PROPULSIONE aerea e spaziale

Enciclopedia Italiana - III Appendice (1961)

PROPULSIONE aerea e spaziale

Antonio Capetti

Per imprimere ad un corpo, e in particolare a un veicolo, un moto diverso da quello che assumerebbe in seguito al libero gioco delle attrazioni esercitate su di esso da altre masse (la terra ed i corpi celesti) e della resistenza del mezzo in cui si muove, è necessario applicargli un sistema di forze, spendendo in generale una certa quantità di energia.

Il termine propulsione in astratto significa l'operazione per cui le forze stesse vengono messe in azione. L'organo che provvede all'operazione è il propulsore; il risultato dell'operazione è la spinta, che si definisce come la somma delle proiezioni delle forze suddette in una determinata direzione. In particolare ha interesse per la propulsione aerea la spinta nella direzione del moto; a questa direzione è sottinteso il riferimento quando non ne è precisata esplicitamente alcun'altra.

La spinta è sempre generata dalla reazione di masse lanciate in direzioni che ammettano una componente nella stessa direzione della spinta ed in verso opposto. Queste masse possono essere prese in tutto o in parte dal mezzo che il veicolo attraversa, oppure da una provvista portata a bordo del veicolo stesso. Nel primo caso, oltre alla reazione di emissione, si ha una reazione di captazione di segno contrario: la spinta netta discende dalla differenza tra le due, cioè dall'accelerazione delle masse captate. Naturalmente la possibilità di usare masse esterne è subordinata al fatto che il veicolo si muova in un'atmosfera.

Tanto in un caso quanto nell'altro, per imprimere alle masse la necessaria velocità occorre spesso non solo un apparato che converta in energia cinetica l'energia disponibile sotto altra forma - cioè il già nominato propulsore - ma anche un motore che compia una prima parte della trasformazione suddetta, ad es. dalla forma termica alla meccanica. L'insieme del propulsore e del motore che lo comanda prende il nome di apparato o gruppo motopropulsore.

Anche per il motore, come per il propulsore, si distinguono tipi che consumano aria atmosferica e tipi che non ne consumano. Nel primo tipo ha poi luogo la distinzione fra il caso in cui l'aria consumata dal motore è quella stessa che accelerata fornisce la massa alla propulsione ed il caso in cui il gruppo motopropulsore utilizza due correnti d'aria separate.

Nelle grandi linee la classificazione dei mezzi di propulsione s'imposta sul criterio ora esposto. Si distinguono cioè, anzitutto, i propulsori ad elica ed i propulsori a reazione o reattori, dando a questo termine un significato convenzionalmente restrittivo.

La categoria più antica di propulsori è quella ad elica. Il motore e l'elica, come è ben noto, sono affatto distinti, benché accoppiati l'uno all'altra meccanicamente e regolati congiuntamente, ad es. a mezzo di opportuni servocomandi. Anche nel caso dell'elica si può parlare di spinta generata dalla reazione di masse accelerate. L'insieme delle pale può essere infatti considerato come il rotore di un ventilatore, che aspira anteriormente l'aria alla velocità del volo e la ricaccia all'indietro con maggiore velocità (la differenza costituisce il cosiddetto "regresso"); oppure come un compressore assiale, che determina una differenza di pressione tra le due "facce" del disco ideale contornato dalla traiettoria della punta delle pale. Peraltro nell'uso comune nella propulsione a reazione non si comprende la propulsione a elica.

I propulsori a reazione propriamente detti si distinguono a loro volta in endoreattori ed esoreattori, secondo che le masse espulse sono prelevate da provviste trasportate a bordo del veicolo, o vengono captate dall'ambiente esterno. Nel caso della propulsione aerea l'ambiente è rappresentato dall'aria e quindi l'esoreattore diventa un aeroreattore. Nel linguaggio tecnico comune, poi, gli aeroreattori ricevono nomi composti dal suffisso "reattore" e da un prefisso che indica la prevalente importanza che ha in essi o una turbina a gas (turboreattore), o una presa dinamica (autoreattore) o un dispositivo pulsante (pulsoreattore). Talvolta il suffisso "reattore" è sostituito anche nella nostra lingua dal suffisso "getto" preferito dagli Anglosassoni (es. turbogetto). Gli endoreattori sono più comunemente chiamati razzi. Come si vede, nel caso dei reattori diventa difficile distinguere tra motore e propulsore. Ne derivano le locuzioni di motore a reazione e di motore a razzo che alcuni usano al posto di propulsore a reazione e propulsore a razzo.

Presentano molte analogie coi mezzi di p. - quando addirittura, a parte il modo d'impiego, non s'identificano con essi - gli apparati che generano spinte la cui componente più rilevante è la verticale: a questi mezzi è più appropriato il termine sostentatori. Mentre nell'aeroplano in volo orizzontale la sostentazione è una conseguenza solo indiretta della propulsione, perché l'ala slittante accoppia alla componente in direzione del volo (equilibrata dalla spinta del propulsore) una componente ad essa normale assai maggiore, nel caso del sostentatore ne è conseguenza diretta, in quanto ad es. l'elica portante dell'elicottero, comandata dal motore, ha l'asse quasi verticale, oppure in direzione verticale o quasi avviene il getto di masse propellenti.

La prestazione tipica dell'apparato di p. è naturalmente la spinta. Ad essa vengono riferite nel caso dei reattori e per qualificarne la bontà altre grandezze, come il peso, l'ingombro, i consumi di combustibile e di altre masse propellenti. Quando però il propulsore è un'elica comandata da un motore, è abitudine considerare come prestazione di riferimento la potenza misurata all'albero dell'elica. La giustificazione è in parte strumentale, perché nelle prove al banco si può misurare del reattore solo la spinta (cosiddetta "statica"), mentre del motore si misura piuttosto la potenza, a meno che esso non sia accoppiato con l'elica su di un banco scorrevole. C'è però anche un'altra ragione per questa diversa scelta, ed è una certa indeterminatezza che ha la potenza del reattore, se intesa come potenza utile ai fini della p., e un'ancor maggiore indeterminatezza che ha la spinta per il motore, essendo essa strettamente legata alla velocità che con una particolare elica l'apparecchio assumerà in volo. Ciò non vuol dire che non si possa parlare di potenza per i reattori e di spinta per i gruppi motore-elica. Dal punto di vista dell'impiego è più significativo riferire alla spinta anziché alla potenza il peso e l'ingombro (fattore questo della resistenza aerodinamica), perché essi sono direttamente o indirettamente equilibrati dalla spinta, mentre per quanto riguarda il consumo di combustibile sarebbe preferibile il riferimento alla potenza, per dedurne informazioni circa il rendimento dell'operazione di propulsione.

Per la distinzione fra p. aerea e p. spaziale, si potrebbe ricorrere al criterio dell'importanza o meno che assume l'attrazione esercitata sul veicolo dai corpi celesti o a quello, più ristretto, che sia o meno trascurabile la variazione dell'accelerazione di gravità terrestre. Questi criterî hanno tuttavia riflessi sulla navigazione piuttosto che sulla propulsione. Di carattere più strettamente motoristico è invece l'uso del termine p. aerea quando il propulsore può usare l'aria atmosferica e quindi quando sia presente un'atmosfera praticamente utilizzabile nello spazio che il veicolo attraversa, e del termine p. spaziale in caso contrario. Naturalmente i propulsori adatti per la navigazione spaziale sono adatti anche per la navigazione aerea e non viceversa.

