PROPRIETA INTELLETTUALE

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

PROPRIETA INTELLETTUALE

Marco Ricolfi
Salvo Dell'Arte

PROPRIETÀ INTELLETTUALE. – L’estensione della tutela. Il tramonto dell’esclusiva delle opere dell’ingegno. La tutela nell’ambito dell’innovazione tecnologica dei brevetti. Il cloud. Bibliografia. Il diritto all’immagine. Natura del diritto. Contenuto del diritto. Titolarità ed esercizio. Il marchio di ritratto. La libertà di manifestazione del pensiero. Diritto all’oblio. Nuove fattispecie giuridiche. Bibliografia

L’estensione della tutela di Marco Ricolfi. – Gli ultimi decenni hanno portato con sé una percezione assai più acuta che in passato del carattere storicamente determinato della p. i. (principalmente marchi, brevetti e diritto d’autore). Si tratta di istituti che, nati insieme con gli Stati-nazione e sviluppatisi sullo slancio della rivoluzione industriale, sono ora messi a dura prova dal passaggio dall’analogico al digitale.

Marchi, brevetti e diritto d’autore sono accomunati sotto il profilo sia strutturale sia funzionale. Dal punto di vista strutturale si tratta di diritti esclusivi o di monopolio che consentono al titolare di impedire gli usi dell’entità in questione che non siano da lui autorizzati. Il diritto corrispondente, sul bene immateriale, è tutelato come diritto di proprietà con rimedi che nei nostri ordinamenti sono caratterizzati da estrema rapidità ed efficacia (inibitoria, risarcimento, sanzioni anche penali). Dal punto di vista funzionale, si tratta di c.d. beni pubblici che, secondo la teoria economica neoclassica, il mercato non sarebbe in grado di fornire nella misura ottimale. Secondo questa impostazione, difficilmente gli autori e gli inventori creerebbero e innoverebbero, se chiunque potesse liberamente copiare le loro creazioni e innovazioni; dunque il sistema giuridico interviene fornendo loro l’incentivo costituito dall’esclusiva, e quindi un diritto che conferisce un monopolio temporaneo (per 20 anni dal deposito del brevetto e fino a 70 anni dalla morte dell’autore) sulle creazioni e innovazioni protette.

È ben noto che esistono alternative all’esclusiva sui beni immateriali. Creatori e innovatori possono essere premiati dai poteri pubblici o privati; le creazioni e innovazioni possono essere finanziate pubblicamente. Il Medioevo ci fornisce esempi del primo e del secondo tipo, con il mecenatismo di papi e aristocratici, con le cattedrali e con l’Arsenale di Venezia. Ma a partire dal Settecento circa si generalizzò l’opzione a favore del meccanismo dell’esclusiva, che ben si raccorda con le scelte decentralizzate di mercato tipiche del liberismo economico.

Marchi, brevetti e diritto d’autore hanno contribuito positivamente al successo delle economie occidentali di mercato per diversi secoli. Il nuovo millennio ha però portato con sé un ripensamento profondo del fondamento e della logica della protezione dei diritti di p. i. che è tutt’ora in corso.

Per la verità, negli ultimi decenni del secolo scorso si era assistito a un rafforzamento senza precedenti dei diritti di p. i., spesso descritto come ‘deriva protezionistica’.

In particolare, aveva reclamato una tutela più forte l’industria informatica, ottenendo tutela per i programmi per elaboratore (o software) come se questi fossero un’opera letteraria dell’ingegno; lo stesso vale per le scienze della vita, che hanno saputo con successo battersi per una tutela brevettuale delle invenzioni biotecnologiche, anche se tradizionalmente il brevetto copriva solo le innovazioni meccaniche, chimiche e farmaceutiche, relative dunque alla materia inanimata. Questa estensione della sfera coperta dai diritti di p. i. è stata spesso innescata dal meccanismo del la competizione regolatoria fra ordinamenti: una volta che gli interessi di un settore specifico avessero ottenuto una vittoria in un certo sistema giuridico, i loro concorrenti operanti sotto l’egida di un sistema giuridico diverso avevano buon gioco a reclamare un innalzamento corrispondente della tutela, per evitare – essi argomentavano spesso con successo – di subire uno svantaggio concorrenziale rispetto ai loro competitori esteri.

