PLATINO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1994)

PLATINO

Eugenio Mariani

(XXVII, p. 507; App. II, II, p. 563; III, II, p. 435; IV, III, p. 8)

È il più importante degli elementi del suo gruppo (che comprende palladio, rutenio, rodio, osmio, iridio). Si calcola che nella Terra la concentrazione di tali metalli sia dell'ordine di 30 ppm, ma la distribuzione dei vari elementi è tutt'altro che uniforme: dato il loro carattere siderofilo, infatti, si trovano più abbondanti nella zona metallica del nucleo terrestre, mentre nella litosfera, silicea, se ne calcola una presenza di 0,05÷0,5 ppm. Inoltre l'espulsione dei magmi nelle eruzioni vulcaniche, la diversa densità dei componenti, le differenze di temperatura di fusione, i loro successivi movimenti sono responsabili di concentrazioni diverse degli elementi del gruppo in zone non molto profonde e in superficie, dove le azioni idrotermali e dei gas hanno provocato trasformazioni di vario tipo nei depositi primari; i prodotti così originatisi sono stati poi trasportati dalle acque superficiali dando origine a depositi alluvionali, secondari. I depositi primari più importanti sono quelli degli Urali, in Russia, e del Boshveld, in Sudafrica, dove si raggiungono concentrazioni in p. relativamente elevate, che possono andare da 10 a 20 ppm nei minerali dei depositi russi e fino a 500 ppm in quelli più ricchi del Sudafrica. Nella tab. 1 sono riportate le concentrazioni relative dei diversi elementi del gruppo presenti nei minerali di alcuni giacimenti; si vede per es. che la quantità di palladio è all'incirca tripla di quella del p. nei minerali USA, mentre è circa la metà in quelli del Sudafrica.

Trattamento dei minerali. − Il minerale proveniente dall'estrazione viene frantumato, macinato e arricchito con sistemi a gravità (tavole vibranti, idrocicloni, ecc.), per flottazione; con questi trattamenti la concentrazione dei metalli nobili aumenta di 10÷50 volte. Dopo i trattamenti d'arricchimento il materiale viene pellettizzato e poi sottoposto a fusione in forni a tino, nei quali una corrente d'aria ossida selettivamente i solfuri di ferro che così passano nella scoria; rame e nichel invece danno origine a una metallina la quale viene fusa con solfuro di sodio e separata in due strati sovrapposti: quello inferiore, di rame, contiene solo pochi metalli nobili, che invece si concentrano nello strato superiore, di nichel, dal quale si separeranno poi nella raffinazione elettrolitica del metallo sotto forma di fanghiglia all'anodo. Più difficili da lavorare i minerali contenenti cromo, come quelli dei giacimenti del Sudafrica denominati UG2. Quando il nichel grezzo viene raffinato per trattamento con ossido di carbonio (sistema Mond), il metallo, volatilizzandosi, lascia un residuo contenente i metalli nobili; questi possono essere ulteriormente concentrati per fusione con metalli nei quali presentano elevata solubilità allo stato fuso e dai quali poi si separano solubilizzando il metallo con acidi.

Problema complesso è separare i singoli metalli del gruppo del p., perché la composizione dei concentrati non è sempre uguale, variando in funzione soprattutto del minerale d'origine e anche del sistema di trattamento seguito nella lavorazione dei minerali medesimi.

Tutti i sistemi di frazionamento dei metalli del gruppo del p. partono da soluzioni contenenti i metalli da separare; i metodi usati utilizzano non un solo sistema, ma combinazioni diverse dei vari metodi: distillazione, precipitazione, cristallizzazione, estrazione con solventi, ecc. Ma già nella preparazione della soluzione di partenza si può realizzare un certo frazionamento dei vari elementi usando solventi di diversa natura e polarità, o mutandone le solubilità reciproche (per es. modificando la temperatura, il pH, la valenza, od operando con l'aggiunta di ioni comuni, ecc.).

I principali sistemi adottati in passato consistevano nell'usare solventi capaci di solubilizzare solo alcuni componenti; si aggiungevano poi alle soluzioni diversi reattivi precipitanti, selettivi, usati uno di seguito all'altro in modo da ottenere dalla soluzione alcuni dei metalli sotto forma di precipitati, separati, dai quali poi ricavare i singoli elementi; il residuo rimasto dal trattamento iniziale di solubilizzazione veniva quindi fuso con piombo; la lega formatasi, sciolta in acido nitrico, asportava tutto il piombo e lasciava indisciolti alcuni metalli che poi si potevano frazionare ripetendo l'operazione di fusione, ma con altri reattivi chimici (soda, potassa, ecc.), sciogliendo in acqua la massa fusa dopo raffreddamento. Sistemi di questo tipo richiedevano molte operazioni, creavano forti quantitativi di liquidi di scarico da smaltire, e consentivano scarsi recuperi dei singoli metalli, con gradi di purezza non sempre sufficienti, così da richiedere ulteriori trattamenti di purificazione.

I sistemi più recenti seguono metodi più selettivi, che richiedono meno operazioni, che residuano minori quantità di liquidi da smaltire; fra questi, il ricorso a precipitanti organici specifici per i singoli metalli, sistemi di separazione basati sull'impiego di resine a scambio ionico, la formazione per alcuni metalli di composti facilmente sublimabili o distillabili. Un sistema applicato recentemente (1983) a Rayton, dalla Matthey, si basa sull'estrazione liquido-liquido: la soluzione dei materiali da separare viene trattata con una successione di liquidi organici, insolubili in acqua, ciascuno dei quali è in grado di estrarre selettivamente soltanto uno dei metalli presenti. Questo sistema risulta adatto per soluzioni concentrate quali quelle che si ottengono dai residui dell'attacco della metallina rame-nichel, nonché per soluzioni che si hanno nei sistemi di recupero del p. (o di altri metalli del gruppo) che vengono usati come catalizzatori, o anche da altri residui.

