PEDEMONTE, Pompeo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PEDEMONTE, Pompeo

Stefano L'Occaso

PEDEMONTE, Pompeo. – Nacque con ogni probabilità a Mantova da Gian Francesco «de Piamonte», pittore di origini veronesi morto nel 1541 (d’Arco, 1859, p. 277), e da Jacoba, verso il 1515, anno che si ottiene per sottrazione dal necrologio in cui è detto settantasettenne (Marani, 1965, p. 107 n. 66).

Pedemonte ereditò la professione del padre e forse esordì nel 1537 come pittore alla corte di Giulio Cesare Gonzaga a Novellara, dove nel 1535 aveva lavorato suo fratello Cesare (Monducci, 1987, p. 266). Nel 1542 intervenne nel Palazzo vescovile di Mantova ampliando un fregio forse affrescato appena due anni prima dal pittore mantovano Anselmo Guazzi, con il quale sono documentati rapporti sino al 1549 (L’Occaso, 2012, pp. 22 s.). Nel 1547 collaborò con il fratello alla creazione di un modellino ligneo per la ricostruzione del Duomo di Mantova, sulla base del progetto di Giulio Romano (Marani, 1965, p. 74), ma nel 1549 l’incarico di proseguire la fabbrica fu assegnato a Giovan Battista Bertani. Sfumata la possibilità di ereditare la carica di prefetto delle Fabbriche, si recò a Bologna, dove nel 1553 ritrasse l’umanista Ercole Bottrigari e dove sperimentò originali soluzioni per apparati scenici teatrali, in competizione con Sebastiano Serlio ed Egnazio Danti (L’Occaso, 2012, p. 73). Un documento del 29 novembre dello stesso 1553 ne attesta la dimora a Novellara (Monducci, 1987, p. 270), dove potrebbe aver conosciuto anche Lelio Orsi. Nel 1558, nuovamente a Mantova, preparò per l’Università dei mercanti il progetto, rimasto sulla carta, per una loggia in piazza delle Erbe (Marani, 1965, p. 74). Nel 1560 fu raccomandato a Cesare Gonzaga, duca di Guastalla, dove nel 1575 portò a compimento il Duomo di S. Pietro, al quale il volterrano Francesco Capriani aveva dato principio (Nascig, 2003). Nel 1561 collaborò con Bertani alla realizzazione degli apparati per le nozze di Guglielmo Gonzaga con Eleonora d’Austria.

Tale impegno è ricordato da Celio Malespini, il quale narrò di come l’aretino Leone Leoni fosse «adirato molto co’l Piedemonte, deputato [...] nelle cose dell’apparato, poiche ordinando egli alcune robbe per il Teatro gliene faceva penare un secolo, desiderando egli che le fatiche sue riuscissero con scorno, e dishonore» (Malespini, 1609, c. 32v; Fabbri, 1974, pp. 97 s.).

Nel giugno 1567 Pedemonte raccomandò ad Alfonso I Gonzaga di Novellara il pittore Giulio Rubone e in luglio intraprese la realizzazione di disegni per camini destinati alla rocca gonzaghesca del piccolo feudo (Zavatta, 2012, pp. 96-98); dallo stesso anno s’impegnò nel completamento della chiesa di S. Maria in Castello a Viadana, poi ampiamente rimaneggiata nel XIX secolo; un disegno ottocentesco a penna conservato nella sagrestia della stessa chiesa ne mostra l’aspetto anteriore alle ristrutturazioni.

Il 6 agosto 1567 Pedemonte e suo fratello Cesare furono arrestati dall’Inquisizione mantovana. A carico di Cesare pesarono in seguito anche accuse di appropriazione indebita e alienazione di beni della Corte, tanto che nel 1570 era ancora in carcere (Pagano, 1991, p. 22 n. 63), mentre Pompeo il 4 aprile 1568 si umiliò pubblicamente sul «gran palco per l’abiurazione» in S. Domenico (ibid., pp. 104 s.). Numerosi artisti mantovani subirono simile sorte: Bertani, Giovan Battista Scultori, Jacopo Strada, i pittori Felice Fasani, Croteo Conti, Rubone e Alessandro da Casalmaggiore, tutti appartenenti a una medesima atmosfera intellettuale. L’atteggiamento indipendente e critico non riguardò soltanto la sfera religiosa, ma caratterizzò anche l’approccio a questioni artistiche, tanto che Bertani e Pedemonte avanzarono una critica alla prospettiva monofocale rinascimentale.

