Pronomi

Enciclopedia dell'Italiano (2011)

pronomi

Cecilia Andorno

Definizione

I pronomi sono un insieme di forme o classi di parole (➔ parti del discorso) accomunate sul piano funzionale dal fatto che, pur avendo valore referenziale, sono prive di capacità di referenza (➔ definizione lessicale) fuori contesto.

Ciò è dovuto al fatto che mancano di tratti semantici che caratterizzino il loro significato, come avviene invece per i ➔ nomi. Così, nella frase:

(1) discuteremo delle proprietà della Bowenia: essa è una pianta dioica, di aspetto cespuglioso, con un tronco nudo sotterraneo

il pronome essa fa riferimento allo stesso referente evocato da Bowenia. Tuttavia, mentre il sintagma la Bowenia rimanda a un proprio referente (l’insieme delle piante appartenenti a questo gruppo) in virtù dei tratti semantici propri del nome Bowenia (cioè «pianta tropicale; cresce nelle foreste pluviali; ha aspetto simile a una palmetta o a una felce»), la referenza di essa si identifica solo ricollegandosi contestualmente all’espressione la Bowenia.

I pronomi formano una classe chiusa, al cui interno sono individuabili sottoclassi dal comportamento omogeneo che, a eccezione dei pronomi personali (➔ personali, pronomi) e dei relativi (➔ relativi, pronomi), hanno tutte una corrispondente funzione di aggettivo (➔ aggettivi). Si distinguono tradizionalmente: pronomi personali tonici e ➔ clitici, dimostrativi (➔ dimostrativi, aggettivi e pronomi), possessivi (➔ possessivi, aggettivi e pronomi), indefiniti (➔ indefiniti, aggettivi e pronomi), interrogativi (➔ interrogativi, aggettivi e pronomi), relativi.

Per l’analisi dettagliata di queste categorie, si rinvia alle voci apposite. In questa voce, nei §§ 2-3 si tratteranno le proprietà semantico-funzionali, formali e distribuzionali dei pronomi; il § 4 sarà dedicato ai verbi pronominali (➔ pronominali, verbi); il § 5 ad alcuni elementi linguistici con funzione simile ai pronomi.

Proprietà semantico-funzionali

Rinvio e giunzione

I pronomi hanno funzione di rimando a un’entità accessibile nell’universo di discorso, o perché già evocata nel contesto discorsivo, o perché percepibile nel contesto situazionale in cui il discorso avviene (➔ contesto). Nel primo caso il rinvio è di tipo anaforico (➔ anafora), nel secondo è di tipo deittico (➔ deittici):

(2) sul secondo ripiano della credenza ci sono delle forbici: me le prendi per favore? [le = le forbici di cui ho appena parlato, evocate nel contesto discorsivo: rinvio anaforico]

(3) [l’ascoltatore ha in mano un paio di forbici] me le passi per favore? [le = le forbici che hai in mano, direttamente percepibili nel contesto situazionale: rinvio deittico]

Nel rinvio anaforico l’espressione cui il pronome rimanda (nell’esempio 2, delle forbici) è detta antecedente (Conte 1999). Simone (200819) parla di punto di attacco sintagmatico, da contrapporre al punto di attacco extrasintagmatico proprio del rinvio deittico, nel quale l’antecedente è il referente stesso presente nel contesto situazionale: nell’esempio (3), le forbici in quanto oggetto.

L’antecedente di un pronome solitamente precede il pronome (da cui i termini anafora «riferimento all’indietro» e antecedente), ma può talvolta seguirlo, come nell’esempio (4), dove questo rimanda all’intera frase che segue i due punti. In tal caso si parla di ➔ catafora («riferimento in avanti»):

(4) volevo dirti questo: domani vado in ferie

Tale possibilità dà luogo al procedimento retorico detto prolessi:

(5) codesto solo oggi possiamo dirvi: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (Eugenio Montale, “Non chiederci la parola”, in Ossi di seppia)

I pronomi interrogativi e indefiniti possono anche rimandare a un qualsiasi referente della classe identificata dal pronome stesso:

(6) che cosa hai detto?

(7) chiedo la collaborazione di chiunque possa fornire informazioni utili

In tal caso, la funzione di rinvio è attenuata; il pronome è piuttosto il corrispondente linguistico di una variabile (in questo caso, una persona) non nota.