La possibilità di separare i diversi metalli dipende dalla composizione della soluzione da trattare, dalle concentrazioni relative dei singoli componenti, dalle caratteristiche dei solventi prescelti, dal loro meccanismo d'azione (formazione di complessi, di coppie ioniche, ecc.), dagli additivi che si aggiungono, dalla diversa successione seguita nella separazione dei vari componenti. Per effettuare le varie operazioni di estrazione si possono usare apparecchi del tipo mixer-settler (v. estrazione, App. III, i, p. 575), o torri a riempimento, a pulsazione, ecc. Quelli del primo tipo sono più adatti perché affiancandone parecchi in serie si possono realizzare operazioni in continuo con efficienza d'estrazione e gradi di separazione elevati. Il sistema offre notevoli vantaggi rispetto ai precedenti: riduzione degli effluenti liquidi da scaricare, maggiore flessibilità, rese più elevate ottenibili, più facile automatizzazione del sistema.

Recupero del platino. − Parte del p. (e metalli del gruppo) impiegato in varie applicazioni può essere recuperata dopo l'uso, però l'operazione non è sempre facile perché il metallo si ritrova in forma diluita, accompagnato dai materiali usati come supporti o inquinato da quelli trattenuti durante l'impiego, o anche da prodotti d'alterazione.

Le reti usate nella fabbricazione dell'acido nitrico (v. XXIV, p. 847), in funzionamento normale, vanno ripristinate mediamente dopo 12÷18 mesi; oltre a una perdita d'attività presentano anche una perdita di peso per la formazione di ossido che volatilizza, perdita che è dell'ordine di 0,2÷0,3 g di p. per t di ammoniaca ossidata (tale valore può raddoppiarsi, o anche triplicarsi, nel caso in cui la reazione venga condotta sotto pressione invece che a pressione atmosferica). Oggi si cerca in molti casi di recuperare, almeno in parte, il p. che sfugge in questi impianti, facendo passare i gas attraverso reti di oro e palladio che riescono a trattenere parte del p. trasportato.

I catalizzatori usati nell'industria petrolifera (per il reforming, per l'idroforming, l'idrocraking) perdono la loro efficacia se avvelenati da impurezze e vanno periodicamente rigenerati o rinnovati. Il recupero del p. da questi materiali comporta problemi più o meno complessi, a seconda delle sostanze da allontanare. Così, nel caso dei catalizzatori ricoperti di sostanze organiche, queste possono venir bruciate, purché si eviti di usare troppo ossigeno o temperature troppo elevate che favoriscono perdite di metallo. In molti catalizzatori il p. si trova distribuito su supporti (allumina, ecc.) che possono essere solubilizzati per es. con acidi, ottenendo, dopo filtrazione della soluzione, un residuo contenente il p. e gli altri eventuali metalli del gruppo; questo residuo può essere poi solubilizzato e frazionato con i sistemi già ricordati.

Ancor più importante, dato il crescente impiego di p., palladio e rodio in questa applicazione, è il recupero dalle marmitte catalitiche, il cui uso (v. oltre) è destinato, secondo le previsioni, a crescere in maniera notevole nei prossimi anni. La quantità di p. che attualmente si recupera dalle marmitte catalitiche tuttavia è solo una modesta parte di quello impiegato nella loro preparazione. Ciò dipende innanzitutto dall'attuale sfasamento fra l'introduzione del dispositivo e il suo invio a rottame, e dalla diffusione delle marmitte, ancora recente e piuttosto scarsa in Europa: dalla tab. 2 risulta che nel 1993 il recupero del p. dalle auto in demolizione è stato di 8,7 t, per il 70% in USA (di poco superiore al valore del 1991, a causa del minor numero di macchine destinate alla demolizione). Gli USA sono fortemente interessati a questo recupero, poiché, disponendo di una produzione molto limitata, cercano di riavere o di recuperare in questo modo parte del p. che sono costretti ad acquistare annualmente all'estero.

La tecnologia di questo recupero, resa difficile dalla bassa percentuale del metallo nobile presente e dalle impurezze (piombo, sostanze organiche catramose) non è ancora consolidata; sono stati proposti diversi sistemi che però portano tutti, finora, a recuperi parziali. Questi sistemi si basano essenzialmente sulla solubilizzazione dei metalli nobili realizzata con acidi concentrati, o meglio con loro miscele (per es. acido cloridrico e nitrico), o con cloro gassoso, con aggiunta anche di additivi diversi, trattando ripetutamente i manufatti monolitici ceramici, preventivamente frantumati e macinati, con i liquidi che attraversano il materiale disposto in strati fissi o in letti fluidizzati. Dalle soluzioni ottenute il p. o gli altri metalli nobili si estraggono poi con sistemi analoghi a quelli già ricordati.

