PORTO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1965)

Vedi PORTO dell'anno: 1965 - 1996

PORTO (ἐμπόριον, portus)

V. Scrinari

Generalmente i porti si distinguono in naturali e artificiali, ma, con più precisione anche per quanto concerne l'antichità, i p. possono essere distinti in p. di rifugio, atti ad accogliere le navi avariate o colte di sorpresa da tempesta durante la navigazione, p. di commercio, quelli che oltre a consentire un sicuro stazionamento delle navi possiedono un'attrezzatura idonea al movimento delle merci e dei passeggeri, l'approvvigionamento ed il restauro dei natanti, e p. militari, vale a dire quelli studiati, scelti e costruiti con particolari intendimenti di difesa della costa, di concentramento della flotta militare, di intervento in caso di guerra.

Rispetto al litorale che li accoglie, i p. possono essere distinti in esterni o interni, ottenuti cioè per conquista di uno specchio d'acqua con strutture artificiali, o per scavo nel retroterra, entro lagune marine, negli estuarî fluviali o terreni vicini al mare.

Una rapida rassegna dei p. antichi nel Mediterraneo, noti dalle fonti letterarie e storiche o dai documenti archeologici e monumentali, ci attesta la validità di questa distinzione ed il fatto che la tecnica applicata dall'uomo alla natura per la loro costruzione è stata in ogni tempo la medesima, variando talora i materiali usati per realizzarla ma persistendo i principi di base.

Il secondo millennio a. C. è privo di opere portuali, pur essendoci nei ricordi letterari l'eco di opere protettive di approdi costieri soprattutto in collegamento con famosi santuari; il primo millennio a. C. ricorda Fenici, Filistei, Egizî, Etruschi, Greci che percorrono il Mediterraneo con le loro navi ed attraccano a grossi emporî non meglio descritti e definiti nelle loro strutture; solo il periodo arcaico tra il VI ed il V sec. a. C. possiede dei veri e proprî complessi portuali che la Grecia chiama ἐπίνεια, perché sorgono di preferenza su stretti ed alti lembi di terra a cavallo tra due mari o a guardia di golfi strategicamente importanti, distanti dalla città cui appartengono o la cui origine condizionano, pur rimanendo ed essa politicamente ed amministrativamente collegati. Tipici esempî Lechaion, il porto di Corinto, e Pireo, il porto di Atene, costituito da un nucleo dominante il golfo, articolato in tre bacini: il Κάνϑαρος o grande porto, Zea e Munichia i minori, affiancati dai cantieri e dagli arsenali; nel V sec. a. C. Temistocle, oltre a proteggere il complesso con una valida cinta di mura, ancora visibile in parte, che lo collega alla città, lo arricchisce di monumenti. È l'epoca in cui compaiono nelle iscrizioni anche le prime cariche relative all'amministrazione ed alla cura dei p.: ci sono gli ἐπιμελούμενοι per gli arsenali, nel secolo successivo sostituiti dai dieci ἐπιμεληταὶ; ἐπιμελητής si chiama anche il sovrintendente alla manutenzione degli emporî, coadiuvato dai λιμενάρχαι per il movimento del porto.

Accanto ai bacini chiusi entro le mura, esistono i p. aperti che incominciano a circondarsi di edifici per depositi di merci ed arsenali di navi (Siracusa, Samo, Chio, Sunio, Oiniade), elementi che si definiscono con due termini precisi ἐμπόριον (fondaco), νεώριον (rifugio di navi). L'epoca ellenistica organizza questi diversi ambienti in un unico complesso a portici che si sviluppano intorno al bacino portuale; sempre in questo periodo alcuni p. assumono l'aspetto e la funzione di p. militari (Siracusa, Corcyra, Alicarnasso) e tendono ad estrinsecarsi dalla città cui appartengono. Man mano si giunge così alla trasformazione del concetto di porto che nel mondo ellenistico è pur sempre ancora inserito nella città, è un elemento della pòlis, mentre nel mondo romano diviene spesso elemento a sé stante, staccato dal nucleo urbano d'origine.

