ROSSI, Properzia de’

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

ROSSI, Properzia

Massimo Giansante

de’. – Figlia di Girolamo de’ Rossi, nacque a Bologna nel 1490, o poco prima, e lì morì nel febbraio del 1530; nulla si sa della madre.

L’anno di nascita si desume, con qualche approssimazione, dalle prime testimonianze documentarie (Archivio di Stato di Bologna, Atti dei notai, Anelli - Casari, 1514; Panzacchi, 1516), che attestano la giovane scultrice già attiva nella vita economica cittadina: il 6 ottobre 1514 Properzia acquistò da Dionisio Castelli, per la somma considerevole di 750 lire, un appezzamento di terra con edifici abitativi, sito nella località di Caselle, una decina di chilometri a est di Bologna. La stessa proprietà fu rivenduta, il 21 febbraio 1516, con un atto in cui la venditrice viene definita «maggiore di venticinque anni» (Atti dei notai, Panzacchi, 1516). Più precisa la data di morte, riferita da Giorgio Vasari: Clemente VII, a Bologna per l’incoronazione di Carlo V, avvenuta il 24 febbraio 1530, non poté soddisfare il suo desiderio di incontrare Properzia, perché la scultrice era morta pochi giorni prima (G. Vasari, Le vite, 1568, p. 173).

Il periodo giovanile rimane avvolto nell’oscurità: nulla è noto della sua formazione e pochissimo in generale degli anni che precedono il suo ingresso nel cantiere di S. Petronio, avvenuto tra la fine del 1524 e il gennaio del 1525.

Alcune testimonianze documentarie del periodo precedente, scarne e non del tutto coerenti, oltre a confermare l’intraprendenza e una certa solidità economica emerse dai contratti notarili del 1514-16, sembrano accreditare in qualche modo l’immagine di una giovane donna inquieta e dal carattere indomito, divulgata da Vasari e recepita dalla storiografia successiva, fin quasi ai nostri giorni.

Nel 1518, in società con Dionisio Castelli, esponente di una famiglia della più antica e prestigiosa aristocrazia cittadina, con il quale era in rapporti d’affari fin dal 1514, l’artista intervenne nel finanziare la ristrutturazione di un edificio della cappella di S. Lorenzo (Atti dei notai, Casari, 1518). Nel 1520 ebbe invece inizio una lunga e complessa disputa, con implicazioni giudiziarie civili e penali, che oppose Properzia a un vicino di casa, il vellutaio milanese Francesco di Stefano Crivelli. Nell’ottobre di quell’anno, infatti, Properzia de’ Rossi fu accusata da Crivelli, abitante nella cappella di S. Lorenzo, di aver danneggiato il suo orto, abbattendo viti e alberi da frutta e agendo in complicità con Anton Galeazzo Malvasia, di cui gli atti processuali la definiscono «concubina» (Mazzoni Toselli, 1868, pp. 102-109). L’azione penale fu in seguito a lungo sospesa, in attesa che si definisse la causa civile, e non è noto l’esito della vicenda, che però dovette essere in qualche modo composta consensualmente fra le due parti, dato che quello stesso edificio in cui Crivelli abitava fu poi acquistato dalla scultrice e affittato allo stesso Crivelli. Nel giugno del 1523, tuttavia, scaduto il contratto di locazione, Properzia intimava all’inquilino di liberare l’immobile (Atti dei notai, Morandi, 23 giugno 1523).

Rapporti tesi con vicini di casa e colleghi artisti sembrano caratterizzare la vita privata di Properzia, che fra il gennaio e il febbraio del 1525 fu coinvolta, in questo caso come complice di Domenico Francia, fratello di Francesco, nell’aggressione ai danni di un altro pittore, Vincenzo Miola, abitante come Francia nella cappella di S. Barbara (Mazzoni Toselli, 1868, pp. 117 s.; Faietti, 1995, p. 346). A coinvolgerla nel procedimento penale, di cui pure non si conosce l’esito, fu in questo caso la testimonianza di Amico Aspertini, che da qualche mese era collega di Properzia nel cantiere di S. Petronio, ma anche, a giudizio di Vasari, animato da violenta rivalità e invidia professionale nei suoi confronti.

