POVERTA' E IMPOVERIMENTO

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Povertà e impoverimento

Paolo Palazzi

Esistono due possibili definizioni quantitative di povertà: povertà assoluta e povertà relativa. La povertà assoluta viene misurata attraverso indicatori assoluti di reddito, e le soglie di reddito di uno o due dollari al giorno risultano essere le più utilizzate dagli organismi internazionali. Tale misura appare ovviamente rozza e approssimativa, ma il suo utilizzo permette un confronto rapido e intuitivo a livello internazionale e nel tempo della dinamica della povertà. Le misure della povertà relativa, invece, passano attraverso l'utilizzo di valutazioni della disuguaglianza nel reddito all'interno di ciascuna situazione di riferimento (Paese, regione, area geografica, gruppo sociale ecc.). In prima approssimazione è quindi possibile avere una visione della situazione mondiale della povertà e della sua dinamica utilizzando esclusivamente i livelli assoluti di reddito.

tab. 1

Nella tab. 1 sono riportati i dati relativi al numero dei poveri nel mondo, per il periodo 1990-2001, nelle due accezioni di soglia assoluta di povertà: reddito giornaliero inferiore rispettivamente a 1 o 2 dollari. Il numero assoluto dei poveri non ha subito notevoli variazioni: ciò, considerato l'aumento di popolazione, ha portato a una diminuzione dei poveri sulla popolazione mondiale di circa 5 punti percentuali. I dati della tabella mostrano anche come tale diminuzione presenti una dinamica differenziata nelle aree del mondo. In particolare, si possono notare due fenomeni molto rilevanti: a) la riduzione della povertà ha riguardato principalmente i Paesi dell'Asia orientale e meridionale; b) un aumento rilevante del numero dei poveri e del loro peso sulla popolazione si è avuto soprattutto nell'Europa orientale.

Questi due fenomeni sono facilmente spiegabili notando come nel periodo di osservazione la dinamica del reddito pro capite nelle varie aree del mondo appaia molto differenziata. L'enorme aumento del PIL pro capite nei Paesi asiatici e la forte diminuzione in quelli dell'Europa orientale chiariscono ampiamente la dinamica della povertà assoluta nel mondo. Utilizzando il concetto di povertà assoluta non si può andare al di là di queste scarne e superficiali indicazioni. Anche se nei programmi internazionali di lotta alla povertà si fa riferimento a questi dati, le conclusioni che se ne traggono sono semplici e banali: la povertà assoluta si riduce quando l'economia cresce e il reddito aumenta a ritmi superiori all'incremento demografico. Conclusioni semplici, che tuttavia nascondono contraddizioni e gravi problemi interpretativi del fenomeno della povertà.

Riduzione della povertà nel mondo

Su scala planetaria, le Nazioni Unite come le altre organizzazioni internazionali si sono poste come obiettivo qualificante il dimezzamento del numero dei poveri per l'anno 2015: la lotta alla povertà assoluta è il primo degli otto obiettivi del Millennium Development Goals (MDGs) che le Nazioni Unite si sono impegnate a raggiungere. L'interpretazione della povertà definita attraverso livelli assoluti di reddito implica l'enorme pericolo di portare a far coincidere meccanicamente e passivamente la lotta alla povertà con gli obiettivi di crescita del reddito. È ovvio che la capacità di un Paese di aumentare la produzione di beni è un fattore rilevante sul tenore di vita di tutti i cittadini, e dunque anche dei cittadini poveri; ma quello che risulta sempre più chiaro è che la crescita del reddito non è una condizione sufficiente, e in alcuni casi neppure necessaria, per una diminuzione della povertà, anche nella sua accezione più semplice di povertà assoluta. In sintesi, la lotta contro la povertà non deve essere ridotta e confusa con gli obiettivi di crescita economica. Questa affermazione risulta rafforzata e valorizzata se si abbandona il concetto di povertà assoluta o, meglio, se si abbandona il concetto di povertà legato esclusivamente al livello di reddito, utilizzando invece una definizione di povertà ben più complessa e completa, come fenomeno multidimensionale dove aspetti quantitativi e qualitativi interagiscono e si fondono.

La lotta contro la povertà ha la speranza di essere efficace soltanto se si è in grado di definirne la multidimensionalità degli aspetti e, conseguentemente, di determinarne la molteplicità delle cause.