Produzione e commercio. − I primi giacimenti importanti a essere sfruttati sono stati quelli alluvionali degli Urali; negli anni precedenti la prima guerra mondiale il p. ricavato da essi veniva raffinato in Europa (Gran Bretagna); nel 1913 i Russi imposero una tassa del 30% sul p. esportato; subito dopo lo scoppio della guerra l'esportazione venne proibita e con le successive nazionalizzazioni operate dal nuovo governo la lavorazione del minerale venne effettuata all'interno del paese, ma la produzione diminuì fortemente, tanto che la scarsa disponibilità di p. causò difficoltà, fra l'altro, nella produzione di acido solforico, la quale, fatta col processo Tentelew (v. solforico, acido, XXXII, p. 71), richiedeva p. come catalizzatore; nel 1918 fu creato l'Istituto per il p. e per i metalli nobili, che in breve conquistò notevole importanza per le ricerche sulla raffinazione (applicate nella raffineria di Sverdlovsk) e sulla chimica dei composti del p., specie quelli di coordinazione. Nel 1925-27 l'URSS vendette in Europa gran parte della produzione di p. raffinato; successivamente stabilì a Berlino una propria compagnia per il collocamento del metallo.

A fianco di quelle sui depositi di p. alluvionale, altre ricerche furono condotte sui giacimenti primari che erano stati individuati anni prima in Siberia, durante le ricerche di depositi di carbone; era stato scoperto un vasto giacimento di solfuri di nichel e rame, che risultarono contenere anche platino. Nel 1935 fu costituita la Noril'sk Mining and Metallurgical Combine, che organizzò le ricerche. Nel minerale studiato, come già detto, è presente più palladio che p., a differenza di quanto si ha nei minerali degli Urali. Il minerale veniva lavorato con un procedimento studiato nel frattempo in Sudafrica; tale procedimento consisteva nel sottoporre a fusione il minerale per formare una metallina Ni-Cu dalla quale poi i due metalli venivano separati e raffinati elettroliticamente; nei fanghi anodici si accumulavano i metalli del gruppo del p. che erano poi recuperati e depurati in una raffineria a Krasnojarsk.

In questi ultimi anni l'estrazione dalle zone più superficiali dei giacimenti russi ha presentato andamento gradualmente decrescente a causa dell'impoverimento in metalli nobili presentato dai giacimenti. Per realizzare sistemi di estrazione in profondità (dove peraltro non è certo che i minerali contengano tenori più elevati in metalli nobili) occorrono investimenti elevati e attualmente non privi di rischi, data la corrente situazione politico-economica e date anche le agitazioni verificatesi fra i lavoratori del settore e le limitazioni che potrebbero essere imposte dalla necessità di ridurre l'inquinamento atmosferico prodotto dai gas di scarico degli impianti di lavorazione.

La produzione di p. realizzata in URSS è stata la maggiore del mondo finché non si sono sfruttati i giacimenti del Sudafrica. Al 1923-24 risalgono le prime notizie sull'esistenza di giacimenti di p. in Sudafrica, che furono studiati da un geologo di grande capacità, H. Merensky, il quale ne individuò uno di forma ovale dell'estensione di circa 15.000 miglia quadrate. La scoperta determinò una corsa alla ricerca, e furono costituite diverse società. Il minerale era di tipo diverso da quelli fino allora sfruttati: i metalli del gruppo del p. erano associati a solfuri di ferro, nichel, rame, per i quali si richiedeva una tecnologia diversa di lavorazione. In breve furono messi a punto processi di concentrazione dei minerali per flottazione; i concentrati erano poi fusi in forni a tino, formando una metallina Ni-Cu dalla quale, una volta separati i due metalli, risultava un residuo contenente i metalli del gruppo del p., che si poteva frazionare e raffinare con sistemi analoghi a quelli usati nel caso dei minerali alluvionali.

Merensky identificò un primo giacimento a nord di Lydenburg, un altro a nord-ovest, nella zona di Potgiertersrust, poi un altro più lontano, a Rustenburg, che si dimostrò il più ricco e diede nome alla società di sfruttamento costituita a 90 km circa da Pretoria; tali giacimenti si trovano tutti nel complesso vulcanico di Bushveld. Questi ritrovamenti richiamarono varie società di ricerca mineraria, molte delle quali però scomparvero quasi subito; ne rimase una importante (Waterval Platinum), che nel 1931 si fuse con la ricordata Rustenburg. Questi erano gli anni della grande depressione economica e l'impresa attraversò una fase d'arresto, ma nel 1933 le miniere di Rustenburg fornirono i primi quantitativi di minerale inviati per la lavorazione a un impianto a nord di Londra. Prima della guerra la quantità di p. prodotta non arrivava alle 8 t/anno, ma già durante la guerra salì a 12,5 t, e venne costruito un forno di fusione a Rustenburg. Nel 1955, a seguito di un forte aumento della richiesta di p. dovuta all'impiego negli impianti di reforming delle benzine, la produzione arrivò a 62 t, che diventarono poi quasi 78 nel 1980, per arrivare alle 85÷86 t di questi ultimi anni. Nel 1972 la Rustenburg si è associata alla Matthey, specializzata nella raffinazione; l'impianto di Rustenburg ha continuato a produrre la metallina, a separare e raffinare nichel e rame producendo un concentrato contenente circa il 50% di metalli del gruppo del p., poi separati e purificati in due impianti, uno a Rayston, in Inghilterra, e l'altro a Wadeville, presso Johannesburg.

