Protestantesimo

Enciclopedia del Novecento (1980)

Protestantesimo

Heinz-Horst Schrey

di Heinz-Horst Schrey

Protestantesimo

sommario: 1. L'autocomprensione odierna del protestantesimo: a) genesi storica; b) distinzione tra veteroprotestantesimo e neoprotestantesimo; c) il principio protestante. 2. La spiritualità protestante. 3. La teologia protestante del Novecento: a) gli inizi: il Kulturprotestantismus tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento; b) teologia dialettica e rinascita luterana; c) demitizzazione e nuova ermeneutica; d) socialismo religioso e teologia del kairos; e) dalla ‛teologia della relazione' alla ‛teologia del mutamento'. 4. Il protestantesimo come ‛religione politica': a) luteranesimo e germanesimo; b) il calvinismo e l'American dream; c) dopo la seconda guerra mondiale. 5. L'influsso del protestantesimo sul mondo moderno. 6. Sociologia del protestantesimo: a) il protestantesimo come ‛istituzione'; b) il protestantesimo come ‛evento'; c) aspetti sociopsicologici del protestantesimo. 7. Protestantesimo ed ecumenismo: a) il protestantesimo mondiale sulla strada dell'unità delle Chiese; b) dialogo fra protestantesimo e cattolicesimo; c) l'impegno ecumenico del protestantesimo odierno. 8. Crisi e futuro del protestantesimo: a) la crisi ecclesiale del protestantesimo; b) la dimensione politica della crisi; c) crisi dell'etica protestante?; d) la crisi nei rapporti col mondo. Il secolarismo; e) la ‛fine dell'età moderna' segna anche la fine del protestantesimo? □ Bibliografia.

1. L'autocomprensione odierna del protestantesimo

a) Genesi storica

Il termine ‛protestantesimo' serve a designare globalmente una molteplicità di comunità cristiane, che si autodefiniscono per lo più ‛evangeliche' e hanno in genere la loro origine nella Riforma del XVI secolo, anche se non di rado si sono costituite più tardi. Il termine, a pnmu vista negativo, ‛protestante' ricorda la solenne ‛protesta' con cui, nel corso della seconda dieta imperiale di Spira (1529), la minoranza evangelica, ritenendosi oppressa, si contrappose alla maggioranza cattolica. In effetti, in tutte le forme di protestantesimo la contrapposizione al cattolicesimo è rimasta viva fino ai nostri giorni; sarebbe però errato vedere nel protestantesimo un movimento di pura negazione, privo di elementi positivi. Il protestantesimo contemporaneo considera invece molto importante il fatto di essere inteso non come una semplice variante negativa del cristianesimo, bensì come un'espressione positiva di elementi cristiani originari. Sarebbe inoltre errato vedere nella Riforma solo un movimento tedesco di rivolta contro il centralismo romano. In un senso più ampio, il protestantesimo si considera come un'espressione genuina del principio cristiano e al tempo stesso come una sintesi culturale adeguata allo spirito dell'età moderna, capace cioè di liberare il cattolicesimo dai suoi legami col mondo antico e medievale, inserendolo nell'età moderna.

Pur avendo la sua origine storica nella Riforma di Lutero, il protestantesimo non è rimasto chiuso nei confini del luteranesimo tedesco: a dargli la sua fisionomia hanno contribuito sia i movimenti di riforma sorti a Zurigo (Zwingli) e a Ginevra (Calvino), sia l'ala sinistra' - la cosiddetta Schwärmertum - formata dai gruppi battisti e mennoniti, ai quali si affianca oggi, con le sue forme entusiastiche di devozione, il movimento dei pentecostali. Nel Cinquecento le comunità della Schwärmertum furono combattute e represse dalle Chiese maggiori, e oggi hanno tutt'al più lo status di Chiese libere. In seguito alle guerre di religione del Seicento le Chiese riformate, in origine limitate all'Europa centrale e occidentale, si diffusero anche nell'America del Nord. A partire dal Settecento, nei territori asiatici e africani colonizzati dagli europei sorsero Chiese missionarie che, dipendenti in un primo tempo dalle rispettive Chiese madri, oggi tendono ad affermare la propria indipendenza ('giovani Chiese'). Con l'intensificarsi dell'emigrazione europea verso l'America Latina nell'Ottocento, anche in quelle regioni, fin allora esclusivamente cattoliche, cominciarono a costituirsi Chiese protestanti; altre piccole comunità sorsero, soprattutto sotto l'influsso della propaganda evangelica di origine americana, nei paesi latini dell'Europa meridionale. Nell'Europa orientale (Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, paesi baltici e balcanici) le Chiese protestanti - formatesi in parte in modo autoctono fin dal tempo della Riforma, in parte in seguito alla colonizzazione tedesca - hanno subito gravi perdite dopo l'instaurazione dei regimi comunisti e il forzato esodo, dopo il 1945, delle popolazioni di origine germanica.

b) Distinzione tra veteroprotestantesimo e neoprotestantesimo

Il protestantesimo del Novecento deve fare i conti con le proprie articolazioni storiche, in quanto esse sono tuttora vitali sia sul piano istituzionale, sia nelle tendenze teologiche o nelle correnti che si formano all'interno delle struttuture ecclesiastiche. È importante a tale riguardo la distinzione tra veteroprotestantesimo e neoprotestantesimo, divenuta abituale nella scienza teologica. Il veteroprotestantesimo reca l'impronta dello sviluppo teologico ed ecclesiale del Cinque e Seicento, che ha prodotto confessioni di fede rimaste ufficialmente valide per tutte le Chiese protestanti. A tutte comuni sono le tre ‛esclusività': contro il principio cattolico della tradizione viene affermata l'autorità esclusiva dell'Antico e del Nuovo Testamento in materia di fede (sola scriptura); contro la giustificazione cattolica per le opere - cioè contro la possibilità di contribuire con le opere buone alla propria salvezza - viene sostenuta l'esclusività del dono divino della Grazia nella fede (sola fides); contro il principio ecclesiastico cattolico, che privilegia l'ufficio sacerdotale e l'amministrazione del patrimonio delle opere buone da parte della Chiesa, viene messa in risalto l'esclusività del dono divino della salvezza in Gesù Cristo (solus Christus). Questa base dottrinale comune permane tra i protestanti anche se a volte la sua interpretazione teologica ha dato origine a controversie fra luterani, calvinisti e ‛ala sinistra', con divergenze riguardanti la dottrina della predestinazione, la cristologia e la dottrina dell'eucaristia, come pure problemi di etica sociale. Quanto più si fa strada nel nostro secolo la consapevolezza della relatività storica di queste divergenze, tanto più si sgombra il terreno per tentativi seri di unificazione interconfessionale (come la Leuenberger Konkordie del 1971-1973 tra luterani, uniti e riformati) o di fusione tra le chiese (v. cap. 7, § a).

È stato affermato (per es. da E. Troeltsch) che spiritualmente il veteroprotestantesimo appartiene ancora al Medioevo, e che quindi solo col neoprotestantesimo o ‟secondo protestantesimo" (R. Prenter) si è avuto propriamente l'inserimento della Riforma nel mondo moderno: evento non inferiore, per dimensioni e per carica rivoluzionaria, al passaggio della cristianità dall'Antichità al Medioevo. Nemmeno il neoprotestantesimo puo' dirsi unitario, avendo subito il duplice influsso dell'illuminismo e del pietismo, con la conseguente nascita, secondo M. Schmidt, di una tendenza ‟estensiva" e una tendenza ‟intensiva". Nella prima, tipica dell'illuminismo, la ragione diventa fondamento critico della conoscenza e criterio teologico, il che porta a mettere in questione l'unicità della rivelazione divina e della storia della salvezza, nonché a una relativizzazione storica della figura di Cristo. L'affermarsi dell'indagine storicocritica delle Scritture e l'adozione di metodi critici in teologia sono caratteristici della teologia protestante e ne determinano in gran parte ancor oggi lo stile. Il neoprotestantesimo si libera dalla rivelazione del Libro, dalla soggezione all'interpretazione letterale della Scrittura, affiancando alla Bibbia i ‛libri' della natura e della storia, anch'essi destinati a rivelarci l'essenza di Dio.

Il dibattito intorno alla verità religiosa non viene deciso dal magistero della Chiesa o dall'autorità degli esegeti biblici, ma rappresenta un processo aperto, in cui il verdetto non è stato ancora emesso. Più che di fede, si parla di religione, intesa come soggettiva disposizione dell'individuo, suscettibile di accogliere vari influssi; s'indaga l'‛essenza del cristianesimo', cercando di separare le verità essenziali da ciò che è secondario e accessorio; Gesù non appare più come il divino Redentore, ma come un maestro di saggezza disposto a farsi uomo tra gli uomini. Il neoprotestantesimo è aperto ai valori della cultura moderna e ritrova l'orma di Dio non solo nella Bibbia ma in ogni anima umana, nella bellezza della creazione artistica, nel finalismo della natura. Quest'ampliamento d'orizzonte, sentito come fonte di nuove possibilità per la fede cristiana, guida l'uomo protestante a un incontro aperto e attivo col mondo.

A quest'aspetto ‛estensivo' del neoprotestantesimo si contrappone il movimento pietistico. Nato dal luteranesimo e dal calvinismo sul finire del Seicento e fiorito nel Settecento, il pietismo non sfociò in Germania nella fondazione di una propria Chiesa (fatta eccezione per la Comunità dei Fratelli herrnhutiana), a differenza dal metodismo anglosassone. I pietisti cercano di opporsi al pericolo insito nell'illuminismo, e cioè allo smarrimento del centro della Riforma: la fede nel significato decisivo del Cristo e delle Sacre Scritture. All'eccessiva fiducia in sé degli illuministi il pietismo contrappone il messaggio dell'imperfezione di un mondo affetto dal peccato, e insiste sull'espiazione attraverso il sangue di Gesù, sul suo ritorno e sulla necessità di una rigenerazione individuale. Alla tendenza ‛estensiva' del protestantesimo, orientata verso l'accettazione gioiosa e la trasformazione del mondo, fa dunque riscontro nel pietismo un atteggiamento rivolto all'intensità della fede personale e alla conversione del singolo.

La dialettica che si delinea nel neoprotestantesimo preannunzia la dinamica e la problematica del protestantesimo contemporaneo. I due poli sono da un lato una sintesi di mondo e regno di Dio, dall'altro un isolamento che si risolve in una diastasi totale dalle responsabilità verso il mondo e dalla totalità della vita. Questa polarizzazione si manifesta sia nella formazione di gruppi particolari sia nei dibattiti teologici all'interno delle Chiese maggiori.

Vi sono negli Stati Uniti Chiese protestanti che si autodefiniscono ‛evangeliche' o ‛fondamentaliste' (che cioè si collocano sul terreno delle verità cristiane irrinunziabili), alle quali se ne contrappongono altre (come la Chiesa unitariana o quella universalista) che potrebbero considerarsi appartenenti al ‛protestantesimo libero'. Nelle Chiese nazionali europee questo contrasto dà origine a contrapposizioni anche sul piano organizzativo (nella Germania occidentale, per es., all'Evangelischer Kirchentag si contrappone l'Evangelischer Gemeindetag).

c) Il principio protestante

Nonostante la diversificazione delle sue tendenze, il protestantesimo ha saputo giustificare, nella storia e nella realtà concreta, la sua presenza specifica accanto al cattolicesimo. Secondo una concezione ispirata alla filosofia hegeliana della storia, il protestantesimo e il principio protestante in esso immanente hanno fatto la loro apparizione nel mondo cristiano in un momento provvidenziale. Rispetto alla forma greco-ortodossa e cattolico-romana del cristianesimo, la Chiesa ha trovato nel ‛principio protestante' una nuova rappresentazione dell'acquisizione oggettiva e soggettiva della salvezza. Il conseguimento individuale della salvezza caratterizza la ‛fase evangelica' del cristianesimo, che è stata raggiunta nel protestantesimo ed è da ritenersi più elevata delle fasi precedenti, delle quali reca in sé l'essenziale, includendole come potenzialità giunte ormai storicamente a maturazione. Pertanto il protestantesimo, se da un lato ha messo in risalto i propri legami con la storia della Chiesa e con l'impegno ecumenico (v. cap. 7), dall'altro ha però considerato come provvidenzialmente necessaria la propria particolare posizione.