La povertà come fenomeno multidimensionale

Si è ormai affermato, sia nel mondo accademico e della ricerca, sia in quello di alcune organizzazioni internazionali, un approccio al problema della povertà come fenomeno dai molteplici aspetti. Il pioniere di questa impostazione è il premio Nobel A.K. Sen, che ha elaborato la base teorica che ha rivoluzionato gli studi sulla povertà (Poverty and famines: an essay on entitlement and deprivation, 1981). Le sue riflessioni si basano essenzialmente su due concetti: il primo è quello dello entitlement, cioè la possibilità di un individuo di accedere attivamente ai beni e ai processi produttivi che possono soddisfare i suoi bisogni; il secondo è quello della capability, che non è altro che il possesso degli strumenti che rendono capace un individuo di esprimere pienamente i molteplici aspetti del suo essere uomo.

Si tratta di concetti semplici, che partono dalla ovvia considerazione che gli esseri umani non necessitano soltanto di sopravvivere fisicamente, ma di vivere in pienezza, che tuttavia comportano difficoltà molto rilevanti quando dal concetto si tenti di passare all'identificazione, misurazione e politica d'intervento in relazione alla povertà, così come definita da Sen.

Il tentativo istituzionalmente più rilevante è stato quello avanzato, a partire dal 1990, dallo United Nations Development Programme (UNDP) attraverso la costruzione di un Indice di sviluppo umano che ha introdotto organicamente nella definizione e misurazione dello sviluppo anche variabili diverse da quelle del reddito. In particolare, sono state introdotte misure relative all'istruzione e alla salute, oltre a quelle legate al reddito. Ogni anno viene pubblicato dallo UNDP un rapporto che, oltre al calcolo dell'Indice citato, analizza aspetti dello sviluppo di tipo qualitativo quali la distribuzione del reddito, le libertà, le discriminazioni di genere, religiosa o razziale.

La 'istituzionalizzazione' di una definizione di sviluppo con riferimento all'uomo e non soltanto all'economia ha avuto un impatto notevole anche nell'analisi e nella definizione di povertà. Inoltre, istituzioni internazionali usualmente legate a un concetto di crescita economica come sinonimo di sviluppo, come per es. la Banca mondiale, hanno iniziato a essere sensibili verso aspetti più articolati nella definizione stessa di povertà.

Dal punto di vista della misurazione della povertà, questo diverso approccio ha portato alla difficoltà o, meglio, all'impossibilità di una misurazione univoca e attendibile del numero di poveri nel mondo, dando luogo a due opposte conseguenze: a) un'articolazione dell'analisi delle condizioni di povertà tale da investire un numero di aspetti molto vario e diversificato tra i diversi Paesi. Nel rapporto del 2003 lo UNDP, affrontando un'analisi degli obiettivi del già citato MDGs delle Nazioni Unite, dedica solo una tabella su dodici alla valutazione del numero dei poveri secondo il reddito; le altre tabelle presentano dati relativi ai numerosi aspetti che investono le caratteristiche di condizione umana indicanti situazioni di povertà (istruzione, uguaglianza di genere, mortalità infantile, diffusione dell'AIDS, sostenibilità ecologica, potabilità dell'acqua e servizi igienici, accesso al commercio, sostegno per Paesi isolati, sostenibilità del debito internazionale, opportunità di lavoro, accesso alle medicine e alle nuove tecnologie). La logica conseguenza di questa impostazione sarà, o dovrebbe essere, quella di un'altrettanto variegata e articolata lotta alla povertà, sia negli obiettivi sia negli strumenti adottati; b) la difficoltà di una valutazione quantitativa oggettiva del numero dei poveri ha portato a mantenere l'utilizzazione di misure semplificate, quali il numero di persone che hanno un reddito inferiore a 1 o 2 dollari al giorno. Tale utilizzo ha spesso uno scopo 'propagandistico e sensibilizzante' nel momento in cui si chiede ai Paesi più ricchi di fornire risorse per aiutare i poveri. Per altri versi, però, tale valutazione potrebbe fornire indicazioni parziali oppure fuorvianti. Un esempio di questo pericolo è rilevabile dalla tab. 1, dove si registra una diminuzione (−133 milioni) della popolazione considerata povera secondo il reddito giornaliero di 1 dollaro. Ma, in realtà, questa diminuzione è avvenuta solo nell'area asiatica (−222 milioni), di cui ben 163 milioni relativi alla sola Cina. Un'analisi della dinamica della diminuzione del numero dei poveri (così definiti) nel mondo va essenzialmente fatta riferendosi a ciò che è avvenuto in Cina negli ultimi anni: quindi, un'analisi più approfondita porterebbe se non altro a ridimensionare il fenomeno di questa diminuzione.

