Promesse unilaterali

Diritto on line (2016)

Elena Signori

Abstract

Vengono analizzate le promesse unilaterali in primo luogo sotto il profilo strutturale per poi procedere all’esame delle singole fattispecie disciplinate dal legislatore, quali, in particolare, la promessa al pubblico, la promessa di pagamento, la ricognizione di debito e i titoli di credito, anche alla luce del tradizionale principio di tipicità che si evince dalla lettera dell’art. 1987 c.c., oggetto di critica e revisione da parte della dottrina e della giurisprudenza più recenti.

Premessa

Le promesse unilaterali sono comunemente qualificate quali negozi giuridici a struttura unilaterale.

Esse, in ossequio a quanto disposto dall’art. 1334 c.c., si perfezionano non appena giunte a conoscenza del destinatario, a prescindere da una sua accettazione. Impegnano solo il dichiarante, creando obblighi esclusivamente a suo carico e diritti in favore del promissario.

Al fine di comprendere tale particolare categoria normativa è opportuno rintracciare le reali intenzioni del legislatore del 1942 che, impregnato del dibattito dottrinale di fine Ottocento, sembra ammettere l’assunzione in via unilaterale di un’obbligazione solo tramite un negozio implicante anche il consenso del promissario. La stessa Relazione al codice civile (n. 781) sottolinea l’esigenza di evitare «la scompaginazione» del contratto mediante l’atomizzazione dei suoi elementi (proposta e accettazione) (Bolognesi, F., Le promesse unilaterali, in Il contratto, a cura di P. Fava, Milano, 2012, 2264).  Per queste ragioni il legislatore codicistico ha imposto la tipicità delle promesse unilaterali attraverso l’art. 1987 c.c. con la duplice finalità di tutelare l’intangibilità della sfera giuridica del promissario che assiste al perfezionarsi della fattispecie a prescindere da una sua accettazione, seppur in presenza di effetti a lui favorevoli, ed altresì al fine di individuare una giustificazione causale tale da sorreggere l’assunzione dell’obbligazione da parte del solo dichiarante (Gazzoni, F., Manuale di diritto privato, 2011, Napoli, 693).

Più di recente si è assistito ad un parziale superamento di tale originaria concezione in favore dell’ammissibilità nel nostro ordinamento di ipotesi di promesse unilaterali atipiche, facendo leva sul principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c. o sul disposto di cui all’art. 1333 c.c. (contratto con obbligazioni del solo proponente), dunque inquadrando tale fattispecie quale negozio unilaterale con effetti favorevoli ma pur sempre rifiutabili da parte del terzo beneficiario e sorretto da un interesse patrimoniale del promittente che lo giustifichi sul piano causale (Sacco, R., Promessa di cui all’art. 1333 e promesse unilaterali (individualizzate o rivolte al pubblico), in Sacco, R-De Nova, G., Il contratto, I, 1993, Torino, 68).

La tipicità delle promesse unilaterali

Il principio di tipicità

Il principio di tipicità espresso dall’art. 1987 c.c. in base al quale «la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge» appare dunque il riflesso del pensiero della scienza giuridica coeva all’entrata in vigore del codice civile.

L’ostilità verso la fattispecie rappresenta la risposta data dal legislatore alla necessità di sciogliere i nodi critici al centro del dibattito sorto in materia, quali, in particolare, l’esigenza di tutelare il promittente che assume su di sé un obbligo giuridico nei confronti di un soggetto che non risulta in alcun modo vincolato ponendosi esclusivamente quale beneficiario del correlativo diritto di credito scaturente dalla promessa.

In altre parole, innanzi all’impegno assunto dal promittente, non sussisterebbe alcun corrispettivo, con la conseguenza che risulterebbe carente l’elemento causale tanto caro al legislatore del ’42 e la promessa rivelerebbe la sua tendenziale gratuità, accentuando ancor di più la diffidenza dell’ordinamento verso tale fattispecie.

La necessità di imporre la tipicità delle promesse unilaterali scaturirebbe quindi principalmente dall’esigenza di fondare le stesse su di una causa che ha già superato il vaglio di meritevolezza da parte dell’ordinamento giuridico in quanto già incardinata all’interno di ipotesi tipizzate dal legislatore (Alpa, G., Manuale di diritto privato, Padova, 2007, 845).