La sottoclasse dei relativi, accanto alla funzione di rinvio, svolge funzione di giunzione tra frasi, funzione che la accomuna alla classe delle ➔ congiunzioni. In (8), il pronome che rinvia all’antecedente il collega e insieme introduce la frase subordinata (➔ subordinate, frasi) lavorerà nella sede centrale, in cui occupa il ruolo sintattico di soggetto:

(8) domani conosceremo il collega che lavorerà nella sede centrale

L’esistenza di pronomi, fenomeno universale nelle lingue, è spiegata con esigenze di economia espressiva, per ridurre il carico cognitivo di produzione ed elaborazione del discorso. Un altro ruolo rilevante è quello di sostenere la coesione testuale (Conte 1999; ➔ coesione, procedure di), segnalando la continuità referenziale nel testo.

Relazione fra antecedente e pronome

Fra la referenza del pronome e quella dell’antecedente ci sono relazioni di varia natura. Nel caso più comune la relazione è di co-referenza (ovvero pronome e antecedente hanno lo stesso referente):

(9) – Mi passi l’olio per favore? – Lo [= l’olio] trovi sul secondo ripiano

Il pronome può però anche riferirsi a un membro della classe individuata dall’antecedente: si parla in questo caso di identità di tipo o di co-significanza (Conte 1999). In (10), li non fa riferimento agli stessi piatti cui si riferisce l’antecedente; così, in (11), il gelsomino cui si riferisce quello non è lo stesso designato dall’antecedente:

(10) alle nove, quando Mario aveva già lavato tutti i piatti, io li avevo appena messi nel lavello

(11) il gelsomino bianco è ancora in fiore, quello giallo è già sfiorito

Infine, il pronome può riferirsi all’antecedente stesso in quanto espressione linguistica: in (12) lo si riferisce non alla pianta designata dall’espressione Gymnosperma cycadophyta, ma all’espressione linguistica stessa:

(12) questa è una Gymnosperma cycadophyta: sai scriverlo o te lo sillabo?

L’antecedente di un pronome è solitamente un ➔ sintagma nominale:

(13) incontrando il preside gli ho parlato [gli = al preside]

Alcuni pronomi tuttavia possono rimandare ad antecedenti di altra natura. Il più flessibile è il pronome lo invariabile (➔ clitici), che viene perciò talvolta detto pronome neutro (➔ neutro). Unito ai verbi essere o fare può avere come antecedente un predicato nominale o verbale e riferirsi alla proprietà o attività da questi espresse:

(14)

a. Sandro è laureato, Gianni non lo è [esserlo = essere laureato]

b. Sandro lava sempre i piatti, Paolo non lo fa mai [farlo = lavare i piatti]

Lo, come i dimostrativi questo e ciò (che è specializzato per questo uso), può avere come antecedente una frase e riferirsi al fatto descritto dalla frase:

(15) Sandro è laureato, ma Gianni non lo sa [lo = il fatto che Sandro sia laureato]

(16) dicono che Gianni sia un idiota: questo non è vero! [questo = il fatto che Gianni sia un idiota]

Lo, infine, può riferirsi non al fatto cui la frase rimanda ma al suo contenuto locutivo:

(17) – Gianni è un idiota. – Ripetilo se hai coraggio! [lo = l’affermazione «Gianni è un idiota»]

Per ulteriori approfondimenti su questi aspetti, ➔ anafora.

Tratti semantici aggiuntivi

Nei termini di Kaplan (1979), i pronomi non hanno un «contenuto» proprio, ma solo un «carattere», ovvero portano informazioni che consentono il recupero del referente inteso. Per i pronomi italiani tali informazioni sono principalmente date dalla ➔ flessione di ➔ genere e ➔ numero (su cui cfr. § 3). Altri tratti che concorrono a individuare il referente inteso da un pronome sono:

(a) il valore di ➔ persona, codificato sistematicamente nei pronomi personali e possessivi. In (18) mia rimanda al parlante, sua a una terza persona:

(18) Quale auto preferisci? La mia o la sua?

(b) il valore di animatezza, codificato (seppure in modo non sistematico) nei pronomi personali, indefiniti, interrogativi. In (19), qualcuno rimanda a un’entità animata, qualcosa a un’entità inanimata:

(19) stai cercando qualcuno / qualcosa?

(c) l’opposizione distale / prossimale (➔ deittici), codificata tipicamente nei dimostrativi. In (20), questo e quello rimandano rispettivamente a un’entità prossima e lontana, fisicamente o psicologicamente, rispetto al parlante:

(20) torniamo ai libri: questo lo prendo, per quello ci penso ancora

Gli indefiniti indicano ulteriori caratteristiche del referente cui rinviano in termini di quantificazione o definitezza. Come ➔ quantificatori (Longobardi 1988), esplicitano se il riferimento va fatto alla totalità degli individui dell’insieme evocato, a una sua parte o a nessuno di essi.