La povertà nei Paesi ricchi

La povertà definita da un livello di reddito bassissimo come quello pari a 1 o 2 dollari al giorno è naturalmente presente soltanto nei Paesi il cui reddito pro capite è molto basso. Spesso viene definita come povertà estrema e, come visto, va (e viene) affrontata come problema dell'umanità nel suo complesso. Completamente diverso è il tema dell'esistenza della povertà nei Paesi ricchi. In questo caso, infatti, la definizione e l'identificazione di uno stato di povertà è molto più complesso e articolato.

In genere, ogni Paese ha un diverso approccio metodologico nell'identificazione del concetto di povertà e quindi della misurazione della povertà stessa. Ci sono due caratteristiche comuni ai diversi Paesi, e precisamente l'utilizzo di un concetto di povertà relativa e l'identificazione del gruppo familiare come oggetto di analisi. Per quanto riguarda il concetto di povertà relativa, tutti i Paesi utilizzano per l'identificazione dei poveri una linea di povertà: tale linea è definita come quel livello di reddito al di sotto del quale si è considerati e conteggiati poveri. Questa linea varia da Paese a Paese e nel tempo; è quindi evidente che ciò che viene preso in considerazione come povertà è uno stato d'indigenza identificato in relazione alle condizioni storiche, culturali e sociali di ogni Stato. Ne consegue che la povertà nei Paesi ricchi, dal punto di vista della misurazione e dell'identificazione, è difficilmente confrontabile. Il problema della povertà nei Paesi ricchi è, dunque, un problema interno a ogni singolo Paese e in quanto tale va analizzato tenendo conto delle relative specificità.

Gli studi sulla povertà nei Paesi ricchi sono molto numerosi, probabilmente superiori a quelli dedicati alla povertà nei Paesi poveri. Questo permette di ribadire che l'esistenza della povertà non va confusa con il problema dello sviluppo economico. Anche se naturalmente esiste una relazione fra i due aspetti, sarebbe sbagliato considerare lo sviluppo economico come ricetta principale, se non unica, per contrastare la povertà: un medesimo sviluppo economico può portare a un aumento o a una diminuzione della povertà a seconda del tipo di sviluppo e delle politiche economiche e sociali che lo accompagnano.

Il secondo aspetto che accomuna lo studio della povertà nei Paesi ricchi è che l'unità di rilevazione della povertà è la famiglia. Il reddito familiare è quindi quello preso in considerazione per l'identificazione dei poveri. Questo comporta che nella determinazione della soglia di povertà si tenga conto della composizione familiare: ciò viene fatto utilizzando le scale di equivalenza, che non sono altro che dei moltiplicatori di reddito secondo la composizione numerica del gruppo familiare. Per es., posto pari a 1 il reddito al di sotto del quale una famiglia composta da una sola persona debba venir considerata povera, una famiglia composta da più di sette persone dovrà avere un reddito inferiore a 4 volte quello della famiglia mononucleare.

tab. 2

A titolo di esempio, nella tab. 2 sono riportate alcune scale di equivalenza utilizzate negli Stati Uniti, in Italia e dall'OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development): si notano differenze anche sensibili. In realtà, le scale di equivalenza possono essere e sono molto più complesse di quelle presentate nella tabella: infatti, oltre alla composizione familiare numerica, vengono presi in considerazione altri aspetti relativi alla composizione familiare, quali la struttura per età, la condizione lavorativa ecc. Questo conferma il fatto che la definizione di povertà non è univoca, ma dipende dalle condizioni dei singoli Paesi e dalle scelte metodologiche di calcolo.

Tenendo presente quanto detto sulla non confrontabilità delle situazioni nei diversi Paesi, di seguito si riportano dati relativi alla povertà negli Stati Uniti, in Europa e in Italia. Presentare i dati sulla povertà negli Stati Uniti è interessante per mostrare come anche il Paese militarmente, economicamente e politicamente più potente nel mondo, non risulta immune dal problema dell'esistenza di poveri e che anzi la povertà presenta caratteristiche peculiari legate a situazioni sociali specifiche. I dati sulla povertà in Europa sono interessanti nel tentativo di rendere confrontabili e omogenee le rilevazioni della povertà nei Paesi europei. Infine, i dati sull'Italia mostrano quanto considerevole sia nel Paese il problema della povertà.