Esaminando rapidamente le fattispecie che saranno singolarmente approfondite nel prosieguo, appare evidente che si tratta di casi tutti nei quali si pone un problema in relazione alla causa che o appare sfumata (promessa al pubblico ex art. 1989 c.c.), o risulta astratta sotto il profilo sostanziale (titoli di credito ex artt. 1992 c.c. ss.), o, ancora, produce un’astrazione sul piano processuale (promessa di pagamento e ricognizione di debito ex art. 1988 c.c.).

Altra ragione della sfiducia da parte del legislatore avverso la categoria delle promesse unilaterali si è ravvisata nella sua immediata efficacia nella sfera giuridica del promissario, indipendentemente da una accettazione dello stesso. Una simile struttura ha suscitato l’esigenza, avvertita dai compilatori del codice civile, di salvaguardare anche la posizione del promissario da eventuali ingerenze del dichiarante, in ossequio al tradizionale principio di intangibilità del terzo ai sensi dell’art. 1372, co. 2, c.c. La tipicità delle promesse permetterebbe allora di effettuare un controllo ex ante, almeno sul piano formale, delle stesse al fine di tutelare la posizione giuridica del terzo beneficiario.

A tal proposito, la circostanza che questi non possa esprimere il proprio consenso ma possa solo subire gli effetti della dichiarazione del promittente non fa dubitare del fatto che gli effetti della promessa debbano essere necessariamente positivi. Ne consegue l’inammissibilità di imporre oneri al terzo giacché sarebbe impensabile l’imposizione di obblighi a carico di un soggetto a prescindere da una sua qualsivoglia manifestazione di volontà.

La promessa al pubblico

La promessa al pubblico è un’ipotesi tipica di promessa unilaterale. Essa vincola il promittente non appena viene resa pubblica e dunque ancor prima di un’eventuale futura accettazione. In base al all’art. 1989, co. 1, c.c. «colui che, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione, è vincolato dalla promessa non appena questa è resa pubblica».

Sul piano strutturale occorre distinguere due momenti di svolgimento di tale fattispecie. In una prima fase si assiste alla dichiarazione e alla sua pubblicazione e da tale momento si produce per il dichiarante l’effetto di irrevocabilità della sua promessa (salvo giusta causa), in ragione della tutela dell’affidamento ingenerato nei confronti dei terzi.

Il trovarsi in una data situazione o il compimento di una determinata azione sono comunemente considerati fatti giuridici al verificarsi dei quali si producono due conseguenze: l’individuazione del soggetto beneficiario della promessa, contestualmente al sorgere dell’obbligo di eseguire la prestazione ivi dedotta in capo al promittente. È in tale seconda fase che nasce il diritto di credito ad esigere la prestazione da parte del destinatario della promessa. La dottrina, tuttavia, discute se il momento in cui può dirsi effettivamente sorto tale diritto di credito coincida con il compimento dell’azione o il ritrovarsi in una data situazione oppure con la comunicazione al promittente.

Sebbene una parte degli studiosi individui nella comunicazione di cui sopra una forma di accettazione, sostenendo la tesi della bilateralità della fattispecie (Sbisà, G., La promessa al pubblico, Milano, 1974), l’orientamento maggioritario non ha dubbi nel ritenere che la promessa al pubblico sia un negozio giuridico unilaterale.

A tutela del promittente la norma prevede che il vincolo abbia una durata limitata nel tempo e per questo il co. 2 della disposizione precisa che «se alla promessa non è apposto un termine, o questo non risulta dalla natura o dallo scopo della medesima, il vincolo del promittente cessa, qualora entro l’anno dalla promessa non gli sia stato comunicato l’avveramento della situazione o il compimento dell’azione prevista nella promessa».

Tecnicamente dunque sin dal momento della dichiarazione del promittente sorge un vincolo di irrevocabilità, mentre il vincolo obbligatorio che impone al promittente di eseguire la prestazione promessa in capo al soggetto beneficiario (il quale si è trovato nella situazione o ha compiuto l’azione dedotta nella promessa) sorge solo al momento della sua individuazione.