Nel 1569 Daniele Barbaro pubblicò La pratica della perspettiva, dove si legge che Pedemonte, «homo industrioso et pratico», «s’ha imaginato uno modo di accordare le fabriche delle scene con le pitture de i muri e pareti di modo, che le piture pareno fabriche, et ciò che si vuole» (Barbaro, 1569, p. 155). Tale espediente – che deve risalire agli anni bolognesi – è più dettagliatamente descritto da Bottrigari nel manoscritto La Mascara: Pedemonte procede «per gli sbattimenti et ombre degli spaghi e fili tirati poco certi», a differenza di Egnazio Danti, il quale «procede sempre con gli incrociamenti e termini certi de’ fili e spaghi tirati» (Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, ms. B 45, p. 258).

Nel 1570 divenne soprastante alle Fabbriche del duca Guglielmo (Marani, 1965, p. 75) e, nello stesso anno, è citato da Martino Bassi, nella celebre querelle contro Pellegrino Tibaldi (Bassi, 1572). La fama di Pedemonte giunse quindi anche a Milano, oltre che a Venezia; qui egli ebbe in Barbaro un estimatore, sicché a lungo coltivò l’idea di trasferirsi nella Serenissima (Marani, 1965, p. 75).

Negli anni Settanta iniziò a servire il marchese Orazio Gonzaga di Solferino, per il quale disegnò la nuova chiesa di S. Nicola, una torre – poi realizzata con una ghirlanda simile a quella del campanile di S. Barbara a Mantova, opera di Bertani – e il palazzo di abitazione (Carpeggiani, 2002, pp. 9, 59-66).

Il progetto per la facciata della chiesa (Berlino, Staatliche Museen Preussicher Kulturbesitz, Kunstbibliothek, inv. 6755) è tra i più originali di Pedemonte e presenta un timpano aggettante pensato con alternanza di conci lapidei, mattoni a vista e opus reticulatum, di ascendenza romana, e un ardito sistema chiaroscurale, ottenuto con bugne, modanature e nicchie, nella parte inferiore. Ancora più particolare è il progetto (collezione privata; Carpeggiani, 2002, pp. 67-69 n. 25) per la facciata di una chiesa con campanili gemelli, probabilmente il duomo di Guastalla; la superficie è mossa da una trina di lesene, colonne, archi, finestre, cupolette e obelischi. Gli eccessi compositivi e l’enfasi degli ornamenti sono una costante nella produzione grafica dell’artista, «cui non appartengono i toni sommessi della sprezzatura» (ibid., p. 69) e nella quale ricorrono stilemi insoliti, come l’utilizzo del ritmo binario (bifore e colonne binate).

Nelle poche architetture superstiti di Pompeo emergono costrutti derivati da Giulio Romano, Serlio e Bertani.

Nel 1574 realizzò gli apparati per l’ingresso in Mantova di Enrico III di Valois (Carpeggiani, 2002, p. 10); di essi sopravvivono alcuni disegni preparatori e una coeva descrizione (B. de Vigenère, La somptueuse et magnifique entrée du très-christien Roy Henry III..., Paris 1576). Progettò inoltre il catafalco del vescovo Gregorio Boldrini, morto nel 1574, e tra il 1577 e il 1580 disegnò planimetrie del convento domenicano di Mantova in vista della ristrutturazione (Marani, 1965, pp. 75, 99 n. 29).

Nel 1575 approntò due diversi progetti alternativi per il monumento funebre di Cesare Gonzaga di Guastalla e ne segnalò quale possibile esecutore lo scultore Bernardino Nani, a suo dire «il miglior M.ro di Mantova» (Campori, 1866). Nello stesso anno stese i progetti per una grandiosa canonica di S. Barbara, abbandonati già nel 1576, quando fu licenziato dal ruolo di soprastante alle fabbriche (Marani, 1965, p. 76). Tra il 1578 e il 1579 fu reintegrato a corte e contribuì alla costruzione del giardino pensile, alla decorazione della sala dei Marchesi e del camerino dei Mori, che mostrerebbero un’influenza veneziana (ibid., pp. 76 s.), e forse anche ai lavori per la galleria della Mostra (Carpeggiani, 2002, pp. 12 s.). Tra il 1579 e il 1580 progettò il porticato a colonne tuscaniche binate del giardino pensile nel palazzo ducale di Mantova il cui esito finale mostra un’essenzialità formale e una disciplina (Marani, 1965, p. 81) in contrasto con l’esuberanza ornamentale dei disegni.