In questi ultimi anni la richiesta dei minerali del gruppo del p., dovuta specialmente al diffondersi delle marmitte catalitiche e ai consumi nel settore della gioielleria, ha favorito il crescere o l'espandersi di iniziative di estrazione e lavorazione di minerali, quali la Impala Platinum, la Western Platinum (sussidiaria della Lonrho e Falconbridge), la Anglovaal (con la sussidiaria Atok), ecc. La loro entrata in piena produzione, prevista intorno al 1992-93, è stata posticipata di qualche anno, prevalentemente a causa delle forti diminuzioni di prezzo dei metalli del gruppo del p. verificatesi a partire dalla metà circa del 1990, che hanno creato difficoltà ai finanziamenti delle imprese. Dopo alcuni anni di preparazione, nel 1993 la Johannesburg Consolidated Investments (JCI) ha messo in esercizio un'importante miniera a cielo aperto a nord-ovest della città di Potgiertersrust, nel Transvaal settentrionale (che ha una riserva di minerale valutata in circa 88 milioni di t); l'estrazione di minerale è dell'ordine delle 200.000 t/mese, con una produzione di p. e palladio di circa 5 t/anno (per ciascuno) e di rodio di 0,4 t.

Oltre che in Russia e in Sudafrica, il p. e i metalli del suo gruppo sono estratti, in quantità notevolmente minore, in altri paesi, fra i quali il Canada, mentre altrove (Australia, Zimbabwe, Botswana) sono in atto ricerche che lasciano intravvedere buone prospettive.

In Canada già nel 1888 fu scoperto un importante giacimento di minerali di rame e nichel che risultarono contenere metalli del gruppo del p. nella misura di circa 0,8 g/t di minerale. Nel frattempo L. Mond, che aveva trovato la maniera di estrarre il nichel dai minerali trattandoli con ossido di carbonio (v. nichelio, XXIV, p. 776), ebbe concessioni nella zona di Sudbury dove costruì un forno per trattare il minerale, ottenendo una metallina che mandava a lavorare in Inghilterra. Nel 1902 Mond si pose il problema di recuperare dai residui della raffinazione i metalli del gruppo del p., compito che inizialmente affidò alla ditta Matthey; ma verso il 1919 installò a Southwark, oltre il ponte di Londra, un impianto di piccole dimensioni, che ben presto si dimostrò insufficiente e fu seguito da un secondo di maggiori capacità, ad Acton. Dai fanghi venivano estratti p. e palladio (presente nei minerali in quantità più che doppia rispetto al platino). Nel 1929 la Mond Nichel Co. si fuse con la International Nichel Co.; ebbe così origine la Inco, che poteva sfruttare un nuovo giacimento più ricco di minerali di rame e nichel e di metalli del gruppo del p., divenendo il maggior produttore, oltre che di nichel, anche di p. e di metalli del suo gruppo (forniva circa l'80% della produzione canadese di questi metalli nobili). Alla Inco più recentemente si è affiancata la Falconbridge, che sfrutta minerali dello stesso comprensorio e fa estrarre e raffinare nichel e p. in Norvegia. La discesa dei prezzi del nichel verificatasi in questi ultimi anni ne ha fatto diminuire fortemente la produzione e quindi il recupero dei metalli nobili. Alcune nuove iniziative, che contavano di entrare in esercizio in questi ultimi anni, sono state bloccate, oltre che dalla crisi del nichel, anche dalla difficoltà di ottenere i permessi, a causa delle restrizioni antinquinamento (è il caso delle miniere dell'Ontario, a cielo aperto, per le quali il governo ritarda le autorizzazioni).

Intorno al 1930 gli USA ricavarono p. da giacimenti rinvenuti in Alasca; in un primo tempo (1927-33), con i sistemi manuali, un centinaio di kg; a partire dal 1934 la produzione di metallo aumentò fino a circa una t/anno (1938), ma in seguito prese a diminuire, fino a ridursi a una media di circa 0,5 t per stagione (da maggio a ottobre). I giacimenti furono successivamente abbandonati: la convenienza della lavorazione diveniva sempre meno interessante perché la concentrazione del metallo andava decrescendo. Il p. estratto conteneva una percentuale di indio variabile, ma sempre piuttosto elevata.

Altre ricerche condotte negli USA hanno portato alla valorizzazione della miniera di Stillwater, nel Montana; nel 1990 essa ha raggiunto la capacità massima di lavorazione consentita dalle autorità per ragioni legate a problemi di protezione ambientale: 1000 t/giorno, corrispondenti all'incirca a 1,5 t/anno di p. e 3÷4 volte di più di palladio. Le vicende recenti del giacimento hanno conosciuto fasi alterne, e l'estrazione di minerale, che era stata di 334.000 t nel 1991, è risultata di sole 310.000 t nel 1992; attualmente è allo studio la ricerca di sistemi più economici di estrazione del minerale.

Nello Zimbabwe sono stati individuati, nella zona di Great Dyke, giacimenti di solfuri di rame-nichel contenenti anche oro e metalli del gruppo del p., capaci di fornire 2 milioni di t di minerale/anno. A seguito delle favorevoli campionature effettuate nel 1992, sono allo studio progetti di sfruttamento, ma il governo appare incerto sulle normative da applicare agli investitori stranieri. Attività di ricerca sono in corso in alcuni altri paesi dell'Africa e anche in Australia, Brasile, India, Arabia Saudita, ecc.

Le riserve di minerali sfruttabili accertate dalle ricerche condotte nelle varie zone assommerebbero a circa 70.000 t di metalli del gruppo (valore superiore a quello di precedenti stime); di esse 60.000 sarebbero presenti nel comprensorio di Bushveld.