Ciò risulta coerente con quanto disposto dal successivo art. 1990 c.c. in base al quale la revoca della promessa è ammessa purché sussista giusta causa e sempre che non si sia verificata la situazione prevista nella promessa o l’azione non sia stata già compiuta. Infatti, solo nella fase che intercorre tra la dichiarazione e il verificarsi della situazione è ammessa la revoca (per una giusta causa che può consistere in qualsivoglia accadimento che renda vana la promessa), giacché il diritto di credito in capo al promissario non è ancora sorto non essendo stato ancora individuato il soggetto titolare dello stesso. Ad ogni modo, la revoca della promessa, per avere effetto, deve essere perfezionata con le medesime modalità in cui è stata resa pubblica (così ad es. se viene pubblicato un annuncio su un quotidiano nel quale si promette la dazione di una somma di denaro per il caso di ritrovamento di un oggetto smarrito dal proprietario la revoca dovrà essere resa pubblica sul medesimo quotidiano).

Con riguardo all’interesse che spinge il dichiarante a porre in essere tale fattispecie, si ritiene che questo possa consistere in un interesse sia patrimoniale che non patrimoniale, purché sia meritevole di tutela (Sacco, R., Promessa di cui all’art. 1333, cit., 70).

Infine, laddove l’azione sia stata compiuta da più persone separatamente, o se la situazione sia comune a più persone, la prestazione promessa, quando è unica, spetterà a colui che per primo ne ha dato notizia al promittente.

Tale norma da un lato è volta a dirimere il conflitto tra più soggetti beneficiari, dall’altro lato sottolinea, in particolare, che sebbene il vincolo obbligatorio sorga nel momento stesso in cui la situazione si è verificata o l’azione è compiuta, resta comunque onere del soggetto creditore della prestazione di darne comunicazione al promittente per poterne beneficiare.

La promessa di pagamento e la ricognizione di debito

Anche la promessa di pagamento e la ricognizione di debito integrano delle fattispecie tipiche di promesse unilaterali.

Con la prima, un soggetto promette l’adempimento di una prestazione della quale risulta già vincolato in base ad un rapporto obbligatorio preesistente. Attraverso la ricognizione di debito, il debitore di un determinato rapporto obbligatorio conferma l’esistenza del debito al soggetto creditore.

Entrambe le dichiarazioni producono un fenomeno di astrazione processuale in quanto, a seguito della promessa di adempiere al pagamento o successivamente al riconoscimento del debito si crea una presunzione iuris tantum di sussistenza del rapporto obbligatorio originario valevole sul piano processuale. Si assiste, in particolare, ad un’ipotesi di inversione dell’onere della prova, tale che il soggetto (creditore) nei cui confronti è fatta la promessa di pagamento o il riconoscimento di debito sarà sollevato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto obbligatorio sottostante (relevatio ab onere probandi). Al contrario, sarà il dichiarante a farsi carico dell’onere di fornire prova contraria di quanto promesso o riconosciuto.

Si discute se la dichiarazione del promittente o di colui che riconosce il debito nei confronti del creditore sia una dichiarazione di volontà (Alpa G., idem, 847) che trova la sua causa nel rapporto preesistente o piuttosto una dichiarazione di scienza latamente confessoria (Graziani, C.A., Le promesse unilaterali, in Tratt. Rescigno, IX, Torino, 1984, 681).

La scelta non è di poco conto, giacché accogliendo la tesi che intravede in tali dichiarazioni dei negozi giuridici unilaterali aventi quale destinatario determinato il creditore in favore del quale si produce l’effetto della relevatio ab onere probandi, si applicherà la regola delle recettizietà e, di conseguenza, la dichiarazione fatta dal debitore ad un terzo o priva di destinatario non produrrà la sopra descritta astrazione processuale. Inoltre, saranno rilevanti gli stati soggettivi del dichiarante ai fini dell’annullabilità della dichiarazione.

Viceversa, chi ritiene che si tratti di una dichiarazione di scienza, afferma la non recettizietà della stessa e l’irrilevanza di una specifica volontà del debitore di effettuare la promessa o di riconoscere il debito.

Si distingue, inoltre, a seconda che il dichiarante faccia espresso riferimento al rapporto fondamentale, in tal caso la promessa o il riconoscimento si diranno titolati, o che questi non faccia alcuna menzione del rapporto stesso, in tal caso si parlerà di promessa o riconoscimento puri.

I titoli di credito

L’esigenza di evitare gli inconvenienti derivanti dalla disciplina in tema di cessione del credito (artt. 1260 ss. c.c.) ha spinto la scienza giuridica ad elaborare la peculiare fattispecie dei titoli di credito.