Durante l'epoca repubblicana i Romani si limitano ad usufruire delle basi portuali costruite da altre nazioni (Cartagine, Alessandria, Delo, Corinto, Siracusa) utilizzando per i collegamenti con Roma la foce del Tevere ed il semplice approdo ostiense. Appartiene alla concezione imperiale di Roma l'organizzazione e la costruzione sistematica di bacini portuali capaci ed efficienti al massimo grado che degli emporî ellenistici colgono gli elementi funzionali per il traffico sul retroterra (arsenali, magazzini, porticati) e dalla più lontana esperienza greca il metodo protettivo dei bacini d'acqua.

La disposizione delle opere di difesa foranea dei p. è stata in ogni tempo uguale: moli, se opere in muratura radicate a terra accessibili, con fronti interne di approdo, dighe se opere isolate in mare, frangiflutti ed antemurali, disposte a protezione dell'imboccatura d'accesso al porto. I moli convergenti protetti da antemurali sono tra i metodi più antichi di difesa a bacini chiusi (Licata, Civitavecchia).

I Greci sono dovuti ricorrere per la loro costruzione ad opere in conci squadrati di pietra, in assise piramidali regolari, fondate su scogliere di massi naturali disposti in correlazione alle sollecitazioni del moto ondoso; i Romani invece sono stati aiutati in quest'opera dalla perfezione raggiunta nella tecnica delle malte idrauliche per il conglomerato dell'opera a sacco come pure dalla conoscenza perfetta della costruzione subacquea (Vitr., ii, 6; v, 12). In questo modo moli e banchine sono realizzati su fondazioni cementizie tenacissime rivestite esternamente in pietra di vario tipo e lastricate superficialmente in pietra o mattoni. Tali opere a loro volta sono munite di anelli d'ormeggio in pietra a foro verticale o orizzontale nonché di marciapiedi per i regimi di magra nel caso di p. fluviali (Aquileia), per le variazioni di marea, nel caso di p. marittimi.

Sull'esempio dei monumentali p. ellenistici (Alessandria, Rodi) anche i p. romani hanno fari (v. faro) di notevoli proporzioni, decorazioni di statue d'imperatori e divinità propiziatrici (testimonianze offerte da rilievi, mosaici, pitture).

Gli impianti portuali a bacino chiuso e protetto da opere in muratura che siano oggi documentabili attraverso le notizie delle fonti letterarie o i resti archeologici, sono: per il VI sec. a. C. il porto di Paro (Skylax, 58; Herod., vi, 133); quello di Oiniade (Strab., C 458-459, di Samo (Skylax, 98; ruderi esistenti); di Priene (Skylax, 98); per il V sec. a. C. il grande impianto di Pireo (Thukyd., ii, 94, 4, esistono in parte le mura), quello di Naupatto (ruderi esistenti), Corcyra, con tre bacini dei quali uno chiuso (Skylax, 29; Thukyd., iii, 70), Taso (Skylax, 67, ruderi evidenti), Mitilene (Strab., C 617; Diodor., xiii, 77), Siracusa (Skylax, 13); per il IV sec., il porto di Egina (ruderi conservati sott'acqua), Larymna (ruderi visibili), Alicarnasso (Skylax, 99; Vitr., ii, 8), Coo (Skylax, 99), Salamina di Cipro (Skylax, 103), Falasarna (Skylax, 47), Cizico (con due impianti portuali dei quali il più antico sembra risalire all'epoca arcaica), Locri Epizefiri (con ruderi conservati), Cartagine (Appian., 97 ss.; testimoniato dalla topografia della palude di el-Kram); per il III-I sec. a. C. il porto di Elea, quello di Smirne (Strabo, C 646), Clazomene, Eritre, Efeso, Mileto, Mindo, Attaleia, Alessandria d'Egitto (Strabo, C 791-794), Potidea (Liv., xliv, 11), Bisanzio (Cass. Dio, 74, 10), tutti documentati da residui di strutture portuali.

