PLATONE da Tivoli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 84 (2015)

PLATONE da Tivoli

Rosa Comes

PLATONE da Tivoli (Plato Tiburtinus). – Originario probabilmente di Tivoli (non si sa nulla dei suoi genitori e circa la sua origine dalla cittadina laziale l’unico indizio rimane l’appellativo toponomastico che ne accompagna il nome nei manoscritti), fu uno dei più importanti traduttori di trattati scientifici dall’arabo al latino, e le sue opere conobbero larga circolazione e fortuna nel tardo medioevo e nel Rinascimento italiano ed europeo.

Visse e operò nella penisola iberica nella prima metà del secolo XII; in particolare, la sua attività è documentata tra gli anni 1134 e 1146 a Barcellona. Sembra certo che abbia collaborato con Abraham bar Ḥiyya ha-Barcelonī ha-Nasī (1070-1136), chiamato nelle fonti latine Savasorda sulla base della denominazione araba del suo incarico (Sāḥib al-Šurṭa, «Comandante della guardia»). Non si hanno ulteriori puntuali informazioni sulla sua vita, se si fa eccezione per la notizia – data dalla Summa philosophie dello pseudo-Grossatesta – che fu cristiano (L.Baur, Die Philosophischen, 1912, p. 279), e per le datazioni di alcune delle sue traduzioni, fornite esplicitamente dai manoscritti, o da essi desumibili. La sua opera riguardò una dozzina di testi, alcuni dei quali tradotti dall’ebraico, circostanza che distingue Platone dagli altri traduttori latini.

Sulla sua esperienza intellettuale fornisce nondimeno alcuni elementi egli stesso, nelle prefazioni alle traduzioni. Riferendosi alle arti liberali, Platone lamenta infatti la “cecità” della tradizione culturale latina («quo magis latinitatis ignorantiae caecitas deploranda est» [praefatio di Platone Tiburtino al De motu stellarum: manoscritti Oxford Digby 40, c. 116r, l.6-7; Oxford Canonici Misc. 61, c. 23r, l.19; Vat. Lat. 3089, c. 110ra, ll.8-9; Paris, BNF lat .16657, c. 1r, ll. 19-31; Nuremberg, Cent.vi,21, c. 1r, ll. 8-9; Erfurt, Ampl. 4º 350,  c. 1, ll.13-14, e altri]) in confronto a quella greca ed egiziana (non diversamente da quanto fecero Ermanno di Carinzia nel prologo del De astrologia e Ruggero Bacone nel Compendium studii philosophiae  [ed. Lemay, 1996, p. 38, nota 27]) ed espone alcuni dei motivi che lo spinsero a scegliere, per la traduzione, alcuni trattati o autori invece di altri. Così, sappiamo da lui stesso che preferì Abū Abd Allāh Muḥammad Ibn Ŷābir Ibn Sinān al-Battānī al-Raqqī al-Ḥarrānī al-Ṣābi' (853 circa-929), noto nell’Europa latina come al-Battānī  o Albategnius (Albateni, Abbategnus, Mahumedes Acharranides, Machometto Aracensis, ecc.), a Tolomeo; infatti «(al-Battānī) riassume in breve il testo di Tolomeo, correggendo i suoi errori» [praefatio di Platone Tiburtino al De motu stellarum: manoscritti Oxford Digby 40, c. 116r, ll.26-27; Oxford Canonici Misc. 61, c. 23v, ll. 10-11; Vat. Lat. 3089, c.110ra, ll. 33-34; Paris, BNF lat.16657, c. 1r, l.7-8; Nuremberg, Cent.vi,21, c. lr, l. 40-c.1v, 1.1; Erfurt, Ampl. 4º 350,  c. 1v, ll.10-11, e altri]. Inoltre, considerò Abū’l-Qāsim Aḥmad ibn ʿAbd Allāh ibn ʿUmar al-Ghāfiqī ibn al-Ṣaffār al-Andalusī (morto il 1035) più affidabile scientificamente della maggior parte degli altri autori di trattati sull’uso dell’astrolabio.

Il testo destinato a maggior fortuna nei secoli successivi, in armonia con l’interesse di Platone per l’astronomia e per il citato al-Battānī, fu il De motu stellarum, noto anche col titolo di De scientiis astrorum, De numeris stellarum et motibus, traduzione del Kitāb al-Zīŷ  al Ṣābī'  (Tavole di al-Battānī); queste tavole sono basate sul commento di Theón di Alessandria alle Tabule manuales di Tolomeo.