La progressione dei mezzi di propulsione per quanto riguarda l'attitudine al volo via via più veloce, va dalla motoelica, alla turboelica, al turboreattore, all'autoreattore, al razzo. Storicamente però la tecnica è passata dalla motoelica al turboreattore, prima che alla turboelica, e poiché questa specie di propulsori partecipa in larga misura delle caratteristiche del turboreattore, riteniamo opportuno occuparci di quest'ultimo prima che delle turboeliche. D'altra parte nella presente esposizione non ci occuperemo delle motoeliche, rimandando per esse alla voce motore: motori per aeromobili (in questa Appendice).

Propulsori aerei.

Turboreattori. - Nella sua forma più semplice una macchina del genere di quella di cui alla fig. 1 della tav. f. t. si compone delle parti principali seguenti (fig. 1):

a) la presa d'aria da una o più bocche rivolte nel senso del moto dell'aereo, eventualmente proporzionate in modo da rallentare la corrente e così convertire in parte l'energia cinetica delle masse captate in energia di pressione;

b) il compressore, in cui l'aria presa viene portata ad una pressione maggiore di quella iniziale: per rapporto di compressione (eventualmente con l'aggiunta dell'aggettivo "statico" s'intende il rapporto tra le pressioni finale ed iniziale ad aereo fermo;

c) il combustore, cioè la camera in cui, in seguito alla iniezione del combustibile nell'aria proveniente dal compressore, avviene la combustione e si ha quindi un aumento della temperatura, controllato aggiungendo all'aria cosiddetta primaria, che partecipa alla combustione, un'aria diluente che abbassa la temperatura dei gas combusti fino al valore tollerabile dalle pale della turbina. Il combustore è aperto e le sue sezioni sono dimensionate in modo che la pressione dei gas si mantiene nel suo interno quasi costante;

d) la turbina (o turboespansore), in cui la pressione si abbassa di quanto basta perché la corrispondente caduta di energia potenziale (entalpia) convertita in lavoro fornisca tutto e solo il lavoro richiesto dal compressore;

e) l'effusore, cioè il tubo che raccoglie i gas combusti scaricati dalla turbina, li fa espandere gradualmente fino alla pressione statica dell'ambiente esterno e li convoglia in direzione per quanto possibile contraria al moto dell'aereo così da utilizzarne completamente l'impulso di uscita; dell'effusore fanno parte i dispositivi d'inversione della spinta e di silenziamento;

f) l'albero di collegamento del rotore della turbina con quello del compressore, con le prese di moto per i varî accessorî e col motorino d'avviamento.

I principali criterî classificativi si riferiscono:

a) al tipo di compressore, che può essere centrifugo, ad un solo o più stadî, assiale o misto;

b) al tipo di combustore, che può essere tubolare, formato cioè da parecchi tubi ad assi pressoché paralleli all'asse della turbina e disposti tutti all'ingiro; anulare, costituito da una camera unica coassiale con la turbina; cannulare, cioè costituito da una camera anulare entro la quale sono disposti diversi tubi di fiamma;

c) al tipo di turbina, assiale, ad uno o più stadî, o - solo raramente e per piccole spinte - radiale centripeta.

Altre varietà riguardano il ciclo termico stesso, che può presentare una combustione ripetuta dopo la prima espansione in turbina (postcombustione); altre l'organizzazione meccanica, che anziché ad asse unico può essere realizzata con due alberi, concentrici o meno, calettando su di un albero (per es. quello esterno) gli stadî ad alta pressione del compressore assiale e della turbina, e sull'altro (interno e sporgente da entrambe le estremità dall'albero esterno) gli stadî a bassa pressione dell'una e dell'altra macchina. L'indipendenza dei due alberi presenta qualche vantaggio che sarà meglio precisato in seguito.

Tralasciamo per ora di parlare degli speciali turboreattori che recano immedesimati anche razzi.

Numeri specifici. - Per caratterizzare le qualità del turboreattore se ne considerano:

a) l'impulso specifico (σ*), quoziente della spinta per la massa espulsa nell'unità di tempo; esso dà la misura del consumo d'aria e quindi dell'ampiezza da assegnare ai canali percorsi dall'aria (presa dinamica, compressore, ecc.). Riferito alla massa, σ* ha le dimensioni fisiche d'una velocità; nella pratica si preferisce però il riferimento al peso, benché ciò non sia razionale, ed allora l'impulso specifico (che così misurato indicheremo semplicemente con σ) acquista le dimensioni di un tempo: generalmente secondi. Evidentemente si passa da σ* a σ dividendo il primo per l'accelerazione di gravità.

b) il consumo specifico di combustibile (q*), cioè la massa di combustibile che viene consumata per ogni unità di spinta nell'unità di tempo; esso dà la misura della provvista di combustibile che è necessaria per una data autonomia del terboreattore, ed entra indirettamente nell'apprezzamento della leggerezza di questo; anche in questo caso può naturalmente venir preso in considerazione il peso anziché la massa, ed allora q assume le dimensioni del reciproco di un tempo: generalmente h-1.

c) il rendimento globale (η), rapporto della potenza della spinta al calore potenzialmente speso, sempre nell'unità di tempo.

A questi dati, che sono legati al funzionamento e dei quali è relativamente facile ed approssimata la calcolazione teorica, se ne nggiungono altri che hanno invece un carattere prevalentemente costruttivo, come il peso specifico, cioè il peso per unità di spinta, e la spinta specifica, cioè per unità di area della sezione maestra del propulsore.

I valori numerici di tutti questi dati variano per uno stesso apparato con le condizioni d'impiego: velocità e quota di volo, numero di giri del gruppo rotante. Non hanno quindi significato se non sono ben note le circostanze di riferimento. Per il consumo, il peso e la spinta specifici, generalmente si tien conto della spinta misurata in condizioni "statiche a terra", cioè a punto fisso, con pressione e temperatura della quota zero convenzionale (760 mm di Pg e 15 °C), e ad un numero di giri che si precisa se sia quello massimo di un funzionamento più o meno breve o quello di crociera.

Per dare un'idea dei valori attuali, possiamo indicare un consumo specifico statico intorno ad 1 kg/kg h con minimi intorno a 0,7; un peso specifico intorno a 0,3 kg/kg con minimo di 0,18 per reattori medî (al crescere della spinta globale oltre i 3000 kg il peso specifico aumenta); una spinta specifica di 7500 kg/m2 per reattori muniti di compressore assiale, mentre con i tipi centrifughi, che ormai sono abbandonati per i reattori medî e grandi, si arrivava appena a 2200.

Le figure 2, 3, 4, e 5 mostrano come variano (per dati rendimenti del compressore e della turbina del turboreattore) i numeri specifici di funzionamento σ, η, q al variare delle condizioni di progetto: velocità di volo u, temperatura di aspirazione T1 (legata alla quota nella troposfera convenzionale) e temperatura di ammissione in turbina T3 (nelle figg. dette sono espresse in °C), rapporto β, cosiddetto statico, tra le pressioni estreme del compressore nel suo funzionamento a punto fisso e quota zero.

