Plurale maiestatis

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

plurale maiestatis

Luca Cignetti

Definizione e funzioni

Il plurale maiestatis (espressione lat.: «plurale di maestà») indica l’uso della prima persona del plurale (anziché del singolare) del verbo e dei corrispondenti aggettivi e pronomi personali e possessivi, cui si ricorre per ottenere particolari effetti (➔ cortesia, linguaggio della). È usato da autorità civili o religiose in veste ufficiale o in contesti istituzionali.

Detto anche plurale di maestà o plurale maiestatico, è una costruzione derivata dal latino, dove l’uso della prima persona del plurale in luogo del singolare serviva a esibire il prestigio sociale o il ruolo istituzionale del parlante. Attestato già in età arcaica nel poeta Ennio (239-169 a.C.), il plurale maiestatis è frequente in età repubblicana: ne sono esempi le formule nos consules e nobis consulibus, in numerose orazioni di Cicerone.

Divenuta successivamente di prerogativa imperiale, la costruzione si estende nel tempo alle alte autorità politiche e religiose, dalle quali viene adottato per la redazione di documenti e discorsi di carattere pubblico. In tale veste, essa si ritrova in diverse lingue europee, tra le quali l’italiano:

(1) Con lealtà di Re e con affetto di Padre, Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri sudditi col Nostro proclama dell’8 dell’ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare in mezzo agli eventi straordinari che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze (Statuto Albertino, 1848)

(2) Prevedendo pertanto i fecondi e salutari frutti che imploriamo con supplici voti dal Divin Redentore, fedeli alle tradizioni dei Romani Pontefici che Ci hanno preceduto […] con la presente Lettera indiciamo e promulghiamo, e intendiamo che sia ritenuto come indetto e promulgato, un universale e grande Giubileo da celebrarsi in questa Alma Città, dal Natale del 1949 al Natale del 1950, a norma del canone 923 (Bolla Iubilaeum Maximum, 26 maggio 1949)

L’impiego in discorsi ufficiali dei pontefici fu abbandonato da Giovanni Paolo I in occasione dell’elezione (1978), allorché si rivolse ai fedeli usando la prima persona singolare.

La funzione del plurale maiestatis è, secondo l’interpretazione comune, quella di ‘moltiplicare’ l’emittente del discorso, per accrescerne l’importanza o il rilievo dinanzi ai suoi destinatari (Brown & Gilman 1960).

Usi letterari e di altro genere

Nella lingua letteraria il plurale in luogo del singolare compare nella poesia di ispirazione classica, dove è usato per associare all’esperienza del poeta quella del lettore (pluralis sociativus) oppure per attribuirvi un valore di carattere universale:

(3) Tu non altro che il canto avrai del figlio,

o materna mia terra; a noi prescrisse

il fato illacrimata sepoltura

(Ugo Foscolo, “A Zacinto”, vv. 12-14)

Nella prosa narrativa l’uso del plurale in luogo del singolare è invece più spesso da attribuire alla volontà dell’autore di mantenersi su un piano subordinato rispetto al racconto. Non trattandosi di affermazione di autorità, quanto piuttosto di affettazione d’umiltà (Serianni 1988: 245), si parla per tali usi di plurale di modestia, di cui numerosi esempi si trovano nei Promessi sposi:

(4) Né fu questa l’ultima pubblicazione, ma noi delle posteriori non crediamo di dover far menzione, come di cosa che esce dal periodo della nostra storia. Ne accenneremo soltanto una del 13 febbraio dell’anno 1632 […]. Questo basta ad assicurarci che, nel tempo in cui trattiamo, c’era de’ bravi tuttavia (Alessandro Manzoni, I promessi sposi I)

Altre varianti nell’uso del plurale per il singolare sono i cosiddetti plurale didattico e plurale narrativo. Tali due forme di plurale, comunque, hanno natura diversa dal plurale maiestatis esaminato finora: esse non servono infatti ad ‘accrescere’ la numerosità dell’emittente, ma ad alludere a una comunità indivisa formata da emittente e ricevente. Corrispondono in tal senso a un plurale inclusivo (➔ personali, pronomi).