Nello stesso periodo, l’estensione della tutela si è anche proiettata in una dimensione geografica mondiale. I Paesi occidentali – più accuratamente descritti come il Nord del mondo, visto che a essi si erano nel frattempo unite le più dinamiche fra le economie asiatiche – hanno saputo cogliere l’occasione dell’accordo sull’Organizzazione mondiale del commercio concluso nel 1994. Questo accordo condiziona l’accesso ai benefici del libero scambio delle merci all’accettazione di standard più elevati di tutela della proprietà intellettuale. Nel ‘pacchetto unico’ così confezionato è quindi stato incluso anche un trattato sulla p. i., l’accordo TRIPs (Trade-Related aspects of Intellectual Property rights) che è stato accettato, spesso a malincuore, da 160 Paesi.

Quello che poteva apparire – ed è apparso, a molti osservatori – il trionfo definitivo della p. i. si sta invece rilevando come il prologo di una fase di segno opposto, di ritirata. Ciò principalmente sotto due profili. Nel campo della creazione e quindi delle opere dell’ingegno si sta assistendo a un vero e proprio ‘tramonto’ – sia pure parziale – della funzione di incentivo dell’esclusiva. Nel campo dell’innovazione tecnologica e quindi dei brevetti l’esclusiva mostra una tenuta maggiore; ma gli angoli aguzzi che caratterizzavano la sua tutela stanno progressivamente arrotondandosi e smussandosi.

Il tramonto dell’esclusiva delle opere dell’ingegno. – In passato, l’autore e il creatore di opere di regola non raggiungeva direttamente il suo pubblico: doveva appoggiarsi a un’impresa, fosse questa un editore, un impresario musicale o teatrale, una casa discografica o cinematografica. Con l’evoluzione tecnologica, a questi intermediari se ne sono aggiungi altri: la radio, la televisione, gli enti di gestione collettiva. Si poteva dunque parlare di ‘percorso lungo’ che porta l’opera dal creatore al suo pubblico compiendo un tragitto che vedeva come suoi passaggi intermedi la creazione e distribuzione di copie (i libri, i dischi) e la diffusione punto-massa delle radio e delle televisioni.

Questo percorso lungo è stato in larga misura rimpiazzato da un ‘percorso breve’ grazie all’evoluzione che ci ha portati dal mondo analogico delle copie tangibili e materiali al mondo digitale di esemplari intangibili e in seguito alla trasformazione delle stesse basi sociali della creazione, che a quell’evoluzione si è accompagnata.

La copie digitali sono tendenzialmente perfette, senza costo e infinite. Attraverso le reti digitali esse sono accessibili da ogni parte del globo. Per questo già nello scorso millennio un autore come Stephen King ha potuto rendere accessibile un suo nuovo racconto, Riding the bullett, vendendone più di 400.000copie a due dollari e mezzo ciascuna nel giro di pochi giorni. La prassi si è poi enormemente diffusa, estendendosi alla proliferazione dei blog e alla messa a disposizione di musiche e immagini liberamente accessibili e riutilizzabili, grazie a licenze aperte (o open) come Creative Commons (Open Content Licensing, 2007).

I beni digitali, però, sono non rivali non solo nel consumo – lo stesso file digitale può generare file digitali infiniti e perfetti – ma anche nella produzione: una stessa mappa digitale (per es., Google Earth) può essere posta alla base di infiniti servizi location based. Non soltanto la stessa risorsa digitale può essere riusata senza limiti, ma può ricevere contributi complementari fra loro, i quali, per quanto piccoli, possono combinarsi per formare insiemi di grandissima utilità e di valore. È per questa ragione che la rete ospita, ormai da più di due decenni, un numero crescente di apporti che provengono anche da creatori non professionisti: oltre alla musica, ai blog, alle foto, si pensi a Wikipedia, che continua una tradizione di collaborazione volontaria fra creatori che già negli anni Settanta del secolo scorso era stata inaugurata dal software libero.

Questi creatori non professionali rendono disponibile al loro pubblico opere digitali operando lungo il cosiddetto percorso breve in modo ben diverso da quanto facessero in passato i creatori di professione. Questi ultimi traevano la maggior parte dei propri redditi appoggiandosi a un’azienda a per vendere, dietro corrispettivo monetario, copie delle loro opere (libri, dischi e così via) o comunque diffondendole a pagamento. Il creatore non professionale – che oggi coincide con segmenti larghissimi della popolazione che sono al contempo creatori e fruitori di opere digitali – non ha bisogno di ciò: di regola trae sostentamento da un’altra attività; e in parallelo a questa mette gratuitamente a disposizione sue opere digitali.