Se si concepisce il principio protestante come un elemento della storia, mettendo in relazione la sua specifica caratterizzazione storica con l'espansione germanica e anglosassone degli ultimi tre secoli, allora l'esaurirsi di quest'espansione dovrebbe portare fatalmente con sé la sua fine. A questa concezione si contrappone l'altra - rappresentata, per esempio, da P. J. Tillich (v., 1948) - secondo cui il protestantesimo è un principio eterno, non ristretto a una data fase della storia del cristianesimo ma rintracciabile anche nel profetismo ebraico e nella figura di Gesù. Il principio protestante nasce dalla natura teonomica della civiltà, ossia dalla trascendenza che traspare da ogni forma finita di pensiero e d'azione; questa teonomia respinge sia l'orgogliosa autonomia dell'‛umanesimo profano (quale si manifesta oggi, per es., nel marxismo o nell'esistenzialismo), sia un'eteronomia come quella implicita nel cattolicesimo e nelle sue esigenze di soggezione incondizionata alla Chiesa e all'infallibilità papale. Il principio protestante è sotto molteplici aspetti un principio critico: esso si oppone tanto alle cristallizzate strutture gerarchiche della Chiesa e al suo ritualismo volto al passato, quanto all'entusiastico utopismo delle sette. Il principio protestante si sforza di evitare al tempo stesso conservatorismo e utopismo, mantenendosi su una posizione di ‛realismo della fede' ugualmente lontana da un superficiale empirismo e da un idealismo che scavalchi la realtà.

Il principio protestante è di per sé dialettico, in quanto considera la Chiesa come portatrice della Grazia, senza però identificarla con la forma definitiva della Grazia: la fede, pur richiamandosi ai dati offerti dalla tradizione e dalla storia, tende continuamente verso un'esperienza e una reinterpretazione proprie. Il protestantesimo si considera quindi come l'avvio a un modo nuovo di essere cristiani, nel quale vengono superati sia il sacramentalismo ‛demonico' - il pericolo del cattolicesimo - sia lo svuotamento profano proprio della cultura laica.

Rientra nel carattere critico del protestantesimo la sua capacità di autocriticarsi, riconoscendo che spesso la struttura tipico-ideale suaccennata non trova riscontro nella realtà storica. Può accadere così che il principio critico si riduca a un anticattolicesimo di superficie, per cui Cristo diventa un modello etico ma perde d'intensità in quanto fondamento del nuovo modo di essere; alla certezza della salvazione subentra la sicurezza di sé dell'individuo morale autonomo, e alla forza numinosa dei simboli cristiani si sostituisce l'arido intellettualismo della ‛pura dottrina': elementi tutti che rendono il protestantesimo così ostico agli occhi dei cattolici.

2. La spiritualità protestante

Dall'analisi della sua genesi storica risulta che il protestantesimo è una formazione altamente differenziata, e di ciò si dovrà tener conto in ogni fenomenologia della spiritualità protestante. Vi sono tuttavia alcune strutture originarie che sembrano conservarsi in tutte le forme storicamente divergenti di protestantesimo. Alla base della religiosità protestante vi è un'autoesperienza dell'uomo strettamente connessa con la sua finitezza. Lutero scopre la propria incapacità di far fronte alle richieste assolute di Dio, quali gli si presentano nel decalogo, nel discorso della montagna e nella sua stessa coscienza: ciò che egli avverte in sé è un immiserimento dell'Io e una colpevole inadempienza, derivanti dal sentire la propria esistenza come ‛esistenza al cospetto di Dio'. Questo riconoscimento dell'impotenza umana di fronte all'onnipotenza divina è il primo momento strutturale della religiosità protestante; ma questa faccia negativa dell'immagine di Dio Padre è solo l'oscuro sfondo su cui spicca, tanto più luminosa, l'esperienza salvifica. Ai sentimenti d'angoscia e di disperazione circa la propria capacità di conseguire la salvezza (come ottenere la Grazia divina?), all'insufficienza e alla finitezza dell'uomo vengono contrapposte la figura di Cristo, la sua Croce e la sua resurrezione. Nella Croce viene superata ogni colpa degli uomini: chi ha fede nell'atto di riconciliazione compiuto da Dio in Cristo avverte la propria giustificazione come un dono della Grazia divina, ricevuto indipendentemente dai propri meriti. La salvezza non è alla nostra portata, non può essere garantita da nessuna istanza umana o ecclesiastica: il cristiano deve quindi lasciare da parte tutte le garanzie umane, e solo attraverso la morte del vecchio uomo può pervenire al modo nuovo di essere. Tuttavia per Lutero non si tratta di una condizione visibile, raggiungibile hic et nunc: la ‛morte del cristiano' si compie piuttosto in una ‛penitenza quotidiana'. In ciò si manifesta un duplice carattere tipico della spiritualità protestante: a) la fede cristiana non è più un concetto statico, per così dire una ‛cifra' metafisica, ma diviene un processo esistenziale che si attua ogni volta di nuovo nel singolo credente, e solo in questo attuarsi testimonia la sua realtà (viene così accolto nella spiritualità protestante un importante elemento mistico, il prolungarsi dell'evento salvifico nell'esistenza di ciascun credente); b) altrettanto tipica è poi l'individualizzazione dell'evento salvifico, che ha luogo nell'esperienza vissuta del singolo e rispetto al quale la Chiesa, in quanto istituzione salvifica, riveste unicamente una funzione secondaria come mediatrice del messaggio divino e comunità dei credenti, mentre perde ogni capacità d'intercessione fondata sul patrimonio delle opere buone dei santi.

Componente essenziale della religiosità protestante è il sentimento che ‟Dio va trovato, contro ogni parvenza, in un'abissale fiducia e audacia del cuore: in altre parole, non esiste per il cristiano una conoscibilità immediata, una garanzia e afferrabilità del divino" (E. Hirsch). La reificazione del sacro operata dalla Chiesa nel culto e nei sacramenti, nell'istituzione e nel diritto svanisce di fronte all'autorità vivente, alla parola diretta del Cristo evangelico. La spiritualità protestante è dunque una religiosità essenzialmente cristologica, che riconosce in Gesù l'unico valido mediatore divino, escludendo quindi i santi, il papa e il clero. Di conseguenza, due elementi assumono un'importanza del tutto diversa che nel cattolicesimo: la coscienza e la libertà. La verità cristiana deve dimostrarsi tale dinanzi al foro della coscienza e non può essere imposta da un precetto ecclesiastico: la spiritualità protestante respinge come eteronomo ogni legalismo. Appartiene all'essenza della libertà cristiana che il credente non sia soggetto ad altri che a Dio; il principio critico di questa spiritualità sta nel fatto che la coscienza divenuta vivente nella fede e nello spirito riconosce solo ciò che Dio insegna direttamente. Una libertà siffatta non ha niente a che vedere con la facoltà, che distingue l'uomo dagli animali, di decidere i propri atti secondo ragione: è invece una libertà conferita da Dio, rispetto alla quale il volere naturale dell'uomo risulta non libero, ossia impotente a compiere ciò che è intrinsecamente buono agli occhi di Dio. Una simile posizione è stata definita ‛pessimismo antropologico'; ma si tratta di un'espressione imprecisa, in quanto il protestantesimo considera nel contempo l'uomo nel contesto positivo della creazione divina, e può quindi affermare che vi sono ordinamenti naturali (come il matrimonio o l'attività professionale) che non sono affatto in sé ‛cattivi', ma sono al contrario ‛rimedi contro il peccato'. Nasce così l'atteggiamento protestante del ‛realismo della fede', ossia di una religiosità aperta positivamente al mondo e alla vita, alla cultura e alla natura. In ogni caso, è estranea a tale atteggiamento ogni concezione gnostico-manichea del mondo come regno del demonio, sebbene alcune forme di pietismo si siano pericolosamente accostate a una simile posizione.

Certe strutture di questa spiritualità sono sopravvissute, sebbene il neoprotestantesimo consideri superate molte concezioni della teologia riformata. Dietro il protestante sta quella personalità etico-religiosa che, emersa all'inizio dell'età moderna, è diventata - sia come ideale che come molteplice realtà vissuta - una forza determinante della cultura moderna. Lasciando da parte l'impronta specificamente religiosa cui abbiamo accennato, dovuta ai riformatori del Cinquecento, questa personalità è contrassegnata da tre caratteristiche: a) il protestante crede nell'autonomia della coscienza ed è fermamente deciso a far valere come ultima istanza solo la voce della coscienza, anche contro le istanze politiche o ideologiche che pretendano di dominarla o di guidarla. Una simile autonomia può essere intesa come profondo legame con Dio, la cui volontà viene interiorizzata dalla volontà individuale, ma anche, nella sua forma secolarizzata, come tracotante indipendenza nei confronti di Dio: la filosofia di Kant è equidistante dalle due concezioni e cerca di fonderle in una sintesi; b) il protestante si considera come una personalità etica, in quanto la sua coscienza è vincolata a norme e ideali etici; pertanto la spiritualità protestante, pur avendo accolto in sé alcuni tratti mistici, non potrà mai smarrirsi nel puro misticismo: non si ha infatti una dedizione esclusiva a Dio, con il correlativo disinteresse per i rapporti col mondo e con gli altri uomini. Piuttosto, il protestante secolarizzato corre il rischio di perdere di vista Dio per dedicarsi interamente all'azione mondana; c) l'interiorità del protestante ha le sue radici in un profondo individualismo, dovuto innanzi tutto al fatto che è rimasta per così dire priva di oggetto la funzione tutelare e soccorritrice della Chiesa, ridotta a semplice mediatrice della Parola di Dio agli uomini. Inoltre, l'interpretazione della Scrittura, unica istanza normativa riconosciuta dai protestanti, non è regolata dal magistero ecclesiastico, ma è lasciata all'ispirazione individuale del singolo interprete: avviene così che uno dei massimi rappresentanti della teologia liberale del nostro secolo, A. von Harnack, esalti ‟l'infinito valore dell'anima umana" come uno dei principali contenuti del Vangelo, e l'autonomia della coscienza morale viene fondata sullo statuto metafisico dell'anima individuale.

Rimane in ogni caso un fatto storicamente incontestabile che la civiltà fondata sulla personalità etico-religiosa, propria di questi ultimi secoli, ha trovato la sua forma più vigorosa nella sfera del protestantesimo. Tipico della spiritualità protestante è l'abito della riflessione (H. Schelsky), la soggettività riflessiva che non rinunzia del tutto a se stessa in nessun adempimento sociale, da cui non si lascia determinare. Nel puritanesimo questa soggettività porta a una scrupolosa autosservazione, a un autoesame i cui risultati sono registrati nei diari.

Nei rapporti con gli altri la regola è data dal self-control, ossia da un comportamento che non si abbandona mai all'emozione del momento e che ha dato origine al tipo dell'anglosassone freddo e riservato, che raffrena i propri sentimenti. Nell'illuminismo e idealismo tedesco predomina l'ideale dell'uomo responsabile e fidente in se stesso, che trova la sua espressione letteraria in Herder, Lessing, Goethe e Schiller, e la sua espressione filosofica in Kant, Fichte, Schelling e Hegel. Inizialmente, non vi è conflitto tra umanesimo moderno e fede cristiana, e anzi i rappresentanti di questa cultura sono ben consapevoli ch'essa nasce sul terreno del protestantesimo. Vi è in tale consapevolezza un impulso verso l'infinito, verso il futuro come simbolo della trascendenza, come anche una componente escatologica derivante dalla coscienza che l'uomo sulla terra non potrà mai trovare pace, ma sarà sempre in cammino verso il nuovo, in cerca di una verità che non riuscirà mai a possedere completamente. Quest'elemento escatologico trova la sua espressione profana nell'anelito del romanticismo verso l'infinito, più che nella tendenza del classicismo alla perfezione formale. È un'inquietudine che può risolversi da un lato in un rassegnato ripiegamento (withdrawal) nell'interiorità e dall'altro in un agire volto a trasformare il mondo, agire che ‛si secolarizza' nelle conquiste coloniali (imperialismo anglosassone) o nella cosiddetta ‛teologia della rivoluzione'.

Il protestante vive in un mondo in cui il Divino è demitizzato: in ciò consiste la grandezza e al tempo stesso la miseria del protestantesimo. Il mondo dell'essere divino, il mondo della salvezza non può mai essere considerato in analogia con quello terreno, non può mai essere reificato e conserva quindi il suo carattere di alterità totale. Ciò che il protestante chiama Dio è l'interiore trascendenza della propria essenza creaturale; ed è appunto qui il pericolo della secolarizzazione: è infatti possibile che questa trascendenza interiore si riduca a una parte dell'uomo, nel qual caso Dio non sarebbe altro che una proiezione dell'umano nel cielo delle idee (Feuerbach), e l'essenza nascosta della divinità (deus absconditus) si identificherebbe con l'essenza nascosta dell'uomo (homo absconditus).

Caratteristica della spiritualità protestante è l'idea che la rivelazione divina sia tuttora incompiuta e che la storia della salvezza non sia un processo già concluso. L'idea protestante è anzi legata a una dialettica aperta: a differenza del cattolico, il protestante assume la confessione di fede della Chiesa come base per la formazione di una comunità religiosa e per la creazione di convinzioni comunitarie, che sono però soggette a una continua trasformazione. ‟Il protestantesimo muove dal simbolo verso l'infinito; il papismo muove verso il simbolo come se fosse un fine ultimo" (Fichte).