Con la sua versione (conservata oggi in una dozzina di manoscritti, alcuni frammentari) Platone reintrodusse in Europa l’astronomia greca in un momento nel quale dominava l’astronomia di tradizione indiana e persiana, introdotta da Abū cAbd Allāh Muḥammad Ibn Musa al-Jwārizmi (780 circa-850 circa). Il De motu stellarum, primo a usare la trigonometria (Carra de Vaux, Astronomy, 1931, p. 394), esercitò una notevole influenza nella cultura occidentale e fu utilizzato tra gli altri da Henricus Batenus (1246-1310 circa) nella Magistralis compositio Astrolabii, da Gherardo da Sabbioneta (fl. 1255) probabile autore della Theoria planetarum, da Alberto Magno, e nelle tavole alfonsine realizzate per impulso di Alfonso X di Castiglia. Nel Rinascimento, Peuerbach citò il De motu stellarum nelle Theoricae planetarum, edite da Regiomontano, che corredò ampiamente di note il manoscritto conservato oggi a Norimberga (Stadtsbibliothek, Cent.VI. 21); successivamente menzionò l’opera (per 23 volte) anche Copernico nel De revolutionibus orbium coelestium (1543), così come il Cusano, Brahe, Keplero e Galileo. Del testo (ma cfr. edizione critica di R. Comes in corso stampa) non esistono edizioni critiche ancorché la trascrizione del manoscritto annotato da Regiomontano sia stata stampata, ma con molti errori, due volte (Norimberga 1537 e Bologna 1645; Mahometis Albatenii de motu stellarum). Sulla base di queste trascrizioni, nel Seicento Halley confutò al-Battānī nelle Philosophical Transactions of The Royal Society; e ancora nel Settecento Delambre la usò per il suo particolareggiato studio su el Zīŷ de al-Battānī e Dunthorne per determinare la accelerazione secolare del movimento della luna. Ancora agli inizi del Novecento Nallino utilizzò nella sua edizione e traduzione in latino del testo arabo i diagrammi della stampa cinquecentesca.

In data indeterminata (non è precisata nell’explicit del manoscritto), Platone tradusse anche il trattato sull’uso dell’astrolabio di ibn al-Ṣaffār (Samsó, El procés, 2004), col titolo De usu astrolabii, dedicandolo all’amico «Johanni david…in quatuor matheseos disciplinis peritissimo» (Lorch et al., Ibn as-Ṣaffār's Traktat, 1994), dedicatario anche del trattato sul medesimo soggetto di Rodolfo de Brujas (R. Lorch, The treatise on the Astrolabe, 1999, p. 57). Del De usu astrolabii, edito recentemente (Lorch et al., Ibn-aṣ-Ṣaffārs Traktat), si conservano tre manoscritti.

Alcune traduzioni effettuate da Platone sono esplicitamente datate, nell’arco dei dodici anni sopra menzionati, e possono essere poste in successione con una certa attendibilità. Va sottolineato innanzitutto il fatto che Platone si interessò anche di astrologia e alchimia. Nel 1134, stando alla data – che sembrerebbe confermata dai riferimenti astrologici menzionati (Samsó, El procés) – dell’explicit  del ms. 10063 della Biblioteca Nacional de Madrid (c. 32ra: «perfectus est liber [...] translatus [...] anno Christi 1134»: Millàs, 1942, pp. 160 s.), egli avrebbe completato in collaborazione con Abraham bar Ḥiyya il Liber Hali filii Hahamed Embrani in electionibus horarum [de negotiationibus rerum], traduzione del Kitāb ijtiyārāt di cAli bin Aḥmad al-cImrānī (morto nel 955). Ciò secondo l’editore che si basa sull’explicit: «[...] translatus de arabicum in latinum in ciuitate Barchilonia ab Abraham iudeo Yspano existente interprete» (Millàs, pp. 160 s.). Tuttavia nell’incipit del ms. 10009 (sempre della Biblioteca Nacional di Madrid) si legge «Liber Ali filii Achamed (Erbrani, sic) in electionibus horarum», e nell’explicit la data 1124 (e non 1134) (Millàs, p. 172). Il testo è conservato in una ventina di manoscritti.

