PRESTITI INTERNAZIONALI

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

PRESTITI INTERNAZIONALI

Giuseppe Ugo PAPI
Ugo SACCHETTI

Al risparmio estero possono ricorrere sia i governi sia i privati, ma, in entrambi i casi, affinché l'opportunità dell'operazione di finanziamento si manifesti, occorre il concorso di determinate condizioni. Preliminari sono anzitutto l'esistenza, nel paese mutuatario, di una situazione di pace sociale, che sembri escludere qualsiasi rischio d'avventura, e la decisa volontà di lavoro nel popolo, che chiede ad altri paesi i mezzi indispensabili alla messa in valore delle proprie energie. Occorrerebbe poi che il risparmio estero fosse conseguibile a miglior mercato di quello nazionale. È frequente, tuttavia, il caso in cui l'esaurirsi di ogni altra risorsa e l'urgenza indifferibile delle spese inducano un governo a prescindere, nella richiesta di un prestito, dalla convenienza relativa del saggio dell'interesse.

Condizioni invece assolutamente indispensabili per un ricorso all'aumento del debito pubblico, sia interno che esterno, sono l'elasticità del sistema tributario e la flessibilità della struttura produttiva del paese. È necessario, cioè, da una parte, che il gettito dei tributi sia capace di dilatarsi al fine di consentire il pagamento del servizio del prestito, dall'altra, che, almeno per un certo periodo, il reddito dell'attività produttiva possa crescere in misura più che proporzionale ai nuovi investimenti permessi dal prestito. Inoltre, nel caso di prestiti da contrarre all'estero, occorre poter confidare in maggiori sbocchi sul mercato internazionale. Anche a prescindere da considerazioni di natura politica, è lecito affermare che un governo è in grado di procurarsi prestiti esteri tanto più facilmente quanto più la qualità della sua mano d'opera, le caratteristiche naturali, la vicinanza ai mercati di sbocco lo rendano attrezzato per esportare, sia direttamente, sia per conto talvolta dello stesso mutuante. Connessa con l'elasticità della struttura produttiva e con la necessità di collocare all'estero una maggiore quantità di prodotti, si palesa la flessibilità della struttura economica, vale a dire la capacità di adattamento alle variazioni del livello dei prezzi internazionali. Giacché, se questi diminuiscono e i costi interni non possono diminuire in armonia, la bilancia dei pagamenti peggiora e la restituzione del debito contratto diventa impossibile. Oltre a costituire premesse per il ricorso al risparmio straniero, le suddette condizioni ne fissano anche il limite, in quanto l'elasticità massima delle imposte, della struttura produttiva e delle esportazioni determinano il massimo di indebitamento che un governo coscientemente può affrontare.

Esistono inoltre limiti al trasferimento degli interessi e delle quote di ammortamento dei prestiti, limiti che divengono angusti quando il paese creditore non desidera ricevere in pagamento merci e servizî del paese debitore, o valersi dei fattori di produzione di quest'ultimo per finanziare, sia pure indirettamente, altri paesi.

Tutto quanto s'è detto può, con leggere varianti, applicarsi anche ai casi in cui l'aiuto straniero è richiesto, invece che da un governo, da privati. È da notare soltanto che, mentre un governo non può ammettere che l'apporto straniero si realizzi sotto la forma di una partecipazione azionaria, le imprese private sono sempre disposte ad accordare azioni ai mutuanti, anche quando si tratti di prestiti in natura: e spesso hanno cercato, mediante intese e sindacati, di superare la naturale preferenza dei risparmiatori stranieri per le obbligazioni, le quali, a differenza delle azioni, risultano stilate nella moneta del paese mutuante, epperò più facilmente negoziabili. Per di più il prestito estero sotto forma di acquisto di azioni - in genere privilegiate - non esige garanzie particolari, in quanto l'azionista può sempre esercitare controlli sull'andamento delle imprese, e non impone rimborsi, salvo al termine della vita della società (previsto dallo statuto o conseguente alla liquidazione), e sempre nei limiti in cui esista un attivo. Sicché il mutuatario, rilasciando un'azione, non s'indebita verso quanti l'acquisteranno; trova solo imprecisate l'entità delle somme da rimborsare, o più esattamente da trasferire all'estero, l'epoca del trasferimento e il corso del cambio (spesso, anzi, il rischio del cambio si accolla al mutuante).