3. La teologia protestante del Novecento

a) Gli inizi: il Kulturprotestantismus tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento

Il primo quarto del nostro secolo è ancora largamente dominato dalla teologia del neoprotestantesimo o Kulturprotestantismus, in cui il cristianesimo è inteso soprattutto in chiave storica e psicologica: si tende cioè ad approfondire la genesi storica del cristianesimo, a porre la questione del ‛Gesù storico', distinguendolo dal successivo Cristo dogmatico della Chiesa. Inoltre, la scuola storico-religiosa (Troeltsch e altri) intraprende il confronto tra il cristianesimo e le altre religioni universali, ponendosi la questione del valore assoluto del cristianesimo e risolvendola a suo favore, in conformità al senso di superiorità culturale delle stirpi germanico-anglosassoni. L'essenza del cristianesimo viene identificata con tre punti irrinunziabili: il rapporto personale con Dio, suscitato dalla persona di Gesù (W. Herrmann); l'amore del prossimo; la fede nell'infinito valore dell'anima umana (A. von Harnack, Das Wesen des Christentums, Leipzig 1900). Nel campo etico, viene messa in risalto l'importanza del leale adempimento dei propri doveri professionali e civici (A. Ritschl); si esprime in ciò la convinzione che nel progresso tecnico e culturale si manifesti il progresso del regno di Dio sulla terra.

b) Teologia dialettica e rinascita luterana

Gli sconvolgimenti prodotti dalla prima guerra mondiale influirono anche sulla teologia e sulla Chiesa; nella Mitteleuropa, la crisi delle strutture politiche scosse la fede ottimistica nella capacità umana di edificare il regno di Dio in terra. I rappresentanti della ‛teologia dialettica' (Barth, Gogarten, Thurneysen, Brunner, Bultmann) e della cosiddetta ‛rinascita luterana' (K. Holl, W. Elert e altri) si sforzarono di rinnovare la teologia, ricollegandola a quella di Lutero e all'ortodossia veteroprotestante. Karl Barth ha insistito sulla diastasi tra Dio e l'uomo, tra il regno di Dio e la civiltà umana. Oltre che dal ritorno alla Riforma e all'ortodossia, la teologia protestante trasse stimoli di rinnovamento dall'accoglimento di motivi propri della filosofia dell'esistenza (M. Heidegger, Sein und Zeit, Halle-Saale 1927), della filosofia del rapporto Io-Tu (M. Buber, Ich und Du, Leipzig 1923) e del pensiero di S. Kierkegaard. La teologia non fu più intesa come scienza generale delle religioni, bensì come teologia della parola di Dio, come autointerpretazione della rivelazione divina contenuta nella Scrittura; il suo scopo è servire all'annunzio.

Kierkegaard ha messo in evidenza che il cristianesimo non è solo una forma particolare di religione umana, ma una realtà paradossale per cui l'eternità - nella figura di Gesù Cristo - irrompe nel tempo. Partendo dalla filosofia del dialogo (Buber, Ebner, Rosenzweig), E. Brunner ha cercato di concepire la verità cristiana come incontro con la persona di Dio, così da evitare sia il soggettivismo di una teologia poggiante sul sentimento umano, sia l'oggettivismo di una teologia cristallizzata nella staticità metafisica.

La concezione della storia propria della nuova teologia protestante ha trovato forse la sua migliore formulazione in Fr. Gogarten. Sulla scia del positivismo di A. Comte, egli scorge nello sviluppo storico tre stadi nettamente distinti: l'età del mito (l'antichità), in cui l'uomo è immerso nel mondo; quella della metafisica, in cui l'uomo s'interroga su se stesso e si riconosce come parte del cosmo; e infine l'età della storia, preparata dai profeti biblici e culminante in Gesù Cristo. In quest'ultima epoca l'uomo, liberato dalla stretta del mondo esterno, vive nel confronto personale con Dio, come colui al quale Dio ha conferito il dominio e la responsabilità del creato. Ne consegue che la moderna secolarizzazione, intesa come impegno dell'uomo nel mondo, è un legittimo corollario della fede cristiana. Solo quando l'uomo non concepisce più come dono e incarico divino il proprio dominio responsabile sul mondo, la secolarizzazione diventa secolarismo, il quale, pretendendo di conseguire la salvezza con l'azione, si trova, esso sì, in contrasto con la fede cristiana.

Il problema del secolarismo viene affrontato anche da D. Bonhoeffer. Egli vede nella ‟Grazia a buon mercato" - ossia nella Grazia che non impegna a nulla e che non pone nel solco della Passione di Cristo - il nemico mortale della Chiesa. Hanno avuto risonanza mondiale le considerazioni di Bonhoeffer sull'interpretazione ‛non religiosa' del cristianesimo, pervenuteci in modo frammentario dopo il suo arresto per la partecipazione alla resistenza tedesca (1943). In un mondo divenuto ‛adulto' non c'è più posto per la religione: occorre quindi cercare una forma nuova e areligiosa di cristianesimo, che prenda sul serio l'al di qua, una forma di cristianesimo che non releghi Dio ai margini della vita, ma lo collochi al suo centro.

c) Demitizzazione e nuova ermeneutica

Della cerchia di Barth fece parte inizialmente anche R. Bultmann, che però s'incamminò ben presto per una via nuova del pensiero teologico. Mentre Barth cerca di risolvere la tensione dialettica tra Dio e l'uomo sul versante di Dio, concependo la fede come ciò che è di là da ogni analogia, l'assolutamente altro rispetto all'uomo, Bultmann parte dalla precomprensione dell'uomo, quale si manifesta in modo esemplare per il nostro tempo nella filosofia dell'esistenza di Martin Heidegger. Nel suo sistema ermeneutico Bultmann riprende alcuni problemi della teologia liberale e storico-critica ottocentesca, continuando direttamente nel protestantesimo odierno quella tradizione. In una conferenza tenuta nel 1941 (Neues Testament und Mythologie), Bultmann espone il suo programma di demitizzazione del Nuovo Testamento, distinguendo l'antica immagine mitologica del mondo che esso presuppone, non più accettabile per l'uomo moderno, dalla vera e propria sostanza dei testi, dal loro contenuto kerygmatico, che si riferisce qui e oggi all'esistenza del singolo chiamandola alla decisione. Questo metodo esegetico, che Bultmann chiama ‛interpretazione esistenziale', dà origine a posizioni alquanto discoste dalla concezione tradizionale della fede cristiana, posizioni che hanno incontrato nella teologia protestante notevoli resistenze, ad esempio allorché la risurrezione di Gesù in quanto evento storico è definita irrilevante. Per Bultmann la teologia non può dedicarsi a tramandare rappresentazioni non credibili; essa dev'essere una grammatica della fede che si sforzi di rendere comprensibile ciò che nel Nuovo Testamento appare incomprensibile, giacché non può esserci fede senza un'autentica comprensione.

d) Socialismo religioso e teologia del kairos

La teologia protestante del Novecento non si è posta solo come restaurazione della Riforma e dell'ortodossia, né si è limitata ad affrontare le difficoltà - di origine ideologica e intellettuale - nei rapporti tra fede cristiana e mondo moderno; essa si è particolarmente interessata anche a una problematica che da tempo è stata indicata come l'evento-chiave della storia della Chiesa a cavallo degli ultimi due secoli: l'urto fra cristianesimo e socialismo. Sebbene gli ambienti teologici ed ecclesiastici fossero per la maggior parte legati alla borghesia, vi fu in campo protestante un gruppo ristretto ma molto vivace di teologi, che si adoperarono per superare la frattura tra una chiesa imborghesita e il proletariato, tra la speranza oltremondana del cristianesimo tradizionale e le speranze terrene dei movimenti socialisti rivoluzionari. Questo ‛socialismo religioso' fu un fenomeno internazionale, che ebbe inizio nell'Ottocento in Inghilterra (F. D. Maurice, C. Kingsley, J. M. Ludlow) e in Francia (A. Monod), per estendersi nel Novecento agli Stati Uniti (W. Rauschenbusch, A theology for social gospel, New York 1917); un centro di socialismo religioso si formò anche in Svizzera (H. Kutter, L. Ragaz). In Germania il movimento prese piede dopo il 1918 (E. Heimann, K. Mennicke, P. Tillich, G. Wünsch). Wünsch, sostenitore di una ‛teologia della realtà', considera come compito della Chiesa l'annunzio della volontà divina a partire dalla realtà storica attuale. Guida spirituale del movimento può essere considerato P. Tillich, per il quale la rivelazione divina non è limitata alla Bibbia, ma si manifesta anche nei movimenti politici e sociali del nostro tempo: tra questi gli appare particolarmente rilevante il socialismo, in cui la critica della società esistente si associa all'aspirazione a una maggior giustizia per le masse. È tipico del ‛realismo della fede' il ritenere che l'attuazione della fede non abbia luogo solo nella teologia e nell'annunzio della Parola per opera della Chiesa, ma anche in mezzo alla profanità del mondo. Nella teologia sistematica elaborata da Tillich dopo la sua emigrazione negli Stati Uniti, appare evidente che egli è, più che un teologo della diastasi come Barth, un conciliatore di opposte posizioni; nel suo ‟metodo della correlazione" si parte dagli interrogativi e dai problemi del presente per cercare a essi una risposta nel Vangelo.

e) Dalla ‛teologia della relazione' alla ‛teologia del mutamento'

Il concetto di neo-ortodossia, così alieno da Tillich, è non meno estraneo a quegli che è forse il maggior teologo americano del nostro secolo, R. Niebuhr. Pur riconoscendo l'illusorietà di alcune posizioni del social Gospel, e soprattutto della poco realistica identificazione del regno di Dio col progresso tecnico, egli non intende tuttavia rinunziare al progresso, in quanto avverte la necessità di attuare i principi cristiani nelle condizioni del mondo presente: Niebuhr vede una continua, ineliminabile tensione fra trascendenza e immanenza, una tensione però in cui la realtà storica non perde mai il suo significato. Altri rappresentanti del realismo cristiano nell'odierna teologia americana sono W. M. Horton e H. P. Van Dusen.

Dopo la seconda guerra mondiale, anche la teologia europea si vede messa di fronte al problema del mutamento sociale; nascono così nuove tendenze: ‛teologia del mondo', ‛teologia della speranza', ‛teologia della rivoluzione'. Teologia del mondo significa presenza dei cristiani nel mondo e tra gli uomini d'oggi, significa impegno nelle situazioni concrete del nostro tempo, al fine di collaborare, con la parola o col silenzio, a umanizzare la vita e così a ‛rendere nuovamente presente' (re-präsentieren) Cristo (J. C. Hoekendijk). Questa solidarietà cristiana col mondo non implica soltanto una paziente partecipazione alla sofferenza, ma anche un elemento di speranza utopica: la ‛teologia della speranza' cessa così di guardare all'indietro verso un modello di ordinamento del creato che non è altro se non una cristallizzazione delle strutture sociali e politiche tradizionali. Questo coraggio dell'utopia è sostenuto dalla fede nel regno di Cristo, inteso non in chiave oltremondana, bensì come un accadere a proposito del quale possa dirsi che il futuro è già cominciato. Il contributo più importante a un simile orientamento è forse quello fornito dal teologo riformato tedesco J. Moltmann (v., 1965).

L'apertura verso la ‟categoria del nuovo" (E. Bloch) implica l'azione rivoluzionaria: dalla ‛teologia della speranza' nasce così la ‛teologia della rivoluzione'. Finora questo termine è stato usato dai teologi per lo più in senso metaforico, intendendosi con ‛rivoluzione' una ‛rivoluzione' del cuore, nel senso della metanoia neotestamentaria; ma adesso il termine è preso alla lettera, soprattutto quando certi teologi americani come R. Shaull intendono con esso riferirsi alla trasformazione delle presenti condizioni sociali nell'America Latina. Quando Shaull afferma che in simili situazioni l'etica della non violenza può non essere l'ultima parola, la teologia della rivoluzione sembra inclinare pericolosamente verso un'ideologia della rivoluzione permanente.

