PONTO

Enciclopedia Italiana (1935)

PONTO (A. T., 88-89)

Michael ROSTOVTZEFF
Lino BERTAGNOLLI

Alta regione costiera dell'Asia Minore settentrionale, costituita di terreni assai varî per età e natura, assai tormentata e impervia a causa delle profonde incisioni dei fiumi, dei suoi ripidi pendii a terrazze verso il Mar Nero e del suo folto manto forestale. Si possono distinguere tre catene montuose parallele alla costa, con cime alte più di 3000 m., e fra loro divise da profonde e strette vallate, in cui scorrono nel loro corso superiore il Yesil Īrmak, il Kelkit Irmağ, il Kara Su e il Coruh Nehr. Il versante marittimo, assai piovoso, è tutto coperto dal bosco: fino a 600 m. esso è alternato da folte macchie di noccioli, da prati, da campi e da vigneti e cosparso di villaggi; più in alto, fino ai 1300 metri, si ha il bosco di faggi e di conifere con folto sottobosco di rododendri anche verso O.; quindi, fino ai 1800 m., il solo alto bosco di faggi e di abeti, a cui subentrano più in alto i ventosi e nebbiosi pascoli alpini, d'estate frequentati dalle greggi. La zona occidentale, prossima alla Paflagonia e nota col nome di Canik, rivestita da una coltre di lave trachitiche del medio Terziario poggiante su terreni del Cretacico e dell'Eocene, lungo le pianure alluvionali costiere ben irrigate e popolate è coltivata intensivamente a frumento, a riso e a tabacco, mentre le colline e i monti boscosi che si trovano alle spalle, sono abitati da nuclei isolati di Turcomanni e di Curdi, che lavorano i metalli e fanno il carbone di legna anche per l'esportazione. Ancor più popolate sono le coste del Ponto centrale, ricche di piccoli centri portuarî dal limitato retroterra, che vivono, più che del commercio, di pesca e dei prodotti agricoli (frumento, frutta, nocciole, canapa e lino). Solo Trebisonda ha un vasto retroterra, che arriva fino all'Armenia e alla Persia. Più alta e alpestre è la sezione orientale, nota col nome di Lazistan, dalla popolazione fiera e rapace che l'abita. Nell'interno le colture sono limitate al fondo delle vallate irrigue, e oltre ai prodotti surricordati dànno anche vino e oppio nel Canik, dove si alleva pure il baco da seta. Assai numerose lungo le vallate le piccole segherie. Poco sfruttate le miniere di rame e di galena sparse qua e là. I principali centri sono lungo la costa: oltre a Trebisonda (50.000 abitanti), attivo porto, con industrie del lino e della canapa, sono: a O. Samsun (30.372 ab.), Unye, Ordu e Tirebolu, e a E. Rize; nell'interno Merzifon, centro agricolo, Amasya (cotonificio) e Tokat, che lavora il rame e che ha assai sviluppate le industrie molitorie.

Il Ponto nell'antichità.

Politicamente l'origine del Ponto risale alla creazione del regno pontico nell'alta età ellenistica. Prima dell'epoca ellenistica e romana politicamente e geograficamente la regione faceva parte, della Cappadocia e portava il nome di Cappadocia al Ponto. I limiti del regno pontico proprio sul litorale del Mar Nero (non si parla qui delle annessioni per breve durata di territorî cappadoci, galatici e bitinici) hanno variato. Il nucleo del regno era formato dalle valli dell'Iris e del Lycus con l'adiacente zona montuosa, cioè il monte Paryadres, una diramazione dei monti Caucasici lungo la riva meridionale del Mar Nero. Questo territorio si estese nei secoli III e II a. C. ad E. fino alla riva caucasica del Mar Nero e ad O. fino ai confini della Bitinia, incorporando una gran parte del litorale della Paflagonia. Al tempo di Mitridate Eupatore il regno pontico comprese press'a poco tutta la zona litorale del Mar Nero.

Dal punto di vista geografico e climatico il Ponto, benché parte della Cappadocia, presenta varie peculiarità. La parte montuosa del Ponto è traversata da parecchi fiumi che sboccano nel Mar Nero. Sono corti e rapidi ad E., più lunghi e meno veloci verso O. Tre di questi fiumi - il Termodonte, il fiume delle Amazzoni, l'Iris e l'Halys - hanno creato ai loro sbocchi fertili e vasti delta e buone stazioni navali. La parte montuosa è molto variata, ma si distingue dall'altipiano di Cappadocia in quanto il clima del Ponto è meno continentale, meno caldo in estate e meno freddo nell'inverno che quello di Cappadocia. Il Ponto può vantare una molto più ricca vegetazione ed era pregiato nell'antichità per la sua ricchezza di boschi pieni di buon legno per costruzioni specialmente navali, di campi fertili che producevano grano in abbondanza, di giardini pieni di uva e di olivi, di noci e ciliegi, di fiori e di piante aromatiche.