Questa forma di finanziamento si dimostra vantaggiosa, tutte le volte in cui il risparmio parte da un paese dove l'interesse è basso per affluire ad imprese di paesi a prezzo dell'uso del denaro più elevato. In tal caso guadagnano sia i risparmiatori esteri, sia i banchieri intermediarî, sia le imprese finanziate, sia le borse: guadagno tuttavia esposto sempre ai rischi o di aumento del saggio dell'interesse, nel paese dal quale il risparmio è partito, o di una svalutazione della moneta, nel paese in cui si trova l'impresa finanziata. La partecipazione azionaria del risparmio straniero rende il mercato monetario e il mercato dei capitali del paese mutuatario più sensibili alle direttive di altri paesi; anche se non si voglia tener conto del pericolo che, attraverso la via del prestito, gruppi stranieri, interessati in attività similari a quelle verso le quali rivolgono i prestiti, acquistino ingerenza eccessiva. Risulta necessaria molta abilità, sia nelle autorità responsabili della politica monetaria e finanziaria, sia nei dirigenti delle singole imprese, per evitare o limitare conseguenze che potrebbero essere molto dannose.

Per quel che riguarda il paese mutuante si usa affermare che il concedere prestiti all'estero si traduce in restrizione dei consumi, fino a quando il rimborso totale o parziale del prestito stesso non permetta di espanderli di nuovo. Sennonché bisognerebbe anzitutto esaminare se l'entità del prestito superi o no quella del risparmio disponibile nel paese: almeno sotto forma di depositi bancarî, se pure si voglia, per semplificare, prescindere dal denaro tesoreggiato. Infatti, nel secondo caso - entità inferiore al risparmio disponibile - l'attingere a queste disponibilità per investirle all'estero non può provocare restrizione alcuna, presente o futura. Tuttavia se si approfondisce l'indagine, anche nel caso in cui il flusso del risparmio verso l'estero superi le disponibilità improduttive del paese e venga consentito da un razionamento vero e proprio del credito, le modifiche nei consumi non risultano tanto importanti e appaiono compensabili dallo sviluppo di esportazioni (purché avvengano sempre sopra costo) e di importazioni. Per giudicare se, consentendo prestiti all'estero, un paese sottoponga sul serio i cittadini a restrizioni di consumi, occorrerebbe esaminare, accanto alle conseguenze della raccolta del risparmio da prestare, le conseguenze che derivano dalla spendita del risparmio sul mercato del paese mutuante, su quello del paese mutuatario, o di terzi paesi.

Se il prestito viene speso sul mercato medesimo in cui il risparmio è stato raccolto, è agevole riscontrarvi: a) uno spostamento dei fattori produttivi da imprese, che fabbricano beni per il consumo nazionale, a imprese, che fabbricano beni - per lo più strumentali - destinati al paese mutuatario o ad altri mercati. Ne conseguono solo temporanee variazioni dell'attività produttiva dei varî beni e dei prezzi; in complesso però l'occupazione aumenta e con essa aumentano il reddito reale e le possibilità di consumo; b) distribuzione diversa del risparmio che le banche ritirano da impieghi a breve (sconti, riporti), per destinarlo a impieghi a più lunga scadenza (lavorazioni in favore del mutuatario), con rialzi del saggio dell'interesse tanto minori quanto più spiccata è l'elasticità del credito bancario; c) rallentamenti nella produzione di taluni beni, seguiti da riprese, non appena i partecipanti alle attività in servizio del mutuatario erogano i redditi loro affluiti; d) rialzi di prezzi di beni prodotti per il consumo interno, tanto più transitorî, quanto più reale è la possibilità di circolazione dei beni, dei servizî, della moneta tra varî paesi; e) prospettive di guadagni realizzabili man mano che saranno corrisposti gli interessi e le quote di ammortamento; f) formazione di una clientela che può divenire fedele, dopo di aver restituito il prestito. Analoghi vantaggi derivano al paese mutuatario dalla concessione di un prestito in natura: diminuzione della disoccupazione, combinazioni più favorevoli dei fattori produttivi, aumento del reddito reale e dei consumi.