Nell'ultimo decennio la produzione di p. (tab. 3) è salita gradualmente, passando dalle 77,1 t del 1983 alle 130,9 t del 1993; essa proviene per il 65÷75% dal Sudafrica, per il 20÷30% dalla ex URSS, per il 5÷5,5% dal Nordamerica e per il rimanente 2÷3% dagli altri paesi. I giacimenti primari del Sudafrica sono quelli che danno la maggior produzione; le zone più attive sono quelle di Lonrho, Impala, Lebowa, Rustenburg; l'estrazione del minerale ha subito forti variazioni sia per le agitazioni delle masse operaie sia per la chiusura di pozzi d'estrazione divenuti antieconomici (sono stati sostituiti da altri che arrivano a profondità maggiori e sono via via dotati di moderni sistemi meccanizzati). L'estrazione è stata anche condizionata dalle forti oscillazioni di prezzo del p. verificatesi in questi ultimi anni, mentre i costi di produzione sono aumentati e molte miniere si sono trovate in difficoltà per i debiti contratti per i forti investimenti richiesti dai programmi d'espansione. Attualmente alcuni pozzi, nella zona di Rustenburg, si spingono fino a 950 m e altri anche a 1250.

Il mercato ha risentito anche in maniera notevole delle forti vendite di p. effettuate in questi ultimi anni dalla Russia, come risulta dalla tab. 3. Nel 1991 la Russia ha spedito a Zurigo una forte quantità di metalli del p. (circa 21 t nei primi 8 mesi) che però non sono stati messi sul mercato. In Russia p. e palladio provengono per la maggior parte dalla lavorazione dei giacimenti di solfuri di rame e nichel della Siberia settentrionale (complesso di Noril'sk Talnakh); c'è tuttavia da rilevare che gli strati prossimi alla superficie sono attualmente in via di esaurimento e che la lavorazione di altre zone richiede forti investimenti per adottare sistemi d'estrazione in profondità.

In questi ultimi anni il prezzo del p. ha subito forti oscillazioni: nel 1985-86 è cresciuto costantemente, poi ha presentato due diminuzioni, agli inizi del 1987 e del 1988, seguite da una pronta ripresa; a partire dalla seconda metà del 1989 è iniziata una graduale discesa continuata fin verso la fine del 1991, che ha portato il prezzo da 600 dollari/oncia del 1986-87 a 525 agli inizi del 1989, a 350 alla fine del 1991, per risalire poi lentamente a 375÷400 verso la metà del 1993. Il prezzo del palladio ha seguito un andamento pressoché analogo; però dopo il minimo raggiunto nel secondo semestre del 1991 e nel primo del 1992 la ripresa è stata più marcata e più rapida, forse per l'accresciuto impiego nelle marmitte catalitiche. Dal massimo raggiunto a metà del 1989 (170 dollari/oncia) è sceso a 90 circa nel 1991-92 per risalire a 140 circa verso la metà del 1993. Il prezzo del rodio, salito fortemente durante tutto il 1990, ha preso a scendere arrivando a un minimo verso la metà del 1993 (da 5000 dollari/oncia a circa 1000, rimanendo a questo valore per alcuni mesi).

Impieghi. − Il maggior consumo dei principali metalli del gruppo del p. (p., palladio, rodio) si ha nella preparazione di filtri catalitici, o marmitte catalitiche, usate per ridurre la percentuale di inquinanti presenti nei gas di scarico delle auto. Questa riduzione si può effettuare con l'uso di post-combustori (o reattori termici), o mediante ricircolazione di parte dei gas di scarico, o con reattori catalitici. I primi due sistemi, che possono anche essere inseriti insieme, riescono a ridurre gli inquinanti, a spese però di un maggior consumo di carburante e di una minore efficienza dei motori.

Verso il 1975, a seguito delle maggiori restrizioni imposte ai limiti di inquinanti nei gas di scarico, non essendo più possibile rispettarli con i sistemi in uso sopra citati, fu decisa l'adozione di reattori catalitici contenenti p. come catalizzatore; questo fu, dopo breve tempo, addizionato di un promotore costituito da palladio e/o rodio.

Queste marmitte catalitiche (v. autoveicolo, in questa Appendice) riducevano il tenore di ossido di carbonio e di idrocarburi incombusti, ma avevano poca influenza sulla riduzione degli ossidi d'azoto, componenti ai quali al momento si attribuiva poca importanza. Sono formate da un involucro metallico, simile ai silenziatori delle auto, contenente un blocco di materiale ceramico con sottili canali longitudinali rivestiti di allumina sulla quale si deposita il metallo nobile; se ne hanno tipi contenenti al posto del blocco ceramico una massa di granuli ceramici rivestiti degli stessi materiali presenti nei canali longitudinali. I metalli nobili hanno la funzione di facilitare l'ossidazione dell'ossido di carbonio e degli idrocarburi incombusti trasformandoli in anidride carbonica e vapor d'acqua; la riduzione degli inquinanti può raggiungere l'80÷90% (a seconda delle condizioni di esercizio). Oltre alla riduzione diretta degli inquinanti sopra indicati, l'uso di queste marmitte ha comportato altri benefici: l'eliminazione del piombo come antidetonante delle benzine (la sua presenza nei gas di scarico avvelenerebbe rapidamente il catalizzatore) e la riduzione dei composti solforati che danneggerebbero nella stessa maniera il catalizzatore; l'uso di benzina più ''pura'' ha contribuito a realizzare gas di scarico meno inquinanti. L'adozione di questi dispositivi catalitici si è sviluppata e diffusa in USA e poi più lentamente, e con un certo ritardo, in Giappone e in Europa, come si può dedurre dalla tab. 2.