Alessandria d'Egitto è l'esempio migliore per l'epoca ellenistica: risolto nel tratto d'acqua tra la città e l'isola del faro, il complesso portuale si apre in due bacini divisi da un'ampia diga lunga sette stadi (da cui il suo nome di ἑπταστάδιον), protetto da dighe minori contro i venti di ponente, con un piccolo bacino interno, il κιβοτός, comunicante con il retrostante lago di Mareotide ed un secondo porticciolo interno ad esclusivo servizio del palazzo reale, circondato da monumentali emporî e templi alle divinità marine ed isiache.

D'importanza non minore e d'alta antichità è anche il complesso di Cartagine, descritto da Appiano; sorto da un primo impianto punico, è potenziato dallo scavo nel retroterra di due ampi bacini dei quali il più interno, circolare, serve per rifugio alla flotta e pare essere stato capace d'accogliere persino 220 navi, l'antistante, rettangolare, vale per il traffico commerciale; entrambi protetti e collegati alla città dalle mura. Interessante e rilevabile ancora l'impianto portuale di Cesarea di Mauretania che riecheggia la disposizione dei bacini di Alessandria.

Tranne per quanto concerne le poche notizie sul porto di Cartagine, mancano testimonianze precise per la cronistoria dei p. ottenuti dallo scavo del retroterra; sembra che siano stati tali in epoca arcaica il porto di Lechaion nel golfo di Corinto (Ptol., Geogr., iii, 16) e quello di Hadrumetum in Africa (Strabo, C 834), entrambi però rifatti in epoca ellenistica e romana in modo tale da non consentire un rilievo dell'impianto primitivo.

Poiché, come già detto, la tecnica greca dei moli guardiani dei p. si valse del sistema a sottofondazione di scogliera, e sovrastrutture in conci di pietra ne risulta ovviamente una rigida configurazione del bacino portuale con la disposizione dei moli a segmenti rettilinei. Solo l'impiego del conglomerato cementizio romano consente di snodare i moli guardiani secondo perimetri circolari e sviluppare in questo modo una più razionale ed elastica difesa del bacino dal mare aperto, potenziando altresì l'attrezzatura portuale con edifici sostenuti dagli stessi moli. Il molo monolitico di calcestruzzo sostituisce quindi al tipo del molo a scogliera con scarpate laterali il tipo a pareti verticali detto dagli antichi opus pilarum (Suet.); esso è documentato oltre che dalle fasi di rifacimento ad opera delle maestranze romane dei p. greci di Eleusi, Mitilene, Egina, Cnido, Naxos, dai p. romani di Pozzuoli, Miseno, Nisida, Terracina, Roma, Anzio, Ancona, Civitavecchia, Astura.

Tra tutti i p. romani il più antico è certamente quello di Frejus, il Forum Iulii della Gallia Narbonense, alla foce del fiume Argens, fondato da Cesare e potenziato da Augusto che vi raccolse le navi nemiche catturate ad Azio. Consiste in un bacino interno collegato al mare da un canale protetto da mura e guardato da torri all'accesso (il faro si ergeva per m 10,50 su basamento rotondo). Segue il Portus Iulius di Miseno, trasformato da Augusto in sede della flotta militare (Classis Praetoria Misenensis) dopo il rapido insabbiamento del complesso più interno dei laghi Lucrino e d'Averno, precedentemente scelto da Agrippa quale base navale, circondato ancora oggi dai resti delle opere portuali (magazzini, depositi, cisterne, tra cui la piscina Mirabilis). Il porto commerciale di Pozzuoli, costruito per volere di Augusto e restaurato nel 139 ad opera di Antonino Pio, conserva il molo guardiano (sotto le strutture di quello moderno) largo m 16, per una lunghezza di m 372, a gettate in conglomerato a pilastri collegati da arcate. Per il p. di Roma, Portus Ostiensis, di gran lunga il più vasto complesso portuale ed il più conservato, compreso oggi parte nel comprensorio dell'aeroporto Leonardo da Vinci (Porto di Claudio), parte nella tenuta Sforza Cesarini (Porto di Traiano) si veda la voce porto (ostia).