Ricca era la parte orientale della regione anche in metalli: rame, argento, piombo e, soprattutto, ferro. Queste miniere erano sfruttate da tempi remotissimi e i loro prodotti furono esportati prima nell'Assiria, Mesopotamia, Fenicia, Palestina e nel litorale occidentale dell'Asia Minore, più tardi nella Grecia. Si sa bene che la tradizione greca assegnava l'invenzione del ferro ai Chalybes ovvero a un re Scita delle regioni pontiche. La regione presso Sinope e in generale la valle dell'Halys abbondavano di una terra contenente ossido di ferro, che si usava nell'antichità come colore rosso o come ingrediente di altri colori e come materia medica.

È molto probabile che la ricchezza in metalli della regione pontica e il commercio in metalli fra questa regione e la Grecia fosse la ragione principale della fondazione di parecchie colonie greche sul litorale S. del Ponto. Le più antiche erano Sinope e Trapezunte, l'ultima una fondazione di Sinope, come anche Cotyora e Cerasunte. Poi vennero fondate Amiso, Eraclea Pontica sul litorale bitinico e le città che più tardi hanno formato Amastride (in Paflagonia). Di questa maniera il litorale meridionale del Ponto fu ellenizzato e rimase greco fino all'evacuazione della popolazione greca dalla Turchia nella nostra età. Nonostante questa ellenizzazione del litorale, la parte montuosa del Ponto rimase orientale per la struttura anatolica della vita sociale ed economica, tale quale esisteva nel tempo del dominio assiro, hittita e persiano. Parecchie tribù, che secondo Strabone parlavano 22 lingue differenti, abitavano nelle montagne pontiche.

Avevano i loro centri fortificati, dove abitavano i loro re, regoli e principi. Residenze reali, almeno al tempo dei Mitridatidi, erano prima di tutto Amasia, centro di una ricca e popolosa pianura con "mille villaggi", che fino a Farnace I era la capitale dei Mitridatidi, poi Gaziura (più tardi Neocesarea), Cabira e Taulara. Posti fortificati dei signori feudali erano le città enumerate da Strabone: Koinon Chorion, Ikizario o Kizari (forse più tardi rifondata da Farnace I sotto il nome di Laodicea), Sagylion, Kamisa e Kimiata.

La popolazione asservita abitava in migliaia di villaggi, parecchi dei quali erano grandi abbastanza per essere chiamati da Strabone κωμοπόλεις. La pianura presso Amasia, p. es., portava il nome χιλιόκωμον (mille villaggi). Di territorî estesi disponevano anche grandi templi orientali, dei quali Strabone, nativo di Amasia, dà una descrizione particolareggiata. Erano dedicati a varie divinità di origini diversa. Presso il grande villaggio di Comana aveva il suo tempio la divinità Ma di Cappadocia; Men Farnaku di Anatolia era venerato nel gran tempio presso Cabira ed era connesso con la comopoli di Ameria; presso Zela si trovava il tempio della iranica Anaitis e dei suoi due accoliti maschi e presso Amasia era il gran tempio d'una divinità pontica identificata con l'iranico Ahura-Mazda, che i Greci chiamavano Zeus Stratios, il dio dinastico dei Mitridatidi. Tutti questi templi avevano i loro re-sacerdoti (il re-sacerdote di Comana occupava il primo posto nella vita politica dopo il re del Ponto), i loro schiavi maschi e femmine, che esercitavano anche la prostituzione sacra, le loro migliaia di servi e i loro territorî fertili e vasti, coltivati dai servi suddetti. Attorno ai templi, specialmente durante le grandi feste, si esercitava un commercio importante, in parte di prodotti industriali dei templi. L'aspetto che presentava il Ponto non differiva molto da quello presentato dalla vicina Paflagonia con le città greche di Amastride, Abonutico e Sinope, con la capitale dei re Gangra (più tardi Germanicopolis), con le fortezze e villagi Fazimon (più tardi Neapolis sotto Pompeo e Neoclaudiopolis sotto Claudio) e Pimolisa. Più simile ma più orientale era la struttura della Cappadocia, così bene descritta da Strabone.

Disgraziatamente il quadro che ci dà Strabone della Paflagonia, del Ponto e della Cappadocia non può essere verificato per mezzo dell'archeologia. Il territorio di questi regni è poco esplorato. Nessuno scavo sistematico è stato fatto, benché l'esplorazione di una delle rovine dei grandi templi sarebbe d'un interesse capitale.

Storia del regno ellenistico. - Il regno del Ponto fu creato da una famiglia che apparteneva alla nobiltà persiana. Un certo Mitridate, signore della città di Cio nella Propontide, prese parte attiva nelle vicende del mondo antico dopo la morte di Alessandro. Sappiamo che all'età avanzata di 80 anni era partigiano di Antigono Monoftalmo. Per una ragione o per un'altra Antigono sospettò della fedeltà di Mitridate e lo fece uccidere. Il figlio (o il nipote) di questo, che portava lo stesso nome, fuggì essendo stato avvisato del pericolo che correva dal suo amico Demetrio Poliorcete. Dopo Ipso questo ultimo Mitridate creò da Kimiata, dove aveva posto la sua residenza, un regno che difese con successo contro Seleuco I e Antioco I. Suo padre o lui - la questione è molto dibattuta - erano ritenuti dalla tradizione storica antica fondatori del regno pontico.