Nel 1580 i mai sopiti contrasti con il conte Teodoro Sangiorgio, funzionario di corte e uomo di fiducia del duca, si acuirono e l’architetto fu esautorato (ibid., p. 77). Nel 1586-87 era nuovamente attivo per Guglielmo Gonzaga, nel cantiere del Palazzo di Goito, del quale coordinò probabilmente anche le decorazioni (Carpeggiani, 2002, p. 16). Nel 1587 poté dare avvio alla canonica di S. Barbara, ma i lavori furono subito interrotti a causa della morte del duca, nello stesso anno. Relegato a un ruolo marginale dal nuovo duca, Vincenzo I, nel 1591 tentò invano di ottenere incarichi a Venezia (Marani, 1965, p. 79).

La maggior parte dei progetti redatti dall’artista rimase inattuata e la sua carriera fu costellata da incomprensioni e delusioni, certo anche a causa dei frequenti attriti con altri artisti e architetti, con il conte Sangiorgio – irritato dal suo «duro cervello» (Carpeggiani, 2002, p. 11) – e persino con il duca (Marani, 1965, pp. 35, 101 nn. 37-38). Tra le architetture superstiti, oltre al giardino pensile, alla canonica di S. Barbara, edificata solo in piccola parte, alle chiese di Solferino, Viadana e Guastalla, occorre ricordare la villa di Antonio da Passano a Villimpenta, riferitagli su basi formali; conclusa entro il 1584, è considerata opera di Pedemonte con numerose citazioni da opere di Giulio Romano (Carpeggiani, 2002, p. 17).

Non si conoscono sue pitture; in compenso il suo corpus grafico, interamente riferibile all’attività di architetto, conta oltre trenta fogli, spesso contrassegnati da un monogramma con due P in un cuore sormontato da una croce. Oltre a un importante contributo di Barton Thurber (1994), si segnala l’esaustiva catalogazione di Paolo Carpeggiani (2002, pp. 18-74); aggiunte successive sono in Klemm, 2009; Zavatta, 2012, pp. 99-101; Carpeggiani, 2013 (il foglio presentato in questo studio è giunto nel 2012 al Musée du Louvre, inv. RF 54932); Grassi, in corso di stampa (per un interessante studio di tempio a pianta centrale). Inoltre nell’Istituto nazionale per la grafica di Roma un foglio del fondo Osio (inv. 15151), per quanto non siglato, sembra di mano di Pedemonte, così come potrebbe spettare a lui, o a suo fratello Cesare, il prospetto di una torre – forse recante lo stemma della famiglia Castiglioni – conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (F.251 inf. n. 221).

Fece testamento nel 1588, destinando gli strumenti del mestiere al nipote Ercole e al pittore Antonio Marovardi (L’Occaso, 2012, p. 73).

Morì il 6 luglio 1592 a Mantova (Marani, 1965, p. 107 n. 66).

Cesare, suo fratello maggiore, nacque a Mantova probabilmente attorno al 1501. Si suppone abbia lavorato per il cardinale Sigismondo Gonzaga nel 1525 (L’Occaso, 2012, p. 74). Nel 1535 lavorò a Novellara; nel 1542 è ricordato come «superstans fabricae S. Andreae» (Marani, 1965, p. 34; Cerchiari, 2006, p. 512) in Mantova; dal 1545 è altresì ripetutamente menzionato come «soprastante della fabrica di San Pietro» (Giulio Romano..., a cura di D. Ferrari, 1992, p. 1037 s.), ossia del duomo mantovano allora in fase di ricostruzione su disegni di Giulio Romano (ibid., p. 1016). Cesare era nel 1546 al suo capezzale quando questi fece testamento (ibid., p. 1165), il che implica una discreta familiarità tra i due. Nel 1554 Cesare era tra gli stipendiati dei Gonzaga come «revisor de le fabriche» (Marani, 1965, p. 64 n. 154); dopo i gravi problemi con l’inquisizione e il carcere, da cui uscì nel 1570, sembra non abbia più servito la corte (d’Arco, 1859; Marani, 1965, p. 34). Nel 1573 fu impiegato dalla famiglia Castiglioni (L’Occaso, 2012, p. 74). Oltre a disporre di poche notizie sulla biografia e l’attività, si lamenta la quasi totale assenza di opere a lui riferite, con l’eccezione di un disegno del 1580, relativo alla fabbrica di S. Andrea (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2611, c. 1142r), per la quale egli potrebbe aver progettato sin dagli anni Quaranta l’ampliamento della cripta (Cerchiari, 2006, p. 512). Morì a Mantova il 4 febbraio 1591 (Affò, 1842, p. 25).

Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti documentarie citate nel testo si vedano: D. Barbaro, La pratica della perspettiva, Venezia, Camillo e Rutilio Borgominieri, 1569, p. 155; M. Bassi, Dispareri in materia d’architettura..., Brescia, Francesco e Pietro Maria Marchetti, 1572, p. 50; C. Malespini, Ducento Novelle, II, Venezia 1609, c. 32v; I. Affò, Registri artistici necrologici di Mantova (sec. XVIII), a cura di C. d’Arco, Bologna 1842, pp. 25 s.; J.-Th. Thibault, Application de la perspective linéaire…, Paris 1827, p. 114; P. Coddè - L. Coddè, Memorie biografiche..., Mantova 1837, pp. 72, 124; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi..., Modena 1855, pp. 149 s., 427 s.; C. d’Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, II, Mantova 1859, p. 277; G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, pp. 59-62; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, p. 339 s.v.; E. Marani, Architettura, in E. Marani - C. Perina, Mantova. Le arti, III, Mantova 1965, ad ind.; P. Fabbri, Gusto scenico a Mantova nel tardo Rinascimento, Padova 1974, ad ind.; E. Monducci, Regesti e documenti, in Lelio Orsi (catal., Reggio Emilia), a cura di E. Monducci - M. Pirondini, Cinisello Balsamo 1987, pp. 266, 270; S. Pagano, Il processo di Endimio Calandra e l’inquisizione a Mantova nel 1567-1568, Città del Vaticano 1991, ad ind.; Giulio Romano. Repertorio..., a cura di D. Ferrari, II, Roma 1992, ad ind.; N. Soldini, La costruzione di Guastalla, in Annali di architettura, 1992-1993 (1993), nn. 4-5, pp. 74, 85 nn. 100-101; T. Barton Thurber, I disegni di P. P. nel Civico Gabinetto dei disegni di Milano, in Il Disegno di architettura, 1994, n. 9, pp. 48-54; Manierismo a Mantova..., a cura di S. Marinelli, Cinisello Balsamo 1998, pp. 60, 78, 83 s., 88, 132, 173; A. Belluzzi, Architettura a Mantova nell’età di Ercole e Guglielmo Gonzaga, in Storia dell’architettura italiana. Il secondo Cinquecento, a cura di C. Conforti - R.J. Tuttle, Milano 2001, pp. 197 s.; P. Carpeggiani, Un architetto in penombra: P. P. (1515c.-1592). Catalogo dei disegni, in Storia dell’architettura e dintorni. Dal Cinquecento al Novecento, a cura di P. Carpeggiani, Milano 2002, pp. 7-79; Id., Il progetto del Palazzo Ducale (1549-1587), in Gonzaga. La Celeste Galeria... (catal., Mantova), a cura di R. Morselli, Milano 2002, pp. 489-496, 542-545 nn. 196.9-15; M. Nascig, La chiesa di S. Pietro in Guastalla, in Civiltà mantovana, s. 3, XXXVIII (2003), 115, pp. 107-128; F. Cerchiari, La chiesa di S. Andrea. Sacello per la reliquia del sangue di Cristo, in Leon Battista Alberti e l’architettura... (catal., Mantova 2006-07), a cura di M. Bulgarelli et al., Cinisello Balsamo 2006, pp. 497 s., 512 s. nn. 97-98; D. Klemm, Italienische Zeichnungen 1450-1800 (Die Sammlungen der Hamburger Kunsthalle, Kupferstichkabinett, 2), I, Köln-Weimar-Wien 2009, pp. 266 s. n. 378; P. Carpeggiani, in L’Œil et la Passion... (catal., Caen), Paris 2011, pp. 102 s. n. 25; S. L’Occaso, Anselmo Guazzi, un allievo di Giulio Romano, Mantova 2012, ad ind.; G. Zavatta, P. P., Giulio Rubone e Raffaellino da Reggio nel cantiere della Sala del Fico a Novellara, in Orsi a Novellara…. Atti della Giornata di studi, Novellara… 2011, a cura di A. Bigi Iotti - G. Zavatta, Rimini 2012, pp. 96-101; P. Carpeggiani, P. P.: novità per il catalogo dei disegni, in Il tempo e la rosa. Scritti di storia dell’arte in onore di Loredana Olivato, a cura di P. Artoni et al., Treviso 2013, pp. 51-53; G. Grassi, Un disegno di P. P. nell’Archivio di Stato di Modena, in Studi in onore di Elio Monducci, in corso di stampa.

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