Servono a giustificare l'andamento delle linee delle figure le considerazioni seguenti. Anzitutto, l'analogia fra il turboreattore e la turbina a gas, per cui l'aumento dell'energia cinetica relativa al veicolo, che l'aria acquista attraversando il reattore, può ritenersi equivalente al lavoro utile di una turbina funzionante nelle stesse condizioni. Ora, ammettendo che l'espansione nell'effusore sia completa, come dovrebbe essere nelle condizioni di progetto, sicché nessun salto finito di pressione si stabilisca alla bocca di efflusso, la spinta è prodotta appunto dall'incremento della velocità dal valore u relativo all'atmosfera al valore w di emissione. Precisamente, applicando il noto teorema delle quantità di moto, ed indicando con a il rapporto aria/combustibile, si arriva alla formula

che si può anche semplificare, notando che la massa del combustibile è generalmente trascurabile a fronte della massa d'aria:

Questa espressione può ritenersi valida anche nel caso in cui, in condizioni di efflusso supersonico, essendo eventualmente incompleta l'espansione, si aggiunge alla spinta dovuta alla variazione di quantità di moto anche una spinta dovuta alla differenza finita di pressione nella sezione di efflusso, purché si attribuisca a w un significato convenzionale.

La [1] mostra che a parità di u l'andamento di σ* rispecchia quello del lavoro per unità di massa della turbina equivalente, ossia al crescere della compressione, σ cresce fino ad un certo punto e poi scende verso zero; al crescere della T3, σ aumenta sempre e quasi linearmente, a partire da un valore di T3 tanto maggiore quanto maggiore è la compressione; al crescere della quota, σ aumenta press'a poco come se in ragione inversa a T1 fosse aumentata T3.

Per quanto riguarda il rendimento globale η, notiamo che, nonostante l'analogia suddetta, il lavoro utile del reattore, cioè quello della spinta, differisce dal lavoro utile della turbina equivalente per la perdita dell'energia cinetica di scarico (w−u)2/2, perdita inevitabile, perché se per annullarla si rendesse w=u si annullerebbe con essa anche la spinta. È opportuno allora esprimere il rendimento globale come prodotto del rendimento della turbina equivalente (che chiameremo brevemente "rendimento termico equivalente" ηe) e di un rendimento propulsivo ηp, definito come rapporto del lavoro della spinta all'aumento di energia cinetica (w2u2). Ora ηe presenta un massimo rispetto a β, cresce sempre con T3 e con il diminuire di T1; ma ηp diminuisce al crescere di w, ond'è che il massimo di η rispetto a β risulta spostato verso valori di β alquanto più alti (per i quali il diagramma di σ è in discesa) e che il beneficio dell'aumento di T3 è limitato ad un certo valore, oltre cui η diminuisce.

Considerazioni analoghe servono anche a spiegare l'andamento particolarmente interessante di σ e di η al variare della velocità u. Finché u è bassa, w rimane praticamente costante e quindi σ diminuisce linearmente, mentre η, grazie al fattore ηp, aumenta quasi proporzionalmente ad u. Poi w cresce alquanto, ma l'andamento rapidamente decrescente di σ permane, almeno quando si adottano rapporti β non troppo bassi: in ogni caso σ si annulla quando la velocità è tale che l'aria giunge al combustore ad una temperatura prossima alla T3 ed allora, ridotta quasi a zero la somministrazione di calore, si annullano insieme impulso e rendimento.

Il raggiungimento di queste velocità limiti è concepibile solo se l'apparecchio su cui è montato il turboreattore usufruisce di altro propulsore, perché verrebbe del resto a mancare la spinta necessaria. Anche il valore di u per cui si verifica il massimo rendimento capita fuori del campo di applicazioni normali del turboreattore senza postcombustione, troppo ridotto essendo l'impulso specifico che gli corrisponde.

Finalmente per quanto riguarda il consumo specifico, q, il suo valore è evidentemente proporzionale al quoziente della velocità u per il rendimento η; quindi nei casi delle figg. 2, 3, 4 in cui u rimane costante, esso è semplicemente reciproco di η; nel caso della fig. 5, invece, ha un andamento sempre crescente con u; assai rapidamente in principio, con rapidità diversa secondo gli intervalli di velocità ed i rapporti di compressione, poi. In particolare, quanto maggiore è la compressione, tanto minore risulta il q statico, ma tanto più rapidamente esso cresce con u. Un basso consumo specifico statico (che è quello indicato dai costruttori) non deve quindi dar luogo ad illusioni circa una particolare economia del volo.

Caratteristiche di spinta. - Uno stesso reattore, al variare delle condizioni in cui è usato, fornisce prestazioni, ed in particolare spinte globali, differenti, che è necessario al progettista dell'aereo conoscere. Interessa anche il consumo di combustibile, per le questioni inerenti all'autonomia o alle scorte, ed infine si dà spesso anche la temperatura dei gas allo scarico, che è indice delle sollecitazioni termiche nella turbina e nell'effusore.

Le tre variabili che definiscono le condizioni d'impiego sono il numero di giri (o "i numeri" se il reattore è a doppio albero), la velocità di volo e la quota. Una previsione teorica del modo di variare della spinta in funzione di queste variabili è assai facile se si ammette la validità di alcune ipotesi semplificative, tra cui predominano quelle della similitudine di funzionamento, e dell'efflusso nella turbina e dall'effusore in condizioni supercritiche. Sono allora sufficientemente approssimate le proporzionalità della radice quadrata della temperatura T3 al numero di giri n ed all'inverso della portata. Ne discende che finché il regolatore conserva costante la T3 (casi delle figg. 6 e 7), anche n dovrebbe restare costante e la spinta sarebbe semplicemente proporzionale al prodotto della pressione di compressione (calcolabile in funzione dei nuovi valori che al variare di u o della quota assume la pressione a monte del compressore) per l'impulso specifico σ, rilevabile da diagrammi come quelli delle figg. 4 e 5, mentre le variazioni di n si potrebbero tradurre in variazioni di T3 e di β, che trovano riferimento esse pure nelle linee di figg. come 2 e 3.

Particolarmente degno di nota è l'andamento della spinta in funzione della velocità di volo, che ricorda quello dell'impulso specifico, ma con maggiore tendenza, specie per basse compressioni, a risalire anche oltre il valore statico, prima di scendere insieme con σ a zero. Ne deriva che entro un intervallo di velocità più o meno esteso (nel caso della linea β=4 della fig. 6 si estende fino verso i 400 m/s) la spinta può ritenersi quasi indipendente dalla velocità.

La perdita di spinta in quota, spiacevole caratteristica di tutti i motori che consumano aria, risulta assai minore che nel caso dei motori alternativi, grazie al beneficio arrecato al funzionamento delle turbine a gas dall'abbassamento di temperatura T1 nella troposfera. Nella fig. 7 la riduzione della spinta è confrontata con la riduzione della pressione atmosferica (linea tratteggiata).