In particolare, questi si sostanziano in documenti (titoli) che incorporano un diritto di credito ma circolano in base alle norme che regolano il trasferimento dei beni mobili, tale che il credito si trasferisce contestualmente al documento che lo rappresenta, senza soggiacere alle regole di circolazione sue proprie, con tutti i vantaggi che ne derivano.

In concreto, la cessione del credito determina un acquisto a titolo derivativo in capo al cessionario che pertanto resta soggetto a tutti i rischi connessi a tale tipo di trasferimento. Per ovviare a questo inconveniente, l’art. 1994 c.c. applica al trasferimento del titolo di credito la regola del possesso vale titolo di cui all’art. 1153 c.c., in base alla quale colui che consegue il possesso di una cosa mobile con titolo astrattamente idoneo e in buona fede ne acquista la proprietà a titolo originario, indipendentemente dal fatto che l’alienante sia il reale proprietario (acquisto a non domino). L’applicazione di tale principio permette di considerare ogni acquisto successivo del titolo di credito come autonomo e indipendente rispetto al precedente, al fine di tenere indenne l’acquirente da tutta una serie di eccezioni discendenti dal rapporto originario che il debitore ceduto potrebbe sollevare nei suoi confronti.

Sul piano classificatorio i titoli di credito si dividono in titoli causali, laddove viene fatta menzione del rapporto obbligatorio sottostante, e titoli astratti, ove la giustificazione causale non è esplicitata dalle parti del rapporto sottostante, come avviene per la cambiale o l’assegno.

Anche i titoli di credito, come la promessa di pagamento o la ricognizione di debito, contengono promesse unilaterali. Tuttavia, a differenza di queste ultime, non rilevano solo sul piano processuale, producendo una vera e propria astrazione sul piano sostanziale ogni qualvolta il titolo non menzioni il rapporto sottostante.

Tale fenomeno si ravvisa non tanto al momento dell’emissione del titolo, laddove si assiste alla promessa dell’emittente nei confronti del primo prenditore del titolo (il debitore emette il titolo e promette al creditore primo prenditore che adempierà all’obbligazione corrispondente al diritto di credito incorporato nel titolo), quanto piuttosto nella successiva circolazione del titolo stesso.

Infatti, nella fase di emissione del titolo il rapporto sottostante e il rapporto cartolare coincidono ed il debitore potrà opporre al creditore primo prenditore le medesime eccezioni derivanti dal loro rapporto fondamentale. Viceversa, i successivi prenditori del titolo di credito in buona fede, in virtù di quanto espresso dall’art. 1994 c.c., potranno avvantaggiarsi del principio di autonomia del rapporto cartolare rispetto al rapporto sottostante dinanzi alle eccezioni sollevate del debitore.

Un esempio in tal senso è fornito dalla disciplina della cambiale che può assumere due forme: il vaglia cambiario (consistente nella promessa di pagamento dal debitore-emittente al creditore-primo prenditore) e la cambiale tratta (che attua una delegazione di pagamento del debitore-traente nei confronti del trattario in favore del creditore-primo prenditore).

Le promesse unilaterali atipiche

Il principio di tipicità esposto dall’art. 1987 c.c. e scaturito dalla duplice esigenza di salvaguardare il dogma della volontà contro le altrui ingerenze, garantendo al contempo una giustificazione causale che fondi la promessa, ha subito una serie di critiche che hanno stimolato parte della dottrina e della giurisprudenza (Trib. Roma, 18.7.1985, in Banca borsa, 1986, II, 450) più recenti a rileggere la norma alla luce del principio di autonomia privata.

Premesso che il legislatore codicistico nel disciplinare le promesse unilaterali sembra essersi limitato a fornire esclusivamente degli schemi (neutri) senza andare a predeterminare quali interessi l’autonomia privata possa realizzare attraverso tali schemi (Ferri, G.B., Autonomia privata e promesse unilaterali, in Banca borsa, 1960, I, 481 ss.), due sono le argomentazioni utilizzate dagli studiosi per superare il dogma della tipicità delle stesse.