Per questo il modello-base dello scambio in rete (sharing) è il dono (Benkler 2011). Molto spesso il dono è un contributo unilaterale e gratuito, che di regola avviene nella forma di uno scambio con aspettativa di reciprocità: io dò un contributo a Wikipedia, perché mi aspetto che altrettanto facciano gli altri. Altre volte il dono è la componente iniziale di un modello di business che prevede un successivo ritorno economico: il musicista che mette la sua musica on-line gratuitamente si attende poi di essere ingaggiato, per concerti da una casa discografica tradizionale o da un servizio di diffusione di musica on-line.

Nessuno di questi creatori non professionisti ha bisogno dell’incentivo fornito dall’esclusiva – e dal controllo delle copie delle loro opere che questa consente – per creare. La messa a disposizione unilaterale delle loro opere o trova una giustificazione in sé, o nella logica dello scambio gratuito (ma reciproco), o in corrispettivi conseguiti in transazioni economiche distinte ma complementari, secondo modelli di business che sono stati definiti ibridi perché combinano un primo segmento gratuito con prestazioni a pagamento.

Accanto ai creatori non professionisti, restano, naturalmente i creatori professionisti. Questi hanno il più delle volte ancora bisogno dell’impresa e della tecnica dell’esclusiva, per evitare la duplicazione incontrollata di libri, file musicali, immagini o filmati, come anche dei software proprietari.

Da ormai più di un decennio i creatori non professionisti si sono affrancati dalle strettoie del diritto d’autore (o copyright), che avrebbe ostacolato l’auspicata diffusione libera delle loro opere, adottando una varietà di licenze open. L’industria che si vale di creatori professionisti, nel frattempo, si muove nella direzione opposta, insistendo per modifiche del copyright rivolte a contrastare la creazione e diffusione di copie illegali (cosiddette piratate) e a trasformare gli operatori di rete, gli internet service providers (ISP), in poliziotti del web.

Secondo alcuni si sta profilando dunque un doppio binario del diritto d’autore. L’ormai antica Convenzione di Berna, del 1886, dovrebbe essere riformata per prevedere, accanto al vecchio diritto d’autore, che piace all’industria e ai creatori professionisti, un secondo diritto d’autore, copyright 2.0, modellato sulle licenze open e idoneo a ridurre i costi di transazione nella circolazione delle opere e quindi a favorire, piuttosto che a ostacolare, la condivisione. Sarebbe quest’ultimo il regime che si applica di default, come norma dispositiva. Resterebbe certo possibile optare per la – più forte e rigida – tutela tradizionale, ma solo per quei titolari di diritto d’autore che registrassero le loro opere in un nuovo registro digitale globale. Anche l’Unione Europea si sta muovendo. Essa al momento esplora la possibilità di un diritto d’autore unico e paneuropeo; ma si sta anche diffondendo l’auspicio che questa riforma possa essere un primo passo nella direzione della creazione di un copyright più adatto all’epoca digitale.

La tutela nell’ambito dell’innovazione tecnologica dei brevetti. – Nel campo dell’innovazione tecnologica e dei brevetti non si sta assistendo a un’evoluzione corrispondente. Questa differenza è comprensibile: oggi le opere dell’ingegno sono il più delle volte intangibili, basate solo su bit, mentre le innovazioni tecnologiche anche più avanzate si traducono di regola in manufatti tangibili, materiali e composti di atomi, siano essi i telefoni mobili di terza generazione o i farmaci biotecnologici. Ora, chi impiega risorse materiali deve investire e attende un ritorno sul suo investimento, spesso ingente (come attesta l’industria farmaceutica); e per questo la tecnica dell’esclusiva, che consente di ottenere un prezzo per ogni unità venduta, si rivela ancor oggi difficilmente rimpiazzabile.