Se, finora, la teologia si è mossa entro i binari della metafisica greca e di categorie concettuali oggettivanti, il suo compito odierno sarà di delineare una teologia post-teistica, che abbia come punto di partenza la ‛morte di Dio'. Le forme estreme di questa ‛teologia della morte di Dio' si riscontrano negli Stati Uniti (T. J. Altizer, W. Hamilton, G. Vahanian, P. van Buren) e in Germania (D. Sölle). Questa nuova radical theology parte dal principio che nel nostro tempo il cristiano può certo parlare di Dio; il contenuto della buona novella sarà però l'annunzio della morte di Dio, l'annunzio di un cristianesimo completamente sgombro da residui mitologici, ivi compresa la rappresentazione di un Dio Padre personale. In H. Cox questa teologia si associa a una ‛teologia del mutamento sociale': la nascente ‛Città senza Dio' fornisce la base necessaria a una futura teologia della rivoluzione. Questa posizione estrema, in cui si fondono elementi di critica storica e di critica sociale, è rimasta limitata a una ristretta avanguardia e non qualifica in alcun modo la teologia attuale nel suo insieme.

4. Il protestantesimo come ‛religione politica'

a) Luteranesimo e germanesimo

Con ‛religione politica' intendiamo l'integrazione simbolica di un popolo, che serva all'omogeneizzazione e all'autoconferma degli individui che lo compongono. La religione politica è uno strumento di autogiustificazione storica, con cui un popolo mistifica la propria origine e glorifica il proprio passato; e anche il protestantesimo è stato una ‛religione politica' per i popoli germanici e anglosassoni. Figure come quella di Lutero nel luteranesimo tedesco e scandinavo o come quelle di Calvino, Zwingli e Knox nei movimenti riformati francese, olandese, svizzero e anglosassone hanno assunto un valore simbolico: in esse quei popoli hanno trovato la propria identità nazionale, oltre che religiosa. La figura di Lutero conserva efficacia ancor oggi come fattore d'integrazione, sia per la sua traduzione della Bibbia, che ha costituito la lingua tedesca come lingua di cultura, sia perché le rimostranze da lui mosse contro Roma prepararono la scissione politica, oltre che religiosa, del suo popolo dall'unità del corpus Christianum medievale. Per il classicismo e l'idealismo tedeschi Lutero è il ‟genio tutelare della libertà" (Fichte), un ‟vero Ercole, che restituì a interi popoli l'uso della ragione nelle cose più ardue, quelle dello spirito" (Herder). La lotta di liberazione prussiana contro Napoleone (1813) e il festival della Deutsche Burschenschaft, svoltosi alla Wartburg nel 1817, furono due momenti culminanti di amalgamazione degli ideali religiosi e nazionali; il processo di formazione dell'identità sia religiosa che culturale del popolo tedesco rimase legato alla persona di Lutero, e confluì nel 1870 nella politica prussiana ‛piccolo-tedesca' che portò alla fondazione dell'Impero.

L'idea che ogni nazione abbia una specifica missione spirituale da svolgere nel mondo, e sia tenuta quindi a lottare con tutte le sue forze per adempierla, fornì durante la prima guerra mondiale un'autogiustificazione ideologica d'intonazione religiosa tanto agli Imperi centrali quanto agli Alleati dell'Intesa. Rispetto al calvinismo, il luteranesimo tedesco ha sempre avuto un rapporto più stretto col romanticismo politico, in cui l'originario rivelarsi di Dio nella storia nazionale, ‛nel sangue e nel suolo', come pure la tradizione religiosa e le usanze popolari, assumono una funzione teologicamente riconosciuta di ‛ordinamenti del creato'. Pertanto il protestantesimo si è presentato come ‛religione politica' soprattutto nelle situazioni in cui una minoranza era costretta a lottare per affermarsi contro una maggioranza di religione o di stirpe diversa: così in Austria, dove il protestantesimo, in quanto religione dei dissidenti politici, fu interpretato verso il 1900 come ‛religione tedesca' (movimento Los-von-Rom), o nelle comunità tedesche stanziate in Ungheria, in Romania e nei paesi balcanici, nelle quali l'amalgama di luteranesimo e germanesimo faceva apparire quest'ultimo come un ‟luteranesimo secolarizzato" (W. Elert).

Sarebbe eccessivo sostenere che l'origine dello Stato nazionale moderno vada ricercata nel protestantesimo: non si spiegherebbe, se così fosse, come si siano potuti costituire forti Stati nazionali in paesi tipicamente cattolici come la Francia, la Spagna o l'Italia. In questi paesi si è avuto però tra Chiesa e Stato un rapporto diverso che nei paesi protestanti. Il clericalismo cattolico accentuato in Italia dall'esistenza dello Stato pontificio è stato sempre un pericoloso concorrente del sentimento nazionale, mentre nei paesi in cui il protestantesimo traeva il proprio diritto all'esistenza dallo ius reformandi dei principi non si è mai giunti a una simile contrapposizione. Vi è stato anzi il pericolo opposto: il principio cuius regio eius religio (coincidenza fra sovranità territoriale e sovranità religiosa) ha favorito finora la divisione politica dell'Europa, e l'identificazione troppo stretta tra fede e sentimento nazionale ha praticamente impedito un orientamento veramente ecumenico del protestantesimo.

b) Il calvinismo e l'American dream

L'identificazione del carattere nazionale con la religione non è un carattere peculiare del luteranesimo tedesco. Mentre quest'ultimo è rimasto più ‛introverso', il calvinismo ha dato maggior risalto alla predestinazione e alla coscienza della propria missione: Dio ha conferito ai suoi eletti il dominio sulla terra (promessa), sulla quale essi regnano perciò con pieno diritto. In tal modo gli Scozzesi e gli Inglesi insediatisi nell'Irlanda del Nord, i Boeri del Sudafrica e i puritani immigrati nel Nuovo Mondo poterono dare un fondamento religioso al loro predominio. Alla consapevolezza della predestinazione - che fra l'altro valse a tranquillizzare la coscienza dei coloni nordamericani nella loro opera di conquista del paese a danno delle popolazioni indigene - si aggiunse la consapevolezza della propria missione: era compito della comunità di Dio lottare per l'attuazione del Suo regno su questa terra. Perfino alla tratta dei negri africani si poté dare una giustificazione religiosa, perché senza la schiavitù i negri non avrebbero mai goduto delle benedizioni della civiltà cristiana. Nel calvinismo, più che nel luteranesimo, il regno di Dio non è concepito solo come fatto interiore, pertinente al futuro o all'aldilà, bensì come compito terreno volto ad affermare hic et nunc, contro tutte le potenze del male, la volontà di Dio.

Da un punto di vista teologico, nel calvinismo e nel luteranesimo si contrappongono due modelli completamente diversi di teologia politica. Nella dottrina dei ‛due regni', Lutero parte dall'idea che Dio governa il mondo in due modi distinti - nello Stato con la spada e la forza, nella Chiesa con la fede e lo spirito - e che questi due modi di governare non devono essere confusi tra loro; il calvinismo ritiene invece, che il mondo intero, ivi compresa la sfera politico-economica, sia soggetto alla sovranità di Cristo. Secondo la dottrina luterana dell'autonomia della politica, in quest'ultima spesso Dio ‟opera miracolosamente": la politica e i suoi metodi non possono essere regolati dalla morale, se si vuole evitare un'inammissibile mescolanza di Stato e Chiesa, di mondo e regno di Dio. La concezione calvinista corre invece il pericolo dell'ipocrisia, nel senso di dare agli interessi profani una motivazione religiosa (‟Parlano di Cristo e intendono cotonina!"). Durante la prima guerra mondiale, questa contrapposizione tra luteranesimo e calvinismo ebbe l'effetto di approfondire il conflitto politico tra Imperi centrali e Intesa.

A livello ideologico, la seconda guerra mondiale segnò il fallimento del romanticismo politico e del tentativo, intrapreso dal nazismo, di attuare - appunto su quella base - una restaurazione politica. Già nel Terzo Reich si era giunti a una rottura: sotto l'influsso della teologia barthiana, d'orientamento calvinista, il gruppo della ‛Chiesa confessante', avversaria intransigente del nazionalsocialismo, vide il carattere diabolico della sintesi di nazismo e cristianesimo e respinse l'idea che Dio potesse valersi di Hitler come strumento della sua ‛provvidenza'.

c) Dopo la seconda guerra mondiale

Il mutamento dei rapporti tra protestantesimo e politica in Germania può riassumersi nella formula: dall'adattamento alla resistenza, dall'ossequio alla vigilanza. Il protestantesimo tedesco è giunto a questo sia per difendere i propri interessi ecclesiali, sia per l'impegno civile derivante dal principio che anche la vita politica sta sotto la sovranità di Dio, sovranità che la Chiesa ha l'ufficio di servire. Il fatto che il protestantesimo tedesco abbia preso posizione su tutti i temi politici importanti (profughi, riunificazione della Germania, pace, riarmo, rapporti coi vicini dell'Est) corrisponde, oltre che ai suoi principi teologici, al suo carattere di Chiesa nazionale. Nella letteratura politica degli anni sessanta emerge chiaramente il nuovo stile della religiosità protestante: più che di essere ‛devoti', questi scritti si preoccupano di essere concreti, giacché ‟in questo scorcio del secondo millennio, la concretezza è al tempo stesso devozione" (D. von Oppen). In questo spirito di responsabilità della Chiesa verso il mondo, la teologia ha avviato un attivo dialogo con le moderne scienze del comportamento.

Negli Stati Uniti, nonostante la separazione ufficiale tra Stato e Chiesa, è possibile osservare la formazione di una civil rligion di derivazione protestante, grazie alla quale sopravvive nell'americano medio l'ideale del white, anglosaxon and protestant. Tale civil religion assume un tono messianico nel richiamo ai Pilgrim Fathers (la colonizzazione dell'America è paragonata all'esodo d'Israele dall'Egitto e alla conquista di Canaan), e può anche degenerare nell'esclusivismo arrogante e nell'imperialismo (guerra del Vietnam). Dietro a tutto ciò sta la speranza escatologica che l'American dream possa realizzarsi sul piano non solo nazionale, ma universale. Questa forma protestante di religione politica, che perpetuerebbe la condizione di privilegio di cui la razza bianca gode negli Stati Uniti, viene respinta dai sostenitori della black theology e dai critici dell'avventura vietnamita: alla civil religion americana, che si risolve in una giustificazione della ‛società rispettabile' e dell'establishment, si contrappone oggi un disestablishment cristiano, un ‛grande rifiuto', nel quale è in gioco il superamento della civil religion e il collegamento dell'universalismo della speranza con la situazione presente degli oppressi e dei reietti. Punti di partenza di questa nuova ‛religione politica' o ‛teologia del politico' sono il divieto veterotestamentario delle immagini e la teologia neotestamentaria della Croce. Da tali premesse potrebbe derivare una revisione permanente delle strutture politiche consolidate e una mobilitazione del popolo perché vengano intensificati al massimo il controllo sulla vita pubblica e la partecipazione politica.

5. L'influsso del protestantesimo sul mondo moderno

La coscienza della raggiunta età adulta è il presupposto per la nascita della moralità moderna, la quale comprende il principio della soggettività e l'aspirazione del singolo a una specifica partecipazione personale alle funzioni vitali della comunità. Entrando, con la Riforma, nella sua fase non ecclesiale, il cristianesimo avvia nell'età moderna una grandiosa opera di compenetrazione di tutti i campi della vita umana, opera da cui solo un occhio inesperto può trarre l'impressione di una scristianizzazione dei tempi. Si è potuto quindi affermare che la civiltà moderna è una civiltà spiccatamente ed essenzialmente protestante (R. Rothe). Ora, l'umanesimo e il rinascimento hanno certo avuto una parte importante nella formazione della nuova civiltà; appare però chiaro che è compito specifico del protestantesimo l'attuare il principio della Riforma, realizzando una forma non ecclesiale di cristianesimo. Ciò vale in verità per il neoprotestantesimo sorto dall'illuminismo e dall'idealismo (il calvinismo appare più del luteranesimo vicino allo spirito moderno); è in ogni caso indubbio che il protestantesimo ha avuto un influsso, se non altro indiretto, sulla formazione del mondo moderno (v. Troeltsch, 1911). Analizzeremo qui di seguito i caratteri di quest'influsso, dando una serie di indicazioni che non hanno alcuna pretesa di completezza e che potrebbero essere facilmente ampliate.

1. La Riforma ha infranto il predominio della cultura ecclesiastica. A partire dal Cinquecento, il mondo occidentale cessa - almeno nei paesi in cui la Riforma ha il sopravvento - di essere interamente soggetto alla guida spirituale della Chiesa, alla quale subentrano sul piano politico il principio dello Stato nazionale e sul piano culturale la libera attività dei laici, i quali, almeno all'inizio, si considerano però ancora cristiani. Le guerre di religione in Germania, in Francia e in Inghilterra ebbero come risultato la fine del dominio esclusivo del cattolicesimo e la coesistenza di almeno tre Chiese che si proclamavano tutte ‛infallibili'. Il crollo della supremazia ecclesiastica fu accompagnato dal sorgere di un atteggiamento scettico nei riguardi di qualsivoglia monopolio ecclesiastico; al tempo stesso, la debolezza - tipica del protestantesimo - delle istituzioni ecclesiastiche indusse a cercare una compensazione nell'appoggio statale.