Finalmente, per quanto concerne l'utilizzazione a carico ridotto (fig. 8) è degno di nota il fatto che il consumo specifico a basso carico aumenta sì ma non così rapidamente come nelle turbine a gas ad albero unico. In realtà, come abbiamo già osservato, il turboreattore ad un solo albero si comporta come una turbina a due alberi. L'ulteriore ripartizione delle macchine su due alberi (fig. 9) non esercita particolare influenza sul rendimento, ma raggiunge altri scopi come quello di facilitare tutte le manovre contrastate dall'inerzia (avviamento, ripresa) e d'impedire la caduta in pompaggio del compressore ai bassi regimi.

Postcombustione. - Nella camera di combustione si consuma solo una piccola frazione dell'ossigeno presente nell'aria, essendo strettamente limitata la temperatura di ammissione in turbina. Ciò rende possibile l'effettuazione di una seconda combustione, dopo che i gas hanno subìto una caduta di temperatura nella turbina, iniettando in essi una seconda dose di combustibile nella camera di passaggio dalla turbina all'effusore.

L'impulso specifico ne risulta molto aumentato, anche perché nella postcombustione sono ammissibili temperature assai superiori a quelle della prima combustione, dato che ora i gas combusti non vengono in contatto con parti rotanti. Sola remora è il fatto che, utilizzando come comburente aria già inquinata dalla prima combustione, il limite di temperatura raggiungibile con la miscela sia pure stechiometrica gas combusti-combustibile è alquanto inferiore a quello della miscela stechiometrica aria pura-combustibile. Inoltre la fiamma ha qui bisogno ancor più che nel primo combustore di essere artificialmente stabilizzata, ad es. con i mezzi aerodinamici accennati schematicamente nella fig. 17a.

Il vantaggio della postcombustione cresce rapidamente con la velocità di volo perché con essa migliora il rendimento propulsivo; però la spinta totale rimarrebbe aumentata in misura assai minore dell'impulso specifico se non si provvedesse ad aumentare l'area della sezione di eflusso. È quindi necessario disporre nell'effusore mezzi idonei che consentano di utilizzare l'intera area di sbocco solo nel regime di postcombustione. Questi mezzi possono essere di genere aerodinamico, cioè getti d'aria che riducono di quanto occorre la sezione disponibile per i gas, o di genere meccanico, come i diaframmi e la spina conoidica schizzati nella fig. 10. Alcuni di questi dispositivi, ad es. quelli c) e d) della figura, nella posizione indicata con "III", deviano in avanti il getto e perciò funzionano da inversori di spinta, utilizzabili come freni all'atterraggio dell'aereo (del tipo d è visibile a destra anche il tronco silenziatore).

La postcombustione è prevista solo come mezzo transitorio per facilitare il decollo o manovre veloci di apparecchi impegnati in combattimento, perché dà luogo ad un forte aumento del consumo specifico; risultano infatti diminuiti sia il rendimento termico equivalente, per il minor rapporto di espansione di cui gode la seconda parte del calore somministrato, sia il rendimento propulsivo per l'aumento della velocità di efflusso, a meno che non aumenti nello stesso rapporto anche la velocità dell'aereo.

Turboreattori a doppio flusso. - Il basso valore del rendimento propulsivo a velocità subsoniche ha consigliato la messa a punto di tutta una gamma di turboreattori, in cui parte della spinta è generata dall'emissione di aria semplicemente compressa, ad una pressione inferiore a quella dell'aria comburente.

Nella fig. 11 ne sono presentati tre schemi tipici: nello schema a) (by-pass) si opera una derivazione di parte dell'aria uscente dal primo corpo del compressore e la si manda ad una bocca di efflusso anulare che circonda quella dei gas combusti; è il tipo più diffuso negli attuali aerei a reazione di linea (tav. f. t., fig. 2). Negli schemi b) e c), invece, è aggiunto all'apparato un ventilatore intubato; nel tipo b) (ducted fan) questo è sistemato a monte del compressore e contribuisce esso pure, sia pur modestamente, alla compressione dell'aria comburente; l'emissione avviene subito dopo, attraverso bocche laterali. Nel tipo c) (turbofan) il ventilatore-propulsore è del tutto indipendente dal compressore: prende l'aria da una bocca anulare apposita ed è comandato dal secondo stadio della turbina, il cui albero è isolato da quello del gruppo principale. Le palette della turbina e quelle del ventilatore sono immedesimate in un unico pezzo profilato nella parte interna secondo le esigenze della funzione motrice e nella esterna secondo le esigenze della funzione operatrice (fig. 12). Come si vede, i tipi b) e c) - quest'ultimo in ispecie - sono assai prossimi ad una turboelica. Il rapporto tra il flusso caldo ed il freddo, come pure il rapporto di compressione usato per la corrente fredda, devono essere tanto minori quanto più lento è l'aereo.

Turboeliche. - La costituzione generale di queste macchine è analoga a quella del turboreattore, da cui del resto sono state derivate originariamente. Si compongono cioè anch'esse di una presa dinamica, un compressore, un combustore, un turboespansore ed un tubo di scarico. Qui però l'espansione è completa, del tutto o quasi, nella turbina, sicché la potenza sviluppata da questa supera la potenza consumata dal compressore e la differenza viene inviata all'elica attraverso un riduttore di velocità. Esso è l'organo che più caratterizza costruttivamente la turboelica in confronto col turboreattore; è formato da un sistema di ruote dentate, generalmente planetario, che abbassa la velocità necessariamente molto elevata della turbina (dell'ordine di 10.000 giri al minuto per le grandi potenze, anche oltre i 30.000 per le minori) fino al valore altrettanto necessariamente basso dell'albero dell'elica (intorno ai 1.200 giri al minuto). Di queste parti, la prima (presa d'aria) e la quinta (tubo di scarico) possono essere appena larvate dal lato costruttivo, limitandosi talora a bocche aperte rispettivamente nel corpo del compressore ed in quello della turbina.

Tipi di turboeliche. - La principale classificazione delle turboeliche riguarda la loro organizzazione meccanica, in quanto si hanno tipi ad albero unico (fig. 13a e tav. f. t., fig. 4) e tipi a due alberi. Nel secondo tipo (fig. 13b), quello più frequentemente adottato per turboeliche di media e grande potenza, le palettature della turbina sono ripartite su due ruote meccanicamente indipendenti; la turbina ad alta pressione T1 comanda solo il compressore C; quella a bassa pressione T2, detta turbina di potenza, soltanto l'elica EL attraverso il riduttore R. Poiché l'elica si trova quasi senza eccezioni dallo stesso lato da cui arriva l'aria al compressore, l'albero che la collega alla turbina di potenza è fatto passare all'interno dell'albero cavo che collega il primo corpo di turbina al compressore. Solo eccezionalmente la trasmissione del moto dalla turbina di potenza al riduttore e quindi all'elica è realizzato mediante un albero di rinvio parallelo, esterno alla cassa della turbina.