La vicenda è quasi inconsistente sul piano giudiziario – Aspertini riferì il racconto ricevuto da una vicina, testimone dell’episodio, secondo la quale Properzia avrebbe graffiato Miola sul volto, mentre Francia lo percuoteva –, e tuttavia apre un esile, suggestivo scenario su questioni di grande interesse. Da un lato infatti, il rapporto, di cui null’altro è noto, con Domenico Francia potrebbe collegare Properzia alla bottega dei Raibolini, ambiente di grande vivacità culturale, in cui si formarono fra Quattro e Cinquecento non solo pittori, ma orefici e incisori di primissimo piano; dall’altro, queste tensioni interne al mondo degli artisti bolognesi, che giungevano allo scontro fisico, proiettano nuova luce sul racconto di Vasari e sull’immagine che egli ci propone di un armonioso inserimento della scultrice nell’ambiente artistico di S. Petronio, con l’unica, rilevante eccezione, appunto, di Aspertini (G. Vasari, Le vite, cit., p. 173).

Come risulta dalle fonti interne al cantiere, nel gennaio del 1525 Properzia iniziò a ricevere regolari pagamenti dagli amministratori della fabbriceria per il suo contributo alla decorazione dei portali della basilica: un impegno, dunque, iniziato già da qualche tempo, che configura un regolare inquadramento della scultrice nel personale del cantiere, del tutto analogo, si direbbe, a quello di colleghi maschi di più consolidata esperienza, come dimostra l’assegnazione a Properzia dei ferri del mestiere, forniti dal fabbro di fiducia della fabbriceria (Archivio della Fabbriceria di S. Petronio, Libri mastri, XIX, cc. 124r, 137r; Vacchetta..., c. 148v). Potrebbe non essere estraneo al suo ingresso in quell’officina il legame che, già dal 1520, Properzia aveva con Anton Galeazzo Malvasia, amico di Alessandro Pepoli, all’epoca presidente della fabbriceria, e dunque probabile garante per lei nei confronti della direzione artistica del cantiere. Racconta in proposito Vasari che proprio un busto in marmo del padre di Alessandro, Guido Pepoli, costituì la prova di ammissione di Properzia al cantiere: opera tuttora conservata nel museo della basilica, ma in realtà di attribuzione controversa (Fortunati - Graziani, 2008, pp. 69 s.). In ogni caso, da quella data i pagamenti si succedono per circa un anno e mezzo, a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, e riguardano anche opere, Sibille e angeli ad esempio, che la critica non ha ancora individuato con sicurezza nella ricchissima decorazione plastica della basilica petroniana (Libri mastri, XIX, cc. 138r, 142r; Vacchetta..., c. 149v). Almeno in parte, l’attività di Properzia consistette in quei mesi nel dare corpo a modelli forniti da artisti di fama, come Bernardino da Carrara, Nicolò Tribolo e Alfonso Lombardi, che per quei disegni venivano a loro volta retribuiti dai fabbriceri.

Repentina come gli esordi fu anche l’uscita di scena di Properzia dall’officina di S. Petronio. Nel luglio 1526 la scultrice ricevette dalla fabbriceria 7 lire e 6 quattrini a compenso degli ultimi lavori eseguiti: «Sibille, angeli e un quadro di marmo» (Libri mastri, XIX, c. 168r). Dopo quella data, secondo Vasari, Properzia non volle più lavorare per il cantiere, disgustata dall’inadeguato pagamento ricevuto per la sua opera. Sebbene i suoi compensi, riscontrati nella contabilità del cantiere, sembrino del tutto in linea con quelli degli altri artisti, il racconto vasariano, che pure attribuisce la modestia dei pagamenti alle trame rancorose di Aspertini, potrebbe non essere privo di fondamento: l’insoddisfazione sdegnata della scultrice e il suo allontanamento volontario dal cantiere s’inquadrano assai bene, infatti, nell’immagine delineata finora dalle fonti documentarie, in particolare in merito alle intemperanze di Properzia e ai suoi rapporti prevalentemente conflittuali con altri artisti: con qualche eccezione, in verità, come sembra emergere da un contratto dell’ottobre 1525, nel quale Properzia si impegnava a sostegno del pittore Donato da Venezia nei confronti del committente Lorenzo dal Pino, garantendo per l’esecuzione di una tavola con l’immagine della Vergine, che doveva essere consegnata entro la successiva festa di S. Caterina (Archivio di Stato di Bologna, Atti dei notai, Zecca, 9 ottobre 1525).