Il secondo Mitridate (302/1266/5), come i suoi vicini - i re di Bitinia, di Pergamo e di Cappadocia - approfittò delle condizioni politiche poco stabili del principio del sec. III a. C. per consolidare ed estendere il suo regno. E così fecero i suoi successori Ariobarzane (266/5-250) e Mitridate III (circa 250-185). In questo tempo i Mitridatidi acquistarono Amastri e altre città greche del litorale occidentale (per es., Abonutico) e la grande e ricca Amiso (circa 255). Probabilmente ebbero sotto il loro controllo l'Armenia Minore e la regione mineraria dei Chalybes. Nella seconda metà del sec. III erano in eccellenti relazioni con i Seleucidi. Mitridate II prese per moglie Laodice, sorella di Seleuco II e figlia di Antioco II, e diede sua figlia Laodice come sposa ad Antioco III.

L'energico e ambizioso Farnace I (circa 185-circa 170) volle approfittare della decadenza del regno seleucidico e consolidare il proprio regno a spese dei suoi vicini - Pergamo e Bitinia. Prese Sinope, la più importante città del litorale pontico e la fece sua capitale (prima di lui la capitale era Amasia, dove si vedono ancora le tombe dei primi Mitridatidi), quale rimase fino agli ultimi giorni del regno pontico. I suoi sforzi provocarono una guerra fra il Ponto e i suoi vicini, una guerra che durò per quattro anni (183-179) e alla quale pose fine la mediazione di Roma. Il fatto che nel trattato conchiuso fra i belligeranti erano inclusi anche Chersoneso di Crimea e il re sarmata Gatalo e che dopo la guerra Farnace fece un patto di non aggressione con Chersoneso di Crimea mostra che a Farnace non era aliena l'idea della conquista delle città greche della Crimea. Insomma la guerra fu disastrosa per Farnace, ma ciò nonostante, il territorio del Ponto dopo la guerra appare più grande di prima. Sinope rimase una città pontica e Cerasunte e Cotyora furono sinecizzate e ricevettero il nome di Farnacia. Il successore di Farnace, Mitridate IV Filopatore Filadelfo, regnò per qualche tempo (170-150) nel nome del figlio di Farnace, Evergete (la sua madre era Nisa, figlia o nipote di Antioco III). Mitridate V Evergete (150-121) è noto come un fedele alleato dei Romani nella loro guerra contro Cartagine e nella guerra di Aristonico. In ricompensa ebbe ingrandito il suo regno a spese dei vicini aggiungendo parti della Frigia e della Paflagonia e occupando per un certo tempo la Cappadocia.

La fine di Evergete fu tragica. Fu assassinato dai suoi amici, e dopo la sua morte fu messo fuori un testamento (probabilmente falso) di lui, nel quale sua moglie era fatta reggente nel nome dei due figlioli di Evergete, Mitridate Eupatore e Mitridate Cresto. Con Mitridate Eupatore il Ponto esce dalla sua oscurità di un minore regno ellenistico e incomincia ad essere per breve tempo un fattore importante nella storia del mondo antico. (Per le sue vicende in questo periodo, v. mitridate e v. anche lucullo; pompeo; silla). Basterà qui far qualche cenno sull'influenza che questo episodio ebbe sullo sviluppo e sui destini politici del Ponto nei periodi repubblicano e imperiale di Roma.

L'attività di Mitridate durante il suo lungo regno e il suo conflitto con Roma furono il risultato della politica estera sempre seguita dai suoí predecessori. L'attività politica dei re del Ponto era sempre guidata da due idee maestre: da un lato tendevano a unire sotto il loro scettro tutte le colonie greche che circondavano il Mar Nero e in questo modo a creare un impero pontico; dall'altro, volevano approfittare nei limiti del possibile delle condizioni politiche dell'Asia Minore per allargare il territorio del Ponto continentale a detrimento dei loro vicini, i re di Bitinia, di Paflagonia, di Cappadocia e dei Galati.

Mitridate, uomo d'ingegno straordinario e di energia che non conosceva limiti, si trovò in una posizione favorevolissima per compiere quello che i suoi predecessori avevano iniziato. Le condizioni disperate in cui si trovavano le colonie greche della Crimea e del litorale N. e O. del Mar Nero gli apersero le porte per un'invasione della Crimea e delle steppe della Russia meridionale. Sotto la pressione degli Sciti della Crimea, che vi avevano creato nel secolo II a. C. un forte regno (il fondatore di questo regno era Sciluro) in cui volevano incorporare le città greche della Crimea, queste città per salvarsi da tale pericolo erano pronte ad accettare qualunque aiuto che potesse loro venire da fuori. Mitridate, padrone di Sinope e di Amiso, le due città che erano strettamente legate al regno bosporano e alla città di Chersoneso, era il solo potentato del mondo ellenistico capace e pronto a intervenire (Roma in questo tempo s'interessava poco delle vicende della regione pontica). Chiamato dai cittadini di Chersoneso e dall'ultimo re bosporano Perisade, Mitridate non tardò a venire per combattere il regno scitico e i suoi alleati Sarmati. L'esercito nomadico degli Sciti e dei Sarmati non era un rivale serio per l'esercito di Mitridate, il cui nucleo era formato da mercenarî greci e che approfittava di tutti i progressi dell'epoca ellenistica nel campo militare. In questo modo Mitridate poté incorporare nel suo regno pontico Chersoneso e le altre città del litorale S. e O. della Crimea e il regno bosporano (v. panticapeo). Dopo queste vittorie sugli Sciti e Sarmati non era difficile estendere il dominio del Ponto anche al territorio di Olbia e includere nel protettorato pontico parecchie città greche del litorale O. del Mar Nero, che non potevano più resistere ai loro vicini, gli Sciti, i Traci e i Bastarni. Padrone di Trapezunte, Mitridate poté con pochi sforzi aggiungere al suo impero anche le poche e deboli, ma ricche, città del litorale caucasico del Mar Nero, e specialmente Fasi e Dioscuriade.