Nel caso in cui il prestito estero non avvenga in natura, ne deriva un afllusso di tratte e di oro nel paese mutuatario, che può avere conseguenze diverse a seconda del sistema monetario in vigore, e a seconda che il mutuatario decida di spenderlo all'interno o su altri mercati. Troppo lunga in verità sarebbe l'analisi dettagliata di questi fenomeni, ma in sintesi si può accennare alla circostanza che, nel paese mutuatario a regime aureo, l'afflusso di divise e d'oro non può che elevare i prezzi dei beni e dei servizî, favorire le importazioni e ridurre le esportazioni (mentre nel paese mutuante, anch'esso a regime aureo, possono riscontrarsi fenomeni reciproci), ove si prescinda dal caso in cui il prestito estero venga utilizzato per aumento delle riserve della Banca centrale, che riesca a limitare il credito in guisa da opporsi a un'inflazione, come è avvenuto per i cosiddetti prestiti "di stabilizzazione", tra il 1925 e il 1930. Se nel paese mutuatario vige il corso forzoso, l'effetto principale del prestito speso nello stesso mercato è quello di elevare i prezzi e di peggiorare la bilancia commerciale; con questa differenza, che più facilmente può risultarne compromessa la stabilità del potere d'acquisto della moneta o il successo della sua stabilizzazione. Ipotesi ancor meno favorevole al paese mutuatario si verifica quando il prestito si spende in un terzo mercato. Allora l'attività produttiva del paese mutuatario stesso viene limitata a favore di quella del paese in cui si spende il prestito.

I fenomeni si rovesciano, quando s'inizia la fase del pagamento degli interessi e del rimborso del prestito e le posizioni rispettive del paese mutuante e di quello mutuatario tendono ad invertirsi. Come però il prestito più vantaggioso, sia per chi lo concede, sia per chi lo riceve, appare quello in natura - ossia quello speso nel mercato stesso del paese mutuante e che non dia quindi luogo a trasferimenti di valuta - conviene senz'altro al paese debitore di pagare in natura interessi e ammortamento. È questa del resto la soluzione più favorevole per paesi a scarso reddito medio, sprovvisti o quasi di materie prime, sconvolti dalla guerra, quali in genere i paesi che aspirano a ricevere prestiti. È anche la soluzione più favorevole per qualsiasi paese, che, con l'aiuto del risparmio altrui, sia riuscito a dare impulso ad una forte produzione per l'esportazione, sia cioè divenuto "trasformatore a migliori condizioni" di materie prime o di semi-lavoratori forniti dal paese mutuante, e in grado di esportare, una volta finita la lavorazione, i prodotti ottenuti a terzi paesi, per conto del mutuante. Occorre però che il paese creditore ragionevolmente accetti di essere rimborsato in merci e servizî del paese debitore, sia direttamente, sia utilizzandoli per finanziare altri mercati, e ricordi come - a meno che non voglia donare quanto ha concesso in prestito - il rifiuto a consentirne la restituzione in merci e servizî abbia dato impulso al più rigoglioso fiorire di ostacoli agli scambî tra paesi e abbia determinato la fondamentale situazione di squilibrio, da cui il mondo invano cerca di svincolarsi.

L'attività di finanziamento internazionale non è sfuggita alla generale tendenza che caratterizza la vita economica, si può dire, dal 1929, cosicché i trasferimenti internazionali di capitali hanno assunto forme che presentano, in modo prevalente, l'impronta dell'intervento o del controllo statale, diretto o indiretto, tanto nel paese mutuante quanto in quello mutuatario. Inoltre, la differenza tra i tassi netti di interesse che, nel periodo precedente la prima Guerra mondiale, funzionava da elemento determinante dei trasferimenti internazionali di capitali, ha ceduto il posto ad altri criterî, anche se durante il periodo successivo alla seconda Guerra mondiale è possibile riscontrare in molti prestiti l'esistenza di un divario tra i tassi netti di interesse in senso molto lato, con riguardo, cioè, ai tassi "reali" e come sconto al momento attuale delle ripercussioni sull'economia e sul rendimento dei capitali del paese mutuante di una più rapida ricostituzione delle domande effettive di beni esteri dei paesi mutuatarî. A ciò si aggiunge il fatto che, sia per motivi politici, i quali hanno acquistato una portata quasi esclusiva durante la seconda Guerra mondiale, sia per motivi economici connessi agli effetti di questa, molti e cospicui trasferimenti internazionali di capitali dopo il 1940 hanno assunto la forma di donativi da stato a stato, diretti o per il tramite di enti internazionali costituiti per la prima assistenza post-bellica (v. unrr, a, in questa App.).

