PRINCIPE ELLENISTICO

Enciclopedia dell' Arte Antica (1996)

PRINCIPE ELLENISTICO

P. Moreno

Il bronzo del Museo Nazionale Romano, noto anche quale Sovrano ellenistico (v. vol. VI, p. 932, s.v. Roma, Musei), fu rinvenuto nel 1885 alle pendici del Quirinale insieme al Pugile delle Terme (v.), ed è stato oggetto di disparate letture.

Conviene preliminarmente escludere la teoria che le due statue fossero collegate in un gruppo, rappresentante i Dioscuri quali vincitori di Amykos, re dei Bebrici (Williams, 1945): il divario stilistico non rende compatibili le due figure.

Per quel che riguarda il personaggio appoggiato alla lancia (perduta), una difficoltà è nell'apparente contraddizione tra il carattere eroico, proprio dell'ideologia monarchica, e l'assenza del diadema che dovrebbe qualificare il basilèus: di qui il compromesso nella definizione di «Principe», da parte di chi comunque vuole riconoscervi un esponente delle corti ellenistiche, in alternativa al più opportuno orientamento verso un personaggio della Roma repubblicana, indiziato dalla barbula e dal realismo dei tratti.

Tra i personaggi regali proposti per via induttiva o con debole supporto di tipi monetali, vi erano alcuni dei Seleucidi (Demetrio I, Alessandro I Bàlas, o Antioco II Theòs) ovvero degli Argeadi (Filippo V o Perseo): ipotesi confutate in un esaustivo regesto (De Lachenal, 1979). Meglio argomentata è la recente identificazione con Attalo (fratello di Eumene II), che vi sarebbe stato effigiato in coppia col sovrano in carica, prima del 160, quando egli stesso assunse la successione come Attalo II; giocano a favore l'anatomia direttamente comparabile con i Giganti del Grande Altare (v. pergamena, arte: Scultura), l'impianto della figura simile a quello dei Dioscuri su monete di Eumene II, e una certa parentela con l'immagine monetale di quest'ultimo (Himmelmann, 1989): ma le possibili testimonianze (talvolta avanzate, ma a buona ragione confutate) del volto glabro di Attalo II (ritratto da Pergamo a Berlino; testa di Eracle nel quadro plastico con la liberazione di Prometeo, parimenti a Berlino; testa della personificazione di Chronos nel rilievo di Londra con Apoteosi di Omero) sono in ogni caso inconciliabili col soggetto del bronzo delle Terme.

Sul versante romano la pretesa connessione con il Pugile delle Terme in un contesto mitico, aveva suggerito di riconoscere nell'insieme l'allegoria delle vittorie su Mitridate VI, dove il P. E. rappresenterebbe Lucullo (v. vol. IV, p. 725, s.v. Lucullo), o Silla (De Lachenal, 1979); si è parlato anche di Agrippa, con il quale vi sono assonanze fisionomiche (Six, 1898): in ogni caso la cronologia sarebbe incompatibile con lo stile del nudo.

Ove si accetti la cronologia alta del Grande Altare, una possibile identificazione è con Flaminino (Balty; Moreno), del quale conosciamo il volto attraverso una moneta aurea (v. vol. VI, p. 5933 fig. 689, s.v. Quinzio Flaminino). Sappiamo che una sua statua era stata dedicata a Roma con iscrizione greca presso il Circo Flaminio, in occasione del trionfo del 194 (Plut., Flam., I); il possibile riconoscimento di tale opera nel bronzo trasferito più tardi nelle Terme di Costantino, viene da talune coincidenze con l'immagine monetale (Balty, 1978; Candilio, 1991): la sporgenza del pomo di Adamo, il mento piccolo e arrotondato, la corta barba, la rientranza del labbro inferiore nella bocca minuta, l'irregolarità del naso adunco con una prominenza sul dorso, lo zigomo alto, l'occhio infossato, la bombatura nella parte inferiore della fronte, la dilatazione del padiglione auricolare dall'inconfondibile contorno, la capigliatura che corrisponde nel movimento in avanti dalla nuca al vortice, fino alla scriminatura sulla fronte, e ai ciuffi pettinati all'indietro dalla tempia verso l'orecchio. L'atteggiamento enfatico, che riassume aspetti regali, eroici e divini, potrebbe rispondere alle celebrazioni ottenute da Flaminino dopo la dichiarazione della libertà degli Elleni nel 196, quando fu acclamato col titolo di Sotèr, e gratificato dell'epiteto di thèios (Plut., Flam., 12).

Dal punto di vista iconologico, l'eredità di Alessandro si evince grazie alla copia pompeiana delle Nozze di Alessandro e Statira (v. ae- tion): in situazione inversa, la statua corrisponde al protagonista del dipinto per l'arcuazione del corpo a contrasto con la lancia e il volgersi del capo nella direzione della gamba portante. La regalità del portamento si rafforza nel paragone con una delle due statue bronzee di dinasti del IV sec. d.C., rinvenute a Nakhlat al-Ḥamra, ed esposte al Museo di Ṣan'a (Weidemann, 1983).

Come Meleagro (v. vol. v, p. 983, s.v. Meleagro) anche il P. E. si appoggia all'asta con la sinistra, mentre la destra riposa dietro il dorso in corrispondenza della gamba portante; salvo che l'artista interrompe la costruzione a spirale di Skopas con la sporgenza del gomito e col fiero volgersi della testa in direzione contraria all'andamento sinuoso: un impulso laterale che esalta l'energia e la sicurezza del condottiero, l'opporsi delle sue scelte allo stato delle cose.