Padrone di tutte le colonie greche del Mar Nero, eccetto quelle che facevano parte del regno bitinico, Mitridate disponeva delle ricchezze accumulate in queste città e si collegò con le tribù scitiche, sarmatiche, meotiche, tracie e celtiche, tribù bellicose e che erano pronte a combattere come mercenarie nell'esercito di Mitridate. Non tentò mai di conquistare queste tribù; si contentò di conchiudere alleanze con i loro re e regoli e di esercitare sopra di loro una autorità comparabile all'autorità dei re parti e armeni sopra le varie tribù del loro regno. Conquistando Fasi e Dioscuriade divenne vicino dei regni dell'Armenia e della Partia e approfittò di questa vicinanza per entrare nella famiglia di questi regni iranici semiellenizzati. Come i suoi predecessori e come i re di Partia, di Armenia e di Commagene, si credette sempre un erede del grande impero di Ciro e di Dario e un discendente della dinastia Achemenide. Munito di tutte queste risorse, di cui non disponevano i suoi predecessori, si pensò abbastanza forte per prendere una parte più attiva nella vita politica dell'Asia Minore. Le condizioni erano anche qui propizie. L'Asia Minore si trovava in uno stato di anarchia come mai prima e la mano di Roma non pesava così fortemente come prima sulla vita politica di questa regione. Una visita che Mitridate fece personalmente alle varie parti dell'Asia Minore negli ultimi anni del sec. II a. C. e l'informazione che ebbe sopra le condizioni interne dello stato romano lo convinsero che il tempo era propizio per agire. E agì.

Non siamo in grado di sapere se già in questo tempo fosse pronto a entrare in una lotta con lo stato romano per il possesso dell'Asia Minore. Pare più verosimile che sperasse di divenire padrone della parte orientale dell'Asia Minore col tacito consenso di Roma. In ciò egli s'ingannava. Ne fece l'esperienza due volte. Prima, quando alleato di Nicomede di Bitinia e più tardi per conto suo e in antagonismo con Nicomede prese possesso d'una parte della Paflagonia e Galazia e ridusse la Cappadocia allo stato di regno dipendente dal Ponto: in seguito a protesta di Nicomede, il senato con un semplice ordine distrusse tutto questo impero anatolico. La seconda volta nel 92 a. C., quando con l'aiuto dell'Armenia e del suo alleato il re Tigrane prese di nuovo possesso della Cappadocia, dove fece re il suo alter ego Gordio: Silla, che in quel tempo era propretore di Cilicia, per mezzo d'un intervento militare restaurò Ariobarzane, il candidato romano, sul trono cappadocico.

Dopo questi due tentativi falliti fu chiaro a Mitridate che senza una lotta decisiva con Roma non poteva sperare di fare alcun progresso in Asia Minore. Si decise dunque a cominciare questa lotta e tentò di nuovo quello che gli era riuscito sul Mar Nero. Si proclamò protettore delle città greche dell'Asia Minore e della Grecia, loro liberatore dal dominio romano. Voleva mobilitare il mondo greco e il mondo iranico contro Roma e sperava di riuscire. Era un'illusione. In due guerre accanite i suoi due imperi, prima il greco-anatolico e poi il pontico, furono distrutti da Silla, Lucullo e Pompeo, ed egli stesso fu ridotto al solo piccolo ed esausto regno bosporano. Qui, mentre stava preparando una terza guerra contro Roma, fu ripudiato dal suo proprio figlio Farnace e dai Greci di Bosporo e mise egli stesso fine alla sua vita.