È però anche vero che sia i privati sia gli ordinamenti giuridici stanno apprestando qualche correttivo al rigore originario dell’esclusiva. Vi è infatti una lunga tradizione di accordi all’interno dei settori all’avanguardia nell’innovazione (all’epoca, industrie aeronautiche e automobilistiche: cfr. Merges 1996, che si riferisce agli anni Trenta) rivolti a mettere in pool le innovazioni più essenziali. La stessa tendenza alla condivisione dell’innovazione si ritrova oggi nelle organizzazioni che amministrano gli standard di rete e in quei settori delle scienze della vita, come la ricerca microbiale, che comportano uno sforzo di dimensioni tali da richiedere la cooperazione fra una molteplicità di industrie e istituti pubblici e accademici (Rai, Reichman, Uhlir et al. 2008). In tutti questi casi, ciascun partecipante all’accordo rinuncia volontariamente e a priori a esercitare il diritto di veto che gli competerebbe nei confronti degli altri, in cambio di un analogo impegno di questi. Il diritto di esclusiva si trasforma così da diritto di proprietà in diritto di credito, almeno nei confronti delle altre parti dell’accordo.

Talora sono gli stessi giudici a degradare la pretesa proprietaria dei titolari di brevetto in un mero diritto di credito. Nelle sentenze recenti della Corte suprema degli Stati Uniti si riconosce infatti che non sempre la violazione di un brevetto deve condurre al divieto di produzione per ordine del giudice; è ben possibile – e in alcuni casi più opportuno – che il giudice condanni chi usa il brevetto altrui a pagare un risarcimento forfettario per ogni pezzo. Anche qui l’esclusiva viene sostituita dal diritto a una royalty ragionevole.

Il fatto è che, negli ultimi decenni, le stesse caratteristiche dell’evoluzione tecnologica sono cambiate. Raramente ormai l’innovazione concerne un intero prodotto complesso, che prima non esisteva, come la lampadina o il telegrafo. Il più delle volte essa ha per oggetto i singoli componenti di un prodotto complesso già noto: si calcola che diverse centinaia di componenti dei telefoni di ultima generazione siano brevettati. In questa situazione, appare irragionevole che il concorrente che, anche involontariamente, abbia incorporato nel suo prodotto un componente già brevettato da altri debba cessare la produzione dell’intero prodotto complesso; e risulta preferibile accordare al titolare del brevetto un equo compenso.

Dunque, se nel campo dell’innovazione tecnologica non si può dire che si stia assistendo a un tramonto, neppure parziale, del ruolo di incentivo svolto dall’esclusiva, è pur vero che anche qui l’esclusiva sta perdendo le sue caratteristiche più accentuatamente proprietarie.

Il cloud. – Fin qui si è descritto il panorama offerto dal diritto della p. i. in termini dicotomici. Da un lato il vecchio mondo della proprietà, dell’esclusiva e del monopolio, che sopravvive in settori limitati; dall’altro il mondo nuovo dello sharing, che corrisponde a un nuovo paradigma della creatività e dell’innovazione. Occorre però aggiungere che il quadro che ne risulta è largamente incompleto.

La realtà è che, se Internet ha reso possibili fenomeni cospicui di disintermediazione, che hanno consentito ai creatori di raggiungere direttamente il loro pubblico, è anche vero che la rete medesima ha tenuto a battesimo uno sviluppo diametralmente opposto. Nell’ultimo decennio, infatti, abbiamo assistito alla nascita e al decollo di nuovi e potenti intermediari, che abitualmente assumono la veste di piattaforme (Taylor 2014). Basti pensare a Google, a Facebook, ad Amazon, a eBay, ma anche per certi versi ad Apple. Queste imprese non sono una semplice estensione dei media tradizionali. Si tratta di operatori la cui struttura e strategia sono interamente funzione dell’ambiente digitale in cui operano e in particolare della nuova infrastruttura centralizzata di distribuzione digitale che assume il nome di cloud («nuvola»).

Queste radici digitali stanno alla base di tutti gli aspetti fondamentali che le piattaforme esibiscono nell’offerta e ancor più nella distribuzione e confezione (nel senso di packaging) dei loro beni e servizi: per citarne alcuni, costi marginali tendenti allo zero, economie di scala (e di scalabilità) e di scopo e soprattutto esternalità positive di rete che le rendono candidati naturali per l’acquisto e il mantenimento di potere di mercato. In questo contesto, il potenziale perché gli operatori di maggior successo ricorrano a forme di sfruttamento abusivo della posizione dominante nei mercati a valle appare notevole. Sotto questo profilo, la stessa disponibilità di massicce quantità di dati relativi alle preferenze e abitudini di consumo del pubblico comporta un vantaggio competitivo difficilmente colmabile da parte di operatori che non abbiano un equivalente accesso alle sorgenti di big data.