2. Con l'idea del ‛sacerdozio universale di tutti i credenti' il protestantesimo ha posto le premesse della democrazia moderna. Anche in questo caso, gli effetti non sono sempre direttamente visibili nella forma di governo: specialmente nell'ambito luterano si mantenne la monarchia, mentre nella sfera d'influenza calvinista si andò progressivamente affermando la democrazia. L'influsso ha agito per via indiretta, in quanto l'idea del sacerdozio universale, intesa dapprima in senso religioso, si è tramutata nell'idea della sovranità popolare e nella richiesta di partecipazione a tutti campi dell'attività pubblica.

3. Nell'affermare il principio scritturale (sola scriptura) il protestantesimo ha operato una rottura decisiva con la tradizione; ricollegandosi direttamente alle origini cristiane, ha infatti scavalcato la tradizione posteriore, con il risultato di far apparire il magistero della Chiesa come un inammissibile concorrente della Scrittura. Si è aperta così la strada a un confronto diretto tra la parola di Dio e la coscienza del singolo, guidata non più da un'istanza ecclesiale bensì ‛dall'interno'. Nasce col protestantesimo il tipo dell'uomo ‛autodiretto' (D. Riesman, The lonely crowd, Oxford 1950), che sostituisce il tipo dell'uomo guidato dalla tradizione. Non si tratta più di garantire una conformità del comportamento determinata dall'esterno, di osservare precetti oggettivati nel rito e nelle usanze, ma di sviluppare un'autonomia del carattere, la cui regolazione interiore può essere simboleggiata dalla ‛bussola giroscopica', nel senso che l'orientamento dell'individuo è determinato solo dal confronto con Dio e con la sua Parola. Tuttavia, nel corso dello sviluppo storico questa guida interiore, intesa inizialmente come teonomia, può secolarizzarsi in un'autonomia senza Dio, in una ‟finitezza che si acquieta in se stessa" (P. J. Tillich). Una conseguenza dell'individualismo protestante si manifesta fra l'altro nel moderno diritto penale: nel cosiddetto Pennsylvania system è prevista la cella d'isolamento, con lo scopo di dare al reo la possibilità di fare un esame di coscienza e di pentirsi delle proprie azioni riconoscendole come peccati dinanzi a Dio.

4. Il protestantesimo si fece sostenitore della scoperta e della conferma del mondo nella sua profanità: atteggiamento che ha il suo fondamento teologico nell'idea di creazione e in quella di ‛professione-vocazione' (Beruf). Il mondo è innanzitutto creazione buona di Dio, che noi accettiamo con gratitudine, ma che, per suo incarico, dobbiamo trasformare a sua maggior gloria; a ciò provvede l'impegno nella ‛professione-vocazione' alla quale il cristiano si sente chiamato da Dio. Viene meno così la separazione medievale tra sfera sacra e sfera profana: mondo e società vengono desacralizzati e declericalizzati, senza per questo abolire i diritti di Dio. Sul piano secolare, quest'atteggiamento ha portato a un ‛disincantamento' del mondo; scompaiono cioè i tabù che impedivano all'uomo di disporre liberamente del mondo. Nei paesi a orientamento protestante ciò ha avuto due conseguenze principali: in primo luogo, il mondo è divenuto oggetto d'indagine e di scoperta, il che a sua volta ha fatto nascere in quei paesi un vivo interesse per l'educazione e la cultura; e quindi la tecnica, in quanto strumento di trasformazione del mondo, vi ha trovato un terreno più favorevole che non nei paesi cattolici.

5. Il protestantesimo e l'etica protestante hanno improntato lo spirito del capitalismo moderno, conferendogli una legittimazione religiosa (v. Weber, 1920). Presupposto è l'idea che l'adempimento dei doveri intramondani sia l'unica via per riuscire graditi a Dio; ad essa si aggiunge, per i calvinisti, l'idea che la predestinazione divina si manifesti con effetti oggettivi nella vita mondana, e in particolare nell'indefessa dedizione alla propria ‛vocazione'. Scopo dell'agire nel mondo non è il soddisfacimento egoistico, bensì la glorificazione di Dio e l'edificazione del suo regno nello spirito dell'‛ascesi intramondana'; un'ascesi che non si esercita più nel chiostro, come nel Medioevo, ma nel mondo, e in cui tutto il nostro tempo è concepito come tempo lavorativo, ogni istante del quale dev'essere utilmente sfruttato. Questa concezione severa della vita conferisce a certi tipi di protestantesimo (e specialmente di calvinismo) un tono di tetraggine che non lascia spazio neppure per lo svago innocente: il tempo libero non va sprecato in divertimenti futili, ma deve servire all'edificazione dell'uomo interiore. Un simile stile di vita ha ispirato fino a non molto tempo fa la legislazione inglese sul riposo festivo, sull'apertura delle mescite pubbliche, sulle attività sportive, ecc. A questo proposito, la secolarizzazione porta spesso a conseguenze impreviste, indesiderate e talvolta addirittura in contrasto con l'intento originario. Dalla massima cristiana ‟utilizza il tuo tempo!" si arriva al ‟time is money" di B. Franklin; dalla coscienziosità cristianamente motivata si passa alla legittimazione provvidenziale del profitto, dato che nel profitto si paleserebbero gli effetti della Grazia divina; dall'acquisizione, con la diligenza e il risparmio, di un patrimonio sottratto al consumo si cade nella smodata accumulazione di capitali. Si aggiunga il fatto che quest'ascesi religiosa mette a disposizione degli imprenditori un ceto di lavoratori sobri e zelanti, per i quali il lavoro non rappresenta una condanna o una mera fatica, ma uno scopo di vita stabilito da Dio. Un simile atteggiamento si è affermato soprattutto in ambito anglosassone, dando poi luogo, nella sua forma secolarizzata, ai moderni principi di efficienza e di razionalizzazione, con le inevitabili conseguenze in materia di lotta concorrenziale e di stress.

6. Nel protestantesimo l'idea della libertas christiana è divenuta la Magna Charta della libertà individuale. L'interrogativo di Lutero ‟come ottenere la Grazia di Dio?" è il punto di partenza della moderna idea di individuo, che non si realizza solo nel rapporto tra uomo e Dio, ma diventa determinante anche per la strutturazione della società. In conformità con le vedute dell'illuminismo, l'individuo è concepito come elemento costitutivo e fine della società, il che ha notevoli conseguenze sull'organizzazione e sulla struttura sociale. Nel congregazionalismo la comunità si costituisce a partire dai singoli membri, così come nel pietismo la Chiesa è l'associazione dei ‛rigenerati'; lo Stato è inteso come una formazione nata dal contratto sociale stretto tra i singoli, e si ritiene, a differenza che nel cattolicesimo, che Stato e società debbano essere al servizio del singolo e non viceversa.

7. Soprattutto con la sua ‛ala sinistra', formata dai battisti, il protestantesimo ha contribuito all'affermarsi dei diritti umani e della libertà di coscienza nel mondo moderno. Sebbene anche il cattolicesimo riconosca un diritto alla resistenza contro la tirannide, le prime formulazioni politicamente rilevanti a questo proposito vanno cercate nelle dichiarazioni dei diritti nell'Inghilterra del Seicento e nel Bill of rights americano del 1776, nato nell'atmosfera spirituale dell'illuminismo cristiano d'ispirazione protestante. Anche lo spirito rivoluzionario che anima la Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789) è più vicino al protestantesimo ginevrino che al cattolicesimo; la Chiesa romana vi scorse l'espressione di una ‟deplorevole smania di novità, le cui origini vanno ricondotte alla Riforma" (Leone XIII). Le ricerche dello Jellinek (1895) hanno dimostrato che le moderne dichiarazioni dei diritti dell'uomo sono nate dall'affermarsi, in seguito alle guerre di religione, della libertà di fede e di coscienza e dei connessi ideali di tolleranza. Come effetti ‛secolari' di questo processo possono considerarsi la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'ONU nel 1948, i successivi Patti internazionali del 1966 e la Convenzione europea per la tutela dei diritti dell'uomo (1950).

8. Il protestantesimo ha superato la concezione monastica, prevalente nel Medioevo, che considerava la vita sessuale come un'espressione del peccato originale, e in particolare ha sottolineato, di contro al celibato monastico, il valore della vita familiare cristiana. L'atteggiamento positivo verso la sensualità e la sessualità è testimoniato soprattutto dal fatto che il pastore protestante non è più tenuto al celibato, ma può contrarre matrimonio; osserviamo anzi di passata che, nel mondo protestante, le famiglie dei pastori sono state il luogo di formazione di importanti personalità della letteratura, delle scienze e della politica. Il diritto alla vita sessuale è limitato tuttavia al matrimonio, mentre ogni relazione pre o extramatrimoniale rimane oggetto di tabù, donde la pruderie puritana o vittoriana. Secondo la psicanalisi, vi è un intimo nesso tra repressione sessuale e aggressività economico-politica: la limitazione del potenziale di aggressività nella sfera del sesso deve trovare una compensazione in un'illimitata libertà d'azione in campo economico (capitalismo) e in campo politico (imperialismo, colonialismo; v. Mitscherlich, 1969).

9. Il protestantesimo ha condiviso con l'illuminismo l'idea che Dio abbia creato la natura a servizio dell'uomo e che questi abbia diritto a sfruttarne le risorse: gli immigrati protestanti provenienti dal Palatinato, giunti nella Pennsylvania, resero grazie a Dio che vi aveva fatto nascere l'herb for the service of man". Nella letteratura americana le descrizioni della natura d'ispirazione protestante si polarizzano in due tendenze: da un lato, una promotional literature che cerca di attirare coloni nelle regioni del Sud magnificandone, anche col ricorso a immagini bibliche, le bellezze paradisiache; dall'altro, una letteratura che dipinge a tinte fosche l'aspro paesaggio della Nuova Inghilterra, in modo da mettere nella giusta luce la perseverance dei pionieri puritani.

10. Il protestantesimo ha avuto un ruolo importante nello sviluppo della filosofia classica tedesca. Per quanto riguarda Leibniz, nella sua dottrina delle monadi può vedersi un rispecchiamento dell'individualismo e del personalismo protestanti, mentre in quella dell'armonia prestabilita trovano formulazione filosofica la fede nella provvidenza e nella gubernatio divina del creato. Tracce del ‛pessimismo antropologico' protestante sono chiaramente visibili in Kant, ad esempio quando afferma che l'uomo è foggiato in un legno troppo contorto perché possa venirne fuori qualcosa di perfettamente diritto; il fatto che Kant sia giustamente designato come ‟filosofo del protestantesimo" deriva dai principi che ispirano la sua filosofia della pratica e della religione. Hegel trae lo schema fondamentale della sua filosofia della storia dalla Dispensationstheologie propria del pietismo svevo, dalla quale deriva il principio della storia universale come ‛teodicea'. Nel mettere in risalto l'importanza dell'esistenza, dell'interiorità e della conquista soggettiva, Kierkegaard traspone filosoficamente momenti della religiosità protestante che, in forma secolarizzata, si ritroveranno come motivi dominanti nella moderna filosofia dell'esistenza.

11. La letteratura tedesca classica non è concepibile se non sullo sfondo della religiosità protestante. Lessing, in cortese polemica con l'ortodossia, finisce col formulare una religione interconfessionale dell'umanità. Herder, teologo egli stesso, vede nella poesia la scintilla divina che infiamma e trascina i popoli. Goethe, pur considerando la storia della Chiesa come una misera parodia del vero cristianesimo, è convinto dell'importanza della persona di Gesù, anche se vi affianca, come fonte di rivelazione, la Natura come ‛Dio-Natura'. L'entusiasmo di Schiller per il protestantesimo è suscitato soprattutto dal momento ‛negativo', dalla protesta contro ogni dominio sulle coscienze, ma anche dall'immenso valore della responsabilità morale del singolo.

Il puritanesimo inglese fu poco favorevole alle arti. Nell'Inghilterra del Cinque e Seicento la letteratura si fece strada in opposizione al protestantesimo dominante, a parte le eccezioni costituite da Milton, la cui poesia tratta temi biblici (Paradise lost), e dai poeti metafisici, che contrappongono allo spirito empiristico-scientifico del loro tempo la loro propria esperienza spirituale. Tuttavia in quel periodo si formò per la prima volta, a opera delle Chiese, un vasto pubblico di lettori. In ogni caso, non si può ravvisare nello svolgimento della letteratura inglese unicamente una reazione a temi e motivi protestanti, che anzi concorsero positivamente a formare il patrimonio letterario dell'Inghilterra moderna.