Il Ponto in epoca romana (la provincia di Ponto e Bitinia). - Dopo la morte di. Mitridate il regno di Bosporo rimase a suo figlio Farnace, mentre la parte pontica fu unita da Pompeo alla Bitinia e organizzata come provincia romana "Pontus et Bithynia" sotto il governo di un propretore. Il territorio del Ponto fu diviso in undici città con i loro estesi territorî: certamente Amiso, Pompeiopoli, Neapoli (Fazimon), Magnopoli (Eupatoria), Diospoli (Cabira), Zela, Megalopoli e probabilmente Tio, Amastri, Abonutico e Sinope (la città di Nicopoli fu fondata da Pompeo in Armenia Minore). Solo il litorale del Mar Nero da Farnacia a Trapezunte e alla Colchide fu assegnato a Deiotaro, re di Galazia. Lo stesso Deiotaro ricevette anche una parte del delta dell'Halys, la Gadilonite. Fu separata dal Ponto anche una parte della Paflagonia, dove regnarono fino al 6 a. C. principi locali della casa dei Pilemenidi. Il territorio di Bitinia, già urbanizzato dai re di Bitinia, aveva probabilmente al tempo di Pompeo 12 città. Cesare cambiò poco le disposizioni di Pompeo, anche dopo il fallito tentativo di Farnace di Bosporo per strappare dalle mani dei Romani il regno pontico di suo padre (47 a. C.). Più importanti furono i mutamenti introdotti nel governo del Ponto da Antonio, il quale dopo la morte di Deiotaro (41 o 40 a. C.) fece re della parte del Ponto che a lui apparteneva un figlio di Farnace, Dario. Più tardi (verso il 36 a. C.) ripristinò il mitridatico regno pontico-bosporano, in favore d'un greco di Laodicea Frigia, Polemone, figlio di Zenone, chiaro retore, che aveva prestato aiuto ai Romani durante l'invasione partica del 40 a. C. A Polemone furono assegnate le parti del Ponto che prima teneva Deiotaro (una parte della provincia romana dall'Iris al Fasi compresa la Colchide con la capitale Trapezunte) con la mano della regina Dynamis. La parte del Ponto governata da Polemone fu chiamata più tardi Ponto Polemoniaco. Dopo la sua morte nel regno bosporano (8 a. C.) il Ponto fu governato da sua moglie Pitodoride fino alla sua morte (23 d. C.?). Favoriti da Antonio furono anche i grandi sacerdoti di Comana e di Zela, che ritennero la loro condizione di regni sacerdotali indipendenti, Zela fino al tempo di Strabone, Comana fino al 34-35 d. C.

Sotto Augusto lo stato di cose creato da Antonio fu perpetuato. Il Ponto fu definitivamente separato in due parti. La parte più urbanizzata formava un distretto amministrativo, la provincia del Ponto e della Bitinia, era affidata alle cure del senato e governata da un proconsole di grado pretorio. Il Ponto Polemoniaco conservò la sua condizione di regno vassallo. Augusto non introdusse che parziali mutamenti territoriali. Attribuì una parte del Ponto Mediterraneo con Sebastopoli, Amasia e Megalopoli Sebastea alla provincia di Galazia. Da allora in poi questa parte fu chiamata Ponto Galatico con capitale Amasia (3-2 a. C.). Alla Galazia fu aggiunta nel 6 a. C. anche una parte della Paflagonia, governata prima dai Pilemenidi.

Mutamenti più radicali furono eseguiti da Tiberio, il quale trasformò il regno di Pitodoride in territorio provinciale. Ma ben presto sotto Caligola (38 d. C.) il Ponto Polemoniaco fu restituito alla dinastia Polemonide. Polemone II, un nipote di Polemone I, vi regnò fino al 64-65 d. C., quando cedette il suo regno a Nerone che lo incorporò nella provincia di Galazia.

Queste vicende della provincia di Ponto e Bitinia creata da Pompeo sono caratteristiche per la politica provinciale imperiale del sec. I d. C. nell'Oriente. Gl'imperatori di questo tempo prima di tutto vollero riprendere l'opera dei re ellenistici d'Asia Minore e della Siria per mezzo d'un'ellenizzazione sistematica. Credevano che re vassalli d'origine ellenica fossero più adatti a questo compito che non governatori romani. Così agirono in Galazia, in Cappadocia, in Armenia Minore e in Commagene. La stessa politica adottarono nel Ponto. La parte del Ponto già ellenizzata con gl'importanti centri urbani di Eraclea, Sinope, Amiso l'incorporarono nella provincia Bitinia già urbanizzata dai suoi re; la parte che rimaneva orientale l'assegnarono ai re vassalli.