L'allusione al riposo dell'Alcide (v. ercoli farnese) aggiunge una dignità morale e religiosa collegata alla meditazione stoica, che ben giustifica la compiacenza di Plutarco per l'immagine statuaria del romano.

Come Eracle appariva aggrottato nel suo rovello per le immani imprese, così Flaminino è corrucciato per la gravità dell'assunto, per essersi fatto «salvatore» di altri uomini, fino ad assurgere al sofferto rango «divino» del modello: a Calcide si leggeva la dedica del ginnasio «a Tito e a Eracle» (Plut., Flam., 16).

La committenza pergamena si spiega con l'alleanza stabilita da Flaminino con Attalo I, rinsaldata dai benefici accordati a Eumene II dopo la vittoria sulla Macedonia. Rispetto alla fisicità dei Galati nei Donari di Attalo I, il vero è sublimato nel gioco formale: il corpo del P. E. non è più un organismo omogeneo secondo natura, ma ciascuna parte è interpretata nella generale drammatizzazione. Lungo le gambe l'adipe è modellato in forme affusolate che si espandono alle anche per produrre una sensazione di slancio. Nel torso e nelle braccia è invece evidenziata l'articolazione muscolare con solchi di partizione e prominenze. L'esigenza di ampliare la figura rispetto ai modelli di Epigonos si afferma non solo nell'innalzamento e nell'apertura del braccio, ma nell'accelerazione centrifuga attribuita alle masse del torace. Volume e luce giungono a una sintesi inscindibile. L'involucro si trasforma, lungo il cono visivo, in crescente cassa di risonanza. Rispetto all'incarnato pieno delle gambe, il tronco viene portato a un grado di eccezionale concitazione luministica; e più ancora nel viso il taglio profondo e acuto dei lineamenti è destinato a frangere il sole con ombre nette, entro la cornice opaca della barba e dei capelli incisi a bulino.

L'eroica astrazione di cui dà prova l'autore verrà elaborata in chiave espressionistica nella Gigantomachia e nel Piccolo Donario, e in senso apologetico nelle immagini che gli scultori greci daranno dei nuovi dominatori sia continuando la tradizione dinastica, come per Emilio Paolo (v. paolo, lucio emilio), sia nelle forme di personaggi omerici, come per gli Scipioni (v. rodia, arte: Scultura), sia in guisa di divinità olimpiche, come per Ofellio Fero a Delo.

Bibl.: J. Six, Ikonographische Studien, in RM, XIII, 1898, p. 77 ss.; R. Carpenter, Observations on Familiar Statuary in Rome (MemAmAc, XVIII), Roma 1941, pp. 81-84, tav. XXV; P. Μ. Williams, Amykos and the Dioskouroi, in AJA, XLIII, 1945, pp. 330-347; Μ. Bieber, The Sculpture of the Hellenistic Age, New York 19612, pp. 161-162, figg. 682, 683, 685; G. Μ. Α. Richter, The Portraits of the Greeks, III, Londra 1965, p. 271, figg. 1886-1889; H· von Heintze, in Helbig4, III, 1969, pp. 185-188, n. 2273; P. Zanker, Studien zu dem Augustus Porträts, I. Der Actium Typus, Gottinga 1973, pp. 37, 40, nota 98; J. Ch. Balty, La statue de bronze de T. Quinctius Flamininus ad Apollonis in Circo, in MEFRA, XC, 1978, pp. 669-686; L. De Lachenal, in A. Giuliano (ed.), Museo Nazionale Romano, Le sculture, I, 1, Roma 1979, pp. 198-201, n. 124; F. Gury, in LIMC, III, 1986, pp. 608-635, Dioskouroi/Castores, in part. p. 614, η. 21, tav. CCCCXC; N. Hannestad, Roman Art and Imperiai Policy, Aarhus 1986, p. 62, fig. 3; R. R. R. Smith, Hellenistic Royal Portraits, Oxford 1988, pp. 34, 84-85, 125, n. 44) tavv. ΧΧΧΙ-ΧΧΧΙΙ; Β. Andreae, Laocoonte e la fondazione di Roma, Milano 1989, p. 199, nota 43, fig. 46; N. Himmelmann, Herrscher und Athlet. Die Brokzen vom Quirinal (cat.), Milano 1989, pp. 126-149, 205-207, n. 4, figg. 70,72-77, e figg. alle pp. 143-147, 205-207; P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Torino 1989, p. 7, figg. 1-2; N. Himmelmann, Der Hellenismus in der Archäologie, in Akten des XIII. Internationalen Kongresses für klassische Archäologie, Berlin 1988, Magonza 1990, pp. 13-16, in part. p. 15, tav. II, 3; A. La Regina, in M. R. Di Mino (ed.), Rotunda Diocletiani. Sculture decorative delle terme nel Museo Nazionale Romano (cat.), Roma 1991, pp. 5-8, in part. pp. 6-7, n. 4; D. Candilio, ibid., p. 60, n. 1, tavv. I-IV; R. R. R. Smith, Hellenistic Sculpture, Londra 1991, pp. 19-20, fig. 3; W. Fuchs, Die Skulptur der Griechen, Monaco 19934, pp. 138-139, fig. 132; P. Moreno, Scultura ellenistica, I, Roma 1994, pp. 420-429, figg. 531, 533, 535. 537; II, pp. 761-762, fig. 941.

Statua del principe Tharan, San'a, Museo: K. Weidemann, Könige aus dem Jemen, Magonza 1983, p. 16 ss.; P. Moreno, op.cit., I, p. 424, fig. 534.

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