PLACEBO E NOCEBO

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

PLACEBO E NOCEBO.

Fabrizio Benedetti

– L’effetto placebo. L’effetto nocebo. Conclusioni. Bibliografia

L’effetto placebo. – Viene comunemente definito placebo una sostanza inerte, o un trattamento medico senza alcuna proprietà terapeutica, mentre l’effetto placebo, o risposta placebo, è l’effetto che segue alla sua somministrazione. Tuttavia, tale definizione non è completamente esatta, poiché il placebo è fatto sia del trattamento inerte sia del contesto psicosociale intorno a esso. Il contesto è costituito da qualsiasi oggetto o persona intorno alla terapia che ‘informi’ il paziente dell’imminente miglioramento clinico, ed è quindi fatto di parole e rituali, atteggiamenti e comportamenti del personale sanitario, significati e simboli di oggetti e apparati medici intorno al paziente, che nell’insieme costituiscono il cosiddetto rituale dell’atto terapeutico. Quindi il vero effetto placebo è un fenomeno psicobiologico che coinvolge meccanismi molto complessi a livello cerebrale, e non si deve confondere con altri fenomeni, quali la remissione spontanea di un sintomo o di una malattia.

Il placebo viene comunemente utilizzato nei trials clinici, i quali servono per testare e validare l’efficacia di una terapia, e in tal senso funziona esclusivamente come controllo, senza fornire informazioni sui suoi meccanismi o cercare di comprenderne il significato. In altre parole, in un trial clinico il placebo è solo un metodo di comparazione. Tale paragone viene fatto fra un gruppo di pazienti che riceve la terapia vera e un altro gruppo di pazienti che riceve una terapia finta (il placebo). Né lo sperimentatore né i pazienti sanno che cosa viene somministrato: può essere la terapia vera o un placebo (paradigma in doppio cieco). Se la terapia reale produce risultati migliori di quella placebo, può essere considerata efficace. Quindi, coloro che effettuano un trial clinico non sono interessati al motivo per il quale i pazienti che ricevono un placebo a volte mostrano un miglioramento clinico. L’unica cosa che conta è che la terapia vera funzioni meglio di una terapia placebo, e questo approccio è alla base dei cosiddetti trials clinici pragmatici. Al contrario, i trials clinici esplicativi sono mirati anche a comprendere i meccanismi sottostanti.

Negli ultimi decenni, la comunità scientifica ha cominciato a interrogarsi sul motivo per il quale i pazienti che ricevono un trattamento inerte possono migliorare. Si conoscono almeno due meccanismi dell’effetto placebo. Il primo è costituito da aspettativa e anticipazione della riduzione di un sintomo, che ne inducono una reale riduzione attraverso meccanismi cognitivi in cui i lobi frontali giocano un ruolo di primo piano. Per es., aspettarsi un beneficio terapeutico, e quindi un miglioramento clinico, scatena i meccanismi cerebrali di ‘ricompensa’ oppure di riduzione dell’ansia. Nel secondo meccanismo gioca un ruolo importante l’apprendimento. Infatti, la ripetuta associazione fra il contesto intorno al paziente (per es., una siringa o il personale medico) e il principio farmacologico attivo (il farmaco contenuto nella siringa) induce una risposta condizionata, per la quale dopo ripetute associazioni la sola vista della siringa

o del medico sarà sufficiente a produrre la riduzione del sintomo. Questi due meccanismi, l’aspettativa da un lato e l’apprendimento dall’altro, non si escludono a vicenda poiché possono entrare in gioco in diverse situazioni.

Uno dei più grandi avanzamenti nelle nostre conoscenze sull’effetto placebo negli ultimi anni è consistito nella comprensione dei suoi meccanismi biologici. Il concetto fondamentale che è emerso consiste nel fatto che un placebo, e quindi un rituale terapeutico, modula le stesse vie biochimiche che sono modulate dai farmaci. Per es., aspettarsi una riduzione del dolore attiva gli stessi meccanismi che sono attivati dalla morfina. Oppure, un placebo innesca gli stessi recettori che sono attivati dalla Cannabis sativa. E ancora, un placebo può inibire lo stesso enzima su cui agisce l’aspirina. Infine, un placebo può attivare i recettori della dopamina che sono il bersaglio dei farmaci antiparkinsoniani.