Per la verità, non sappiamo ancora come questo potere di mercato verrà usato. Quel che però è facile comprendere è che le piattaforme sono ben posizionate per erodere spazi di mercato non solo a carico degli operatori tradizionali che hanno fin qui operato lungo il percorso lungo, ma anche dei nuovi protagonisti dello sharing.

In conclusione, l’ora presente non ci pone solo di fronte al tramonto delle imprese e dei modelli di business del passato e all’alba della cooperazione digitale basata sulla rete. Quest’alba infatti non tiene solo a battesimo lo sharing, ma anche le piattaforme; le quali stanno prosperando proprio proclamando i principi dell’accesso libero alla p. i. altrui, ma forse si preparano a cambiare bandiera ora che la p. i. di cui si discute non è più quella degli altri bensì la loro.

Bibliografia: R.P. Merges, Contracting into liability rules: intellectual property rights and collective rights organizations, «California law review», 1996, 84, pp. 1293-1393; Open content licensing: cultivating the creative commons, ed. B.F. Fitzgerald, J.M. Coates, S.M. Lewis, Sydney 2007; A.K. Rai, J.H. Reich man, P.F. Uhlir et al., Pathways across the valley of death: novel intellectual property strategies for accelerated drug discovery, «Yale journal of health policy, law, and ethics», 2008, 1, pp. 1-36; Y. Benkler, The Lenguin and the Leviathan. The triumph of cooperation over self-interest, New York 2011; J. Rifkin, The zero marginal costs ociety. The internet of things, the collaborative commons and the eclipse of capitalism, New York 2014; A. Taylor, The people’splatform. Taking back power in the digital age, New York 2014.

Il diritto all’immagine di Salvo Dell'Arte. – Il diritto all’immagine trova radici storiche già nel secolo scorso, ma la consapevolezza di tale diritto è di recente emersione soprattutto alla luce delle nuove tecnologie e delle nuove forme di comunicazione. Il diritto all’immagine investe trasversalmente tutti gli aspetti del diritto anche se in questa sede ci limiteremo ai suoi risvolti relativamente alla specializzazione del diritto industriale.

Una precisazione terminologica di premessa è essenziale; ai fini di una completa disamina considereremo appartenenti al diritto industriale tutte quelle ramificazioni della p. i. che si possono manifestare non soltanto nella loro accezione ristretta inerente al diritto dei marchi bensì con un occhio rivolto anche alle altre forme di espressione dell’intelletto umano che si manifestano con la libertà di espressione del pensiero (diritto d’autore, cronaca, critica e satira).

Natura del diritto. – Al fine di comprendere la portata e l’applicazione del diritto al ritratto o diritto all’immagine è assolutamente necessario prendere le mosse dalle fonti normative per giungere a una corretta definizione della natura del diritto.

Tra le fonti principali individuiamo dapprima le fonti internazionali: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Parigi, 10 dicembre 1948, art. 12) tra i popoli delle Nazioni Unite e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d’Europa (Roma, 4 novembre 1950, art. 8). Nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano la fonte principale è l’art. 2 della Costituzione in forza del quale la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo; norma aperta nella quale possiamo considerare tutelati e riconosciuti tutti i diritti inerenti la personalità dell’uomo come diritti fondamentali anche se non espressamente menzionati dalla Costituzione.

Nella legge ordinaria menzioniamo l’art. 10 c.c. e gli artt. 96 e segg. della l. 633/1941 sul diritto d’autore e diritti connessi. Dalla piana lettura delle norme indicate possiamo già affermare che il diritto de quo debba essere qualificato come diritto fondamentale dell’uomo e l’interprete deve procedere nell’esegesi della tutela del medesimo tenendo presente tale natura.

Dalle fonti di riferimento possiamo quindi concludere che il diritto all’immagine ha natura di diritto della personalità, di rango costituzionale, assoluto e opponibile erga omnes, inviolabile e imprescrittibile, incedibile in quanto essenzialmente connaturato con il titolare del medesimo.