A seguito delle normative più restrittive imposte negli anni successivi si è posto il problema di ridurre anche il contenuto di ossidi d'azoto nei gas di scarico sui quali le prime marmitte catalitiche, ad azione ossidante, non esercitavano pressoché alcun'azione. Occorreva applicare un procedimento capace di ridurre gli ossidi ad azoto elementare, proprietà posseduta in maniera spiccata dal rodio. Si sono così sviluppate le marmitte dette ''a tre vie'', nelle quali si utilizzano tre metalli nobili: p., palladio e rodio.

In questo caso i gas di scarico prima attraversano un catalizzatore a base di rodio e p., a contatto del quale si facilitano reazioni del tipo 2CO+2NO→ 2CO2 e CxHy+(x+y/2) NO→x CO2+y H2O+y N2 (percentuali più elevate di rodio nel p. riducono la possibilità che si effettuino trasformazioni degli ossidi d'azoto in ammoniaca), e poi un catalizzatore (p.-palladio) che facilita trasformazioni ossidanti, in modo che le rimanenti quantità di ossido di carbonio e di idrocarburi incombusti (quelle che non si sono trasformate a contatto del catalizzatore a base di rodio) possano ossidarsi per dare anidride carbonica e acqua. I tre catalizzatori possono essere disposti opportunamente in un'unica marmitta oppure si possono utilizzare due marmitte in serie, la prima contenente p.-rodio, la seconda p. o/e palladio.

L'adozione delle marmitte a tre vie che effettuano l'abbattimento anche degli ossidi d'azoto ha concorso a migliorare il controllo delle emissioni di gas di scarico e l'efficienza delle macchine. Infatti, perché la riduzione degli ossidi d'azoto possa bene effettuarsi, occorre evitare un eccesso di ossigeno, e quindi bisogna che la combustione avvenga con un rapporto aria/carburante per quanto possibile prossimo allo stechiometrico. Si è dovuto perciò sviluppare e inserire un sistema elettronico che controlla la composizione dei gas di scarico e utilizza le informazioni per regolare al carburatore l'alimentazione dell'aria e del carburante. Per ridurre i controlli e le sostituzioni delle marmitte una recente disposizione (1990) negli Stati Uniti prescrive che le case costruttrici di auto montino nelle macchine di nuova fabbricazione marmitte che conservino la loro efficacia almeno per 10 anni o per una percorrenza non inferiore alle 100.000 miglia. Ciò comporterà un impiego di metalli del gruppo del p. superiore di circa il 25% all'attuale, calcolato in circa 2 g per ogni marmitta.

Le variazioni annuali di consumo di p. per la produzione di marmitte catalitiche, rilevabili dalla tab. 2, sono dovute a crisi di produzione e immatricolazione di nuove auto, fenomeno che non si è verificato nella stessa misura e nello stesso periodo nei vari paesi. In Europa, nonostante la contrazione verificatasi negli ultimi anni nella vendita delle auto, il consumo di p. nelle marmitte è cresciuto a causa delle maggiori restrizioni imposte alla presenza di inquinanti negli scarichi; mentre nel 1992 si calcolava che solo il 60% delle auto di nuova costruzione fosse munito di marmitta catalitica, nel 1993 quasi tutte le nuove auto sono state fornite di tale dispositivo; l'impiego di p. per queste marmitte è cresciuto di 1,55 t. In Giappone sono diminuite le esportazioni di auto verso l'Europa e verso gli USA, sfavorite anche dal valore dello yen che le rende meno competitive; le esportazioni si sono intensificate verso altri mercati (Asia, Africa, America del Sud) in molti dei quali le normative antinquinamento non ci sono o sono meno restrittive. Ciò ha portato a una minore richiesta di p. da parte del Giappone per questo settore d'impiego. In USA la situazione è diversa: è cresciuta la produzione di auto di minore cilindrata e aumentano sempre le restrizioni imposte ai gas di scarico; è stabilito che nel 1994 tutte le auto debbono ridurre del 40% le emissioni di idrocarburi e di ossidi d'azoto, che nel 1995 tale riduzione deve raggiungere l'80%, per divenire pressoché totale nel 1996. Ciò porta fin da ora a fornire le auto di marmitte catalitiche, contenenti anche maggiore quantità di metalli nobili per riuscire a realizzare le riduzioni di inquinanti sopra indicate. Altri paesi cominciano a porre restrizioni alle emissioni inquinanti da auto e quindi si fa strada l'adozione di marmitte catalitiche, come indicano i crescenti consumi di platino. Alle auto con motori diesel non sono imposte restrizioni, però, in previsione di normative sugli scarichi, in alcuni paesi le auto di nuova costruzione cominciano a essere munite di dispositivi antinquinamento.

L'oreficeria rappresenta il secondo impiego di p. e ne assorbe all'incirca la stessa quantità delle marmitte catalitiche. Il paese maggior consumatore del settore è il Giappone, che utilizza nell'oreficeria quasi il 70% del totale del p. usato. Nonostante l'indebolimento dell'economia verificatosi in questi ultimi tempi nel paese, la domanda di p. da parte dei gioiellieri è cresciuta nel 1993 raggiungendo le 41,7 t. Si è verificato un aumento della richiesta del numero degli oggetti di minor costo, preferibilmente inferiore ai 2,5 milioni di lire, che è cresciuto nella misura del 31% raggiungendo il 68% del totale venduto in tutto l'anno. Le importazioni giapponesi di gioielli in p. hanno raggiunto nel 1992 1,77 t di p., la cui provenienza è per il 42% dalla Thailandia, per il 26% da Hong Kong, per il 10% dalla Francia e altrettanto dagli USA. In Europa l'impiego di p. in gioielleria assorbe appena 2,5 t/anno di metallo, e così pure in USA; anche in questi paesi però si va diffondendo l'uso di fedi matrimoniali e la produzione di piccoli oggetti in platino. Un altro settore d'impiego del p. che sta crescendo rapidamente è quello riguardante la produzione di orologi in Svizzera. Per far fronte alla pressante concorrenza giapponese, alcune delle più prestigiose marche hanno pensato d'introdurre sul mercato orologi in p. molto raffinati, impreziositi con rivestimenti in oro, di particolari caratteristiche estetiche, ottenendo oggetti di prestigio e di prezzo elevato.