Il compito di questi re non era ancora condotto a termine quando necessità militari forzarono prima Nerone e dopo di lui i Flavî e Traiano ad abbandonare questa politica e a trasformare i regni vassalli in provincie regolari. È noto quanto difficile fosse la situazione politica sulla frontiera parto-romana. Il disastro di Crasso e l'insuccesso di Antonio costrinsero Augusto e i suoi successori a inaugurare una politica differente da quella di Crasso, Cesare e Antonio, cioè quella di relazioni diplomatiche appoggiate sopra un forte esercito, che era sempre pronto a invadere il territorio partico. Ma il limes romano-siriaco era mal protetto nella sua parte settentrionale. Le spedizioni romane incominciavano sempre con un'invasione e conquista dell'Armenia. Infatti la lotta tra i due imperi era sempre una lotta per l'Armenia. Ma la frontiera armeno-romana non era organizzata. Un limes militare non c'era. I territorî confinanti con l'Armenia erano governati da re vassalli deboli e malfidi. Quando la politica estera esigeva un intervento militare, l'esercito romano doveva passare per i territorî di questi re, che mancavano di strade e dove l'approvvigionamento era difficile. Una volta in Armenia, l'esercito doveva ricevere i viveri dal Mar Nero, la base principale essendo Trapezunte. Gl'inconvenienti di questo stato di cose si fecero palesi durante la spedizione di Corbulone. Quando dunque Nerone pensò alla sua grande spedizione orientale, riconobbe la necessità di porre fine allo stato di cose vigente nelle regioni che confinavano con la valle dell'Eufrate, la strada naturale per l'invasione dell'Armenia. Così si spiega la trasformazione del Ponto Polemoniaco in una provincia romana. Misure più efficaci furono prese da Vespasiano e dai suoi successori. Come ha dimostrato F. Cumont, Vespasiano nel 70 d. C. creò una grande provincia militare con i territorî già regi. Consisteva della Cappadocia, del Ponto, della Galazia, della Pisidia, della Paflagonia e dell'Armenia Minore. Contemporaneamente Vespasiano iniziava la costruzione di due grandi strade militari, che attraversavano l'Asia Minore da O. ad E. Una - l'antica strada carovaniera - andava parallelamente al Mar Nero da Nicomedia all'Eufrate e passava per tutte le città mediterranee del Ponto: Pompeiopoli, Neoclaudiopoli (Fazimon), Neocesarea, capitale del Ponto, e Nicopoli dell'Armenia Minore. L'altra grande strada da Pessinunte andava ad Ancira, la metropoli della Galazia, poi a Tavium, ad Amasia, l'antica capitale dei Mitridatidi, e a Neocesarea raggiungeva la grande strada pontica. Queste strade, che furono terminate dai successori di Vespasiano, specialmente da Domiziano, Nerva e Traiano, rendevano facile il trasporto di soldati e di viveri alla frontiera dell'Eufrate. Sull'Eufrate una terza grande strada militare congiungeva fra loro i posti militari del nuovo limes eufratico: da Samosata, dove faceva capo il sistema delle strade provenienti dalla Siria, e da Satala andava fino a Trapezunte, porto militare di grande importanza. Di queste strade e del movimento militare su di esse ci fanno testimonianza non solo i miliarî delle strade, ma anche le monete che coniavano le città per uso militare e che portavano tipi militari. In questo modo il Ponto Polemoniaco e il Galatico divennero territorî strettamente militari, e fu resa possibile una politica più energica, una politica di conquista verso l'impero partico.

Provvedimenti importanti si presero anche nella provincia senatoria del Ponto e Bitinia. Già nel primo secolo questa provincia aveva un'importanza capitale dal punto di vista militare. Era un serbatoio e distributore delle materie di cui avevano bisogno gli eserciti romani che di tanto in tanto combattevano in Armenia. Dai bei porti della Bitinia e del Ponto si trasportavano a Trapezunte per il Mar Nero grano, altri viveri, vino, legno, cuoio, ecc., prodotti della provincia. Gli stessi prodotti venivano ad Eraclea, ad Amiso e a Sinope da Olbia e dal regno bosporano. Per organizzare questi trasporti e per provvedere a una produzione sufficiente, per regolare le relazioni tra Ponto e Bosporo ci voleva già in questo tempo un'organizzazione speciale della provincia di Ponto e Bitinia. Era una provincia senatoria, ma racchiudeva estesi saltus degl'imperatori, che in parte servivano per l'allevamento dei cavalli, così importanti per un esercito che doveva combattere i Parti. Era dunque naturale che gl'imperatori, che non si fidavano di proconsoli annuali, avessero i loro proprî agenti in questa provincia, procuratori che dipendevano dall'imperatore direttamente. Erano dello stesso tipo dei procuratori delle altre provincie senatorie. Ma nel Ponto avevano un'importanza più grande e una più grande indipendenza. Avevano soldati a loro disposizione, costruivano strade, sorvegliavano con occhio vigile la vita delle città marittime, protette da forze militari sotto il comando di un praepositus orae maritimae, e stavano in relazioni diplomatiche con i re di Bosporo.

L'importanza della provincia di Ponto e Bitinia dal punto di vista militare divenne ancora più grande quando, sotto i Flavî, Galazia, Cappadocia, Ponto, ecc. furono uniti in una provincia militare, baluardo dell'Impero romano contro i Parti e quando in questa provincia furono costruite le importanti strade militari già menzionate. In questo tempo Ponto e Bitinia ritennero la loro condizione di provincia senatoria. Questa non aveva mai lo stesso governatore della provincia di Cappadocia, Galazia, Ponto, ecc. Il Ponto incorporato in quest'ultima era il Ponto Polemoniaco e Galatico, non il Ponto Occidentale, che era congiunto con la Bitinia. Nondimeno la vecchia provincia senatoria acquistò dopo la formazione della grande provincia militare una doppia importanza per l'Impero romano. Dalle provincie danubiane si muovevano adesso importanti corpi militari verso la nuova provincia. Importava molto al governo centrale che la vecchia provincia fosse capace di fornire viveri agli eserciti. Questo compito incombeva non solo ai procuratori imperiali ma anche alle città della provincia e al loro capo, il proconsole.