Possono quindi esprimere quantificazione esistenziale, cioè riferimento ad almeno un membro dell’insieme evocato:

(21) Sono arrivati gli invitati? Qualcuno è arrivato (o alcuni o diversi o certi sono arrivati) [= una parte, almeno uno degli invitati]

Possono esprimere quantificazione universale, cioè riferimento a tutti i membri dell’insieme, considerati singolarmente o nella totalità:

(22) il responsabile ha parlato con tutti [o con ciascuno]

Possono infine esprimere quantificazione negativa, cioè riferimento a nessuno dei membri dell’insieme:

(23) non ho visto nessuno (o niente)

In termini di definitezza, inoltre, i pronomi indefiniti segnalano generalmente la non identificabilità del referente. In (24), alcuni e altri fanno riferimento a una quantità indefinita di persone dell’insieme degli amici e non ne specificano l’identità:

(24) avevamo invitato gli amici, ma alcuni sono già partiti, altri sono rimasti a casa

Il solo pronome indefinito altri può assumere riferimento definito se accompagnato da articolo determinativo. In (25) gli altri identifica l’insieme degli amici invitati che non sono partiti: un insieme di numero indefinito, ma di identità definita:

(25) avevamo invitato gli amici, ma alcuni sono già partiti, gli altri sono rimasti a casa.

Proprietà formali e distribuzionali

Posizione nella frase

Le caratteristiche distribuzionali della maggioranza dei pronomi sono analoghe a quelle dei sintagmi nominali (➔ sintagma nominale). La loro posizione nella frase coincide in genere con quella di un sintagma nominale con uguale ruolo sintattico. Come i sintagmi nominali, possono ricorrere preceduti da preposizione, formando così un ➔ sintagma preposizionale:

(26)

a. domani arriverà il nuovo direttore: lui e la sua segretaria occuperanno quell’ufficio [lui = soggetto]

b. domani arriverà il nuovo direttore: nel pomeriggio conosceremo lui e la sua segretaria [lui = complemento oggetto]

c. domani arriverà il nuovo direttore: dovremo rivolgerci a lui [a lui = complemento di termine]

In questo senso trova giustificazione l’etimo di pronome («al posto del nome»), benché più precisamente il pronome sia il sostituto non di un nome, ma appunto di un sintagma nominale.

Hanno caratteristiche distribuzionali in parte diverse i pronomi, gli interrogativi, i relativi, i clitici.

3.1.1Pronomi interrogativi. Gli interrogativi ricorrono sempre all’inizio della frase interrogativa (➔ interrogative dirette), indipendentemente dal loro ruolo sintattico:

(27) che cosa succede?

(28) mi chiedo a che cosa pensi

Ciò può produrre un’ambiguità circa il ruolo sintattico da attribuire al pronome. In assenza di un contesto disambiguante, in (29) chi può essere tanto soggetto («la persona che sappiamo ha chiamato qualcuno, ma non so chi») quanto oggetto («qualcuno ha chiamato, ma non so chi»):

(29) chi ha chiamato?

3.1.2Pronomi relativi. I relativi (➔ relativi, pronomi) si collocano dopo l’antecedente e all’inizio della frase subordinata che introducono, a prescindere dal ruolo sintattico che assumono. I relativi il quale e cui possono essere accompagnati da preposizione, se il loro ruolo sintattico lo prevede:

(30)

a. conosco una persona che fa al caso tuo

b. conosco una persona di cui ci si può fidare

Il relativo cui genitivo può ricorrere in posizione interna al sintagma nominale da cui dipende; in tal caso, è l’intero sintagma nominale reggente a collocarsi nella posizione richiesta dal relativo, ovvero dopo l’antecedente e a inizio della frase subordinata:

(31) seguirà un elenco di oggetti il cui trasporto in cabina è vietato.

3.1.3Clitici. I ➔ clitici, infine, hanno un comportamento distribuzionale peculiare, che li distingue da tutte le altre classi di pronomi. Le loro proprietà da questo punto di vista sono le seguenti:

(a) non possono costituire sintagma autonomo;

(b) non possono occorrere in isolamento o prendere accento (per definizione);

(c) occorrono in posizione fissa accanto al verbo e costituiscono con questo un unico gruppo intonativo;

(d) la sequenza verbo + clitico non può essere interrotta da alcun elemento linguistico e l’ortografia prevede, per i clitici postverbali, la resa univerbata (➔ univerbazione):

(32)

a. ha intenzione di partire oggi? glielo voglio proprio chiedere [*glielo proprio voglio chiedere]

b. ha intenzione di partire oggi? chiediglielo un po’ [*chiedi un po’ glielo]

Più che come un costituente sintattico, il clitico si comporta quindi come una componente flessiva del verbo (➔ oggetto), del quale segnala l’➔accordo con gli argomenti diversi dal soggetto, in modo non dissimile da quanto accade con il soggetto per la flessione verbale di persona. Considerando anche che i clitici possono ricorrere congiuntamente al referente cui rimandano in diverse costruzioni, come nelle ➔ dislocazioni:

(33) lo vuoi un caffè?

