Plìnio il Giovane

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Scrittore latino (n. Como 61 o 62 d. C. - m. 114 circa), figlio di L. Cecilio Cilone e di Plinia, sorella di P. il Vecchio. Fu scolaro di Quintiliano e di Nicete Sacerdote, fu amico di filosofi come Eufrate e Musonio. Avvocato, console nel 100, legatus propraetore in Bitinia nel 111 e 112. Scrisse varie opere ma ci restano soltanto l'Epistolario in x libri e il Panegirico a Traiano. P. è il tipico rappresentante del dilettantismo poetico e letterario del suo tempo; brillante e versatile d'ingegno, di cultura solida e sentimenti onesti, letterato con virtù di stile, troppo spesso però artificioso; spirito sensibile ma conformista. La nota più saliente in lui è una certa virtuosità per cui passa facilmente e senza il minimo sforzo da un genere letterario all'altro. D'ingegno indubbiamente versatile, ha amato alternare gli ozi poetici con la pratica forense, facendo risuonare la sua voce in mezzo alla folla tumultuante, a difesa degl'innocenti e degli oppressi. Vissuto in mezzo alla società civile del suo tempo, ha ritratto nell'Epistolario non solo il suo animo e i suoi costumi, ma anche le abitudini di quella società in ogni loro sfumatura. Sotto questo rispetto l'epistolario pliniano ha un valore, oltre che letterario, anche storico e psicologico.

Vita

Rimasto presto orfano di padre, fu sotto la tutela di Virginio Rufo e poi adottato dallo zio materno. Scolaro di Quintiliano e amico degli uomini più ragguardevoli del suo tempo, fra i quali Tacito e Svetonio, ricoprì varie cariche pubbliche percorrendo gran parte della carriera sotto Domiziano (nel 93 o nel 95 era già pretore, poi divenne praefectus aerarii militaris), finché giunse al consolato sotto Traiano (100), dopo essere stato praefectus aerarii Saturni; poi (111 e 112) fu legatus Augusti pro praetore consulari potestate come governatore della provincia di Bitinia e Ponto; morì quando era ancora nella provincia, o poco dopo il suo ritorno a Roma. Nel 90, rimasto vedovo, aveva sposato la figlia di Pompeia Celerina, Calpurnia, che fu ottima moglie e donna esemplare. Godette di una discreta agiatezza, e possedette varie ville, tra cui due sul Lago di Como, dette la Tragedia e la Commedia, e una proprietà presso Tifernum Tiberinum (l'attuale Città di Castello). Fu dapprima avvocato, perorò ogni specie di cause nel foro e sollevò l'arte del dire dal livello piuttosto basso in cui era precipitata per colpa dei declamatori. Studioso di Cicerone, più che mirare al facile successo oratorio, si preoccupò di scendere in difesa della giustizia e mise volentieri la sua parola al servizio di parenti e di amici che in lui trovavano il sostenitore autorevole ed efficace. Dovettero avere una larga risonanza, in Roma e fuori, le sue arringhe in favore di Attia Viriola, di Giunio Pastore, ecc., come pure le sue accuse contro quel Bebio Massa che si distinse per il suo malgoverno dei Betici, contro Mario Prisco, reo di concussione, e altri. Per quanto, però, P. si fosse proposto a modello Cicerone, e vagheggiasse in lui l'ideale più alto di eloquenza che si studiava in tutti i modi di raggiungere, pur tuttavia fra l'uno e l'altro vi fu un abisso incolmabile.

Opere

Delle opere di P. restano l'Epistolario, in 10 libri, di cui nove costituiti da lettere ad amici, mentre il decimo contiene la corrispondenza con Traiano, prevalentemente quella tenuta durante il governo di Bitinia e Ponto, e il Panegirico a Traiano. La corrispondenza privata consiste in 247 lettere di vario argomento: sfoghi e confidenze, notizie di letteratura, descrizioni, ecc., in uno stile che ha i pregi della semplicità e dell'eleganza. In vari luoghi affiora l'osservatore cauto e moralista, disgustato di fronte all'abiezione morale o all'apatia dei più insigni cittadini come del popolo, e preoccupato del processo di accentramento dei poteri nelle mani dell'imperatore. Nel libro 10º (72 lettere di P. e 50 di Traiano) P. appare amministratore onesto e prudente, e funzionario non molto energico, sempre tendente alla clemenza e mitezza, di fronte all'energica fermezza del principe: assai notevole la lettera 96, e la risposta di Traiano, per la determinazione della situazione giuridica dei cristiani alla fine del 1º sec., unico documento ufficiale pervenutoci del comportamento delle autorità romane nei confronti dei cristiani. Il Panegirico a Traiano (prima recitato nel 100, poi rimaneggiato) è una vera laudatio, che esalta le qualità morali e intellettuali dell'imperatore; è pieno di ampollosità e iperboli e fu spesso giudicato sfavorevolmente (così, per es., da V. Alfieri). P. scrisse anche di storia e versi di varie specie, dei quali resta nell'Epistolario qualche esempio poco felice.

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