Non fa dunque meraviglia che Traiano, che preparava da lungo tempo la sua spedizione partica, abbia preso misure per sistemare e migliorare lo stato economico e amministrativo della provincia di Ponto e Bitinia, che non era in tutto soddisfacente. Per questo scopo mantenne la posizione speciale dei suoi procuratori e per sanare le condizioni delle città bitiniche e pontiche inviò nella provincia di Ponto e Bitinia uno speciale agente suo e del senato, Plinio il Giovane. Questa missione di Plinio ci è ben conosciuta dalla sua corrispondenza con Traiano. Dopo Plinio, lo stesso posto di corrector fu occupato di tanto in tanto da altri personaggi: C. Giulio Cornuto Tertullo sotto Traiano e P. Severo sotto Adriano. Dopo la guerra e la conquista dell'Armenia e della Mesopotamia Traiano riorganizzò nel 114 d. C. anche la grande provincia militare di Cappadocia, Ponto, ecc., che con la conquista era divenuta troppo grande. Essa fu divisa in due parti: Galazia e Cappadocia col Ponto.

Le vicende della provincia di Ponto e Bitinia e delle parti del Ponto che facevano parte della Cappadocia dopo Traiano ci sono mal note. Pare che mutamenti importanti fossero introdotti da M. Aurelio, probabilmente in relazione con la spedizione di L. Vero contro i Parti, cioè con la ripresa della politica conquistatrice di Traiano: egli fece di Ponto e Bitinia una provincia imperiale, staccò da questa provincia Abonutico, Sinope e Amiso e le congiunse con la Galazia. Nel Ponto che apparteneva alla Cappadocia si distinguevano al suo tempo tre parti: il Ponto Polemoniaco, il Ponto Galatico e il Ponto Cappadocico (il littorale da Hermonassa a Dioscuriade). È possibile che queste tre parti fossero diocesi della provincia di Cappadocia e avessero i loro κοινά. Ma nello stesso tempo ci è attestato dalle iscrizioni un Ponto Mediterraneo. Forse M. Aurelio staccò dai territorî continentali la zona litoranea e unì i primi in una sola diocesi con un κοινόν. Il centro di questo Ponto Mediterraneo era Neocesarea (Cabira).

Al tempo di Diocleziano Bitinia e Ponto furono divisi in provincie minori: Bitinia, in Bitinia e Honorias; Ponto, in Diosponto (capitale Amasia), Ponto Polemoniaco (capitale Neocesarea) e Armenia Minore (capitale Sebastea). Questo stato di cose durò fino a Giustiniano.

Benché formassero una provincia sola, Ponto e Bitinia non furono mai un'unità dal punto di vista economico e sociale. La Bitinia, con le sue dodici città, con estesi agri regi, che più tardi divennero ager publicus, e finalmente una parte del patrimonio degl'imperatori, col suo suolo ricco e con la sua popolazione indigena che coltivava i poderi dei grandi proprietarî delle città e dei templi, era più ricca, più urbanizzata ed ellenizzata del Ponto. La civiltà iranica non vi aveva quella impronta così caratteristica per il Ponto. Della vita delle città greche di Bitinia e di parecchie del Ponto alla fine del sec. I d. C. abbiamo notizie straordinariamente ricche. Dione Crisostomo, nativo di Bitinia, nelle sue orazioni alle cittadinanze di varie città bitiniche ci dà un quadro vivissimo delle condizioni in cui queste città vivevano. E Plinio il Giovane nella sua corrispondenza con Traiano aggiunge parecchi dati nuovi e interessanti. Assistiamo alle contese delle città fra loro per il primato nella vita politico-religiosa della provincia, alle lotte interne nelle città tra la classe dominante e la plebe, agli sforzi della popolazione rurale per l'uguaglianza sociale e politica con i cittadini, alle carestie che scoppiavano nelle città e ai disordini che provocavano, al grandioso sviluppo edilizio delle città, spesso arrestato dalla mancanza dei fondi e dalla disonestà dei magistrati. Plinio aggiunge informazioni importantissime sulla lex Pompeia della provincia, che regolava la vita municipale, e sulle relazioni tra le città e il governo romano. Notevolissime sono le sue notizie sopra le associazioni delle città e la formazione dei nuclei cristiani. In Bitinia tra le dodici città di cui parla Plinio e delle quali parecchie portano nomi dinastici romani (Germanicopoli, Claudiopoli [Bithynion] e Agrippenses) le più importanti erano certamente le capitali dei re ellenistici: Nicomedia, Nicea e Prusiade e le grandi città greche del litorale cizico e calcedone. Poche di queste città erano in condizione di città libere: Calcedone, Prusiade al mare e forse Byzantium. Delle colonie romane non conosciamo che una sola: Apamea. Delle città bitiniche, Nicomedia, Nicea e Prusiade al mare ebbero uno sviluppo splendido sotto e dopo Diocleziano, quando questi fece di Nicomedia la sua residenza.

