Popoli e culture dell'Italia preromana. I Sabini

Il Mondo dell'Archeologia (2004)

Popoli e culture dell'Italia preromana. I Sabini

Alessandro Guidi

I sabini

Le notizie delle fonti, i ritrovamenti archeologici e i documenti epigrafici conosciuti ci permettono di identificare i Sabini come un popolo collegato, per diversi aspetti, con quelli dell’area italica e medio-adriatica, gli Umbri, i Piceni, gli Ernici e i Sanniti; lo stesso etnonimo Safin compare in un gruppo di iscrizioni rinvenute nel Teramano (ad es., a Penna Sant’Andrea), mentre la lingua impiegata nel cippo di confine di età arcaica di Cures e, in misura minore, nelle più antiche iscrizioni di Magliano e Poggio Sommavilla mostra una notevole corrispondenza con quella delle iscrizioni “sud-picene”. Va infine ricordata, nell’ambito dell’ordinamento amministrativo augusteo, la creazione di una IV regio (Samnium et Sabina). Dobbiamo a Catone e a Dionigi di Alicarnasso le principali indicazioni sugli spostamenti dei Sabini che, partendo dal centro di Testruna (di cui oggi si propone una localizzazione nei pressi di Amiternum), avrebbero occupato la conca reatina per poi scendere lungo la riva sinistra del Tevere, fino all’altezza dell’area posta tra Nomentum e Crustumerium; a fianco di questa tradizione se ne conoscono altre, in particolare quella relativa a una mitica fondazione del maggiore dei centri della regione tiberina, Cures Sabini, da parte di Modio Fabidio e dei suoi seguaci, provenienti da Reate.

A Strabone, infine, dobbiamo la caratterizzazione di due diverse aree della Sabina, quella tiberina, più ricca e sviluppata, e quella interna, più austera. I dati archeologici accumulatisi soprattutto a partire dalla felice stagione di ricerche della prima metà degli anni Settanta del Novecento a Colle del Forno (presso Montelibretti), necropoli di Eretum, in seguito arricchiti dagli scavi effettuati a Cures Sabini (nell’attuale territorio di Passo Corese), Poggio Sommavilla, Foglia e Magliano Sabina e dalle ricerche di superficie condotte sia in varie aree della Sabina tiberina che nella conca reatina, hanno confermato a grandi linee il quadro delineato dalla tradizione. Appare ad esempio evidente come l’occupazione della conca reatina, indiziata da decine di abitati databili soprattutto tra la media età del Bronzo e gli inizi dell’età del Ferro (epoca cui si datano le tombe a incinerazione di Campo Reatino), cessi in corrispondenza della fase avanzata della prima età del Ferro, mentre quasi tutti i maggiori centri posti lungo la riva sinistra del Tevere sembrano essere databili (nei termini della cronologia assoluta tradizionalmente accettata) solo a partire dall’- VIII sec. a.C.

Allo stesso tempo, va rilevato come centri ben strutturati e di notevole estensione, certamente di tipo urbano in età arcaica, siano presenti solo nella Sabina tiberina, mentre quelli della regione più interna, come la stessa Reate o Trebula Mutuesca (l’attuale Monteleone Sabino), non sembrano aver raggiunto, fino all’età romana, un livello di sviluppo comparabile. Va inoltre ricordato come le fonti insistano sul ruolo dei Sabini nella nascita e nelle prime fasi di vita di Roma (si veda, ad es., la tradizione sull’origine curense di Tito Tazio e Numa Pompilio), una tesi difficilmente verificabile in base all’evidenza archeologica, fortemente avversata dallo storico J. Poucet. Nella Sabina tiberina, il quadro del popolamento della fase recente della prima età del Ferro è quello di una serie di centri di estensione modesta (quello più a nord, Ocriculum, corrisponde all’attuale Otricoli), posti a distanze medie di 6-8 km uno dall’altro.