Nella fig. 13 gli schemi dei varî tipi sono rappresentati per mezzo dei simboli grafici convenzionali già usati nella fig. 1. Nel tipo c della figura, che può essere considerato come una variante del tipo b, anche il compressore è diviso in due corpi, C1 e C2; uno di essi, quello a bassa pressione C1, è calettato sull'albero della turbina di potenza T2 (v. anche tav. f. t., fig. 3). La fig. 14, un po' meno schematica, si riferisce al tipo con albero di rinvio esterno.

Turboalbero. - La stessa turbina a gas a combustione interna che abbiamo considerato per il comando dell'elica di propulsione può venire adibita al comando dell'elica portante dell'elicottero. In particolare si presta a questo scopo il tipo a due alberi indipendenti. In questo caso però non è necessaria la complicazione degli alberi concentrici, perché il riduttore può essere collocato anche dietro alla turbina di potenza, deviando più o meno verso il basso i gas scaricati dalla stessa. Da questa deviazione nasce una spinta la cui componente verticale si somma con la sostentazione dell'elica.

Il tipo di turboelica ipotizzato nello schema della fig. 15 (De Havilland, Gnome) deriva precisamente da un turboalbero; mediante il rinvio superiore il moto è riportato verso l'avanti dove si trova l'elica di propulsione.

Spinta e potenza. - La spinta generata dalla turboelica si compone di due parti; la maggiore è ottenuta per mezzo dell'elica che utilizza la potenza della turbina, il resto per effetto della reazione dei gas combusti espulsi. Nel progetto si può fare in modo che le due parti stiano in un rapporto predeterminato, sia disegnando il profilo delle palette dell'ultimo stadio in guisa che esse abbandonino il gas con la voluta velocità di scarico (assiale), sia disegnando il tubo di scarico in guisa che mantenga una certa contropressione nella turbina e l'espansione prosegua poi in esso.

La potenza utile agli effetti della p. è il prodotto della spinta netta totale per la velocità di volo (ammessa nella stessa direzione). Ordinariamente però, in considerazione del fatto che prevale l'importanza della spinta generata dall'elica, la prestazione della turboelica viene caratterizzata dalla potenza misurata sull'albero della turbina e, per tener conto anche della reazione, vi si aggiunge il prodotto della velocità di volo per la spinta netta della reazione (differenza tra le reazioni di scarico e di aspirazione), diviso per il rendimento dell'elica; a quest'ultimo si attribuisce convenzionalmente il valore o,8.

La variazione della potenza P sviluppata dalla turboelica in quota è analoga a quella che subisce la spinta del turboreattore (fig. 16). Anche in questo caso, infatti, l'abbassamento della temperatura di aspirazione dà luogo ad un sensibile aumento del rendimento termico, mentre la riduzione della pressione riduce la portata.

Assai minore che per il turboreattore è invece l'influenza della velocità di volo, che si manifesta quasi esclusivamente attraverso l'aumento di portata causato dalla maggior pressione dinamica all'entrata nel compressore (fig. 17). Notiamo poi che delle due parti di cui si compone la potenza equivalente Pe, la seconda, quella dovuta alla spinta netta, diminuisce al crescere di u e può anche cambiare di segno, perché contro una reazione negativa all'ingresso crescente con u, abbiamo una spinta positiva all'espulsione quasi costante; la velocità di scarico è infatti poco influenzata dalla velocità del volo.

Qualche turboelica presenta un particolare che ricorda il limitatore della pressione di alimentazione dei motori a stantuffi, cioè un regolatore che fino ad una certa quota "normale" riduce ad un valore costante la coppia trasmessa all'elica ed ha lo scopo di permettere di alleggerire il riduttore, costruendolo in modo che basti solo a trasmettere le coppie relativamente basse che si hanno nel volo alle alte quote. Allora il diagramma delle potenze presenta un punto angoloso in corrispondenza di questa quota "normale".

Autoreattore. - È questo uno dei più semplici propulsori aerei, perché utilizza per la compressione preliminare dell'aria comburente solo l'energia cinetica del moto dell'aria relativo al propulsore che avanza. Soppresso il compressore, scompare anche la turbina e l'autoreattore rimane costituito da un tubo, nella prima parte del quale (presa dinamica) l'aria, rallentando, aumenta di pressione, mentre nella parte centrale (combustore) riceve l'iniezione del combustibile che, bruciando, la trasforma in gas combusti ad alta temperatura, e nella parte finale (effusore) si espande, acquistando una velocità di uscita superiore a quella di entrata nell'apparato. L'assenza di macchine rotanti giustifica il nome di "statoreattore" spesso dato a questo propulsore (franc. statoréacteur; ingl. ramjet).

Ciascuna delle parti dell'autoreattore presenta problemi che esigono particolari soluzioni. Così la variazione delle sezioni necessaria per ridurre per quanto possibile isentropicamente la velocità nella presa dinamica anche in regimi supersonici porta a realizzare un nucleo centrale conoidico, la cui punta deve avere la conicità corrispondente al numero di Mach della corrente relativa; il combustore, analogo al postcombustore dei turboreattori, viene corredato di dispositivi atti a stabilizzare la fiamma nella corrente ancor molto veloce che lo attraversa, e l'effusore, essendo la velocità di efflusso supersonica, ha la nota forma dell'ugello di De Laval (fig. 17a).

La spinta statica dell'autoreattore è evidentemente nulla, perché ad aereo fermo nessuna corrente attraversa l'apparecchio, mancando l'aspirazione da parte del compressore. A mano a mano che l'aereo acquista velocità (naturalmente dapprincipio solo grazie ad altri mezzi di propulsione), si manifesta un impulso specifico, con andamento all'incirca parabolico (linea σ della fig. 17b) che ritorna a zero a quella velocità che avvicina la temperatura totale nell'ingresso del combustore alla temperatura massima prestabilita. Questa velocità limite è assai superiore a quella analoga del turboreattore, sia perché qui manca l'aumento di temperatura dovuto al compressore, sia perché le temperature iniziali di espansione ammissibili sono molto superiori quando questa avviene in un tubo fisso anziché in una turbina.

Il diagramma delle spinte globali e quello delle potenze (linea P della fig. 17b) partono tangenzialmente all'asse delle ascisse e dovendo tornare a zero per la velocità limite presentano un flesso caratteristico. La fig. 17b mostra anche i diagrammi del rendimento globale η e del consumo specifico q. Quest'ultimo, a differenza dell'analogo del turboreattore, ha un minimo, perché tende a diventare infinitamente grande per i due valori della velocità che annullano l'impulso.

Il particolare andamento delle spinte dell'autoreattore fa sì che esso anzitutto non possa costituire l'unico mezzo di propulsione di un aereo, essendo incapace di provvedere al decollo, poi che, nonostante il suo piccolissimo peso ed ingombro, cominci a diventare conveniente solo a velocità molto alte.

Anche l'autoreattore si avvantaggia delle basse temperature del funzionamento ad alte quote.

Pulsoreattore. - Come la turbina a gas a pressione costante è stata preceduta dalla turbina a combustione a volume costante (Holzwarth), per superare l'ostacolo del forte onere rappresentato dal compressore, così all'autoreattore è stato affiancato il pulsoreattore, che differisce dal primo essenzialmente perché, grazie alla combustione in una camera periodicamente quasi chiusa, può funzionare anche a velocità nulla.

