GIUSTIZIERE, PROSOPOGRAFIA

Federiciana (2005)

Giustiziere, prosopografia

SSerena Morelli

Una prosopografia di un gruppo di ufficiali prevede la loro appartenenza a un settore dell'amministrazione ben strutturato e almeno una campionatura che offra garanzie di larghissima rappresentatività. Per i giustizieri di Federico II non si verifica né il primo né il secondo presupposto.

Istituito da Ruggero II intorno al 1140, l'ufficio cui essi erano addetti subì, pur nell'ambito di una forte continuità, una serie di trasformazioni sia nelle competenze che andarono vieppiù allargandosi, sia nell'estensione territoriale della sua giurisdizione. È pertanto necessario fare alcune precisazioni per orientarsi in una compagine amministrativa che va delineandosi di pari passo con l'elaborazione normativa e legislativa perseguita dal sovrano svevo e per comprendere la varietà di titoli con cui sono nominati i giustizieri.

È bene tener conto in primo luogo che il sistema di distretti cui essi erano preposti e che trovò una chiara definizione con Carlo I d'Angiò, così come l'identificazione di alcuni requisiti fondamentali per ricoprire la carica, sono due aspetti dell'ufficio attribuibili alla fase della maturità di Federico, quando con le Costituzioni di Melfi nel 1231 il sovrano, a trentaquattro anni dall'inizio del suo regno, diede l'avvio al più serio progetto di riorganizzazione dello stato svevo. A Melfi furono stabilite alcune norme generali valide per l'intero corpo di ufficiali, come l'annualità degli incarichi, e altre espressamente rivolte ai giustizieri. Per essi Federico decise che non avessero l'incolatum o la maggior parte dei beni feudali nelle circoscrizioni loro affidate, che non fossero oriundi del posto, che non vi contraessero matrimonio (Const. I, 51). Tali disposizioni, che miravano a impedire la costituzione di enclaves di potere da parte di questi ufficiali, restarono in realtà spesso disattese e rappresentarono più una dichiarazione della volontà del legislatore che non una vera e propria norma restrittiva da osservare con rigore.

La documentazione disponibile attesta invece che dopo il 1231 la carica era effettivamente ormai ancorata alle province del Regno. Nell'impossibilità di delineare una cronotassi precisa, ci si limita a fornire i primi elenchi di ufficiali preposti al giustizierato intorno al 1231: in Basilicata Sansone di Bari, in Abruzzo Filippo de Zuncolo, in Terra d'Otranto Goffredo Busardo, in Terra di Lavoro Roberto d'Aquino ed Ettore di Montefusculo, in Val di Crati "Senator" de Arco e Guglielmo de Spinosa, in Principato e Terra Beneventana Riccardo de Montenegro e Filippo de Aquino.

Gli Excerpta massiliensa e gli Acta Imperii forniscono ampie liste anche di coloro che furono utilizzati nell'ufficio dopo il 1238: in Abruzzo si avvicendarono Ettore di Montefusculo (già dal 1238), "Boamundus Pissonus", R. di Aversa, Stefano de Anglona (nel 1241 fino a marzo); in Principato Tommaso de Montenigro, Tommaso de Molisio, Goffredo Catalano, Riccardo di Fasanella e Guglielmo "Philippi" di Potenza; in Calabria Goffredo di Montefusculo, Ugone Capisino; in Sicilia citra Guglielmo de Anglona, Tommaso de Molisio; in Sicilia ultra Rogerio de Amicis, che poi nel 1241 fu nominato capitano e maestro giustiziere della Sicilia e della Calabria, insieme ad Andrea Cicala; in Val di Crati "Senator" de Arco (già nel 1238) e Tolomeo de Castilione; in Basilicata Tommaso "filius Osmundi"; in Terra di Lavoro Guglielmo di Sancto Framundo (già dal 1238), Riccardo de Montenegro e Gisulfo de Mannia; in Capitanata Riccardo de Rocca, Riccardo de Montefusculo e Gervasio de Martina; in Terra d'Otranto Andrea Acquaviva, Nicola de Girachio; in Terra di Bari Landolfo di Franco.