In linea di principio il ritratto non può essere utilizzato da terzi senza il consenso del titolare o se non ricorre una delle ipotesi di libero utilizzo espressamente previste dalla legge. Di contro, dalle medesime fonti internazionali trovano spazio altri diritti fondamentali dell’uomo concorrenti con il diritto all’immagine quale, in primis, il diritto alla libera manifestazione del pensiero.

Le nuove tecnologie impongono un incessante esercizio di bilanciamento tra il diritto al ritratto e quello della libertà di espressione del pensiero. In particolare, bisogna rilevare che Internet deve essere considerato, nella nostra materia, semplicemente un luogo nel quale si devono applicare le norme di diritto vigenti, conseguentemente occorre riportare il sillogismo interpretativo in tale ambito.

Contenuto del diritto. – A seguito della recente evoluzione interpretativa e giurisprudenziale possiamo affermare che l’oggetto del diritto al ritratto può essere qualunque elemento distintivo di una persona attraverso il quale questa può essere resa riconoscibile e quindi identificabile. Secondo una corretta applicazione fanno parte degli elementi del diritto tutte le caratteristiche fisionomiche connaturate del soggetto che, singolarmente o combinate fra loro, identificano il titolare. A ciò si aggiungono tutti quegli elementi esterni, anche accessori, che non appartengono alla fisicità del soggetto, ma che per il loro uso costante e protratto nel tempo assurgono a elementi identificativi.

Infatti la giurisprudenza ha affermato che l’immagine deve essere intesa non solo nel senso tipico di sembianza, bensì, più ampiamente e in armonia con l’evoluzione sociale e dei costumi, come quel complesso di connotati e qualificazioni che esteriorizzano e individualizzano un determinato soggetto. Non rientrano nella fattispecie i tratti, fisici o meno, che non sono distintivi e non rendono riconoscibile il soggetto di riferimento. Ciò posto, la ripresa di tratti distintivi attraverso le nuove tecnologie implica il rispetto dei diritti dei soggetti di riferimento. La diffusione di immagini non autorizzate o in fattispecie che non rientrano nelle libere utilizzazioni configurano illecito.

Titolarità ed esercizio. – Il diritto al ritratto viene acquisito dal titolare al momento della sua nascita come tutti i diritti fondamentali dell’uomo. Il diritto all’immagine delle persone giuridiche deve essere reinterpretato alla luce dell’immaterialità sostanziale dell’immagine in sé che deriva dalla natura stessa delle personae fictae. Infatti la persona giuridica, per sua natura, è portatrice dei diritti della personalità compatibili con l’assenza della fisicità tra i quali sono da annoverare: il diritto all’immagine, il diritto all’identità, il diritto al nome e il diritto all’onore e alla reputazione. È evidente che, mancando i tratti fisionomici salienti e distintivi cui fare riferimento come nelle persone fisiche, l’interprete deve cercare altrove gli elementi tipici che identificano l’immagine di una persona giuridica; gli elementi distintivi sono composti da tutti quei segni percepibili dai sensi umani tra i quali il ruolo principale è da riconoscere al marchio e alla ditta.

Il marchio di ritratto. – La continua evoluzione della comunicazione d’impresa ha conferito particolare rilevanza al marchio di ritratto soprattutto per quanto concerne l’immagine dei soggetti noti e lo sfruttamento della medesima come segno distintivo d’impresa.

Nell’ambito del principio di atipicità dei segni che possono costituire un marchio purché siano percepibili da uno dei sensi dell’uomo, anche il ritratto di una persona può essere registrato come marchio d’impresa. Infatti, dal punto di vista giuridico il ritratto è sicuramente un segno che può assurgere a marchio d’impresa possedendo tutti i requisiti essenziali previsti dalla legge, e cioè riproducibilità grafica, capacità distintiva e novità. Il ritratto di una persona non può essere registrato come marchio senza il consenso della medesima (art. 8 d. legisl. 10 febbr. 2005 nr. 30, codice della proprietà industriale); occorre pertanto che l’utilizzo del ritratto come marchio sia oggetto di apposita concessione in licenza che deve essere formalizzata con contratto avente forma scritta.

La libertà di manifestazione del pensiero. – Le nuove tecnologie ampliano considerevolmente i mezzi e le modalità di comunicazione tra persone e di informazione offrendo nuove fattispecie concrete che vedono coinvolto il diritto all’immagine delle persone fisiche e delle persone giuridiche.

