Individuazione, principio di

Dizionario di filosofia (2009)

individuazione, principio di


Criterio o elemento della determinazione ontologica dell’ente singolo che rende ragione della sua unità e indivisibilità e quindi della differenziazione di due cose l’una eguale all’altra o – laddove la sostanza comune o universale sia intesa come ontologicamente prioritaria – di più individui esistenti in una stessa specie. È il principio della conoscibilità dell’ente singolo e richiama il grande problema logico e metafisico dell’identità e della differenza. Tale principio ha avuto diverse applicazioni a seconda delle epoche e dei contesti di volta in volta interessati.

L’individuazione nel pensiero antico e medievale

Il primo tentativo di definizione della conoscibilità dell’ente singolo si deve ad Aristotele. Interrogandosi sullo statuto ontologico degli enti naturali, e ricercando quindi i principi che diano ragione del loro mutamento, lo Stagirita elabora una teoria della composizione degli enti sulla base della distinzione di forma e materia. Laddove la prima determina l’ente nelle sue qualità specifiche o in quelle accidentali, la seconda offre un sostrato permanente al mutamento, garanzia a un tempo del divenire e dell’identità della cosa con sé stessa. In tal senso, se ciò che accomuna più individui di una specie è la forma, la materia – capace di recepire i contrari – individua la forma, spiegando a un tempo la distinzione nell’essere e il mutamento della cosa. Nell’Alto Medioevo, quando il mondo latino ancora non conosce che parte degli scritti logici di Aristotele, il problema dell’individuazione dell’ente è affrontato a partire dall’Isagoge di Porfirio e attraverso la mediazione del Commento di Boezio; esso interessa così il problema degli universali nonché, sul piano teologico, la dottrina della Trinità (ogni persona andando individuata e distinta dall’altra al di là di ogni composizione materiale). In generale, gli autori altomedievali rintracciano il principio di i. di un ente nei predicati accidentali che ne determinano la differenziazione numerica. A partire dal sec. 12°, con il processo di traduzioni che porterà alla conoscenza dell’intero corpus degli scritti aristotelici nonché di alcune fondamentali opere dell’esegesi araba, l’individuazione torna a essere considerata sul piano metafisico. Fondamentale è la posizione di Avicenna che, introducendo fra l’altro il concetto di ‘forma della corporeità’, rintraccia l’individuazione delle sostanze sensibili nell’estensione spaziale che si realizza attraverso la materia, la quale rende possibile ricevere l’insieme degli accidenti. Per Averroè il sostrato per la ricezione degli accidenti è piuttosto dato dalla forma, che finisce così per costituire il principio di individuazione. L’apparente contraddizione tra le soluzioni adottate si deve alla complessità e all’ambiguità delle soluzioni aristoteliche. Nello stesso Aristotele gli interpreti moderni hanno sottolineato il ruolo della forma e non solo quello della materia nell’individuazione. Alle interpretazioni arabe (l’ilomorfismo ➔ universale ripreso in ambito francescano) vanno aggiunte poi quelle ebraiche che, al pari delle prime, influenzarono la riflessione della scolastica cristiana. In essa il problema dell’individuazione ha implicazioni in almeno tre questioni filosofiche e teologiche: l’immortalità personale e la resurrezione dei corpi, da una parte, e la natura delle sostanze spirituali, dall’altra. Queste ultime, prive di materia, sono in genere pensate come individui nel loro essere specie. Per il francescano Bonaventura da Bagnoregio il principio di i. è l’insieme o la comunicazione di materia e forma che costituisce l’ente (la materia è solo possibilità, in tal senso a individuare è il composto e l’angelo non è necessariamente una specie), mentre per Tommaso d’Aquino esso è dato dalla materia quantitate signata. A individuare la cosa come tale non è quindi la materia prima e comune, pura potenzialità, ma la materia estesa, ossia la materia che, entrando in composizione con la forma, è di volta in volta sottoposta a una determinazione quantitativa. Il problema di come intendere la materia signata e di come qualificare il complesso rapporto tra materia e quantità sarà poi affrontato dal tomismo. Si distinguono così le opinioni di Francesco Silvestri, che riprende Capreolo, di Tommaso de Vio e di Crisostomo Iavelli. Alternativa rispetto a quella di Tommaso è la soluzione di Duns Scoto che cerca di riconoscere in modo più deciso l’originalità dell’individuo attraverso il concetto di haecceitas, la determinazione stessa della singolarità di un individuo, irriducibile ad altri concetti metafisici.

Dalla filosofia moderna agli sviluppi attuali

Alla riflessione di Duns Scoto va accostata quella di Suárez che riconosce il principio di individuazione nell’entitas: ogni sostanza singolare è tale in sé stessa, per il suo essere ente, e lo è sia nel caso della sostanza semplice, sia in quello della sostanza composta, nel qual caso l’individualità richiede insieme la materia e la forma. Gli sviluppi della nozione nel pensiero moderno che va via via emancipandosi rispetto all’aristotelismo dipendono, comunque, dagli ambiti di interesse delle varie scuole: la filosofia cartesiana, dominata dall’atto del cogito, in sé stesso individuante, sembra abbandonare la questione del principio di i., il cui problema è invece affrontato dagli autori che tenteranno di conciliare la singolarità dell’ente, rivendicata dal nominalismo, con la sua intelligibilità universale. Spinoza elabora il principio come negazione; Leibniz, che al principio di i. dedica la sua tesi di baccellierato (Disputatio metaphysica de principio individui, 1663), elaborando la soluzione nominalista, giunge alla concezione dell’individuo come determinato dall’insieme dei suoi predicati (omne individuum sua tota entitate individuatur), che sono però infiniti e dunque conoscibili nella loro totalità soltanto da Dio. Infine, per Locke – le cui soluzioni verranno poi riprese per es. da Schopenhauer – il principio di i. va ricercato nelle determinazioni spazio-temporali. In psicologia il principio di i. interessa il concetto di coscienza di sé. In un senso del tutto particolare il principio di i. è inteso da Nietzsche, in cui la critica ravvisa un principio ontologico applicato al problema della distinzione dell’essere umano (Mensch) dal resto del mondo, laddove carattere individuante dell’uomo è la sua «volontà di potenza» e un principio etico: l’atteggiamento dell’uomo e le sue scelte di fronte all’eterno ripetersi dell’identico, fanno dell’individuo quello che è. In logica, da Leibniz in poi, la questione è legata a quella dell’identità degli indiscernibili, ma le riflessioni sull’individuazione nella filosofia analitica sono varie, e spesso vengono ripresi i concetti aristotelici di forma e di genere (si sviluppa la nozione di predicati sortal). Con Frege viene posto in primo piano il problema dell’individuazione di oggetti astratti; con Strawson il concetto di individuazione viene intrecciato con quelli di referenza e di predicazione.

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