Prima che l'organizzazione delle province fosse strutturata, la documentazione attesta un capillare impiego di questi ufficiali; in alcuni casi però essi erano sprovvisti di qualsiasi indicazione dell'area geografica loro affidata e in altri erano preposti in due a una singola provincia. Nel 1198 Tommaso da Gaeta fu giustiziere regio, così come Leo de Matera nel 1221, nello stesso anno però uno degli Aquino risulta essere giustiziere di Terra di Lavoro, dove poco dopo, nel 1226, sappiamo che Nicola de Cicala e Pietro da Eboli furono sostituiti nell'ufficio da altri due ufficiali, Rogerio de Gallucio e Mario Rapistro di Napoli. Tali oscillazioni comportarono anche l'accorpamento di più province nelle mani di un singolo, accorpamento che si verificò sporadicamente anche dopo il 1231: così prima del 1235 Giovanni "Amorutius" de Baro fu giustiziere di Terra di Bari e Basilicata e prima del 1242 Riccardo de Montefusculo fu giustiziere di Capitanata e Basilicata, mentre nel 1241 Landolfo di Franco risultava preposto al giustizierato di Bari e a quello di Terra d'Otranto.

Il quadro articolato di titoli che si va delineando è reso ancora più complesso dalla confusione tra l'ufficio di giustiziere e quello di maestro giustiziere che spesso le incertezze terminologiche delle fonti e una carente documentazione possono provocare. Di fatto anche per i maestri giustizieri le Costituzioni di Melfi segnarono un momento di svolta nella codificazione dell'ufficio che, istituito già dai re normanni, subì una flessione fino a quando non fu accorpato alla magistratura dei capitani del Regno. Prima del 1231 sembra che i due uffici si sostituissero spesso l'uno con l'altro in un quadro contraddistinto da una forte osmosi, sia nella scelta del personale preposto agli uffici sia nelle competenze. La confusione tra le due cariche fu causata anche dalla successiva storia dell'ufficio di maestro giustiziere che già con Manfredi scomparve a tutto vantaggio del giustiziere provinciale.

Se è vero che i limiti e le lacune nella documentazione e nello stato degli studi condizionano la possibilità di fornire un quadro circostanziato e nitido del personale preposto all'amministrazione periferica, ciò nonostante gli elenchi disponibili consentono di rilevare alcuni elementi che caratterizzano il reclutamento del più importante ufficio provinciale di età federiciana e di delinearne alcune linee evolutive. Quelli più appariscenti sono di ordine geografico e sociale. Come per gli altri uffici del Regno, Federico preferì utilizzare personale indigeno, proveniente molto spesso dalle zone della Campania (Kantorowicz, 1927). Si trattava di un'enclave fortemente ghibellina, legata alla corte e di cui Federico si fidava: mentre gli ufficiali addetti al settore finanziario provenivano dalla costiera amalfitana (Kamp, 1974), i più alti dignitari a corte, Pier della Vigna, Taddeo da Sessa, i Morra e alcuni tra i più influenti giustizieri, gli Aquino, gli Eboli, provenivano dalla zona di Capua; da non molto lontano provenivano Montenegro e Montefusculo, che più volte furono utilizzati nell'amministrazione periferica.

Un altro dato incontrovertibile è l'appartenenza dei giustizieri al mondo della feudalità. Più difficile, allo stato attuale della ricerca, è definirne le origini, l'entità dei patrimoni, i rapporti con il notabilato locale. Contravvenendo la costituzione I, 51, molti di loro occupavano l'ufficio pur essendo oriundi del posto e pur avendo la maggior parte dei beni feudali nel distretto affidatogli. Così Pietro da Eboli e l'Aquino ricevettero il giustizierato di Terra di Lavoro dal quale provenivano e Stefano de Anglona, appartenente alla famiglia di Agnone con ampi beni feudali in Molise, fu addetto al giustizierato di Abruzzo. L'Anglona prima era stato mandato a ricoprire le stesse mansioni in Terra di Lavoro dove era rimasto per ben quattro anni, fino a quando non fu sostituito da Guglielmo di Sancto Framundo, anch'egli della stessa area geografica.

Questa tendenza a radicarsi nell'ufficio si manifestò in due modi: da un lato i giustizieri esercitarono l'incarico nello stesso distretto per più anni consecutivi, dall'altro ricoprirono la medesima funzione in province differenti. Nel primo caso i rischi erano quelli di un radicamento, pericoloso e controproducente per la politica dell'imperatore, che intendeva avocare alla Corona l'esercizio dell'attività giudiziaria e limitare quanto più possibile la presenza di poteri concorrenti sul territorio. Il secondo caso invece è indicativo di quanto questi ufficiali, poco specializzati nell'esercizio di certe competenze, tendessero ad appropriarsi di una funzione che evidentemente, oltre al salario di circa 60 once annuali, comportava prestigio e potere. Se la tendenza era talvolta quella di creare vere e proprie carriere all'interno dell'amministrazione, non si registrava però da questo punto di vista un percorso che portasse i giustizieri da incarichi meno importanti a funzioni di maggiori responsabilità: così Tolomeo di Castiglione, dopo essere stato inviato in Abruzzo, passò nel più piccolo giustizierato di Val di Crati e Terra Giordana; "Senator" de Arco, giustiziere in Val di Crati nel 1231 e nel 1239, fu anche castellano di Messina; Nicola de Girachio fu razionale in Puglia nel 1231; Tommaso di Montenegro nel 1242 fu inviato come regio capitano a Tivoli; Riccardo de Rocca, giustiziere di Capitanata nel 1250, fu ostiario nel 1240.