Il dolore è la condizione che ha dato i maggiori risultati per comprendere i meccanismi cerebrali di questo complesso fenomeno. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati studiati altri sistemi e altre condizioni, con la conclusione che non esiste un singolo effetto placebo, ma molti. Le principali condizioni mediche in cui sono stati descritti meccanismi simili a quelli dei farmaci sono il dolore, la malattia di Parkinson, la depressione, l’ansia, le disfunzioni dei sistemi endocrino e immunitario.

L’effetto nocebo. – L’effetto placebo può andare anche in direzione opposta. Per es., se il soggetto si aspetta un incremento di un sintomo, si può avere un reale aumento. In tal caso, si parla di effetto nocebo. I meccanismi che ne sono alla base sono praticamente gli stessi dell’effetto placebo, solo che vanno in direzione opposta. Per es., possono essere coinvolti meccanismi di aspettativa o apprendimento.

Poco si sa sulle basi neurobiologiche di questo effetto, considerati gli inerenti problemi etici. Infatti, al fine di studiarlo è necessario indurre aspettative negative, e questo provoca stress nei soggetti che si sottopongono a tali procedure.

L’effetto nocebo riveste un’importanza particolare nella nostra società. Un esempio è rappresentato dai messaggi lanciati dai mezzi di comunicazione di massa, come la televisione, la radio e i giornali, riguardo ai pericoli e ai danni per la salute. Spesso questi messaggi sono falsi o esagerati, eppure inducono aspettative negative in coloro che li ricevono. Alcuni studi recenti hanno dimostrato che disturbi come la cefalea, spesso imputati alle radiofrequenze, non sono altro che effetti psicologici, ossia effetti nocebo. Analogamente, gli effetti collaterali dei farmaci, descritti nel foglio allegato alla confezione (il cosiddetto bugiardino), qualche volta sono solo effetti nocebo: leggere che un farmaco può indurre nausea potrebbe provocare realmente nausea in alcuni soggetti. Una diagnosi negativa può sortire lo stesso effetto, con il paziente che presenta una sintomatologia più severa solo per il fatto di aspettarsi un peggioramento della sua situazione.

Un meccanismo importante nell’effetto nocebo è l’ansia anticipatoria, ossia quella forma di ansia che precede l’arrivo di una situazione di stress. L’ansia anticipatoria induce l’attivazione nel cervello di una sostanza, la colecistochinina (CCK, CholeCystoKinin), la quale produce a sua volta un effetto amplificante sul dolore. Questo effetto va sotto il nome di iperalgesia da nocebo: quando il soggetto si aspetta la comparsa di un dolore intenso, la sua ansia attiva la CCK che aumenta la percezione del dolore.

Conclusioni. – Gli effetti p. e n. possono essere presenti anche al di fuori dell’ambito strettamente sanitario, dimostrando che le nostre aspettative, credenze, convinzioni e suggestioni giocano un ruolo importante nella vita di tutti i giorni. Per es., la somministrazione di un placebo può indurre anche un aumento della performance fisica, con riflessi sull’etica nello sport. Inoltre, sebbene il concetto di placebo rimanga strettamente legato all’ambito della medicina, è interessante notare che gli aspetti di base possono essere applicati anche nella vita quotidiana, durante la quale si è sottoposti a continui inganni e condizionamenti che possono modulare non un sintomo, bensì le nostre percezioni, i nostri giudizi e i nostri comportamenti.

Bibliografia: F. Benedetti, Effetto placebo e nocebo, in XXI secolo. Il corpo e la mente, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2010, pp. 657-63; F. Benedetti, The patient’s brain: the neuroscience behind the doctor-patient relationship, Oxford 2010; I. Tracey, Getting the pain you expect mechanisms of placebo, nocebo and reappraisal effects in humans, «Nature medicine», 2010, 16, 11, pp. 1277-83; F. Benedetti, Il cervello del paziente: le neuroscienze della relazione medico-paziente, Roma 2012; F. Benedetti, L’effetto placebo: breve viaggio fra mente e corpo, Roma 2012; F. Benedetti, Placebo and the new physiology of the doctor-patient relationship, «Physiological reviews», 2013, 93, 3, pp. 1207-46; P. Enck, U. Bingel, M. Schedlowski et al., The placebo response in medicine: minimize, maximize or personalize?, «Nature reviews. Drug discovery», 2013, 12, 3, pp. 191-204; F. Benedetti, Placebo effects, Oxford 20142; F. Benedetti, Placebo effects: from the neurobiological paradigm to translational implications, «Neuron», 2014, 84, 3, pp. 623-37.

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