(34) a Gianni ci penso io

Berretta (1989) suggerisce che questo impiego dei clitici potrebbe essere visto come esempio di coniugazione oggettiva, cioè di flessione che segnala l’accordo verbo-oggetto, fenomeno del resto presente in molte lingue del mondo.

Struttura interna del sintagma

Le diverse sottoclassi di pronomi variano relativamente alla possibilità di essere accompagnati dai modificatori di sintagma nominale, cioè articoli (➔ articolo) e indefiniti o aggettivi qualificativi (➔ aggettivi; ➔ qualificativi, aggettivi). Tralasciando il caso dei clitici, che come si è detto non possono ricorrere come sintagmi autonomi, le altre classi si comportano come segue.

Formano obbligatoriamente sintagma a sé, senza ammettere alcun elemento aggiuntivo, i pronomi personali, gli interrogativi e i relativi (di questi, le forme il quale, la quale, i quali e le quali incorporano però un articolo determinativo). I dimostrativi, in quanto già portatori del tratto di definitezza, non consentono l’uso di articoli e indefiniti, ma possono essere accompagnati da aggettivi qualificativi:

(35)

a. queste piante vanno potate, quelle [*le quelle] vanno concimate

b. le piante sfiorite vanno potate, quelle fiorite vanno concimate

Al contrario gli indefiniti, esprimendo riferimento indefinito, non possono essere accompagnati da articoli o altri indefiniti. Alcuni possono però essere accompagnati da aggettivi qualificativi:

(36)

a. alcune piante possono essere potate, alcune [*delle alcune] no

b. le piante fiorite possono essere potate, alcune sfiorite no

Può essere accompagnato dall’articolo o da indefiniti il pronome altro, che può quindi avere riferimento tanto definito (con articolo determinativo) quanto indefinito (da solo o con aggettivi indefiniti), seppure sempre in riferimento a una quantità indeterminata:

(37)

a. alcune piante possono essere potate, altre [o alcune altre] no

b. queste piante possono essere potate, le altre no

Infine, i possessivi ricorrono con articolo determinativo quando hanno riferimento definito, mentre con riferimento indefinito possono essere accompagnati da un indefinito:

(38)

a. le mie piante vanno potate, le tue [*tue] vanno annaffiate

b. alcune mie piante vanno potate, alcune tue vanno annaffiate.

Flessione

Dal punto di vista formale la maggior parte dei pronomi si flette per genere e numero; alcune classi conservano anche una residua flessione di ➔ caso (vedi anche ➔ neutro).

Il pronome si accorda in genere e numero con il nome cui rimanda:

(39) qui c’è una cesta e là i pomodori: questa ti servirà per raccoglierli

Nel caso di rimando a referenti dotati di genere proprio, e specialmente con referenti umani, l’➔accordo può avvenire sulla base non del genere grammaticale del nome (in 40, la guardia) ma del genere reale del referente (in 40, l’uomo in carne e ossa che è di guardia: cfr. Chini 1993):

(40) all’ingresso c’è una guardia [uomo]: prova a chiedere a lei [o lui]

Analoga discrepanza può aversi per l’accordo di numero:

(41) il pubblico era inferocito per il ritardo: non è stato facile riportarlo [o -li] alla calma

Infine, discrepanza fra valore grammaticale di numero e numerosità del riferimento si può avere per gli indefiniti, nei quali il numero singolare può rimandare a una pluralità potenziale di individui:

(42) ognuno deve assumersi le proprie responsabilità

(43) è arrivato qualcuno

Il valore di genere e numero nei pronomi funge da guida nel recupero dell’antecedente (Lehmann 1988). La flessione di caso (che riguarda i pronomi personali e relativi) ha invece la funzione di segnalare il ruolo sintattico che il pronome assume nella frase. Nei pronomi personali tonici, la flessione è visibile solo nella prima e seconda persona singolare nell’opposizione fra io, tu (nominativo) e me, te (accusativo e casi obliqui): quest’opposizione è tuttavia a volte trascurata nella lingua informale o in varietà regionali o diastratiche basse in favore di me, te.