Taluni accolgono la figura della promessa unilaterale atipica facendo leva sulla fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. sempre che gli effetti da essa derivanti siano favorevoli e rifiutabili da parte del promissario (D’Angelo, A., Le promesse unilaterali e la regola della tassatività, in Il rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. Lipari-Rescigno, III, 2009, 423; Castiglia, G., Promesse unilaterali atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, 358; Cass., 27.9.1995, n. 10235, in Corr. giur., 1996, 301). In particolare, tale orientamento considera l’art. 1987 c.c. quale norma di mero rinvio volta a riaffermare la necessità della causa anche per la categoria delle promesse unilaterali e dunque a prevedere l’inefficacia delle stesse ogni qualvolta non emerga expressio causae (Spada, P., Cautio quae indiscrete loquitur. Lineamenti funzionali e strutturali della promessa di pagamento, in Riv. dir. civ., 1978, I, 740).

Tuttavia, tale tesi, per quanto autorevolmente sostenuta, pone dubbi di coerenza del sistema dal momento che l’art. 1333 c.c. (come anche confermato dalla sua rubrica) disciplina una particolare figura contrattuale, quella con obbligazioni a carico di una sola parte, ed allora si dovrebbe o far rientrare la promessa all’interno della categoria dei contratti oppure negare che la norma disciplini un contratto vero e proprio.

Un diverso orientamento riconosce l’atipicità delle promesse unilaterali basandosi sul dato letterale di cui all’art. 1173 c.c. che nell’elencazione delle fonti delle obbligazioni utilizza una formula aperta, dando prioritaria rilevanza all’interesse (promesse unilaterali “interessate”) del dichiarante che sostanzierebbe la giustificazione causale della fattispecie (Giorgianni, M., Appunti sulle fonti dell’obbligazione, in Riv. dir. civ., 1965, I, 70). In concreto, si porrebbe un problema di compatibilità tra l’assunto di atipicità delle fonti delle obbligazioni (tra le quali rientrerebbero anche le promesse unilaterali) desumibile dall’art. 1173 c.c. e quanto previsto dall’art. 1987 c.c. che impone, viceversa, la necessaria tipicità delle promesse unilaterali.

La soluzione a tale incongruità, seguendo tale orientamento, sarebbe quella di circoscrivere la portata del divieto di cui all’art. 1987 c.c. considerando la tipicità operante solo sul piano strutturale (giacché la promessa al pubblico, la promessa di pagamento o la ricognizione del debito si sostanzierebbero in schemi neutri) favorendo l’esplicarsi dell’autonomia privata sul piano del regolamento concreto che le parti intendono raggiungere attraverso lo schema di promessa unilaterale prescelto.

Fonti normative

Artt. 1322, 1324, 1325, 1333, 1334, 1987, 1988, 1989, 1990, 1991, 1992, 1993, 1994 c.c.

Bibliografia essenziale

Alpa, G., Manuale di diritto privato, Padova, 2007, 844 ss.; Branca, G., Delle promesse unilaterali, in Delle obbligazioni. Artt. 1960-199, Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna, 1974, 406-475; Bolognesi, F., Le promesse unilaterali, in Il contratto, a cura di P. Fava, Milano, 2012, 2263-2299; Castiglia, G., Promesse unilaterali atipiche, in Riv. dir. comm., 1983, I, 327-403; D’Angelo, A., Le promesse unilaterali e la regola della tassatività, in Il rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. Lipari-Rescigno, III, 2009, 583-644; Di Majo, A., Le promesse unilaterali, in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 33-69; Ferri, G.B., Autonomia privata e promesse unilaterali, in Banca borsa, 1960, I, 481 ss.; Gazzoni, F., Manuale di diritto privato, Napoli, 2011, 693 ss.; Giorgianni, M., Appunti sulle fonti dell’obbligazione, in Riv. dir. civ., 1965, I, 70 ss.; Graziani, C.A., Le promesse unilaterali, Tratt. Rescigno, IX, Torino, 1984, 627-704; Sacco, R., Promessa di cui all’art. 1333 e promesse unilaterali (individualizzate o rivolte al pubblico), in Sacco, R-De Nova, G., Il contratto, I, Torino, 1993, 66 ss.; Santoro Passarelli, F., Dottrine generali del diritto civile, XI ed., Napoli, 1997, 177; Sbisà, G., La promessa al pubblico, Milano, 1974; Spada, P., Cautio quae indiscrete loquitur. Lineamenti funzionali e strutturali della promessa di pagamento, in Riv. dir. civ., 1978, I, 673 ss.

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