Nella forma impostasi dopo la sua apparizione nella bomba volante V1, il pulsoreattore si compone di un tubo sagomato a prua ed a poppa a guisa di presa dinamica e di effusore, come negli altri aeroreattori, ma con una camera di combustione al centro, in cui l'entrata dell'aria è consentita soltanto intermittentemente da un sistema di valvole aprentisi automaticamente solo verso valle. La loro apertura è sincronizzata con l'iniezione periodica del combustibile: ad ogni iniezione, seguita dall'accensione, si forma un'onda di pressione che si propaga verso valle, accelerando la corrente nell'effusore e verso monte, determinando la chiusura delle valvole. Cessata la combustione, la fuoruscita dei gas, che continua per qualche istante per inerzia, dà luogo ad una depressione che fa riaprire le valvole ed entrare nuova aria per ripetere il ciclo.

Il pulsoreattore è tuttora oggetto di ricerche per applicazioni di modesta importanza, nelle quali si apprezza la sua grande semplicità di costruzione, analoga a quella dell'autoreattore, senza gli inconvenienti della spinta nulla a fermo e del bassissimo rendimento alle velocità subsoniche. Tra i perfezionamenti si ricorda la sostituzione delle valvole automatiche con gli orifizî cosiddetti "aerodinamicamente irreversibili", cioè che presentano resistenze passive molto diverse al cambiare del verso in cui la corrente li attraversa. La fig. 18 presenta un recente pulsoreattore (SNECMA, Escopette).

Propulsori spaziali.

I propulsori spaziali attualmente costruiti, e che possiamo chiamare ordinarî, sono endoreattori che utilizzano per generare la spinta un getto di masse prodotte da reazioni chimiche esotermiche a cui partecipano soltanto costituenti portati a bordo, ed accelerate dal calore sviluppato nelle reazioni stesse (razzi termici; in particolare: razzi chimici). L'insieme di questi costituenti riceve il nome di propellente.

Altri razzi finora studiati, per quanto si sa, solo teoricamente, prevedono un acceleramento di particelle ottenuto o termicamente, mediante il calore proveniente da reazioni non molecolari, ma nucleari (razzi nucleotermici), o elettricamente (razzi elettrici) e precisamente, in quest'ultimo caso, agendo su di un gas ionizzato con un campo elettrostatico, o su di un plasma (miscuglio di ioni e di elettroni) con un campo elettromagnetico. Finalmente viene prospettata anche l'utilizzazione dell'emissione di fotoni da superfici opportunamente riscaldate.

Le principali applicazioni attuali dei razzi sono le seguenti: a) negli aeroplani, come propulsori ausiliarî momentanei per aiutare il decollo di apparecchi molto caricati (bombardieri e da trasporto), o come propulsori continui eventualmente associati ad altri tipi, per gli apparecchi militari, specialmente da difesa (intercettori) e da offesa (caccia), o finalmente come propulsori unici di apparecchi velocissimi stratosferici, lanciati da apparecchi-madre; b) nei missili, come propulsori, correttori di rotta, freni.

Razzi chimici. - La prima grande classificazione dei razzi chimici è basata sullo stato del propellente, che può essere solido o liquido o ibrido (v. propellenti chimici, in questa Appendice). Nel caso del propellente liquido, generalmente si tratta di due liquidi, convenzionalmente chiamati combustibile l'uno e comburente (agente ossidante) l'altro, che, introdotti nella camera di combustione, danno luogo a reazioni chimiche.

Possiamo fin d'ora ravvisare nei razzi i vantaggi essenziali della indipendenza della spinta dalla presenza di aria atmosferica e dalla velocità dei veicoli, e lo svantaggio di dover portare a bordo oltre al combustibile anche il comburente, donde pesantezza di scorte di consumo. Applicazioni tipiche sono perciò quelle fuori dell'atmosfera, quelle a grande velocità, quelle richiedenti impulsi brevi.

La parte essenziale del razzo - quella che gli Americani chiamano "motor" - si compone semplicemente del combustore e dell'effusore, a tubo di De Laval, costruttivamente immedesimati e, se è il caso, refrigerati. Le complicazioni cominciano quando si considerano i mezzi per rifornire di propellente il combustore. Giova allora distinguere altri casi, suddividendo quello del propellente liquido nei sottocasi del razzo d'impulsi brevi e del razzo d'impulsi relativamente lunghi.

In ogni caso la differenza di pressione tra l'interno del combustore e l'esterno necessaria per ottenere la velocità di emissione w che dà la spinta è assicurata dall'equilibrio che si stabilisce fra la massa gassosa generata nell'unità di tempo dal progredire delle reazioni chimiche nel combustore e la massa smaltibile attraverso l'orifizio terminale dell'effusore. Ora, nel caso del razzo a propellente solido ("solido", s'intende, prima della combustione) si tratta solamente di regolare la propagazione della fiamma nella carica già tutta presente nella camera di combustione, in modo che la reazione chimica avvenga con gradualità. Nessun meccanismo particolare è necessario; quindi grande semplicità e leggerezza di struttura. Però, nonostante non ci siano impossibilità fisiche assolute di prolungare la durata anche per qualche minuto, normalmente conviene limitarla a pochi secondi o addirittura ad una frazione di secondo.

Nel caso del propellente liquido, se non si richiede una durata superiore a quella del propellente solido, si può affidare il compito d'iniettare i liquidi nel combustore ad un gas inerte portato esso pure a bordo in serbatoi sotto pressione, evitando così anche in questo caso i macchinarî: bastano dei regolatori di pressione. Il peso e l'ingombro dei serbatoi di gas inerte limitano però l'entità della scorta ammissibile di questo gas e quindi la durata dell'impulso. Per aver durate maggiori si ricorre a pompe d'iniezione e bisogna provvedere allora al motore di comando delle pompe (ad es. una turbina) ed al rifornimento delle masse che questo consuma. L'autonomia, naturalmente, dipende così solo dalla capacità del veicolo a trasportare serbatoi di propellente più o meno grandi.

Numeri specifici. - L'impulso specifico σ* rimane qui rappresentato dalla sola velocità relativa w di espulsione, eventualmente intesa nel senso convenzionale accennato a proposito della formula [1]. La potenza utile per unità di portata di massa è data dal prodotto w•u, mentre l'energia consumata è eguale alla somma del calore potenziale della reazione chimica, H, e dell'energia cinetica posseduta dal propellente nel serbatoio del razzo, u2/2. Un più accurato bilancio dovrebbe tener conto, per i razzi a propellente liquido, anche dell'energia consumata per immagazzinare il gas compresso d'iniezione, o per far funzionare la turbopompa d'iniezione. Anche più complesso diventa il calcolo quando si utilizzano insieme a quella del propellente altre forme di energia, ad es. il calore asportato dall'involucro di un missile, calore che deriva dall'attrito contro l'atmosfera e che può essere impiegato per vaporizzare un liquido immesso in qualche modo nel circuito energetico del propellente.