6. Sociologia del protestantesimo

La Chiesa può essere concepita come istituzione o come evento: pertanto, se da un lato le comunità ecclesiali protestanti possono essere descritte come ‛istituzioni', nell'ottica della sociologia dell'organizzazione, dall'altro vi sono nell'ambito protestante movimenti che possono considerarsi come ‛eventi', ossia come raggruppamenti che travalicano le delimitazioni confessionali.

a) Il protestantesimo come istituzione

È caratteristica della storia del protestantesimo la grande molteplicità delle forme istituzionali. Sia il luteranesimo in Germania e nei paesi scandinavi, sia il protestantesimo riformato in Svizzera, nei Paesi Bassi e nella Scozia sono organizzati in Chiese territoriali che comprendono la maggior parte della popolazione e godono di privilegi nei rapporti con lo Stato (sovvenzioni, esazione statale delle imposte ecclesiastiche, istruzione religiosa sotto la vigilanza ecclesiastica nelle scuole pubbliche, riconoscimento del matrimonio religioso, esequie religiose come usanza corrente). Accanto a queste Chiese, organizzate come enti di diritto pubblico, esistono comunità protestanti di origine più recente (metodisti, battisti, congregazionalisti, ecc.) che negli Stati Uniti sono denominazioni soggette al diritto privato, mentre in Europa si affiancano come Chiese libere a quelle territoriali. Si tratta di Chiese volontarie, che hanno origine non dalla tradizione, ma dalla libera decisione dei loro membri e da essi soltanto sono sostenute, senza alcun supporto finanziario dello Stato. Sono quindi Chiese di minoranza, come lo sono anche le Chiese missionarie del Terzo Mondo che, dipendenti in genere in passato da quelle delle rispettive madrepatrie, aspirano attualmente all'autonomia sul piano organizzativo. Le diverse confessioni sono associate, senza pregiudizio per l'indipendenza di ciascuna, in grandi organismi federali (Alleanza luterana mondiale, Alleanza riformata mondiale, Federazione mondiale battista, Alleanza mondiale delle Chiese metodiste); siamo quindi autorizzati oggi a parlare di un ‛protestantesimo mondiale'.

b) Il protestantesimo come ‛evento'

Negli ultimi decenni si è manifestato un fenomeno nuovo dal punto di vista socioreligioso: accanto alle formazioni ecclesiali stabilite hanno fatto la loro apparizione alcuni movimenti transconfessionali in cui si acuiscono ulteriormente le polarizzazioni già presenti nel protestantesimo. Tra essi vi sono in primo luogo i movimenti carismatici affini ai pentecostali, come ad esempio gli Holy Rollers americani, che si propongono la creazione, nell'ambito di piccoli gruppi, di una nuova vita collettiva suscitata dallo Spirito Santo. Vi sono poi gruppi evangelici che, conservatori in teologia, intendono risolvere i problemi sociali mediante una radicale trasformazione (conversione) dei singoli individui e del loro stile di vita: così il movimento oxfordiano per il riarmo morale di F. Buchman, il movimento di evangelizzazione di B. Graham e il movimento confessante tedesco Kein anderes Evangelium! A differenza di questi movimenti, che hanno origine dal pietismo e dal ‛risveglio', altri gruppi, centrati sull'azione, vedono in una radicale ristrutturazione della società lo strumento per attuare i fini del cristianesimo; vicini al marxismo, questi gruppi ne condividono l'analisi della società (Cristiani per il socialismo). I movimenti transconfessionali non hanno limitazioni geografiche, non s'identificano con nessuna delle confessioni esistenti e cercano piuttosto di trascendere la propria origine storica acquisendo una dimensione universale. Nel caso che gli aderenti a questi movimenti rimangano membri della propria Chiesa d'origine, nasce per loro il problema di una duplice appartenenza: mentre da un lato protestano contro l'insufficienza del cristianesimo tradizionale, dall'altro restano legati ad esso sul piano organizzativo.

Il problema sociologico del protestantesimo è in sostanza quello della sua ecclesiologia: esistono bensì nel protestantesimo forme istituzionalizzate della religione, alle quali però non sarà mai possibile dare un crisma di validità definitiva. Come ecclesia semper reformanda, esso avrà cura di non lasciarsi imprigionare dalle proprie istituzioni.

c) Aspetti sociopsicologici del protestantesimo

Più che al tipo della società ‛chiusa' il protestantesimo è vicino al tipo della società ‛aperta', la quale è caratterizzata da un minimo di vincoli istituzionali, così che la libertà d'azione lasciata all'individuo risulti la massima possibile. Si può dimostrare statisticamente che i protestanti sono più propensi dei cattolici a far proprio questo stile di vita: fra l'altro, i primi presentano una maggiore mobilità sociale e una maggiore facilità a staccarsi dall'ambiente familiare e dal paese d'origine. Mentre il cattolico preferisce cercare la sicurezza nella coesione familiare e ravvisa nel mondo l'ordine e la certezza emananti da Dio, il protestante sta solo in un mondo immenso e gravido di mali, che affronta consapevolmente lottando per trasformarlo. La vita in situazioni-limite espone più facilmente il protestante allo scacco: non per nulla la percentuale di suicidi è notevolmente più alta fra i protestanti che fra i cattolici. Mentre questi ultimi preferiscono le forme di vita proprie di una società chiusa (scuola confessionale, matrimonio fra cattolici, organizzazione della vita sociale e degli interessi politico-economici in associazioni cattoliche), i protestanti sono più disposti ad accettare i rischi di un' organizzazione in gruppi aperti (scuole interconfessionali, matrimoni misti, organismi politici e sociali non caratterizzati in senso confessionale). Questo rischio della libertà può portare tuttavia a gravi disturbi psichici, dato l'indebolimento delle forze ordinatrici dell'esistenza, capaci di sostenere l'individuo. Lo sprigionarsi di energie mondane espone il protestante, più del cattolico, al fenomeno della secolarizzazione: spesso i protestanti hanno un ruolo di ‛pionieri' (G. Schmidtchen) nell'innovare le strutture politiche, mentre i cattolici rappresentano piuttosto la tradizione e la stabilità (si ricordi il motto di K. Adenauer: ‟Niente esperimenti!"). I protestanti dimostrano una particolare prontezza nell'accogliere nuove possibilità di vita associata: ad esempio, furono a suo tempo sostenitori entusiasti di quel principio di efficienza che oggi criticano con altrettanto fervore. L'impegno sociale dei protestanti deriva da un sentimento di sé assai più precario di quello dei cattolici, e alla base di tale differenza vi è un profondo contrasto religioso: l'idea della giustificazione per la sola Grazia rende ‛eccentrico' il protestante, nel senso che egli non trova nella sua attività (verso la quale ha un atteggiamento di critica severa) la propria conferma e quindi il proprio senso dell'Io, mentre il cattolico ha un rapporto positivo con se stesso ed è molto più incline alla tranquillità interiore e all'integrazione sociale. Manca cioè nella vita del protestante quel ‛sollievo' istituzionale che la Chiesa cattolica assicura ai suoi membri.

L'identità protestante si estende ben oltre la cerchia di coloro che sono ‛cristiani di Chiesa' nel senso ortodosso; essa infatti può riemergere, in situazioni di confronto o di conflitto, anche in chi vive ai margini della Chiesa o addirittura le sia ostile. L'identità protestante non è misurabile statisticamente per mezzo di ricerche di sociologia religiosa, giacché l'importanza delle motivazioni religiose per il comportamento sociale e per la stabilità delle relazioni sociali è lungi dall'esaurirsi nell'appartenenza o non appartenenza alla Chiesa. Vi sono caratteri del comportamento che sfuggono alla comune razionalità scientifica; in questo campo l'individuo, nonostante l'asserito distacco da ogni principio religioso, de faeto si riallaccia alle verità della religione istituzionalizzata. Dal punto di vista protestante, dunque, l'attaccamento alla Chiesa e l'assiduità delle pratiche religiose non sono più, da lungo tempo, criteri adeguati per valutare la forza e la qualità della motivazione religiosa.

Non è facile sopportare l'esistenza in un mondo ‛aperto': il carico di responsabilità gravante sull'individuo e la correlativa autonomia creano una situazione di ansia, perché richiedono una capacità di decisione personale che la gente di norma non possiede. Alla ‛apertura', e alla conseguente mancanza d'orientamento, corrisponde un più acuto bisogno di sostegno. Ne deriva quell'‟opportunismo metafisico dei protestanti (G. Schmidtchen) che si manifesta in un maggior coinvolgimento, rispetto ai cattolici, nei sistemi politici del proprio tempo. Gran parte dei protestanti tedeschi, dopo aver condiviso nell'Ottocento gli ideali del romanticismo politico e dell'Impero, si orientarono verso il nazismo e poi, dopo una breve parentesi di ‟apolidia politica" (H.-H. Schrey), verso la coalizione social-liberale. È conforme alla ‛mondanità' dei protestanti il fatto che, una volta allontanatisi dalla Chiesa, si siano dedicati alla creazione di una specie di suo surrogato nel cosiddetto welfare state, capace di assicurare agli individui la maggior felicità possibile. È chiaro che le preferenze politiche non dipendono solo dagli interessi concreti ma anche, almeno in ugual misura, dalla concezione globale del mondo: chi è scettico nei riguardi dell'immortalità dell'anima, chi ritiene che l'unica realtà sia quella visibile, si affida più volentieri a un partito che si proponga di attuare la felicità sociale nel nostro mondo e nel nostro tempo. Statisticamente, in questa categoria di persone i protestanti sono presenti in numero maggiore che non i cattolici.

7. Protestantesimo ed ecumenismo

a) Il protestantesimo mondiale sulla strada dell'unità delle Chiese

Mai, nel corso della sua storia, il protestantesimo si è rassegnato alla rottura dell'unità dei cristiani, la cui ricostituzione è stata più volte oggetto di appelli da parte di uomini come Melantone, Butzer o Leibniz. Che il protestantesimo non si sia considerato mai disgiunto dal fondamento storico della Chiesa cristiana risulta dal semplice fatto che quasi tutte le Chiese protestanti concordano con quella cattolica nelle confessioni di fede dei primi cinque secoli (consensus quinquesaecularis), accogliendole come parte integrante del proprio patrimonio dottrinale. Anche il battesimo amministrato con la formula trinitaria è riconosciuto valido da tutte le Chiese.

Nel nostro secolo l'aspirazione a realizzare l'unità dei cristiani si è manifestata in varie forme, tra cui ricorderemo in primo luogo: a) la fusione delle varie Chiese di una stessa confessione in confederazioni a livello mondiale; b) le unioni tra Chiese della stessa confessione o di confessioni affini; c) le alleanze e le comunità di lavoro interconfessionali a livello regionale, nazionale e internazionale. Va notato, infine, che soprattutto in Europa il protestantesimo è stato il principale promotore del Consiglio ecumenico delle Chiese, che tende all'unificazione non solo delle confessioni protestanti, ma di tutte le Chiese cristiane (v. ecumenismo). In genere queste unioni hanno carattere federale, nel senso che non compromettono l'autonomia delle singole Chiese associate e non implicano la creazione di sovrastrutture giuridiche basate su un centralismo gerarchico.

Nel primo quarto del nostro secolo si sono avute negli Stati Uniti una dozzina di unioni fra Chiese per lo più confessionalmente affini ma separate da barriere nazionali o geografiche: fusione tra i Cumberland Presbyterians degli Stati settentrionali e la Presbyterian Church in U.S.A. (1906); unione dei Northern Baptists con i Free Baptists (1911); unificazione di tre Chiese luterane (1917); formazione della United Lutheran Church (1918), della Presbyterian Church of the U.S.A. (1920), dell'American Lutheran Church (1931), dell'Evangelical and Reformed Church (1934) e dell'Unione delle Chiese metodiste (1939). A livello nazionale, vanno ricordati i seguenti organismi unitari: il Federal (dal 1951, National) Council of the Churches of Christ in America, fondato nel 1908 e comprendente 34 denominazioni; la Fédération Protestante de France, fondata anch'essa nel 1908 e composta da tre Chiese riformate, due luterane e una battista; lo Schweizerischer Evangelischer Kirchenbund (1920), a cui appartengono le Chiese territoriali riformate e le Chiese libere della Svizzera; l'Evangelischer Kirchenbund tedesco, fondato nel 1922 e denominato successivamente Deutsche Evangelische Kirche (1933) ed Evangelische Kirche in Deutschland (1945), costituito da 28 Chiese luterane, riformate e unite; il Nippon Kirisuto Kyodan (1941), comprendente 34 Chiese con circa la metà dei protestanti giapponesi; il British Council of Churches (1942), in cui sono affiancate in collaborazione la Chiesa anglicana e le Chiese libere; il Consiglio federale delle Chiese evangeliche d'Italia (1946), comprendente valdesi, battisti, metodisti, avventisti e pentecostali; l'Oecumenische Raad van Kerken in Nederland (1946), di cui fanno parte, oltre alla Chiesa riformata dei Paesi Bassi, luterani, vecchi cattolici, mennoniti, rimostranti, battisti e comunità pietistiche; la Chiesa Unita dell'India meridionale (1947), formata dall'associazione di elementi episcopali, presbiteriani e congregazionalisti, che conservano tuttavia la piena comunione con le Chiese madri.