Probabilmente nel 1135 Platone tradusse le Questiones geomanticae o Liber arenalis scientie, dovuto a un tale Alfakimi, Alfudinus o Alpharinus figlio di Abraham, Abizarch o Abiczero, conservato in due edizioni a stampa e un manoscritto derivato dalla prima edizione. Nel 1136 poi completò ulteriori traduzioni: un Centiloquium pseudo-ptolemaico che Samsó considera una traduzione del commento di Abū Ŷa'far Aḥmad ibn Yūsuf ibn al-Dāya (morto nel 944 circa) sebbene l’attribuzione di questo testo - conservato in 3 manoscritti - è discussa (El procés, p. 276). È certo invece che fu Platone a tradurre il Liber verborum o Liber aphorismorum de Almansor o Abulmasar (conservato in sei manoscritti) e dei Iudicia Almansoris (noti anche come Judicia sive 150 propositiones o Capitula de stellis), versione latina di una fonte di discussa identificazione (ibid.). È conservato da una quarantina di mss., alcuni dei quali dedicati a «(Acham) rex (magnus) Sarazenorum») e altri a «Almansor, filius Abrahe Judaei» o a un certo «al-Manṣur», spesso detto «ar-Rāzī»; fu stampato per la prima volta nel 1484 e successivamente otto volte nel secolo successivo.

Due anni dopo, nel 1138, Platone concluse la traduzione del Tetrabiblos o Quadripartitum di Tolomeo, un manuale di astrologia, che fu il primo trattato di Tolomeo tradotto in latino (Sarton, Introduction, 1931, p. 178); edito diverse volte nel Rinascimento, si conserva in una decina di manoscritti.

Al decennio successivo risale una traduzione di grande importanza, quella del Liber embadorum o Liber de areis (Sefer Ḥibbur ha-Mešiḥa we ha-Tišboret di Abraham bar Ḥiyya). Il testo ebraico, avrebbe almeno acquisito parte della sua conoscenza delle fonti arabe (Busard, L’algèbre, 1968, p. 67); la traduzione fu completata nel 1145 o 1146 (e non nel 1116, come si legge in alcuni manoscritti per una lettura paleograficamente errata). Platone mise così in circolazione, nell’Europa medievale, un trattato di geometria “pratica”, destinato agli agrimensori. La tematica corrisponde alla seconda parte del trattato algebrico di al-Jwārizmi (Busard, L’algèbre, p. 67), che avrebbe a sua volta utilizzato materiali derivanti dal testo ebraico Mishnat ha-middot compilato nel 150 d.C. circa, e probabilmente non conosciuto da Abraham bar Ḥiyya (Samsó, El procés, pp. 273 s., 280-286). Il testo di Platone (che sopravvive in una mezza dozzina di manoscritti ed è stato edito da Curtze nel 1902) influenzò fortemente, per struttura e contenuto, la Pratica geometriae di Leonardo Fibonacci da Pisa, scritta nel 1220 (Busard, L’algèbre, p. 67).

Altre traduzioni e opere di Platone sono di datazione o attribuzione incerta. Si tratta innanzitutto del De nativitatum revolutionibus, conservato in un solo manoscritto, basato su un trattato di tale Alkasen o Alkasem  filius Alchasith (che fu identificato da Carmody, Arabic Astronomical, 1956, p. 137 –  ma contra, con argomenti basati su elementi interni, Samso, El procés, p. 277 – con Abū Bakr al-Ḥasan ibn al-Jāṣīb al-Fārisī al-Kūfī, 875-900 circa); e inoltre del De nativitatibus o De iudiciis nativitatum, traduzione del Kitāb al-Mawālīd di Abū cAli al-Jaiyaṭ (ca. 854), conservato in una decina di manoscritti. In collaborazione con Abraham bar Ḥiyya, Platone scrisse inoltre, o forse tradusse, un commento alla Tabula Smaragdina; l’attribuzione di questo testo (un solo manoscritto) ai due fu suggerita dagli editori sulla base dello stile e delle caratteristiche degli ebraismi che in esso si ritrovano (Steeie, Singer, The Emerald Table, 1928, p. 489).

Tra le materie del quadrivio, Platone si interessò anche di matematica. Col De mensura circuli o In quadratum (sic!) circuli, introdusse in Europa, per la prima volta, i testi di Archimede. Sulla base di motivazioni linguistiche, e del fatto che il testo si conserva solo nei tre manoscritti superstiti del De usu astrolabii, l’editore (Clagett, 1952, 1954) ha ipotizzato che Platone si sia basato su un testo arabo, probabilmente una traduzione effettuata da Thābit Ibn Qurra ibn Marwān al-Ṣabi' al-Ḥarrānī (826-901).