Città comparabili a Nicomedia, Nicea e Prusiade, nel Ponto non ve n'erano. Le antiche colonie greche di Eraclea, Amiso e Sinope erano porti importanti con un commercio ragguardevole. Amiso era città libera, Sinope e forse Eraclea erano colonie romane. La vita in queste città era puramente greca. Dietro ad esse nel Ponto Mediterraneo, cioè in quelle parti del Ponto che furono governate da Polemone, le città avevano un altro aspetto e la vita era differente. Conosciamo poco e male queste città: Amasia, Comana col suo tempio sempre celebre ed affollatissimo, Sebastopoli, Zela con tempio, Trapezunte, Nicopoli di Armenia, Gangra- Germanicopoli di Paflagonia, ecc. Vi nacquero Greci eminenti: Strabone era d'Amasia; ma uno sguardo alle monete di Amasia o di Comana fa vedere che l'ellenizzazione era superficiale e le città rimasero irano-anatoliche, città che non hanno mai dimenticato di essere state un tempo la sede dei Mitridatidi.

Lo stesso, in più alto grado, vale per le centinaia di villaggi del Ponto. Non sappiamo quali fossero i mutamenti introdotti dai Romani nella vita sociale ed economica di questi villaggi. La servitù non esisteva più de iure, ma i templi e i signori locali certo conservavano la loro influenza sopra la vita dei contadini, benché giuridicamente questi ultimi fossero probabilmente coloni, cioè affittuarî e non servi dei loro padroni.

Bibl.: Periodo ellenistico: Enumerazione delle fonti letterarie, numismatiche ed epigrafiche, nonché una bibliorafia completa si trova in M. Rostovtzeff, Pontus and its neighbours in Cambr. Anc. Hist., IX (1932), p. 924 segg. Sempre indispensabili sono i libri di: E. Meyer, Geschichte des Königreichs Pontos, Lipsia 1879 e Th. Reinach, Mitridate Eupator, Parigi 1890; J. A. C. Anderson, F. Cumont, E. Cumont e H. Grégoire, Studia Pontica, I (1903); II (1906); III, i (1910); H. Grégoire, Rapport sur un voyage d'exploration dans le Pont et la Cappadoce, in Bull. de Corr. Hell., XXXVI (1909), p. i segg.; G. de Jerphanion, Inscriptions de Cappadoce et du Pont, in Mél. de la Fac. or. de Beyrouth, VII (1917-21), p. 15 segg., c. 395 segg.

Epoca romana: J. A. C. Anderson, in Cambr. Anc. Hist., X, pp. 274 e 774; Cl. Bosch, Die kleinasiatischen Münzen der römischen Kaiserzeit, in Arch. Anz., 1931, p. 423 segg.; Brandis, Bithynia, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 254 segg.; F. Cumont, Le Gouvernement de Cappadoce sous les Flaviens, in Bull. de l'Acad. Royale de Belgique, 1905, n. 4, p. 197 segg.; id., Destruction de Nicopolis en 499 après J. C., ibid., p. 557 seg.; id., Annexion du Pont Polémoniaque et de la Petite Arménie, in Anatolian Studies presented to Sir William Mitchell Ramsay, Manchester 1923, p. 109 segg.; O. Cuntz, Zum Briefwechsel des Plinius mit Trajan, in Hermes, LXI (1926), p. 192 segg.; W. E. Gwatkin, Cappadocia as a ROman procuratorial province, 1930; R. Herzog, C. Julius Quadratus Bassus, in Sitzungsb. d. berl. Akad. d. Wiss., X (1933); O. G. Hogarth e J. A. R. Munro, Modern and ancient roads in Eastern Asia Minor, in Royal Geograph. Society, suppl. III (1893), parte 5ª; Th. Mommsen, Röm. Gesch., V, p. 304 segg.; J. A. R. Munro, Roads in Pontus. Royal and Roman, in Journ. Hell. Stud., XXI (1901), p. 52 segg.; B. Niese, Beiträge zur Biographie Strabos, in Hermes, XIII (1878), p. 33 segg.; id., Straboniana, in Rh. Mus., XXXVIII (1883), p. 567 segg.; A. v. Premerstein, C. Iulius Quadratus Bassus, ecc., in Sitzb. d. Bayr. Ak., phil.-hist. Abt., 1934; 3; Th. Reinach, Rec. Gen. des Monn. gr. d'Asie Mineure, I, i, 2ª ed., 1925, p. i segg.; M. Rostovtzeff, Pontus, Bithynia and the Bosporus, in Ann. Br. School at Athens, XXII (1918), p. i segg.; J. Sölch, Bithynische Stäedte in Altertum, in Klio, XIX (1925), p. 165 segg.; V. Tscherikover, Die hellenistischen Stäedtegründugen, ecc., in Philologus, suppl. XIX, i (1922), p. 41 segg.; W. Weber, Zu der Inschrift des Iulius Quadratus, in Abh. d. preuss. Ak. d. Wiss., 1932, n. 5, p. 57 segg.; U. Wilcken, Plinius' Reise in Bithynien und Pontus, in Hermes, XLIX (1914), p. 120 segg.