Gli architetti Severus e Celer sono i costruttori del nuovo porto voluto da Nerone ad ampliamento del piccolo, vecchio porto di Anzio, ancora, pare, d'origine volsca; la forma è irregolare, quasi a trapezio, chiuso da due moli guardiani lunghi m 700 l'orientale, m 850 il meridionale, larghi m 10, costruiti a gettata cementizia con paramento a tufelli, divisi da un'apertura di m 6o per l'imbocco.

A Traiano si devono, oltre al secondo bacino del porto di Roma, gli impianti portuali di Terracina e di Civitavecchia; il primo è interrato, ma è stata rilevata la bella forma del bacino circolare, scavato nella terraferma, con una circonferenza di m 1270, il molo largo m 20, con la traccia del faro sulla testata; notizie letterarie vogliono che un porto esistesse a Terracina già nel III sec. a. C. ed altre notizie ne attribuiscono la costruzione all'imperatore Antonino Pio; sono probabili ambo i casi in quanto l'importanza di Terracina preromana è tale da consentire l'ipotesi di uno scalo marittimo proprio ed è possibile che in età imperiale il porto sia stato rifatto a cura di Traiano e completato da Antonino Pio. La costruzione del molo di Civitavecchia a scogliere e scarpate laterali è tuttora visibile sotto le strutture moderne e rappresenta un esempio singolare di costruzione del genere nell'antichità, più volte descritto dalle fonti letterarie (Plin., Epist., vi, 31; Rutil. Nam., De reditu suo, v. 237 s.).

È probabile che anche il porto di Leptis Magna, che oggi appare in tutta la sua ricca decorazione dell'epoca di Settimio Severo, abbia avuto una fase precedente sorta su un più antico impianto, forse ancora di origine cartaginese o fenicia; il bacino a poligono irregolare, ampio circa m 400 di lato, è ricavato da uno scavo artificiale del retroterra presso la foce del fiume Uadi Lebda, fatto deviare in un vicino torrente per evitare l'interramento del porto; quest'ultimo è protetto a mare da moli a gettata di conglomerato e rivestimento di conci regolari di pietra, con l'impianto del faro a torre quadrangolare esterno alla testata del molo sinistro, e la monumentale Via Colonnata di accesso alla città.

Del porto di Ravenna, il secondo per importanza militare nell'Impero romano, si posseggono pochi elementi che vanno rivelandosi oggi nel retroterra, profondamente insabbiati, attraverso il contributo della aerofotografia; sembra sia consistito in un ampio bacino scavato nel retroterra e collegato al mare da un largo canale.

All'Adriatico appartiene l'esempio più conservato di porto fluviale, quello di Aquileia, preceduto dallo scalo lagunare di Grado; attraverso un ampio canale si collegarono al mare le acque del fiume Natissa e sull'argine dello stesso si costruì la banchina di approdo a doppio marciapiede, perfettamente lastricata e fornita da comode strade di raccordo con la città, affiancata da magazzini ed edifici di notevoli proporzioni e bellezza, ancora documentati in sito dai ritrovamenti archeologici. Il sovrapporsi alle strutture del porto delle mura di difesa della città nella seconda metà del II sec. d. C. consente di ritenere decaduto l'impianto prossimo alla città a favore dello sviluppo di quello gradese già in questo periodo. Altri porti alla foce di un fiume sono Arelate, Burdigale e Portus Itius in Gallia; tra i p. muniti di attrezzature su sponde di laghi, il più documentabile è Genava (Ginevra) a bacino chiuso protetto da muri e palizzate.

Noti ma documentati solo da poche notizie per quanto riguarda le loro strutture, i p. di Ancona, Trieste, gli approdi dell'Istria e forse descritti dai rilievi della colonna traiana, Salona in Dalmazia.

Interessante al riguardo quanto potrà essere rilevato con le ricerche subacquee che consentono oggi lo studio e la documentazione delle strutture antiche sotto i moderni impianti portuali (indagini effettuate per Pozzuoli, Scauri, Ancona, Cesarea di Palestina).

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