Il plurale didattico è usato prevalentemente dagli insegnanti (5), dai sacerdoti (6; ➔ predicazione e lingua) e in generale da quanti svolgono professioni in cui è richiesto il coinvolgimento di un uditorio:

(5) … abbiamo anche / messo in evidenza / come / &he / i problemi / di tipo linguistico / fossero di / importanza preminente / all’interno della rivista bolognese // e questo / non solo / naturalmente / perché la rivista era soprattutto una rivista di poesia // e / naturalmente / le problematiche di tipo linguistico risultano più evidenti / nella / &he / [/] nel testo poetico / che nel [/] nella prosa // ma / anche perché / e [/] e l’abbiamo visto / all’interno della rivista bolognese / venivano a porsi tutta una serie di problematiche relative a i vari tipi di dialetti di / idioletti / di linguaggi (Cresti & Moneglia 2005)

(6) … ma il problema è che se noi siamo uomini // cioè se siamo carichi di una domanda // oppure / seguendo le sirene di questo tempo / abdichiamo alla nostra intelligenza e alla nostra affezione / seguendo / gli idoli del tempo // perché noi / a qualcuno / affidiamo la nostra vita // e in una presunta libertà / anziché riconoscere / il mistero che ci fa / cadiamo nell’inganno / di seguire un idolo vuoto / e vano // così diventa vana / la nostra vita // diventa / insipiente / la nostra ragione (ivi)

Il plurale narrativo serve invece a creare un rapporto con il lettore o l’ascoltatore di tipo empatico, soprattutto quando questi è chiamato a condividere un giudizio o una valutazione (➔ testi narrativi):

(7) Siamo al punto di passaggio dalla democrazia al socialismo, parola che non spaventa questo ristretto filone di rivoluzionari (Francesco Leoni, Storia dei partiti politici italiani, Napoli, Guida, 2001, p. 60)

Sempre di plurale narrativo si tratta nei casi in cui verbi come vediamo, siamo, assistiamo e simili sono introdotti per mettere a fuoco passaggi ritenuti decisivi per lo sviluppo della narrazione (Serianni 1988: 246):

(8) Assistiamo qui a uno sdoppiamento tra l’io dell’agens e l’io dell’auctor che è normale nel poema ‒ è presente, infatti, fin nel I canto («Io non so ben ridir com’i v’entrai») ‒ ma sempre fuori del campo delle invettive, dominate, invece, dalla voce “fuori campo” dell’autore (Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Milano, Mondadori, 2001, p. 154)

Numerosi esempi di plurale in luogo del singolare si trovano anche in scritture di carattere pratico come le lettere commerciali (► lettere commerciali e ufficiali):

(9) Abbiamo il piacere di comunicarVi che, in questi giorni, abbiamo ricevuto dalla Francia molte recenti opere scientifiche di nuova edizione. Se vorrete passare da noi ci permetteremo di farVi esaminare le opere di medicina, nella speranza che troverete quanto a Voi interessa (Mario A. Santagata, Moderna corrispondenza commerciale italiana, Milano, Hoepli, 1982, p. 239).

Fonti

Cresti Emanuela & Moneglia, Massimo (edited by) (2005), C-Oral-Rom. Integrated reference corpora for spoken Romance languages, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins.

Studi

Brown, Roger & Gilman, Albert (1960), The pronouns of power and solidarity, in Style in language, edited by T.A. Sebeok, Cambridge (Mass.), The MIT Press, pp. 253-276 (trad. it. Pronomi del potere e della solidarietà, in Linguaggio e contesto sociale, a cura di P.P. Giglioli & G. Fele, Bologna, il Mulino, 2000, pp. 255-284).

Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

CATEGORIE
TAG

Età repubblicana

Giovanni paolo i

Promessi sposi

Amsterdam

Cicerone