Avveniva poi anche che l'ufficio fosse tramandato di padre in figlio. I Montefusculo costituirono una vera e propria dinastia di funzionari. Furono addirittura quattro i Montefusculo utilizzati da Federico: tre nel giustizierato (Riccardo in Capitanata, Goffredo in Calabria, Ettore in Abruzzo) e "Sanctonus" provveditore dei castelli di Principato, Terra di Lavoro e Beneventana. Goffredo fu utilizzato da Federico anche come maestro giustiziere. Gli antenati di questi ufficiali erano nell'amministrazione periferica normanna: Ettore di Montefusculo era figlio del barone Guerrerio, giustiziere e connestabile di Montefuscolo, figlio a sua volta di Accardo; Goffredo di Montefusculo era figlio di Pagano, connestabile dominis regis in Montefuscolo, a sua volta figlio di un altro connestabile, Andrea. Nei primi anni del regno di Carlo, invece, Tommaso e Giovanni furono rispettivamente giustizieri in Abruzzo e in Basilicata. Tra coloro che si radicarono nell'ufficio, anche oltre l'età sveva, figurano i Galluccio, i di Franco, gli Acquaviva e gli Aquino, tutti molto attivi nell'amministrazione periferica angioina. Procedendo per esemplificazioni, la vicenda degli Aquino è interessante sia per ciò che concerne le modalità di utilizzazione di questi ufficiali, sia per l'atteggiamento che la famiglia ebbe nei confronti delle dinastie regnanti. Durante il regno di Federico due Aquino furono posti a capo del giustizierato: nel 1231 Filippo in Principato e Terra Beneventana, e nello stesso anno Roberto in Terra di Lavoro. Inoltre nel 1221 Tommaso, figlio di Adenolfo de Aquino, conte di Acerra, fu inviato come maestro giustiziere in Puglia e Terra di Lavoro. Fedelissimi di Federico II, gli Aquino si imparentarono con l'imperatore quando Tommaso II sposò, intorno al 1230, Margherita di Svevia; egli svolse importanti incarichi e fu inviato nel 1249 come capitano imperiale nel ducato di Spoleto. Dalla morte dell'imperatore, però, fino alla battaglia di Benevento prese alternativamente le parti del papa e degli Svevi, ma infine si accordò con Carlo I d'Angiò, stabilendo un legame che rimase solidissimo fino alla sua morte avvenuta nel 1273; l'erede della contea di Acerra, il figlio Adenolfo, fu a sua volta un alto dignitario di corte, ma cadde purtroppo in disgrazia presso Carlo II che lo sospettò di tradimento.

Anche Riccardo di Fasanella, giustiziere in Principato, la provincia dalla quale proveniva e dove aveva beni feudali, appartenne a una famiglia di feudatari ampiamente utilizzati da Federico con importanti incarichi nel Regno ed extra Regnum. Figlio di Guglielmo di Fasanella, fratello di Pandolfo, Matteo, Gilberto e Tommaso, aveva sposato Filippa, figlia di Tancredi de Palude, che era titolare della baronia di Fasanella. Il fratello Pandolfo fu inviato come vicario imperiale in Toscana dove riuscì a conquistare molte terre e città alla causa ghibellina, sia attraverso delicate azioni diplomatiche, sia grazie a coraggiose e lunghe battaglie. Pandolfo e Riccardo parteciparono però alla congiura di Capaccio: mentre il primo si salvò e, tornato nel Regno con Carlo I, iniziò un rapporto di collaborazione con il nuovo sovrano che s'interrup-pe solo con la morte e che lo portò a essere uno dei più fedeli giustizieri dell'Angioino (in Terra di Bari nel 1266), Riccardo fu tra quelli che insieme a Francesco Tebaldo, asserragliatisi a Capaccio, resistettero per quattro giorni all'assedio dell'esercito imperiale, fino a quando, costretti alla resa, furono catturati e fatti giustiziare crudelmente dall'imperatore.