Organi di collegamento tra le missioni e il movimento ecumenico sono i Consigli cristiani nazionali, sorti per iniziativa di John R. Mott e operanti fin dagli anni venti in India, Birmania, Ceylon, Cina, Giappone, Sierra Leone e Madagascar; vi sono oggi 24 Consigli membri del Consiglio internazionale delle missioni e altri 15 con esso collegati.

Dal 1955 esiste un Asia Council on Ecumenical Missions, di cui fanno parte le Chiese protestanti dell'Asia orientale, dell'Australia e della Nuova Zelanda. Nel 1959 è stata istituita a Kuala Lumpur la East Asia Christian Conference, e dal 1950 le Chiese protestanti di 25 paesi africani sono rappresentate nella All Africa Church Conference, mentre nell'America Latina manca ancora un'associazione ecumenica sovrannazionale.

Indipendente dal movimento ecumenico è la Conferenza delle Chiese europee, fondata nel 1959 a Nyborg (Danimarca) e comprendente quasi tutte le Chiese d'Europa, ma non quella cattolica romana; scopo principale di tale Conferenza è di affrontare i problemi comuni che si presentano alle varie Chiese europee.

Accanto al Consiglio ecumenico delle Chiese - che ammette un'ampia gamma di opinioni teologiche e propugna un programma sociale avanzato, comprendente ad esempio la lotta contro il razzismo nel Terzo Mondo - è stato fondato nel 1948 un altro organismo interecclesiale protestante, l'International Council of Christian Churches, che, derivato dall'American Council of Christian Churches (sorto nel 1941 negli Stati Uniti e nel Canada), è sostenuto da gruppi ispirati a un fondamentalismo radicale. L'International Council, di cui nel 1958 facevano parte 61 denominazioni, si è distinto soprattutto per la polemica condotta contro le tendenze ‛irreligiose e filocomuniste' del Consiglio ecumenico, nonché per il timore che quest'ultimo persegua l'ideale di una ‛superchiesa' destinata a confluire in seno alla Chiesa romana. Infine, il Consiglio evangelico nordico, fondato nel 1955, si è ampliato nel 1957 nell'International Council of Christian Churches - European Alliance.

Dalla precedente elencazione emergono due tratti caratteristici del mondo protestante: in primo luogo, sebbene l'impegno internazionale per la pace sia oggi determinante per la sopravvivenza stessa dell'umanità, il movimento ecumenico non è ancora riuscito a sostituire alle antiche solidarietà nazionali una solidarietà sovrannazionale fondata sulla appartenenza al corpo di Cristo; in secondo luogo, la contrapposizione fra teologia liberale e fondamentalismo, fra progressismo e conservatorismo si è dimostrata un ostacolo al progredire dell'unificazione delle Chiese.

b) Dialogo fra protestantesimo e cattolicesimo

Il problema dell'unità della Chiesa non è rimasto circoscritto all'ambito protestante, ma ha investito anche le altre confessioni, e in particolare il cattolicesimo romano, i cui fedeli spesso vivono a contatto coi protestanti. Il dialogo fra cattolici e protestanti, benché gravato da ambe le parti di pregiudizi e conflitti secolari, è divenuto possibile e ha acquistato un senso soprattutto dopo le decisioni del Concilio Vaticano Il (decreto sull'ecumenismo). La Chiesa cattolica, pur continuando a considerarsi come l'organismo in cui ‛sussiste' l'unica Chiesa di Cristo, e non potendo quindi riconoscere a nessun altro tale carattere, non considera più, tuttavia, le altre Chiese come eretiche o scismatiche da anatemizzare, bensì come interlocutrici in un dialogo, come 'fratelli separati' che, anch'essi incorporati in Cristo, grazie al battesimo presentano più affinità che divergenze e condividono con i cattolici di fronte al mondo l'impegno della testimonianza cristiana.

Sebbene la Chiesa cattolica non faccia parte del Consiglio ecumenico delle Chiese, si è stabilita una prassi di reciproca consultazione tra gli organi decisionali ecumenici e quelli cattolici. Sono inoltre in atto un vivace dialogo a livello scientifico fra i teologi e un attivo scambio sul piano della prassi ecclesiale. Il dialogo teologico ha portato finora a un'intesa sui punti seguenti: a) dopo la teologia dialettica di K. Barth, la teologia protestante non è più coltivata come ‛scienza della religione', ma come ‛teologia a partire da Dio': in tal modo essa è diventata per la teologia cattolica un'interlocutrice da prendere sul serio; b) la teologia evangelica si affatica oggi intorno al problema della salvezza: la giustificazione non può essere intesa come una semplice legittimazione giuridica, accordata all'uomo dall'esterno, ma deve produrre nell'uomo un nuovo essere: vengono meno quindi i motivi dottrinali di divisione originati dalla Riforma; c) in materia di cristologia, tanto la teologia evangelica che quella cattolica mettono in risalto l'unità del Cristo storico e di quello dogmatico; d) nella dottrina della Scrittura e della tradizione, vi è oggi un'attenuazione dei contrasti: concezioni differenti sussistono soprattutto riguardo al rapporto fra tradizione e magistero ecclesiastico; divergenze gravi permangono nella dottrina del primato papale, nella concezione del ministero sacerdotale e della sua rilevanza eucaristica, nonché in mariologia. (v. anche cattolicesimo)

Nel campo della prassi ecclesiale il dialogo ha già conseguito risultati tangibili. Esistono liturgie comuni della parola e della preghiera (senza celebrazione eucaristica); canti religiosi di origine evangelica sono stati accolti negli innari cattolici (i protestanti Bach e Händel appartengono anche ai cattolici, e i cattolici Mozart e Haydn anche ai protestanti!). In Germania la cooperazione tra case editrici evangeliche e cattoliche è sempre più intensa; esistono traduzioni e commentari biblici comuni. La prassi del matrimonio misto viene oggi trattata da parte cattolica con maggior elasticità che in passato (celebrazioni miste). Nel campo dell'assistenza e delle altre attività sociali e umanitarie vi è una vasta area di collaborazione interconfessionale, e in ogni caso va scomparendo l'inopportuno spirito di concorrenza fra cattolici e protestanti.

c) L'impegno ecumenico del protestantesimo odierno

Dal punto di vista ecumenico, il protestantesimo occupa una posizione centrale fra la Chiesa romana e la teologia liberale, che sottomette la fede all'autonomia della ragione umana: in questa posizione intermedia può scorgersi il grande compito attuale e futuro del cristianesimo protestante. Sebbene il Consiglio ecumenico delle Chiese sia ben lontano dall'aver realizzato l'unificazione delle confessioni cristiane e si presenti ancora come un'associazione tra Chiese indipendenti, dal punto di vista storico la sua costituzione va considerata come un evento della massima importanza: a un atteggiamento di reciproca condanna e diffidenza, dovuto in parte alla scarsa conoscenza dell'interlocutore o alla conservazione di pregiudizi tradizionali, è subentrato il consapevole tentativo di superare questo stato di disarmonia. Nel quadro del movimento ecumenico, al protestantesimo mondiale è toccata in sorte un'importante funzione, giacché la possibilità di un effettivo avvicinamento fra le Chiese delle due ali estreme è legata in buona parte alla capacità delle Chiese ‛intermedie' di essere all'altezza dei loro compiti. Si può dunque affermare che il futuro del movimento ecumenico dipende da queste Chiese, le quali soltanto potranno impedire il sopravvento, nella cristianità di domani, di un rigido dogmatismo, o di posizioni razionalistiche o ‛entusiastiche'.

I fondamenti del dialogo tra le Chiese possono essere così enunziati: fede comune in Dio e in Gesù Cristo Signore e Redentore; reciproco riconoscimento di buona fede; mutuo e incondizionato rispetto della libertà religiosa; comune riconoscimento del battesimo in nome di Dio uno e trino e della conseguente incorporazione in Cristo; convincimento che la Grazia e la giustificazione possono sussistere anche per i cristiani non cattolici; riconoscimento del fatto che le Chiese non cattoliche hanno una funzione salvifica per i loro fedeli e conservano elementi positivi del retaggio cristiano, elementi non ravvisabili con altrettanta chiarezza nella Chiesa romana; convincimento che le varie Chiese non sono quindi completamente separate tra loro; coscienza della comune responsabilità della scissione, che non può essere addossata a una sola Chiesa, né va considerata come eresia formale; riconoscimento del fatto che non di rado il volto reale della propria Chiesa offre una testimonianza alquanto offuscata della sua origine nella volontà fondatrice di Cristo.

8. Crisi e futuro del protestantesimo

a) La crisi ecclesiale del protestantesimo

Dal punto di vista cattolico, ciò che colpisce maggiormente nel protestantesimo è la sua disunione interna. Alla tendenza ortodossa tradizionale si affiancano tendenze neoliberali; la ‛libertà del cristiano' esaltata dai riformatori sembra trasformata in un soggettivismo a cui manchi il freno di qualsiasi istanza vincolante. Mentre da un lato i protestanti conservatori deplorano la presunta tendenza distruttiva della critica storica vetero- e neotestamentaria, che metterebbe in pericolo la sostanza del messaggio salvifico, dall'altro i teologi liberali considerano come un valore inalienabile l'onestà scientifica in materia di genesi storica del cristianesimo. Aspre contese hanno spesso minacciato l'unità del protestantesimo come istituzione.

In connessione con quanto sopra, è stata anche criticata la sopravvalutazione quasi esclusiva della liturgia della parola, centrata sulla predicazione, in quanto comporta il rischio di scivolare nel puro intellettualismo e di mortificare le molteplici possibilità della liturgia (valga ad esempio il confronto con la ricchezza di quella cattolica); non è comunque accertato se l'indifferenza dei credenti nei confronti delle pratiche religiose dipenda da ciò o da altri motivi socioreligiosi. Per molti protestanti, tutto il loro protestantesimo si esaurisce nel fatto di non essere o di non voler essere cattolici, ossia in un atteggiamento puramente negativo.

Si è voluto dedurre da ciò che il protestantesimo è oggi in fase di dissoluzione (E. Steinbach, Die Auflösung des Protestantismus, München 1936): il cristianesimo riformato, così come si è evoluto storicamente e come risulta definito dal suo passato, non riesce più a impegnare l'uomo contemporaneo. Il protestantesimo si sarebbe quindi risolto nella coscienza moderna, così come a suo tempo il cattolicesimo si risolse nel protestantesimo; perché quest'ultimo sopravviva, sarebbe necessario un impegno cristiano di tipo nuovo.

In effetti, un protestantesimo che concepisse se stesso come mera negazione sarebbe prossimo alla fine. Le negazioni che hanno storicamente segnato la nascita del protestantesimo hanno perduto oggi ogni presa sulla realtà; in taluni casi gli oggetti di tali negazioni si sono addirittura mutati in bisogni del nostro tempo: bisogno d'autorità, di simboli efficaci, di atti sacramentali. Come il cattolicesimo postconciliare incorpora in sé numerosi elementi protestanti, così il protestantesimo dell'era post-protestante dovrà accogliere, nello spirito della ‛cattolicità evangelica', elementi del cattolicesimo.

b) La dimensione politica della crisi

In Europa, la connessione di protestantesimo e Stato nazionale ha coinciso con la crisi di quest'ultimo. Se ha senso parlare di processo alla storia, esso dovrebbe coinvolgere anche il protestantesimo: la sua esaltazione della grandezza dello Stato, che ha favorito l'insorgere dei nazionalismi, ha rappresentato un atto di autoalienazione. Si è voluto vedere in Lutero l'apostolo dell'autorità statale illimitata, mentre Calvino, per il quale la sovranità di Cristo era al di sopra di ogni cosa, è stato frainteso come fautore dell'attivismo secolare e dell'ipocrisia politica. H. Marcuse ravvisa un nesso fra la totale libertà interiore, conseguita mediante la fede, e una totale illibertà esteriore: per lui la tendenza antiautoritaria della Riforma, che mise fine al Medioevo, è solo ‟il complemento di un ordinamento strettamente legato all'influsso di rapporti occulti d'autorità" (Autorität und Familie, in Ideen zu emer kritischen Theorie der Gesellschaft, Frankfurt a. M. 1969, p 55). Quest'acuta analisi, che centra bensì un punto delicato dell'etica politica protestante, rappresenta nondimeno una deformazione, giacché nella dottrina dei due regni Lutero mirò non tanto a separare il regno dell'interiorità da quello dell'esteriorità, quanto ad affermare l'idea che nella fede ‛diventiamo Cristo' per il nostro prossimo. L'erronea disgiunzione dei due regni ha provocato, per reazione, il ritrarsi di altre cerchie protestanti dalla politica, vista come una ‛sporca faccenda'.