Infine, un’altra traduzione attribuita in passato a Platone è quella del De spheris di Teodosio da Tripoli (100 d.C.). Ma già Millàs (1942, p. 208) considerò l’attribuzione dubbia, e Burnett (Arabic, 1978, pp. 104 s.) assegna la traduzione ad Adelardo di Bath, sulla base di constatazioni lessicali e stilistiche.

Non è infine nota la data di morte di Platone.

Fonti e Bibl.: Manoscritti: Oxford Digby 40, cc.116r-145r; Oxford Canonici Misc. 61, cc. 23r-136v; Vat. Lat. 3089, cc.110r-145r; Paris, BNF lat.16657, cc.1r-81v; Nuremberg, Cent.vi, 21, cc. 1r-111v; Erfurt, Ampl. 4º 350, cc.1r-96v, e altri.

B. Boncompagni, Delle versioni fatte da P. Tiburtino traduttore del secolo duodecimo, in Atti dell'Accademia Pontificia de' Nuovi Lincei, IV, Roma 1852; C.A. Nallino, Opus astronomicum (De motu stellarum), I-III (ediz., trad. e commento del Kitab al-Ziy di al-Battānī), Milano 1872, 1903, 1938; M. Curtze, Der ‘Liber embadorum’ des Abraham bar Chijja Savasorda in der Übersetzung des Plato von Tivoli, in Abhandlungen zur Geschichte der mathematischen Wissenschaften, XII (1902), pp. 1-183; L.Baur, Die Philosophischen Werke des Robert Grossrteste, Münster 1912; G. Sarton, Introduction to the History of Science, I-V, Baltimore 1927-1948, II/1, 1931;  R. Steele - D.W. Singer, The Emerald Table, in Proceedings of the Royal Society of Medicine, XXI/3 (1928), pp. 485-501; B. Carra de Vaux, Astronomy and Mathematics, in The Legacy of Islam, Oxford 1931, pp. 326-397; J.M. Millàs Vallicrosa, Las traducciones orientales en los manuscritos de la Biblioteca Catedral de Toledo, Madrid 1942; M. Clagett, Archimedes in the Middle Ages: The De mensura circuli, in Osiris, X (1952), pp. 587-618; F.J. Carmody, Arabic Astronomical and Astrological Sciences in Latin Translation, A Critical Bibliography, Berkeley 1956; M. Clagett, The Impact of Archimedes on Medieval Science, in Isis, L/4 (1959), pp. 419-429; Id., Archimedes in the Middle Ages: I, The Arabo-Latin tradition, Madison 1964; H.L.L. Busard, L’algèbre au moyen âge: Le "Liber mensurationum" d’Abu- Bekr, in Journal des Savants, LXV (1968), pp. 65-124; C. Burnett, Arabic into Latin in Twelfth-Century Spain: the Works of Hermann of Carinthia, in Mittellateinisches Jahrbuch, XIII (1978), pp. 100-134;  A. Cortabarría, Deux sources de S. Albert le Grand: al-Bitruji et al-Battani, in Mélanges de l'Institut dominicain d'études orientales, XV (1982), pp. 31-52; R. Lorch, The treatise on the Astrolabe by Rudolph of Bruges, in Between Demonstration and Imagination. Essays in the History of Science and Philosophy Presented to John North, Leiden-Boston-Köln, 1999, pp. 55–100; R. Lorch et al.,Ibn-aṣ-Ṣaffārs Traktat über das Astrolab in der Übersetzung von Plato von Tivoli, in Cosmographica et Geographica: Festschrift für Heribert M. Nobis zum 70. Geburstag, München 1994, I, pp. 125-180; R. Lemay, Roger Bacon's Attitude Toward the Latin Translations and Translators of the Twelfth and Thirteenth Centuries, in Roger Bacon and the Sciences: Commemorative Essays, Leiden 1996, pp. 25-48; J. Samsó, El procés de la transmissió científica al nord-est de la península Ibèrica al segle XII: Els textos llatins, in La Ciència en la Història dels Països Catalans, I, Dels Àrabs al Renaixament, Valencia 2004, pp. 269-296; L. Minio-Paluello, Plato of Tivoli, in Complete Dictionary of Scientific Biography, 2008 [consultabile al link http://www.encyclopedia.com/doc/1G2-2830903444.html (20 giugno 2016)]; N. Ambrosetti, L'eredità arabo-islamica nelle scienze e nelle arti del calcolo dell'Europa medievale, Milano 2008, pp. 106, 109, 113; J. Chabás, Interactions between Jewish and Christian Astronomers in the Iberian Penisnsula, in Science in Medieval Jewish Cultures, New York 2011, pp. 147-154.

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