Il rendimento globale è il rapporto del lavoro utile all'energia consumata; anche qui, come per gli aeroreattori, possiamo introdurrre un termine di riferimento intermedio, l'energia disponibile, somma dell'energia cinetica di trascinamento u2/2 e dell'energia cinetica relativa w2/2 che il propellente acquista nel processo termodinamico a cui è sottoposto, e parlare di un rendimento propulsivo, come rapporto di w•u a (w2+u2)/2. Il suo andamento in funzione della velocità si diversifica sensibilmente per l'endoreattore da quello dell'esoreattore, come mostra la fig. 19; in particolare, per il primo questo rendimento raggiunge il suo massimo per w=u e poi decresce, mentre per l'esoreattore "apparentemente" tende a crescere anche oltre questo valore (apparentemente, perché nell'esoreattore se u fosse maggiore di w il lavoro sarebbe negativo e la definizione stessa di rendimento propulsivo cesserebbe di essere valida).

L'importanza dell'impulso specifico è per l'endoreattore molto maggiore che per l'aeroreattore, poiché per esso eguaglia l'inverso del consumo specifico e quindi diventa fattore primario della leggerezza dell'apparato, e in ultima analisi della velocità che può raggiungere per mezzo del razzo il veicolo, quando, come nel missile a lungo raggio, il peso delle strutture e del cosiddetto "carico pagante" è piccolo in confronto a quello della scorta di propellente.

La velocità di efflusso dipende dal rapporto di espansione e dal calore sviluppato dall'unità di massa. La prima dipendenza giustifica la previsione di un certo aumento dell'impulso in quota, dove la contropressione allo scarico diminuisce, e sembra suggerire l'adozione di alte pressioni nel combustore. In realtà già col rapporto di espansione 30:1 si realizza circa il 75% della velocità limite, quella dell'efflusso nel vuoto, e quindi da un lato l'influenza della quota sull'impulso è piccola, dall'altro il vantaggio di aumentare la pressione nella camera di combustione può solo consistere in una riduzione del volume di tale camera.

Resta l'importanza del calore di reazione, e la scelta dei propellenti, oltre che sulle esigenze pratichc relative alla facilità di produzione, di immagazzinamento a terra e a bordo, di manipolazione negli accessorî del motore, ecc., si appunta sempre più acutamente su questo parametro.

Razzo a propellente solido. - La camera di combustione è costituita da un involucro generalmente cilindrico (fig. 20), in cui il propellente è immagazzinato sotto forma di una o più barre ("grains") a sezione costante (fig. 21). Più raramente camera e barre sono coniche. La combustione avviene lungo la superficie esterna se la barra presenta una sezione come la b della fig. 22, con scanalature che la tengono distaccata dall'involucro, o lungo la superficie interna se invece ha una sezione come la a della stessa figura, cioè cava e variamente frastagliata, ed aderisce esternamente all'involucro, che così è protetto dalle maggiori temperature.

Nei confronti di quelli a propellente liquido, il razzo a propellente solido ha soprattutto i pregi dell'estrema leggerezza di strutture (appena 0,02 kg di peso al kg di spinta) e della semplicità, fattore importante della sicurezza d'impiego. Anche il caricamento del razzo è più rapido, non essendoci serbatoi da riempire di liquidi, né occorrendo particolari precauzioni contro l'azione di vapori corrosivi o tossici. Il pericolo di scoppio della carica durante il maneggio è oggi pressoché totalmente eliminato.

Svantaggi rispetto ai propellenti liquidi sono un impulso specifico in generale minore, solo in parte compensato dalla maggior densità del solido, la difficoltà di controllo della spinta durante il volo ed in particolare di spegnere e riaccendere la carica a volontà, e quella della refrigerazione. A tutti questi svantaggi si cerca di trovar rimedî; così, per quanto riguarda il controllo della spinta si possono disporre deflettori mobili davanti allo sbocco dall'effusore (fig. 22), e per la protezione contro le alte temperature, finché si tratta di brevi durate (meno di un minuto), basta rendere più refrattario l'ugello, rivestentlone la parete interna con grafite o molibdeno (zona centrale della fig. 22).

Razzi a propellenti liquidi e misti. - Il problema fondamentale della iniezione dei propellenti nella camera di combustione viene risolto o mediante l'uso di un gas ausiliario (iniezione pneumatica) o mediante turbopompe, generalmente centrifughe (iniezione meccanica). Nel primo caso come gas ausiliario servono o un inerte (azoto immagazzinato in bombole (come nello schema della fig. 23), o il gas fornito da una camera di combustione a propellente solido, o una miscela dei due. Nel caso dell'iniezione meccanica le pompe sono azionate da una turbina il cui fluido motore può essere costituito da parte degli stessi gas combusti destinati alla propulsione, opportunamente raffreddati ad es. con iniezione d'acqua, oppure può essere prodotto appositamente. Quando per la propulsione si usa acqua ossigenata, serve bene allo scopo il vapore generato a 600 °C dalla decomposizione del perossido d'idrogeno provocata da un catalizzatore, ad es. argento metallico o permanganato di calcio.

Acquista poi importanza, data la durata del funzionamento del razzo a iniezione meccanica, il problema della refrigerazione della camera di combustione e dell'effusore. Vi provvedono l'uno o l'altro o entrambi i propellenti, fatti circolare in controcorrente in un'intercapedine delle pareti della camera, o in un serpentino avvolto attorno alla stessa. Il calore sottratto per limitare la temperatura viene così ricuperato.

Accenniamo infine alla scelta dei propellenti. Attualmente si contendono il campo, fra gli ossidanti, l'ossigeno liquido (alto impulso specifico, basso costo di produzione, ma difficoltà di lunga conservazione), l'acqua ossigenata ad alto tenore di perossido d'idrogeno (facilitazioni nell'avviamento, ma pericolo di decomposizione nei serbatoi e quindi di scoppî dei medesimi) e l'acido nitrico, di cui sono noti gli inconvenienti specie durante la manipolazione.

Fra i combustibili, i più usati sono gli idrocarburi (lo stesso cherosene usato nei turboreattori, ed altri), l'anilina, l'idrazina, la furalina. Questi tre ultimi hanno comportamento ipergolico rispetto all'acido nitrico, ciò che semplifica l'impianto, rendendo superfluo il trasporto di un ipergolo ausiliario per l'accensione, ma nel tempo stesso costituisce pericolo in caso di contatto accidentale tra i due liquidi.

Con i bipropellenti ora elencati le velocità limiti di efflusso vanno dai 2100 m/s del sistema acido nitrico-furalina, ai 2600 del sistema ossigeno-idrazina. Per il prossimo futuro viene prospettata la sostituzione del fluoro all'ossigeno e del boro al carbonio (borani al posto di idrocarburi), che farebbero toccare e superare i 3000 m/s (3600 col sistema pentaborano-fluoro).

Sono stati cercati anche monopropellenti, che tra l'altro presenterebbero il pregio di poter contare sul consumo di tutta la provvista di propellenti, mentre con i bipropellenti, inevitabilmente, una delle due scorte si esaurisce prima dell'altra. I monopropellenti finora proposti hanno però impulsi specifici bassi.

Qualche lato vantaggioso presenterebbero anche i razzi a combustibile ibrido (litergolo), costituiti da un serbatoio di liquido (L della fig. 24) e da una specie di razzo a solido con carica fortemente cava (S); il propellente liquido viene iniettato in questa cavità.

