983, p. 77).Di quella che dovette essere un'importante scuola di p. romanica, quella sviluppatasi in Baviera, in particolare a Ratisbona (v.), sul ceppo della tradizione ottoniana (Demus, 1968, trad. it. p. 91), è rimasto assai poco. Nell'abbazia di Prüfening, poco fuori della città, si conserva un importante ciclo pittorico nel presbiterio della chiesa abbaziale, forse realizzato in due fasi tra il 1125 e il 1150, purtroppo assai danneggiato dai restauri della fine dell'Ottocento. Di notevole interesse è il complesso programma iconografico, volto alla glorificazione dell'Ecclesia, troneggiante sulla volta, la cui decifrazione è affidata alle iscrizioni poste nei numerosi cartigli. Le p. meglio conservate, sui pilastri della crociera e nei cori laterali, fanno riconoscere un disegno fluido e morbido di ispirazione bizantina insieme alla tendenza verso salde forme monumentali che avvicinano tali p. alla coeva produzione libraria locale, in particolare all'Evangeliario di Passau (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 16002) e al Glossarium Salomonis (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13002).Come una diretta ripresa di modelli siciliani - in particolare, per quanto riguarda la cupola, della Cappella Palatina di Palermo - è stata interpretata la decorazione della Allerheiligenkapelle nel chiostro della cattedrale di Ratisbona (Dodwell, 1993, p. 306), fatta erigere dal vescovo Hartwico II (1155-1164) come sua cappella funeraria. Sebbene anche in questo caso l'estrema consunzione dello strato pittorico renda difficile la valutazione stilistica, numerosi elementi, come in primo luogo la fitta rete di nastri recanti iscrizioni, rivelano comunque una profonda rielaborazione locale dei modelli (Demus, 1968, trad. it. p. 191). Una sofisticata rilettura degli esempi bizantini appare anche nei frammenti assai discussi di p. murali ritrovati nella chiesa del monastero di Frauenwörth a Fraueninsel sul Chiemsee (ca. 1140-1160), in genere poste nell'orbita della p. salisburghese (Dodwell, 1993, p. 4).Salisburgo dovette essere il centro di maggiore importanza per la produzione pittorica monumentale nelle regioni sudorientali dell'impero sin dagli inizi dell'11° secolo. Perduta tuttavia anche in questo caso gran parte delle opere, la storia di questa scuola si apre con l'ampio ciclo cristologico della chiesa abbaziale di Lambach (v.), dell'ultimo terzo del sec. 11°, in cui operò una bottega salisburghese che abilmente utilizzava un vasto repertorio di modelli sia occidentali, di tradizione carolingia e ottoniana, sia bizantini, di vecchia e nuova acquisizione (Wibiral, 1998). Nel secondo quarto del sec. 12° grande rilievo dovette avere la decorazione pittorica fatta eseguire nel duomo dall'arcivescovo Corrado I (1106-1147), di cui resta espressa menzione nelle fonti (Vita Chunradi archiepiscopi Salisburgensis, 19; MGH. SS, XI, 1854, p. 74). L'aspetto di tali p. si può in parte ricostruire attraverso opere conservate risalenti agli stessi anni, come i frammenti di un Giudizio universale provenienti dalla cappella di S. Pancrazio di Gossam (Krems an der Donau, Historisches Mus.), i resti della Gebhardskapelle nella residenza arcivescovile sul Petersberg a Friesach, in Carinzia, conservati in parte nello Stadtmus. di Friesach, e, a Salisburgo stessa, alcuni frammenti pittorici - tra cui la personificazione dell'Hora Tercia - ritrovati nella chiesa abbaziale di St. Peter e una serie di busti di santi nella chiesa dell'abbazia di Nonnberg: tutti dipinti in cui sono stati riscontrati numerosi punti di contatto con i capolavori della miniatura coeva, in primo luogo la Bibbia gigante di Admont (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Cod. Ser. nov. 2701-2), il Libro delle Pericopi di s. Erentrude (Monaco, Bayer. Staats.bibl., Clm 15903) e l'Antifonario di St. Peter (Vienna, Öst. Nat. Bibl., Cod. Ser. nov. 2700), che mostrano forme fluide, a tratti monumentali e sfarzose, da mettere in rapporto con una nuova immissione di modelli bizantini provenienti da Venezia (Geschichte, 1998, p. 418ss.).Sempre all'ambito salisburghese risale il ciclo pittorico della Johanneskapelle presso Pürgg, in Stiria, dal rilevante programma iconografico articolato in temi cosmologici, veterotestamentari e neotestamentari e comprendente una singolare raffigurazione con la Guerra tra gatti e topi. Databili agli inizi degli anni sessanta, anche queste p. mostrano la ripresa di modelli italo-bizantini di derivazione veneziana. Per la produzione più tarda dei pittori salisburghesi, che conserva le proprie caratteristiche accogliendo anche modi della vicina Baviera, vanno ricordate, nella regione di Salisburgo, le p. nel coro e nella parete nord della chiesa di St. Rupertus a Weisspriach (ca. 1180-1185) e quelle nel castello di Hohenwerfen (ca. 1180), un'altra residenza degli arcivescovi, e in Carinzia quelle nella c.d. chiesa invernale di Maria Wörth, oggi assegnate all'ultimo quarto del sec. 12°, ma un tempo ritenute precedenti anche di un secolo per il loro carattere arcaizzante (Geschichte, 1998, p. 420ss.).

L'influsso dell'arte di Salisburgo e di Ratisbona-Prüfening fu determinante per la p. in Boemia. Il ciclo più importante, datato al 1134 da una iscrizione tarda ma attendibile, si trova nella cappella di S. Caterina del castello di Znojmo e raffigura, oltre a scene dell'Infanzia di Cristo, la saga e la genealogia dei Přem'yslidi. Da ricordare sono anche le Storie di s. Clemente a Stará Boleslav, del terzo quarto del sec. 12°, e i frammenti di p. murale nei Ss. Pietro e Paolo ad Albrechtice, degli stessi anni, nonché lo strato più antico delle p. della chiesa di S. Giacomo a Rovná presso Strìbrná Skalice, della fine del secolo.Una componente salisburghese è stata spesso riconosciuta anche nell'arte del maestro che realizzò, tra il 1160-1170, le p. nel presbiterio della chiesa del monastero di Montemaria a Burgusio, in Alto Adige. Tale riferimento tuttavia non basta a chiarire la genesi dei modi di questo straordinario pittore, che alle formule bizantine affianca moduli più astrattizzanti e soprattutto un ritmo e una leggerezza delle figure che fanno ricordare la p. delle aree più occidentali d'Europa (Spada Pintarelli, 1997, p. 50ss.). L'arte del Maestro di Burgusio esercitò un notevole e duraturo influsso che già in parte investì la bottega che lavorò, intorno all'ottavo decennio del secolo, nella chiesa del vicino monastero di Münster (v.), nei Grigioni.

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F. Pomarici