Il pagamento del luglio 1526 è l’ultima notizia relativa all’attività artistica di Properzia. Null’altro si sa di lei fino all’aprile del 1529, quando, ricoverata all’ospedale di S. Giobbe, e dunque probabilmente malata di sifilide, disponeva per il pagamento di un debito di 37 lire che aveva nei confronti del notaio bolognese Lorenzo da Massummatico, per mezzo di una lettera di cambio di valore superiore, fornendo anche al creditore, con il quale era da tempo in relazioni d’affari, le indicazioni per la destinazione della somma residua (Canonici, 17 aprile 1529). Operazioni piuttosto complesse, dunque, a conferma di un’intraprendenza economica che non veniva meno nonostante le precarie condizioni di salute. Dei mesi successivi, fino alla morte, che Vasari colloca verso il 20 febbraio 1530, non risulta alcuna traccia documentaria.

Le opere attribuite a Properzia de’ Rossi dalla storiografia recente sono solo tre: due formelle di marmo conservate nel Museo di S. Petronio e uno stemma-reliquiario della famiglia Grassi, conservato dal Museo civico medievale di Bologna (Fortunati - Graziani, 2008, pp. 60-67). A ben vedere però, quasi tutto ciò che è noto della sua personalità artistica deriva dallo studio dell’unica opera che le fonti consentono di assegnare con sicurezza alla sua mano: la formella di Giuseppe e la moglie di Putifarre, destinata in origine al portale destro di S. Petronio e oggi conservata dal museo della basilica. Il bassorilievo denuncia una consapevolezza stilistica già matura e quindi presuppone necessariamente che a queste date (1524-25) la scultrice avesse compiuto un apprendistato non breve, di cui però non risultano tracce documentarie, né tantomeno esiti artistici. Come si è osservato di recente (Fortunati - Graziani, 2008, pp. 18-22), ma come del resto già l’analisi vasariana adombrava, nell’affrontare il tema scabroso della fallita seduzione, episodio centrale delle Storie di Giuseppe, che costituivano il soggetto decorativo del portale, Properzia dimostrava di aver condotto una riflessione profonda sugli stilemi più aggiornati della maniera romana, e in particolare manifestava una diretta conoscenza dell’affresco di analogo soggetto realizzato da Giulio Romano nella VII volta delle Logge di Raffaello, o più probabilmente uno studio della sua riproduzione a stampa, divulgata in quegli anni da Marcantonio Raimondi.

A parziale conferma dell’ipotesi, si potranno ricordare le note finali della biografia vasariana, in cui lo storico aretino, a dare spessore al suo elogio di Properzia, segnala alcuni «disegni di mano di costei, fatti a penna, e ritratti dalle cose di Raffaello da Urbino», definendoli «molto buoni» (G. Vasari, Le vite, cit., p. 173). Più esile, ma ugualmente suggestivo, il possibile rapporto con Marcantonio Raimondi, riconducibile alla bottega di Francia, in cui certamente Raimondi condusse parte del suo apprendistato, e alla quale anche Properzia potrebbe in qualche modo essere collegata, grazie al legame con Domenico Francia.

Ma non è solo cultura raffaellesca quella che affiora con tutta evidenza dall’animata sceneggiatura del bassorilievo. Come osserva Vera Fortunati, infatti, mentre applica alla figura decentrata di Giuseppe, in fuga nella sua disperata castità, i modelli figurativi raffaelleschi, Properzia pone senza incertezze al centro della scena la prepotente aggressività della donna, la cui «ardentissima passione» configura un’immagine chiaramente androgina, in cui al piccolo seno esibito dall’ampia scollatura corrispondono braccia muscolose e michelangiolesche, una delle quali si protende a ghermire il giovane (Fortunati - Graziani, 2008, p. 20). Il punto di osservazione tipicamente femminile, e dunque totalmente inedito, con cui veniva rappresentato un soggetto già in sé conturbante, non mancò di suscitare l’attenzione immediata degli osservatori più attenti, come Vasari ovviamente, ma anche il Parmigianino, ‘suggestionato’ da quell’immagine durante il suo soggiorno bolognese (Capello, 1992-93; Fortunati - Graziani, 2008, p. 21).

Attenzioni certamente minori ha ricevuto nel corso dei secoli una seconda formella, La moglie di Putifarre accusa Giuseppe, del tutto affine alla precedente per soggetto, dimensioni e resa stilistica, e da sempre conservata accanto a essa. Attribuito in passato ad Amico Aspertini, il bassorilievo è stato di recente riassegnato alla mano di Properzia, riconoscendo però l’incombere sulla scena di un modello di Alfonso Lombardi, circostanza confermata del resto dalle annotazioni contabili dei registri della Fabbriceria (Fortunati - Graziani, 2008, p. 63).