La povertà negli Stati Uniti. - Negli Stati Uniti il numero e il peso dei cittadini considerati poveri è molto elevato e evidenzia il problema di una loro distribuzione squilibrata secondo la razza o l'origine. I dati relativi al numero dei poveri e alla distribuzione secondo la razza nel 2004 (per povero s'intendeva un individuo con un reddito annuo inferiore a 9645 dollari, in una famiglia composta da un solo membro) registrano una percentuale di poveri dell'8,6% dei bianchi, mentre ben il 24,7% e 21,9%, rispettivamente dei neri e degli ispanici, risultano sotto la soglia di povertà. Interessante anche un'analisi storica della dinamica della povertà negli Stati Uniti: la fig. 1 rappresenta l'andamento del numero dei poveri e del loro peso sulla popolazione tra il 1959 e il 2004. Si può notare come a una forte diminuzione del numero dei poveri e del loro peso sulla popolazione sino al 1970 segua una dinamica irregolare, con periodi di forte aumento del numero dei poveri e della quota di poveri sulla popolazione. Ciò a dimostrare come, dato che il tasso di crescita medio annuo del reddito nei due periodi non è stato sensibilmente diverso, nella determinazione della povertà negli Stati Uniti (ma in genere in tutti i Paesi ricchi) siano state le politiche sociali e gli indirizzi politici governativi a fare la differenza; nella fig. 1 sono indicati i periodi delle diverse presidenze e non è difficile legare la dinamica della povertà all'indirizzo ideologico e alle politiche dei singoli presidenti.

La povertà nell'Unione Europea. - La difficoltà nel reperire dati sul livello di povertà confrontabili tra i vari Paesi è stata affrontata dagli uffici statistici europei (Eurostat) con la pubblicazione di documentazione relativa alle condizioni di povertà nell'Unione Europea (sia a 15, sia allargata a 25). Dal 2001 è stata programmata la regolare rilevazione di 18 variabili per identificare la povertà e l'esclusione sociale, con una metodologia di rilevazione omogenea per i 25 Paesi europei. È possibile avere un quadro della presenza della povertà in Europa utilizzando indicatori e dati che, se non completi e interamente confrontabili, riescono tuttavia a fornire una misurazione complessiva del numero dei poveri.

La soglia di rischio di povertà viene identificata dall'Eurostat nel 60% del reddito mediano di ogni singolo Paese dopo i trasferimenti sociali. Vanno tenuti presenti due aspetti: il primo è che la condizione di povertà è ancora definita separatamente per ogni Paese, non si ha cioè (come negli Stati Uniti) una soglia unica europea di povertà; il secondo aspetto è che il reddito preso in considerazione per il calcolo della povertà comprende i trasferimenti sociali, ossia tutte quelle sovvenzioni a favore dei redditi che i vari sistemi di welfare adottano.

La percentuale di poveri si aggira intorno al 15% della popolazione europea, con oscillazioni che vanno da un minimo dell'8%, in alcuni periodi, in Finlandia e Svezia a un picco del 25% in Turchia e di valori intorno al 20% in Portogallo, Grecia, Italia, Irlanda e Spagna. Percentuali che nel 2003 hanno portato il numero di poveri all'interno della Comunità europea a circa 60 milioni per l'Unione Europea a 15 e a 67 milioni per quella a 25. La dinamica temporale del fenomeno della povertà mostra, inoltre, che non si sono registrati nel tempo notevoli riduzioni della percentuale di persone considerate povere, il che, in presenza di aumento di popolazione, ha portato a un aumento del numero di poveri, che ha raggiunto nel 2003 la cifra di 72 milioni nell'Europa a 25, pari al 16% della popolazione.

tab. 3

Come detto, il reddito di riferimento del calcolo della soglia di povertà comprende i trasferimenti sociali, perciò di un certo interesse può risultare la tab. 3, nella quale sono indicati per l'anno 2003 i dati sui trasferimenti sociali nei vari Paesi, sia in valore pro capite, sia in percentuale del PIL.

fig.