Nel sistema dei clitici di terza persona, a lo, la, li, le (accusativi) si contrappongono gli, le, loro (dativi) e il genitivo ne. Anche qui, il paradigma (nelle forme dative) è in riduzione, ma l’opposizione di caso resta vitale. Fra i relativi, la flessione di caso è limitata all’opposizione fra che (per i casi diretti) e cui, eventualmente preceduto da preposizione (per i casi obliqui; cui privo di preposizione funge da dativo e da genitivo).

Verbi pronominali

Molti verbi italiani, detti verbi pronominali (➔ pronominali, verbi), includono uno o più pronomi nella loro flessione. La funzione di tali pronomi è varia: la funzione di referenza propria dei pronomi è riscontrabile per i verbi rifllessivi propri (es. 44 a.; ➔ riflessivi, verbi) e reciproci (es. 44 b.; ➔ reciproci, verbi):

(44)

a. Gianna e Carla si pettinavano [= Gianna pettinava sé stessa e Carla pettinava sé stessa]

b. Gianna e Carla si abbracciarono [= Gianna abbracciò Carla e Carla abbracciò Gianna]

Non hanno invece funzione di referenza nei verbi cosiddetti riflessivi impropri (o intransitivi pronominali):

(45) Gianna e Carla si spaventarono

In questo caso, il pronome segnala piuttosto che il verbo assume con i suoi ➔ argomenti una relazione diversa rispetto a quanto accade nel corrispondente verbo transitivo (➔ transitivi e intransitivi, verbi). In spaventarsi (45) il soggetto è chi esperisce la sensazione di spavento, in spaventare (46) il soggetto è chi fa provare ad altri la sensazione:

(46) Gianna e Carla spaventarono Luisa

Una funzione ‘fantoccio’ (in ingl. dummy; ➔ copula) ha il pronome anche in verbi come andarsene (= andare via), prendersela (= arrabbiarsi), entrarci (= avere a che fare), farcela (= riuscire), starci (= essere d’accordo), volerci (= essere necessario) e moltissimi altri: in questo caso l’uso del pronome, ormai lessicalizzato (➔ lessicalizzazione) e privo di riferimento reale, ha prodotto una nuova voce lessicale, ovvero un verbo dal significato autonomo rispetto al corrispondente verbo privo di pronome.

Altre forme che svolgono funzione di rinvio

Funzione di rinvio analoga a quella pronominale svolgono gli ➔ incapsulatori, espressioni nominali che rimandano a frasi designanti eventi:

(47) una lieve scossa sismica si è registrata in nottata: la notizia proviene dall’osservatorio regionale

Funzione di rinvio analoga a quella pronominale, ma con diverso ruolo sintattico, svolgono poi elementi linguistici come:

(a) gli avverbi e no, con valore predicativo:

(48) Gianni è stanco, Carla no

(b) l’avverbio così, con valore avverbiale:

(49) a Carla ho regalato una borsa a quadri: ne vuoi anche tu una così?

(c) aggettivi come simile, tale (o anche gli antiquati siffatto, cotale, cosiffatto, ecc.), da alcuni considerati dimostrativi (cfr. Serianni 1989):

(50) è borioso, suscettibile e invidioso: una persona simile non è facile da sopportare.

Studi

Berretta, Monica (1989), Tracce di coniugazione oggettiva in italiano, in L’italiano tra le lingue romanze. Atti del XX congresso della Società di Linguistica Italiana (Bologna, 25-27 settembre 1986), a cura di F. Foresti, E. Rizzi & P. Benedini, Roma, Bulzoni, pp. 125-150.

Chini, Marina (1993), Aspetti teorico-descrittivi e tipologici della categoria del genere grammaticale, «Lingua e stile» 3, pp. 455-486.

Conte, Maria-Elizabeth (1999), Condizioni di coerenza. Ricerche di linguistica testuale, Alessandria, Edizioni dell’Orso.

Kaplan, David (1979), On the logic of demonstratives, «Journal of philosophical logic» 8, pp. 81-98.

Lehmann, Christian (1988), On the function of agreement, in Agreements in natural language. Approaches, theories, descriptions, edited by M. Barlow & C.A. Ferguson, Stanford, Center for the study of language and information, pp. 55-65.

Longobardi, Giuseppe (1988), I quantificatori, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 1° (La frase. I sintagmi nominale e preposizionale), pp. 645-698.

Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.

Simone, Raffaele (200819), Fondamenti di linguistica, Roma - Bari, Laterza (1a ed. 1990).

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