Solo tra la seconda metà dell’VIII e il VII sec. a.C. alcuni dei centri si sviluppano, seguendo diversi modelli di crescita, dalla progressiva occupazione di un pianoro più grande (Eretum) all’“annessione” di colline adiacenti a quella del villaggio più antico (Cures Sabini), fino al sinecismo tra diversi nuclei posti alle pendici e sulla cima di un’altura (Poggio Sommavilla e Magliano Sabina). La loro estensione è compresa tra i 20 e i 30 ha, mentre il territorio controllato, che assorbe quello di diversi siti minori della fase precedente ed è caratterizzato da un’evidente gerarchia insediamentale, ha una grandezza calcolabile attorno ai 100 km2. A Cures è stata messa in luce una struttura della fine della prima età del Ferro al cui interno è stata recuperata una notevole quantità di ceramica da mensa di pregio, assieme a una ricca produzione di vasi di impasto dipinti, a testimonianza dello stile di vita dell’élite nel momento immediatamente precedente la formazione del centro protourbano.

Anche la documentazione funeraria attesta, almeno a partire dalla seconda metà del VII sec. a.C., un’evidente complessità sociale; valga per tutti l’esempio del ricco corredo della tomba XI di Colle del Forno, appartenente a un guerriero sepolto, oltre che con le armi, con il pettorale, la bardatura equina e il carro, elementi, questi ultimi, rivestiti da lamine auree. Non abbiamo ancora dati sufficienti a ricostruire la fisionomia delle città sabine in età arcaica; solo a Cures conosciamo un grande edificio costruito su più livelli e l’incrocio tra alcune strade all’interno dell’area urbana. Va sottolineato il fatto che in diversi centri (Cures, Campo del Pozzo e Poggio Sommavilla) sono documentati grandi fossati difensivi, a riprova dell’assenza di vere e proprie mura, un’altra delle caratteristiche ricordate dalle fonti. Dal punto di vista della cultura materiale, nonostante evidenti somiglianze con quella etrusca e latina (e, in misura minore, con alcuni contesti coevi  dell’area medio-adriatica), già nel corso della prima età del Ferro è possibile isolare fogge e produzioni, come l’impasto dipinto, chiaramente locali; di grande interesse, per la ricostruzione della diffusione delle influenze culturali sabine, è la somiglianza di molte delle forme dei vasi rinvenuti nella struttura di Cures con quelle documentate nella necropoli capenate de Le Saliere, posta sull’altra riva del Tevere.

È comunque dalla fine del VII sec. a.C. che si possono riconoscere delle tipiche produzioni sabine, come le pissidi e le anforette biansate su piede, decorate a stampiglia o a incisione (si veda, a questo proposito, il ricco repertorio delle tombe a camera di Poggio Sommavilla), in coincidenza con la diffusione di una lingua originale rispetto sia all’etrusco che al latino, simile per molti aspetti, come si è già detto, a quella del mondo medio-adriatico. Per quanto riguarda la religione, le fonti ci hanno tramandato il nome di Vacuna, divinità locale attestata da diverse iscrizioni, e di Feronia, venerata a Trebula (dove è stata individuata e scavata la stipe relativa al santuario), ma assai più diffusa nell’area centro-italica. Altre figure del Pantheon sabino sono Quirino, Sanctus (Semo Sanco), padre del Sabo fondatore con Rhea di Rieti, e Pater Reatinus.

La tradizione parla di una serie di conflitti locali tra Romani e Sabini già nel V sec. a.C.; la conquista definitiva della regione si avrà solo nel 290 a.C., con la fortunata campagna militare del console Manio Curio Dentato. Se da una parte gli storici sottolineano il veloce inserimento dei Sabini nelle strutture sociali e politiche dello Stato romano (si pensi alla civitas sine suffragio concessa agli abitanti di Cures Sabini), l’archeologia tende a dare un quadro più articolato del processo di romanizzazione. Appare invece certa la perdurante importanza della regione, testimoniata dalle molte e imponenti ville rinvenute, dai nuovi centri creati, come Forum Novum (Vescovio), dai lavori di allargamento, sistemazione e prolungamento fino a Reate e oltre della via Salaria, strada che in parte ricalca un più antico percorso, databile almeno a partire dalla prima età del Ferro.

Bibliografia

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