Inquadriamo in primo luogo la libertà di espressione del pensiero e le sue forme di manifestazione. Il diritto di libertà di manifestazione di pensiero si concretizza nelle seguenti accezioni: diritto di cronaca, diritto di critica, diritto di satira (art. 21 Cost.), diritto di espressione della creatività artistica e diritto di parodia (art. 33 Cost.).

Il diritto di cronaca consiste nel diritto alla narrazione di fatti o avvenimenti in maniera oggettiva e senza interpretazione alcuna da parte del narratore.

Il modo di esprimere un fatto o un avvenimento arricchito da un giudizio soggettivo da parte del narratore viene individuato come esercizio del diritto di critica.

La satira si configura come quella manifestazione di pensiero attraverso una forma critica sarcastica e ironica che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.

L’espressione creativa si concretizza in una qualunque manifestazione dell’intelletto umano colorata da un minimo gradiente di creatività che assurge a opera dell’ingegno protetta dal diritto d’autore.

La parodia è una derivazione creativa delle opere dell’ingegno che consiste nella rielaborazione di un’opera precedente di terzi con intento comico, burlesco, critico o satirico trasponendo la parodia in contesti differenti da quelli originari. Si tratta quindi di una particolare forma di opera derivata tutelata autonomamente dal diritto d’autore; essa si distingue nettamente dalla figura dell’elaborazione sia sotto l’aspetto fenomenologico sia per il diverso inquadramento normativo.

Tutte le forme di manifestazione del pensiero dianzi esposte hanno una radice comune in quanto hanno natura di diritto fondamentale dell’uomo, ma nel bilanciamento con il diritto all’immagine occorre operare un importante distinguo basato sui diversi interessi che sono alla base delle singole manifestazioni del pensiero.

La manifestazione del pensiero che sottende all’informazione, quale la cronaca, la critica e la satira, trova la sua ratio nell’interesse superiore della collettività alla diffusione delle informazioni di interesse della società. L’art. 21 Cost. sancisce l’inviolabilità del diritto alla manifestazione del pensiero e della libertà di stampa. Si tratta quindi di diritti di pari rango potenzialmente configgenti la cui prevalenza deve essere valutata alla luce del corretto bilanciamento degli interessi contrastanti. Il diritto del privato si comprime elasticamente di fronte al diritto della collettività di essere informata su fatti ed elementi di interesse pubblico, con la conseguenza che l’immagine può essere utilizzata liberamente senza che sia necessario il consenso del titolare. Ovviamente si devono rispettare i criteri di legittimità che la legge impone affinché si possa esercitare informazione e cioè i criteri di verità, di pertinenza e di continenza.

L’espressione artistica trova fondamento nell’art. 33 Cost. per il quale l’arte è libera e libero ne è l’insegnamento. Si tratta di un diritto che tutela l’interesse del singolo che intende esprimere la propria creatività attraverso le varie forme delle opere dell’ingegno; il diritto di espressione dell’artista deve quindi essere bilanciato con i diritti inviolabili dei terzi che possono essere configgenti, come appunto il diritto all’immagine. Occorre pertanto sempre il consenso del titolare del ritratto non rientrando in alcune delle ipotesi di libere utilizzazioni.

Diritto all’oblio. – Come già precisato, Internet è un nuovo spazio dove trovano bilanciamento i diritti finora sommariamente descritti; una delle problematiche emergenti deriva dalla constatazione che quanto pubblicato tramite la rete può trovare riscontro per tempo indeterminato e può riprodursi agevolmente in spazi web che non sono quelli originari. Il corretto esercizio del diritto di informazione trova, nel tempo, come contraltare, il diritto all’oblio (v. oblio, diritto allo). La problematica nasce per rispondere alle esigenze di riservatezza e di tutela dell’immagine di coloro che hanno visto pubblicato il proprio ritratto o divulgato notizie della loro persona nell’ambito legittimo di applicazione delle libere utilizzazioni e che non devono, per evidenti motivi di legalità, sopportare che la pubblicazione della loro immagine e di notizie loro riguardanti sia perpetrata nel tempo.

Il diritto all’oblio tutela il legittimo interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia, in passato legittimamente divulgata. Il permanere in rete di notizie o immagini che non sono più giustificate dal criterio dell’interesse pubblico e dell’attualità configura illecito utilizzo di diritti di terzi salvo che eventi sopravvenuti rendano nuovamente attuali quei fatti facendo sorgere così un nuovo interesse pubblico alla divulgazione dell’informazione.