Verso la fine degli anni Ottanta l'esportazione di questi orologi in Europa, in Giappone, in USA prese a salire rapidamente; nel frattempo, verificandosi la caduta del prezzo del p. (1984-85), alcuni produttori pensarono di sostituire questo metallo all'oro creando oggetti dall'elevato valore aggiunto che trovarono largo apprezzamento: la produzione passò dalle 1200 unità del 1987 a 4840 nel 1990, a 10.600 nel 1992. Il prezzo medio degli orologi in p. esportati nel 1992 è risultato di 9650 franchi svizzeri (mentre il prezzo medio di quelli in oro è stato di circa la metà: 4170 franchi svizzeri). Attualmente sono oltre una cinquantina le ditte produttrici; il 18% dell'esportazione è andato a Hong Kong, il 12% in Giappone, il 30÷35% è stato assorbito in parti quasi uguali da Italia, Germania, USA, Francia, e il 10÷12% circa (in parti uguali) da Singapore, Arabia Saudita, Qaṭar.

Il p. viene anche usato come bene d'investimento, sotto forma di lingotti, di monete, ecc.; quest'impiego è stato favorito negli ultimi anni dalla diminuzione del prezzo del metallo, che si è avvicinato a quello dell'oro (alla fine del 1991 i prezzi dei due metalli erano all'incirca uguali; in alcuni brevi periodi quello del p. è sceso, di poco, al disotto di quello dell'oro, mentre fra il 1984 e il 1985 la discesa fu più forte e si prolungò per diversi mesi).

L'impiego del p. nell'industria chimica ha avuto in quest'ultimo decennio andamento in gran parte discendente, in conseguenza della crisi mondiale del settore; solo negli ultimi anni si è avuta una leggera ripresa (7,46 t nel 1991; 6,68 t nel 1992). L'industria chimica usa il p. come catalizzatore: metà del consumo è assorbita dalle reti usate nella produzione di acido nitrico, col quale poi si preparano fertilizzanti, esplosivi, coloranti, tutte produzioni che comunque hanno subito riduzioni; l'altra metà è assorbita, sempre impiegando il p. come catalizzatore, ma in forme diverse, nella preparazione di isobutilene (per deidrogenazione del butano), usato nella produzione di metilterbutiletere, di alchilbenzene lineare impiegato nella produzione di detergenti, di siliconi, ecc.

L'industria elettrica e quella elettronica consumano insieme all'incirca 5 t/anno di p. che viene usato (in lega con rodio) per termocoppie e più ancora nella preparazione di dispositivi elettronici sotto forma prevalentemente di film sottili depositati per sputtering su silicio. Un impiego attualmente solo agli inizi, ma suscettibile di sviluppo nel prossimo futuro, si ha nelle celle a combustibile che convertono l'energia chimica (della reazione fra ossigeno e idrogeno) direttamente in energia elettrica (v. pile a combustibile, in questa Appendice).

Anche nell'industria petrolifera i consumi di p. si sono ridotti notevolmente nell'ultimo decennio, passando dalle 4,04 t del 1980 alle 1,55 t del 1988; negli ultimi anni però c'è stata una risalita a 4,66 t nel 1991 e 3,73 t nel 1992. Le variazioni sono dovute alla diminuzione di consumo di p. negli impianti di reforming catalitico per la produzione di benzine ad alto numero di ottano a seguito dell'impiego di composti ossigenati (v. metilterbutiletere, in questa Appendice); la crescita degli ultimi anni è dovuta alla installazione di nuovi impianti nel Sud-Est asiatico e nell'America latina.

Fra gli impieghi diversi, non compresi fra quelli sopra citati, vanno ricordati: l'abbattimento mediante impianti fissi degli ossidi d'azoto presenti nei gas di scarico di industrie; il rivestimento con p. dell'elettrodo nelle candele per auto, che assicura una maggiore durata e una migliore efficienza; la produzione di sensori dell'ossigeno, introdotti a bordo delle auto per il controllo della combustione del carburante; la diffusione in apparecchiature biomediche: per es. i pacemakers a più lunga vita, alimentati con l'isotopo 238 del plutonio, vengono incapsulati in p. sia per impedire la fuoriuscita dell'isotopo sia per trattenere l'elio che si sviluppa nella disintegrazione.

Gli altri metalli del gruppo del platino. − Palladio (v. XXVI, p. 116). − Come risulta dalla tab. 1, il palladio è fra gli elementi del gruppo quello presente in maggior quantità nei minerali: in alcuni (quelli del Sudafrica) la sua presenza è inferiore a quella del p., ma in altri (quelli della ex URSS e degli USA) è notevolmente superiore. Il quantitativo di palladio prodotto e commerciato corrisponde all'incirca a quello del p.; circa una metà proviene dai minerali del Sudafrica, e l'altra metà da quelli ex sovietici e statunitensi (tab. 4).