Dal punto di vista cronologico, si può affermare che il 1934 segna il trapasso decisivo alle attuali forme di finanziamento internazionale; il 13 aprile 1934 il Congresso degli Stati Uniti approvava infatti il Johnson act, con il quale veniva vietato a qualsiasi cittadino o organismo privato o pubblico di concedere prestiti a governi o enti pubblici di paesi in difetto verso gli Stati Uniti nel pagamento degli interessi e delle quote d'ammortamento dei prestiti ricevuti negli anni successivi alla prima Guerra mondiale, ovverosia alla quasi totalità dei paesi europei. Unica forma possibile di finanziamento rimaneva così l'investimento privato diretto (prestiti da privati a privati), che il crescente intervento dei poteri politici e le difficoltà economiche create dalla crisi resero però in pratica pressocché nullo. Nello stesso 1934 (2 febbraio) veniva creata a Washington l'Export-Import Bank, della quale il governo degli Stati Uniti poteva servirsi per concedere prestiti - che rivestivano carattere pubblico - destinati a riattivare il commercio con l'estero. L'attività di tale banca restò, tuttavia, piuttosto limitata, fino all'inizio della seconda Guerra mondiale, avendo essa svolto operazioni soltanto con i paesi dell'America Latina.

Durante la prima fase della seconda Guerra mondiale s'iniziò quella serie di operazioni di finanziamento internazionale per scopi bellici, che va sotto il nome di affitti e prestiti (v. in questa seconda App., I, p. 64). Sebbene sia noto ormai che le forniture effettuate dagli S. U. in base al Lend-lease act 1941, sono state, in gran parte, a titolo gratuito, prima della regolazione finale dei conti tra i paesi beneficiarî e gli Stati Uniti i "trasferimenti" presentavano caratteristiche giuridiche di prestiti, o locazioni a credito (come nel caso del naviglio), anche se sui generis. Non interveniva infatti alcun movimento valutario e nulla si diceva in merito all'interesse e alle quote di ammortamento; la legge stabiliva soltanto genericamente che il "beneficio" per gli Stati Uniti sarebbe stato il pagamento o il rimborso in specie o in natura o, comunque, qualsiasi altro beneficio che il Presidente avesse ritenuto soddisfacente. In complesso, fino a tutto il 30 settembre 1945 gli aiuti così forniti dagli S. U. ammontarono a 46 miliardi di dollari (di cui 30,3 all'Impero britannico, 10,8 all'URSS, 1,4 alla Francia, 0,6 alla Cina, 0,4 alle repubbliche dell'America Latina, 0,2 all'Olanda, ecc.). D'altra parte, in base agli "Accordi di aiuto reciproco" conclusi con i varî governi beneficiarî, fino al 2 settembre 1945 gli Stati Uniti avevano ricevuto come reverse lend-lease un ammontare di beni e servizî per 7,8 miliardi di dollari (di cui 5 dalla Gran Bretagna e colonie e 1,7 dai Dominî britannici). Pertanto il complesso dei "trasferimenti" netti da parte degli Stati Uniti per il periodo della guerra ammonta a circa 38 miliardi di dollari; senonché, tenendo conto dei trasferimenti effettuati dopo il termine del programma, principalmente per beni oggetto di contratti di forniture antecedenti al 2 settembre 1945, si giunge a un totale lordo di circa 50,4 miliardi erogati fino al 31 marzo 1947.

Il periodo immediatamente post-bellico segna il predominio quasi assoluto dei prestiti governativi e i trasferimenti di capitali dagli S.U., che sono si può dire l'unico potenziale mutuante (Canada e Argentina li seguono infatti a grande distanza), si effettuano direttamente dal governo o dalla Export-Import Bank, nei limiti dei nuovi più ampî poteri ad essa conferiti con l'Export-Import Bank act del 31 luglio 1945, che ha elevato il capitale della banca a 1 miliardo di dollari e il limite della sua capacità di concessione di prestiti a 3,5 miliardi. Allo scopo di riattivare la partecipazione diretta dei privati al mercato internazionale dei capitali, la legge stessa ha dispensato inoltre dall'osservanza delle disposizioni del Johnson act, ma tale facilitazione e le ripetute affermazioni che la funzione della Export-Import Bank era quella di "integrare ed incoraggiare l'iniziativa privata, non di sostituirla", non hanno avuto per ora risultati rilevanti, data soprattutto la natura e la funzione dei prestiti, che per la quasi totalità sono stati "prestiti di ricostruzione" di fronte ai quali l'unico soggetto capace di contrarre obbligazioni è lo stato.