In ogni caso la temperatura massima raggiunta nelle reazioni fra molecole da cui dipende la velocità di efflusso con cui s'identifica l'impulso per unità di massa, è ridotta assai dal noto fenomeno della dissociazione. Si è allora pensato anche alla possibilità di utilizzare, anziché il calore sviluppato nelle reazioni molecolari, quello derivante dalla riassociazione di radicali liberi, preparati a terra e poi immagazzinati nel razzo. Con la reazione 2HH2 si toccherebbero i 12.000 m/s. Si avrebbero anche tutti i vantaggi dei monopropellenti, tra cui quello di un solo circuito di fluido. I radicali liberi sono però prodotti estremamente instabili, oltre che di difficilissima preparazione.

Razzi combinati con aeroreattori. - Autoreattore e razzo presentano proprietà in qualche modo complementari: così la spinta statica, che nel primo è nulla, nel secondo eguaglia già il valore che manterrà a tutte le velocità, mentre entrambi offrono pregi di semplicità e di leggerezza derivanti dalla quasi totale assenza di macchinarî. Si è quindi pensato di combinare in un unico motore i due propulsori, sistemando un razzo all'interno di un autoreattore (fig. 25a). Questo autoendoreattore alle basse velocità funziona come un razzo, che però, trovandosi intubato, richiama aria dalla bocca anteriore, a guisa di un eiettore, e così migliora alquanto il suo rendimento propulsivo. Alle alte velocità invece l'apparato funziona come un normale autoreattore.

Il razzo può essere combinato anche col turboreattore, attribuendo ad esso anziché al gruppo compressore-combustore il compito di fornire il gas motore alla turbina di comando del compressore (fig. 25b). Quando il razzo è esaurito, raggiunte ormai velocità di volo sufficientemente elevate, il compressore viene solo trascinato a vuoto dalla corrente e, acceso il postbruciatore, anche questo apparato funziona come un autoreattore.

Altri razzi. - Razzi nucleari. - Lo schema più semplice, e in un certo senso più rispondente al nome, sarebbe quello in cui le masse accelerate ed espulse fossero i prodotti stessi della fissione di nuclei pesanti. Però questo metodo non è considerato il più conveniente, anche prescindendo dalle preoccupazioni di carattere sanitario derivanti dall'abbandono nell'atmosfera di particelle radioattive. Le ricerche attuali sono rivolte piuttosto ad una utilizzazione indiretta dell'energia nucleare, trasferendo il calore generato dalla fissione (o eventualmente anche dalla fusione) ad un fluido diverso, funzionante da propellente.

Tutti i varî tipi di propulsori termici, non solo i razzi, potrebbero essere trasformati in "nucleari": basta pensare il combustore sostituito dal reattore nucleare. Potremmo avere eliche azionate da turbine a gas eventualmente a ciclo chiuso, o a vapore; turboreattori ed autoreattori nucleari. Aeroplani con apparati motori basati su questi principî sono già annunciati.

Nel campo dei razzi, fra gli altri sono stati proposti i due tipi presentati negli schemi delle figg. 26 e 27. Il primo si potrebbe definire un razzo a combustione esterna: infatti il propellente viene riscaldato dal calore che riceve dal reattore nucleare, dopo di che, senza subire trasformazioni chimiche, si espande nell'effusore. La camera di combustione è sostituita da uno scambiatore di calore; per semplicità lo schema suppone che esso sia l'involucro stesso del reattore nucleare e che il propellente venga direttamente utilizzato per la refrigerazione delle barre che formano il nucleo.

Il propellente dovrà essere fornito alla camera sotto pressione da una turbopompa; la scelta andrebbe indirizzata verso un gas molto leggero perché la velocità di efflusso, a parità di pressione, è inversamente proporzionale alla radice quadrata del peso molecolare. Usando idrogeno a 2500 °K, la velocità massima sarebbe dell'ordine di 8000 m/s, cioè doppia delle massime ottenibili con i propellenti chimici liquidi. Temperature così alte sono però incompatibili con l'uso dell'uranio metallico come materiale fissile.

Il secondo schema si riferisce ad un razzo elettrico. Si tratta infatti d'installare nel razzo una vera centrale nucleo-termoelettrica a gas a circuito chiuso, che fornisce l'energia elettrica all'apparato ionizzatore ed al relativo acceleratore. Come sottoprodotto si può utilizzare il calore ricuperato nel prerefrigeratore della turbina, per vaporizzare il propellente che dovrà fornire gli ioni da emettere.

Motori per il volo verticale.

Anche per la sostentazione, come per la p. orizzontale, si possono distinguere i casi della sostentazione ad elica (elicotteri) e della sostentazione a getto o a reazione diretta. Ciascuno di questi casi dà luogo a sottocasi. Le pale dell'elicottero possono ricevere il moto direttamente da un motore a combustione interna, ad es. da una turbina a gas del tutto analoga a quelle dei gruppi turboelica (ad asse orizzontale, ed allora con riduttore ad assi perpendicolari, o ad asse verticale); oppure possono venire azionate a reazione, mediante l'emissione dalle pale stesse di un gas compresso. In quest'ultimo caso il motore diventa un generatore di gas.

Tra gli schemi di possibili generatori di gas accenniamo ai seguenti:

a) una turbina a gas comanda un compressore a bassa pressione che fornisce l'aria motrice da inviare alle pale dell'elicottero. In particolare può trattarsi di una turbina a due alberi indipendenti: sul primo sono calettati gli stadî ad alta pressione della turbina ed il compressore dell'aria comburente; sul secondo, lo stadio a bassa pressione della turbina ed il compressore dell'aria motrice. Lo scarico di questa turbina, diretto secondo l'asse della fusoliera, fornisce all'elicottero la spinta per la traslazione orizzontale.

b) Una turbina a gas a doppio flusso invia alle pale la miscela dei gas di scarico e dell'aria prelevata dallo stadio a bassa pressione del compressore. L'invio puro e semplice dei gas scaricati dalla turbina urta contro l'ostacolo dell'eccessiva temperatura di tali gas.

La sostentazione a getto prevede un turboreattore ad asse verticale con scarico verso il basso. Il piccolo rapporto peso/spinta del motore a reazione lascia ancora un discreto margine per le strutture dell'aereo e per il carico pagante. È prevista la possibilità di un imperniamento di tutto il reattore attorno ad un asse orizzontale in modo che dopo il decollo verticale il veicolo possa ricevere dal reattore opportunamente inclinato una spinta avente una componente orizzontale. Nella sostentazione a getto il turboreattore può essere coadiuvato o sostituito da razzi.

Bibl.: G. P. Sutton, Rocket propulsion elements, New York 1956; A. Capetti, Turbine a gas e turboreattori, Torino 1959; C. Casci, Nuovi orientamenti sulla propulsione a razzo dei veicoli spaziali e dei satelliti artificiali, in Rendiconti del seminario matematico-fisico di Milano, 1959; Addison M. Rothrock, Spacecraft propulsion, Washington 1959; M. Barrère, A. Jaumotte, B. Fraeijs De Veubeke, J. Vanderkerckhove, Rocket propulsion, Amsterdam 1960.

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