La fig. 2, che riporta i dati della percentuale di poveri e dei trasferimenti sociali, indica come ci sia una chiara relazione inversa tra questi ultimi e livello di povertà. Uniche eccezioni sono alcuni Paesi ex comunisti, per i quali l'eredità di una struttura di sostegno sociale del tutto diversa da quella occidentale rende ancora non del tutto confrontabili i dati.

tab. 4

La povertà in Italia. - Il fenomeno della povertà in Italia, fino al 2000, è stato analizzato e monitorato da una speciale Commissione sulla povertà e l'emarginazione; tale compito è passato quindi all'ISTAT, che, attraverso l'introduzione di particolareggiate e sofisticate rilevazioni sui consumi delle famiglie italiane, elabora e pubblica i risultati degli studi. I dati sulla povertà relativa in Italia sono riferibili a una linea di povertà che varia di anno in anno in modo tale da compensare l'aumento dei prezzi e l'aumento medio dei consumi familiari: nel 2000 la linea di povertà per famiglie di due componenti era rappresentata da un reddito di 810,21 euro al mese, che nel 2004 arrivava a 919,98 euro. La tab. 4 riporta la valutazione dell'ISTAT sulla povertà relativa in Italia negli anni 1997-2004, con dati relativi sia alle famiglie, sia agli individui, in valore assoluto e in percentuale rispetto alla popolazione. Circa il 12-13% delle famiglie italiane e degli italiani in genere viene considerato, secondo l'ISTAT, sotto la soglia di povertà. La dinamica della povertà negli anni di riferimento mostra un picco nel 2000 e una ripresa nel 2004.

Lo studio della povertà nei Paesi sviluppati, e quindi anche in Italia, si attua attraverso rilevazioni, analisi di dati ed elaborazioni molto sofisticate, che permettono l'identificazione non solo del numero di poveri, ma anche delle loro caratteristiche demografiche, sociali, culturali, spaziali ecc. È così possibile identificare meglio le cause del fenomeno ed eventualmente anche le politiche atte a ridurlo.

A titolo di esempio, nella tabella 4 è riportata la suddivisione territoriale dei poveri in Italia rispetto alle tre grandi aree: Nord, Centro e Mezzogiorno. Si può notare come di fatto la povertà sia un problema ben più rilevante nel Mezzogiorno, dove oltre un quarto della popolazione risulta sotto la soglia di povertà.

Un altro tipo di analisi permette l'identificazione delle probabilità di essere povero rispetto alla localizzazione geografica come pure alle caratteristiche del capofamiglia e della famiglia. Per es., la probabilità di chi non abita in una regione del Mezzogiorno di essere povero diminuisce (a parità di altre condizioni) dell'1,2% e dello 0,6% rispettivamente se si è residenti al Nord o al Centro. Altre caratteristiche rilevanti in relazione all'aumento di probabilità di essere poveri sono: abitare in casa in affitto, essere disoccupato, avere figli minorenni, avere invalidi in casa (Declich, Polin 2005).

Sono naturalmente possibili analisi ancora più sofisticate e disaggregate, tali da poter identificare quali siano le caratteristiche che determinano i rischi di essere povero, ma anche di diventare povero. Analisi di questo tipo sono utili non solo da un punto di vista puramente cognitivo e descrittivo, ma soprattutto per determinare eventuali linee di intervento al fine di ridurre il numero dei poveri.

Una politica di sviluppo del Mezzogiorno e dell'occupazione può facilmente essere identificata con una politica in grado di offrire un contributo alla riduzione della povertà: invece, è più utile passare da indicazioni generali e indifferenziate a politiche e target specifici d'intervento. Politiche della casa, dell'aumento dell'istruzione, una politica sanitaria di assistenza agli invalidi, un sostegno ai giovani possono meglio perseguire l'obiettivo non solo di ridurre la povertà, ma di contenere anche le possibili cause di caduta nella povertà, e costituire così politiche di prevenzione.