Gli impieghi maggiori si hanno nel campo odontotecnico e in quello elettrotecnico-elettronico; nel primo il metallo e le sue leghe sono preferite per il più basso costo rispetto a oro e p., ma quest'impiego è soggetto a variazioni dovute ai contributi per protesi riconosciuti agli assistiti da parte di enti sanitari e assicurativi, differenti nei vari paesi. L'industria elettrica impiega il metallo nella preparazione di condensatori ceramici, multistrato (anche in lega con l'argento); in elettronica, oltre che nei condensatori, si usa nei circuiti integrati ibridi per la produzione di tracce conduttrici, e per rivestire le estremità di conduttori onde ridurne l'ossidazione nei dispositivi di collegamento. Un consumo in forte crescita si ha nelle marmitte catalitiche, dove il palladio si dimostra miglior controllore delle emissioni di idrocarburi incombusti nelle auto all'atto della loro messa in marcia e nei climi freddi; però il palladio è più sensibile all'azione di impurezze contenute nella benzina, in particolare composti solforati e del piombo, perciò è utilizzabile nei paesi dove si dispone di benzina più ''pura'' e dove le norme antinquinamento sono più restrittive. E infatti, mentre in USA il 30% del palladio consumato finisce nelle marmitte catalitiche, in Europa e in Giappone tale consumo ne assorbe appena il 5-6%. Per meglio sfruttare le caratteristiche dei vari metalli nel controllo delle emissioni s'impiegano le marmitte a tre vie che utilizzano tre metalli (palladio, p., rodio), sfruttando in tal modo al meglio le caratteristiche specifiche di ognuno di essi. Nell'industria chimica il palladio s'impiega come catalizzatore (preparazione di acqua ossigenata, carbonati e ossalati dialchilici, ecc.), per trattenere idrogeno e per captare le particelle di p. che sfuggono dalle reti usate per l'ossidazione dell'ammoniaca, come si è già detto.

Rodio (v. XXIX, p. 564). − È presente nei minerali del p. in misura del 5÷6%. La produzione (dell'ordine del 10% di quella del p. o del palladio) proviene per la maggior parte dal Sudafrica dove sono stati introdotti efficienti sistemi di recupero; il rimanente è quasi tutto di provenienza dall'ex URSS. Il prezzo del rodio è molto più elevato di quello del p. (circa 2÷2,5 volte). I consumi di rodio di questi ultimi anni sono dell'ordine delle 10 t/anno (tab. 5); l'aumento dei consumi è dovuto all'impiego che è stato fatto del rodio nelle marmitte catalitiche a seguito delle restrizioni relative ai limiti imposti alle emissioni di ossidi d'azoto negli scarichi delle auto. In quest'impiego infatti il consumo è passato dai 4185 kg del 1985 ai circa 11.000 del 1993. Il rimanente del consumo è dovuto alla formazione di leghe (la più importante è quella in abbinamento col p., utilizzata per le termocoppie) e all'uso come catalizzatore in alcuni processi chimici (produzione di acido acetico, processi di carbonilazione, ossidazione dell'ammoniaca, in lega col p., ecc).

Rutenio (v. XXX, p. 351). − La produzione di rutenio dai minerali del Sudafrica è attualmente superiore ai consumi; la richiesta del mercato nel 1992 è stata limitata infatti a circa 5450 kg. Il consumo è legato essenzialmente all'industria elettrochimica ed elettronica. Trova impiego nel rivestimento di anodi per celle a membrana per produzione di cloro (v. in questa Appendice); questo nuovo impiego tende tuttavia a diminuire per le restrizioni poste all'uso del cloro per i pericoli d'inquinamento. La Cina, dove le restrizioni antinquinamento sono minori ed è in sviluppo una produzione di cloro-soda, nel 1992 ne ha consumato da sola circa 800 kg.

Iridio (v. XIX, p. 543). − Ha una richiesta molto limitata (appena 8÷9 kg/anno); i suoi impieghi, che richiedono singolarmente quantità limitate, sfruttano le sue eccezionali caratteristiche di alta temperatura di fusione, di resistenza alla corrosione, di fronte agli acidi, ai metalli fusi, ecc. Così in lega con il rodio si usa per termocoppie che consentono misure di temperatura di circa 2000 °C, superiori a quelle misurabili con termocoppie p.-rodio. Per la sua durezza e inossidabilità ha trovato impiego nella preparazione della punta delle penne stilografiche. Per fornire ai satelliti artificiali lanciati nell'atmosfera una fonte indipendente, sicura, di energia elettrica sono stati montati generatori a radioisotopi: il combustibile, sotto forma di sferette, era rivestito di iridio per le sue caratteristiche meccaniche e termiche. Si usa per crogioli impiegati per far crescere cristalli di granati usati in elettronica (memoria di computer, preparazione di laser, ecc.). Il maggior impiego attualmente si ha in elettrochimica, nella preparazione di anodi stabili nelle celle elettrolitiche per la produzione di cloro-soda e anche in quelle per clorati, dove si dimostra superiore al rutenio. In quantità modeste viene impiegato come catalizzatore nell'industria chimica e petrolchimica.

Bibl.: Le varie annate della rivista Platinum metal review della J. Matthey Co, Londra, e i rapporti annuali 1990-93 Platinum, a cura di J.S. Coombes, editi dalla J. Matthey Co; D. McDonald, L. B. Hunt, A history of platinum and its allied metals, Londra 1982; H. Renner, Platinum group metals and compounds, in Ullmann's Encyclopedia of industrial chemistry, 21, Weinheim 1992.

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