Durante il regno di Federico si cominciò a individuare così un cliché che divenne evidente e preponderante con il governo angioino e che era già persistente tra i maestri giustizieri di Federico: alcuni ufficiali appartenevano a famiglie che erano utilizzate sia nel Regno che fuori del Regno con importanti funzioni politiche, militari e diplomatiche, di rappresentanza della monarchia. Il fatto che questo genere di carriera divenisse poi con la metà del Duecento un percorso amministrativo quasi obbligato per i giustizieri fu dovuto alle trasformazioni che subirono gli uffici. Come rappresentanti del sovrano, amministratori della giustizia, addetti all'ordine pubblico e al mantenimento della pace, con tutti i mezzi loro concessi, i maestri giustizieri si trovavano spesso a esercitare accanto alle funzioni giudiziarie anche funzioni militari e diplomatiche. La loro carriera si compiva così anche extra Regnum in questi stessi ambiti amministrativi e quando con Manfredi, e poi soprattutto con Carlo I, buona parte delle loro competenze passò di fatto ai giustizieri, furono questi ultimi a ereditare, per così dire, anche un certo genere di percorso da seguire nella loro vita amministrativa. Prima di allora, per i giustizieri di Federico, questo tipo di carriera, come si è detto, finì per coinvolgere più che i singoli ufficiali le famiglie cui essi appartenevano.

Le vicende dell'Aquino e dei Fasanella consentono di mettere a fuoco un altro importante aspetto del personale preposto al giustizierato: la capacità di riconversione e l'ambiguità politica che contraddistinse la storia di alcuni di questi ufficiali. Anche Pietro da Eboli, dominus Eboli, giustiziere insieme con Nicola de Cicala nel 1226 in Terra di Lavoro, ebbe un discendente, probabilmente il figlio, Tommaso, che fu giustiziere di Carlo nel 1282-1283 in Val di Crati e Terra Giordana. Un altro figlio di Pietro, Marino, e due parenti, Enrico de Eboli e Rainaldo de Guasto, fecero parte dell'amministrazione a vario titolo; ma il casato degli Eboli era diviso già nel XIII sec. in due rami, uno di parte ghibellina e uno di parte guelfa. Apparteneva a quest'ultima il cardinale Tommaso, forse fratello di Pietro, che cercò durante tutto il corso della sua vita di adoperarsi per una soluzione amichevole dei conflitti tra il papa e l'imperatore, ricevendo in cambio da parte di Federico fiducia e stima.

Le esemplificazioni che si sono fatte fin qui consentono ancora due brevi considerazioni. In primo luogo l'incarico, che richiedeva in linea teorica competenze di tipo amministrativo, giudiziario e militare, in realtà finiva con l'essere ricoperto da personaggi che difficilmente avevano una preparazione tecnica e giuridica: erano i rapporti di familiaritas con il sovrano che determinavano l'affidamento di una carica già prestigiosa che con il tempo subirà sempre più un sovradimensionamento rispetto alle funzioni per le quali era stata pensata dal legislatore. In secondo luogo i dati relativi ai giustizieri non lasciano dubbi anche sul fatto che all'interno del gruppo di ufficiali addetti all'amministrazione periferica cominciò a delinearsi un insieme di personaggi, appartenenti ai grandi casati del Regno, che passò indenne attraverso il susseguirsi delle varie dinastie e che ricoprì un ruolo di preminenza sociale già nel periodo svevo. Tra i giustizieri di Federico II si registrò così la presenza di quella nobiltà cavalleresca formatasi a corte (Kamp, 1977) e debitrice verso l'imperatore di onori e ricchezza, che però spesso non lasciò traccia di sé nelle amministrazioni successive; nel contempo si stagliò nel corso degli anni, con sempre maggior evidenza, un ceto baronale di più antica origine e ben più radicato nella compagine amministrativa del Regno. Aquino, Acquaviva, Eboli furono i grandi casati le cui vicende, più che essere condizionate dalla politica e dai favori dell'imperatore, sembrarono invece determinare il destino delle monarchie meridionali. Molti di loro, insieme ai maestri giustizieri, nel 1246 parteciparono alla congiura di Capaccio e, pur facendo parte dei gangli più alti dell'amministrazione, cercarono di rovesciare il governo dell'imperatore appoggiando il papa e il partito guelfo. Le ragioni di questa ribellione da parte di chi aveva onori e ricchezze esulano da questa nota, ma è necessario ricordare ancora una volta che molti di questi, scampati all'ira dell'imperatore, torneranno con Carlo d'Angiò: i rapporti personali e di vicinanza con l'imperatore furono traditi da chi, in una particolare congiuntura storica, vide più conveniente allearsi con il papa e optare per la fazione guelfa.

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