Un restauro recente, infine, ha consentito una miglior lettura e una conferma dell’attribuzione a Properzia dello stemma della famiglia Grassi, conservato al Museo civico medievale di Bologna. Nel prezioso manufatto, probabilmente un reliquiario-ostensorio, sono incastonati in filigrana d’argento undici noccioli d’albicocca intagliati nel recto e nel verso con figure di santi, apostoli e martiri: opera destinata a soddisfare le ambizioni di un collezionismo di gusto classicista, diffusissimo nell’aristocrazia bolognese di inizio Cinquecento. L’attribuzione tradizionale a Properzia deriva verosimilmente dal racconto di Vasari, che conduce volutamente su toni di esaltazione leggendaria la biografia della scultrice, mettendo in primo piano la sua prodigiosa abilità tecnica e il suo «capriccioso e destrissimo ingegno» (G. Vasari, Le vite, cit., p. 172), in grado di intagliare minutissime e affollatissime scene nei noccioli di frutta, suscitando negli astanti ammirato stupore.

Vari aspetti della figura di Properzia, non esclusivamente artistici, hanno contribuito a mantenere viva su di lei, attraverso i secoli, l’attenzione critica. Già il racconto vasariano, pubblicato per la prima volta nel 1550, accentuava gli elementi leggendari del personaggio, esaltando il contrasto fra i suoi tratti fisici e psicologici tipicamente femminili (bellezza del corpo, delicato candore delle mani, passionalità ardente) e gli aspetti meccanici più duri e aspri di un’arte fino allora quasi esclusivamente maschile (Fortunati - Graziani, 2008, pp. 9-11). Fin da quel primo disegno critico affioravano tuttavia, sia pure trasfigurati in toni romanzeschi, elementi destinati a precisarsi nella storiografia successiva e soprattutto nel corso dell’Ottocento, grazie alle ricerche archivistiche di Ottavio Mazzoni Toselli. Si dovrà osservare infatti come le più recenti letture della formella di Giuseppe e la moglie di Putifarre, sensibili alle tematiche novecentesche sulla condizione della donna, abbiano in parte riattualizzato proprio il disegno psicologico vasariano, pur interpretando quello che lo storico aretino attribuiva allo «sfogo di ardentissima passione», ovvero alla trasfigurazione artistica di un’infelice vicenda amorosa, come precoce espressione, rivoluzionaria anzi nel contesto sociale dell’epoca, di una figura femminile risoluta nell’affermazione della propria libertà personale e professionale (Fortunati - Graziani, 2008, pp. 39 s.).

Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio della Fabbriceria di S. Petronio, Vacchetta dei pagamenti, 1517-1526, cc. 148r-178v; Libri mastri, XIX, 1520-1527, cc. 124r-168v; Archivio di Stato di Bologna, Atti dei notai, G.F. Anelli - L. Casari, Libro Y, c. 97r, 6 ottobre 1514; L. Panzacchi, filza 38, nn. 99, 111, 21 febbraio 1516; L. Casari, filza 1, n. 120, 1° marzo 1518; T. Morandi, 23 giugno 1523; A. Zecca, 9 ottobre 1525; L. Canonici, 17 aprile 1529; G. Vasari, Le vite, III, Firenze 1568, pp. 171-173.

O. Mazzoni Toselli, Racconti storici estratti dall’Archivio criminale di Bologna, II, Bologna 1868, pp. 66-159; I.B. Supino, Le sculture delle porte di S. Petronio in Bologna, Firenze 1914, pp. 54-61; M.G. Ciardi Duprè, La scultura di Amico Aspertini, in Paragone, XVI (1965), 189, pp. 3-25; V. Fortunati Pietrantonio, Per una storia della presenza femminile nella vita artistica del Cinquecento bolognese: P. de’ R. ‘schultrice’, in Il Carrobbio, VII (1981), pp. 167-177; M.V. Brugnoli, Le porte minori, in La basilica di San Petronio, II, Bologna 1984, pp. 61-94; S. Capello, Il soggiorno bolognese del Parmigianino: aspetti e problemi, tesi di laurea, Università di Bologna, a.a. 1992-93 (relatore prof. V. Fortunati), p. 41; M. Faietti, La piena maturità artistica. La scultura, in Amico Aspertini, a cura di M. Faietti - D. Scaglietti Kelescian, Modena 1995, pp. 343-351; I. Corelli Grappadelli, Il cosiddetto stemma della famiglia Grassi e la scultrice P. de’ R., in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, LV (2004), pp. 315-333; V. Fortunati - I. Graziani, P. de’ R., una scultrice a Bologna nell’età di Carlo V, Bologna 2008.

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