Le politiche per ridurre la povertà

Sia a livello di singoli Paesi, sia a livello internazionale, l'analisi della povertà si associa sempre a proposte e misure di politica economica e sociale volte a ridurre il numero dei poveri. Il fenomeno della povertà, pur se per ragioni diverse, viene giudicato negativo non solo, evidentemente, per gli individui direttamente interessati, ma anche per le ripercussioni sulla funzionalità di una società nel suo complesso. Fornire un quadro unitario delle misure di politica economica e sociale attuate risulta, comunque, praticamente impossibile, essenzialmente per due ragioni. La prima è di carattere teorico. Gli approcci teorici che studiano i motivi e le caratteristiche della povertà sono stati e sono molto diversi fra loro: l'accettazione o il rifiuto di una teoria comporta inevitabilmente dissimili e spesso contrastanti indirizzi di politica economica e sociale. In tempi e luoghi diversi si sono avvicendati mutamenti notevoli nelle strategie adottate per affrontare il problema della povertà. Si può, come esempio, accennare al dibattito sulla relazione tra crescita e povertà; sul problema se una crescita del PIL, di per sé, porti a una riduzione della povertà sono state avanzate almeno quattro impostazioni teoriche: a) l'unico sistema per abbattere la povertà è la crescita del reddito; b) la crescita del reddito è una condizione necessaria, ma non sufficiente; c) la crescita del reddito può essere un fattore positivo o negativo, a seconda degli aspetti qualitativi di tale crescita; d) gli sforzi per ottenere una crescita del reddito portano a un aumento della povertà. Un'ulteriore distinzione è quella sulla dimensione dell'intervento; del privilegiare, cioè, interventi macroeconomici e macrosociali (per es., aiuti alimentari, politiche d'investimenti infrastrutturali, politiche di controllo demografico, politiche di welfare ecc.), oppure interventi microeconomici e microsociali servendosi di organizzazioni non governative (per es., interventi mirati su singole comunità oppure su strati sociali).

La seconda ragione è relativa alla stessa definizione di povertà come fenomeno multidimensionale. Per sua intrinseca natura, un fenomeno multidimensionale si presenta con caratteristiche diverse da Paese a Paese e da periodo a periodo. Ogni politica di lotta alla povertà deve naturalmente tenere conto delle caratteristiche specifiche che la povertà assume: l'efficacia di una politica di lotta alla povertà deriverà, molto probabilmente, dalla capacità d'identificazione e adattamento alla specificità del problema.

In conclusione, si può affermare che, malgrado siano state tentate tutte le possibili politiche di lotta alla povertà, è tuttavia difficile una valutazione globale della capacità di tali politiche di ridimensionare il fenomeno della povertà.

È utile ricordare un aspetto teorico di base, sempre dibattuto, che porta a misure e interventi di politica economica e sociale profondamente diversi e spesso contrastanti in relazione alla lotta alla povertà. Si tratta essenzialmente della controversia sul ruolo dello Stato e del mercato, e in particolar modo dell'organizzazione pubblica del welfare. Su questo tema si confrontano due posizioni: quella di chi considera l'intervento pubblico a sostegno delle classi più disagiate come un male necessario da attuare con prudenza e in casi limitati, utile per arginare solo gli aspetti estremi o occasionali di indigenza e povertà, mentre va lasciata al mercato la crescita dell'economia e, quindi, la diminuzione della povertà; e quella di chi, di contro, vede il ruolo dello Stato nell'organizzare una struttura ampia e generalistica del welfare come principale strumento di difesa, non solo di coloro che per varie ragioni si trovino in condizioni di povertà, ma anche per assicurare a tutti i cittadini una 'difesa preventiva' da avvenimenti che potrebbero favorire cambiamenti delle loro condizioni di vita tali da portarli alla povertà (disoccupazione, malattie, incidenti, vecchiaia ecc.).

L'affermazione a livello di governo locale o internazionale dell'una o dell'altra delle impostazioni teoriche avrà una rilevanza decisiva sulle politiche economiche e sociali nazionali e internazionali e di conseguenza sugli effetti di tali politiche nella lotta alla povertà.

bibliografia

The World Bank, World development report 2000/2001.

Attacking poverty, New York 2000.

ISTAT, La stima ufficiale della povertà in Italia. Anni 1997-2000, in Argomenti, 2002, 24.

P. Palazzi, Povertà ed emarginazione, in Enciclopedia del Novecento, Supplemento iii, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol., Roma 2004, pp. 356-64.

C. Declich, V. Polin, Povertà assoluta e costo della vita: un'analisi empirica sulle famiglie italiane, in Politica economica, 2005, 2, pp. 265-306.

The World Bank, World development indicators 2005, Washington 2005.

Si vedano anche, con riferimento agli anni di interesse: ISTAT, La povertà in Italia, in Note rapide; UNDP, Human development reports; US Census Bureau, Poverty.

CATEGORIE
TAG

United nations development programme

Organizzazioni non governative

Europa orientale

Comunità europea

Unione europea