Nuove fattispecie giuridiche. – La rete ha imposto anche la rimeditazione di nuovi istituti giuridici che meglio si adattano a regolamentare i nuovi fenomeni concreti che sono nati dalle nuove tecnologie. In particolare, ricordiamo il nuovo reato di «pornografia virtuale» (art. 600 quater 1 c.p., introdotto dalla l. 6 febbr. 2006 nr. 38) che considera punibile anche lo sfruttamento del materiale pornografico che «rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parte di esse [...]. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali». In sostanza si rende punibile la pornografia che rappresenta immagini realistiche di un bambino inesistente nel suo complesso.

La novità nel panorama giuridico è l’individuazione del bene giuridico tutelato che non sembra essere una persona determinata, perché inesistente nella sua virtualità, bensì i minori intesi come categoria protetta in sé. Il primo problema da affrontare è proprio quello dell’individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma penale in considerazione dei dubbi che sorgono dalla collocazione della medesima nell’ambito dei delitti contro la persona che imporrebbe l’individuazione del soggetto passivo del reato in un minorenne virtuale e inesistente.

Questa considerazione ha fatto sollevare alcune prime obiezioni da parte degli interpreti che hanno esposto dubbi anche sulla costituzionalità della norma. A mio avviso, soprattutto vista la gravità del fenomeno della pedopornografia, l’individuazione del bene giuridico protetto deve essere portata avanti non limitandosi a esaminare la collocazione della norma nell’ambito del codice penale, ma esaminando la ratio e lo scopo della medesima.

In primo luogo si evidenzia l’esistenza nel nostro ordinamento penale di reati senza soggetto passivo o senza vittime individuabili in quelle ipotesi di reati che violano interessi della collettività, quali la morale pubblica, e già solo questa considerazione potrebbe giustificare l’art. 600 quater 1 c.p. Aggiungerei ancora che nella fattispecie il bene giuridico protetto riguarda la tutela dei minori, non solo quali singoli soggetti, ma anche e soprattutto come categoria protetta per la sua naturale vulnerabilità. In questa ottica credo che i rischi di incostituzionalità della norma possono esser vanificati e del tutto superati.

Individuando la condotta, la pedopornografia virtuale punisce la produzione, il commercio, la distribuzione, la divulgazione, la pubblicizzazione, il procacciamento e la detenzione di materiale pornografico virtuale.

L’oggetto materiale del reato è indicato nelle immagini virtuali realizzate con tecniche di elaborazione grafica e non associate, in tutto o in parte, a situazioni reali che hanno come risultato finale immagini pornografiche di un minorenne: possiamo quindi distinguere tra pedopornografia virtuale parziale e totale.

È da notare che la norma prevede che il risultato tecnico finale sia una rappresentazione tale da far apparire come vere e reali situazioni che tali non sono. Ne consegue che sono escluse le rappresentazioni grafiche di minori, o di apparenti tali, attraverso la rappresentazione di fumetti o cartoni animati o altre tecnologie il cui risultato sia tale da rendere evidente la non realtà di quanto rappresentato (v. anche reati: Perdita di centralità del criterio del bene giuridico).

Bibliografia: P. Vercellone, Il diritto sul proprio ritratto, Torino 1959; S. Amato, Il soggetto e il soggetto di diritto, Catania 1988; F. Cionti, Alle origini del diritto all’immagine, Milano 1998; F. Cionti, La nascita del diritto sull’immagine, Milano 2000; G. Savorani, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, Padova 2000; S. Dell’Arte, Modelli di contratti della fotografia e dell’immagine, Forlì 2004; S. Dell’Arte, Il contratto di disposizione del ritratto o di model release, «I Contratti», 2005, 4, pp. 416-17; S. Dell’Arte, Il contratto di property release, «I Contratti», 2005, 6, pp. 631-32; F. Sassano, La tutela dei diritti della personalità, Santarcangelo di Romagna 2005; S. Dell’Arte, I marchi d’impresa nella Comunità europea, Forlì 20112; S. Dell’Arte, Diritto dell’immagine nella comunicazione d’impresa e nell’informazione, Torino 20142; S. Dell’Arte, Fotografia e diritto, Assago 20152.

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