Al 31 dicembre 1947 il totale dei prestiti autorizzati dalla Export Import Bank fin dall'inizio della sua attività, era di poco più di 4 miliardi di dollari, che, deducendo i rimborsi effettuati e le autorizzazioni non utilizzate dai mutuatarî, si riduce a circa 2 miliardi, in massima parte a favore di paesi europei, cui sono stati concessi prestiti post-bellici a lunga scadenza, specialmente della Francia (per 1200 milioni di dollari), dell'Olanda (300), dell'Italia (130), del Belgio (100), della Norvegia (50) e della Polonia (40). I tassi d'interesse variano dal 2,5% al 4,5%, e le scadenze da 3 a 50 anni, a seconda degli scopi del prestito. I paesi dell'America Latina, hanno ricevuto prestiti per 1079 milioni circa, in gran parte già rimborsati.

Il 6 dicembre 1945, il governo degli S. U. ha concesso poi direttamente a quello della Gran Bretagna un prestito di 3750 milioni di dollari (rimborsabile in 50 anni, all'interesse del 2%), prestito anche questo non determinato dalla differenza tra i tassi netti d'interesse, ma da un complesso di motivi economico-politici.

I prestiti concessi dagli altri due mutuanti nel periodo successivo alla seconda Guerra mondiale - Canada e Argentina - si presentano della stessa natura, se pure appaia in essi talvolta accentuato l'elemento politico. Il Canada ha concesso l'8 marzo 1946 un prestito di 1250 milioni di dollari canadesi alla Gran Bretagna, alle stesse condizioni di quello degli Stati Uniti, mentre una parte cospicua della somma di circa 700 milioni di dollari stanziata per finanziamenti all'estero veniva assorbita dalla Francia (1946). L'Argentina tra il 1945 e il 1947 ha concesso prestiti alla Spagna (750 milioni di pesos), Italia (700), Francia (600), Cile (700), Bolivia (250), Uruguay (700), ecc.

A partire dal 1947, ha partecipato inoltre all'attività di finanziamento internazionale la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, creata il 27 dicembre 1945 (v. bretton woods, in questa seconda App., I, p. 454), allo scopo di facilitare la riattivazione dei prestiti privati e di subentrare ad essi soltanto nei casi in cui i richiedenti non fossero riusciti ad ottenere i prestiti stessi a condizioni "ragionevoli". Senonché, mentre le condizioni economiche dei richiedenti e i particolari tecnici della loro struttura economica hanno determinato il predominio assoluto dei prestiti diretti della Banca, la situazione politica internazionale ne ha limitato l'ammontare. Fino al mese di agosto 1947, infatti, il totale dei prestiti non superava i 500 milioni di dollari (250 alla Francia, 195 all'Olanda, 40 alla Danimarca, 12 al Lussemburgo) ed in tutti i casi il mutuatario era il govemo oppure enti governativi. Il finanziamento della ricostruzione e sviluppo di 19 paesi dell'Europa occidentale e centro meridionale e della Turchia, a partire dall'aprile 1948 e per un periodo previsto di 4 anni, è effettuato attraverso donativi o (in minor misura) prestiti concessi dal governo degli S. U. ai governi dei paesi partecipanti all'European Recovery Program (v. piano: Il piano Marshall, in questa App.).

Bibl.: G. U. Papi, Prestiti esteri e commercio internazionale in regime di carta moneta, Roma 1926; id., Preliminari ai piani per il dopoguerra, ivi 1944; id., Prestiti esteri e credito bancario, in Riv. bancaria, sett. ott. nov. 1946; F. Perroux, La Banque de Bretton Woods et l'investissement international, in Revue économique et sociale, agosto 1945; id., Doctrine "classique" et "accident de l'Histoire". L'investissement internat., la banque de Bretton Woods et le plan Marshall, in Banque, giugno 1948; U. Sacchetti, Bretton Woods e i piani monetarî internaz., Roma 1947.

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