In futuro il protestantesimo dovrà cercare di contribuire alla formazione di un ethos politico che possa essere vincolante per tutti e che metta in primo piano la dignità e i diritti dell'uomo, anziché gli interessi particolari di uno Stato o di una nazione.

L'Europa è il luogo in cui l'individualismo dei singoli come delle nazioni si è manifestato con maggiore e più compiaciuta protervia, ma è anche l'ambiente in cui sono nati gli ideali del socialismo e della vita comunitaria: con la sua tradizione, essa può ancora costituire un baluardo contro l'uniformità collettivistica e totalitaria. Vi è senza dubbio un'affinità elettiva tra quest'Europa del dialogo e un protestantesimo avverso a ogni accentuazione eccessiva delle strutture gerarchiche e autoritarie e favorevole al pluralismo. In quanto ‟uomo del dialogo e del confronto" (R. Mehl), il protestante è fautore di un'Europa in cui siano ammesse la libertà di pensiero e la diversità delle opinioni (cfr. la dichiarazione Impegno cristiano per la cooperazione europea, 1952); un'Europa senza costrizioni ideologiche o religiose unilaterali e senza poteri ecclesiastici o politici che stabiliscano quale debba essere la verità.

c) Crisi dell'etica protestante?

L'etica moderna del lavoro, avente per Max Weber le sue origini nel protestantesimo e caratterizzata dagli ideali di efficienza, parsimonia, diligenza e sobrietà, viene oggi messa in questione dalla psicanalisi freudiana e dall'analisi sociale marxista, o dal ‛freudo-marxismo' che ne rappresenta la sintesi (H. Marcuse): l'efficienza industriale serve non tanto all'autorealizzazione dei produttori quanto ad assicurare il massimo profitto ai detentori di capitali, e favorisce quindi l'alienazione tipica della moderna società industriale. All'etica dell'efficienza viene contrapposta un'etica edonistica fondata sul soddisfacimento delle pulsioni, sulla comunicazione intima tra gli uomini e su un generale rifiuto della tecnocrazia e dell'organizzazione burocratica. Verso la fine degli anni sessanta, soprattutto negli Stati Uniti d'America, i giovani della classe media borghese sono stati conquistati da questi ideali, anche per reazione alla guerra nel Vietnam.

Una simile critica va giudicata in base al principio abusus non tollit usum. Senza dubbio in molti casi l'etica puritana è degenerata in ipocrisia (G. Santayana, The last puritan, London 1935) ed è stata utilizzata per scopi inumani; d'altra parte, la civiltà industriale non è concepibile senza le virtù della disciplina nel lavoro e dell'orientamento verso l'efficienza. Non vi sono probabilità di riuscita per una rivoluzione interiore del tipo di quella proposta da Ch. Reich in Greening of America. Posto che venissero a mancare i dirigenti dell'industria e della burocrazia, reclutati negli strati borghesi finora dominanti, ciò non porterebbe a un crollo dell'etica protestante, bensì a una circolazione delle élites nel senso di Pareto: nuovi strati, non più provenienti dagli establishments di tradizione protestante, assumerebbero il comando per continuare a gestire il sistema coi vecchi criteri (P.L. Berger e B. Berger, The blueing of America, in ‟The New Republic", 1972). In realtà, i fermenti rivoluzionari edonistici, libertari e marxisti che agitavano l'inquieta gioventù universitaria verso la fine degli anni sessanta non sono riusciti a produrre né una trasformazione globale della società americana né un rovesciamento dei principi, profondamente radicati, dell'etica protestante.

Rimane tuttavia la stimolante consapevolezza dell'insufficienza di un orientamento unilateralmente economico e della disumanità in esso implicita. L'etica protestante tradizionale dovrà essere modificata e integrata dalle istanze dell'ecologia, alle quali sono legate le sole possibilità di sopravvivenza dell'umanità in un mondo sempre più angusto e minacciato dall'esaurimento delle risorse.

d) La crisi nei rapporti col mondo. Il secolarismo

Un problema che riguarda oggi in ugual misura cattolici e protestanti è quello della secolarizzazione. A partire dal secolo scorso, la classe lavoratrice dell'Europa occidentale si è quasi completamente estraniata dalla Chiesa, che già con l'illuminismo aveva perduto l'intima adesione della borghesia colta; la presenza della Chiesa è dunque venuta meno sia negli ambienti operai sia nei centri di creazione della cultura. Sociologicamente, il suo influsso è per lo più limitato ai gruppi marginali della società (bambini, anziani, bisognosi d'assistenza, popolazioni rurali). Come conseguenza, e nel contempo causa, della sua sterilità culturale, sussiste dunque il pericolo di un'adesione della Chiesa a ideologie conservatrici o addirittura reazionarie. Dato il minor peso - ai fini dell'integrazione - che vi hanno la tradizione e la storia, il protestantesimo sembra affrontare meglio del cattolicesimo il fenomeno della secolarizzazione. Per il protestantesimo l'impronta cristiana di una civiltà ha un significato minore che per il cattolicesimo, in quanto ogni realizzazione umana reca comunque i segni della finitudine, del peccato e della caducità. Non si tratta quindi di ritrarsi da un ‛mondo malvagio', ma di vivere rischiosamente in un mondo profano. Questo è anche il motivo per cui non esistono fra i protestanti - tranne che nei Paesi Bassi e in qualche cantone della Svizzera tedesca - partiti o sindacati confessionali: si preferisce cercare di vivere e operare da cristiani nelle istituzioni mondane.

A differenza del cattolicesimo, il protestantesimo non ha mai condannato il progressismo, che oggi si manifesta soprattutto nell'adesione all'analisi sociale e alle idee marxiste. Al di là della cortina di ferro, ciò consente alle Chiese protestanti una sorta di coesistenza con lo Stato ateistico. Alcuni teologi protestanti, come il ceco Hromádka o l'ungherese Berecky, interpretano la nuova situazione esistente nei loro paesi non soltanto come un giudizio divino per l'empio connubio tra cristianesimo e borghesia, ma anche come un frutto della Grazia e come un rinnovellato impegno di vita nella fede e nel servizio. Nel mondo occidentale, invece, la recezione del marxismo provoca notevoli tensioni interne, che in verità si manifestano non tanto nell'atteggiamento verso i lavoratori del proprio paese quanto nei riguardi dei movimenti di liberazione del Terzo Mondo e dell'appoggio ad essi offerto dal Consiglio ecumenico delle Chiese.

In ogni caso, il protestantesimo odierno non è disposto ad assumere il ruolo marginale che molti contemporanei vorrebbero assegnargli, né a rinunziare alle sue responsabilità verso il mondo; al contrario, esso si sforza di trovare nuove vie per un incontro fra la Chiesa e il mondo e di partecipare agli attuali processi di trasformazione come portavoce dell'umanità in un mondo ogni giorno più disumano. In tale contesto risulta sempre più evidente l'importanza dei laici ai fini di una testimonianza cristiana nel mondo, come pure l'importanza di una guida in campo sociale, visto che l'etica tradizionale poteva costituire una guida all'azione personale quando la vita si svolgeva entro le strutture di una ‛società cristiana'.

Il protestantesimo non è disposto ad accettare l'idea che l'esistenza della Chiesa nel mondo moderno sia legittimata solo dal suo rendersi socialmente utile con la prestazione di servizi. Naturalmente le attività assistenziali sono una manifestazione molto importante della vita di ogni Chiesa, ma ciò non significa affatto che la testimonianza pubblica debba restare confinata nell'esoterismo delle mura chiesastiche.

Negli Stati Uniti l'odierna crisi religiosa coincide con la crisi del processo d'integrazione sociale che colpisce le generazioni successive alla prima ondata d'immigrazione. In passato la religione soleva essere, accanto ai legami familiari ed etnici, uno dei fattori d'integrazione più efficaci: in essa l'individuo circondato da un ambiente estraneo o addirittura ostile ritrovava la propria identità. Per effetto della progressiva ‛fusione' nel melting pot americano e della mobilità sociale, la seconda e la terza generazione d'immigrati perdono le loro basi etniche, linguistiche e religiose; ciò implica in molti un senso di frustrazione e una perdita d'identità, giacché la religione tradizionale finisce tra le cose messe da parte come ‛sorpassate'. Con questi fenomeni è connessa anche la trasformazione, osservata dai sociologi, dell'uomo ‛autodiretto' di stampo protestante nell'uomo ‛eterodiretto' (D. Riesman, The lonely crowd, cit.). Quest'ultimo non si comporta più secondo i criteri della propria coscienza, orientata sulla parola di Dio, bensì secondo segnali emessi dai taste leaders, da coloro che attraverso i mezzi di comunicazione di massa influiscono sul costume e sulla politica. In questa situazione, l'importante è non rassegnarsi, non cedere all'onnipotenza dei media (quasi che tutto fosse determinabile dall'esterno!) e nemmeno estraniarsi dalla cultura ufficiale ritraendosi in una più o meno insulsa subcultura religiosa; occorre invece opporsi alle sollecitazioni verso l'adattamento totale, mediante una parziale non-partecipazione alle strutture della società tecnologica (P. J. Tillich) e mediante una azione volta a influenzare i programmi sociali dei fabbricanti d'opinione.

Quando il cristianesimo protestante sostiene la necessità della secolarizzazione (v. cap. 3, È b), ciò non significa affatto che si voglia abbandonare completamente il mondo a se stesso (secolarismo), bensì che la libertà del cristiano induce l'uomo, affrancato in virtù della sola fede, a entrare nel mondo per compiervi la propria opera quotidiana in lode del Creatore e a beneficio del prossimo, senza aver bisogno per questo della guida della Chiesa o del clero. Il secolarismo, in quanto eliminazione radicale di ogni traccia del divino dalla società umana, porterebbe all'affermarsi dello Stato totalitario e al dominio di un'ideologia non cristiana; il protestantesimo è pronto a collaborare con le altre Chiese e le altre religioni per scongiurare un simile pericolo.

e) La ‛fine dell'età moderna' segna anche la fine del protestantesimo?

Da parte cattolica è stata annunziata la ‟fine dell'età moderna" (R. Guardini, Das Ende der Neuzeit, 1950). Poiché il mondo moderno può essere considerato come un prodotto secolare di elementi protestanti, nasce la questione se la fine dell'età moderna, ossia dell'età del soggettivismo e dell'individualismo, implichi anche la fine del protestantesimo. A tale domanda potrebbero rispondere affermativamente gli educatori e coloro che hanno cura d'anime: essi sanno per esperienza che l'uomo d'oggi non sente più quella chiamata alla responsabilità personale nella propria coscienza che è il presupposto del protestantesimo e il fondamento della personalità etico-religiosa. Ma ciò sta appunto a dimostrare che il passaggio dalla coscienza vincolata a Dio all'autonoma autocoscienza prometeica tipica dell'uomo moderno è una pretesa a lungo andare insostenibile. L'interiorità dell'individuo non è in grado di sopportare da sola il peso dei problemi dell'essere e del destino dell'uomo, e neppure la responsabilità di fungere essa stessa da suprema istanza della coscienza; gli sforzi disperati che l'esistenzialismo di J.-P. Sartre compie per dare all'esistenza un fondamento ateistico non fanno che confermare questo dato di fatto. La borghesia moderna ha ricacciato nell'interiorità estetica ed emotiva tutto il vigore dell'esperienza di Dio propria della Riforma, mentre l'esistenzialismo di Sartre ha finito col trovare nell'impegno marxista una nuova forma di trascendenza, la società umana. Secondo Tillich, occorrono tre condizioni perché il protestantesimo possa esercitare un influsso creativo sui mutamenti strutturali del mondo attuale, anziché limitarsi a sopravvivere come ideologia rinunciataria entro un suo territorio garantito (ma al tempo stesso isolato) dalla società: a) che riesca a riformulare il proprio messaggio in modo così nuovo da far sì che il mondo sconvolto lo accolga come un messaggio di salvezza; b) che s'impegni - come hanno tentato di fare il socialismo religioso in Europa e il social Gospel in America - in modo più intensivo e diretto nei riguardi del mondo, senza smarrirsi in esso; c) che tenga fede, come ha già fatto in passato, al principio profetico che contesta ogni forma di autodivinizzazione e di sacralizzazione.

L'evolversi del mondo verso la ‛fine dell'età moderna' non ha portato all'estinzione dell'uomo protestante, perché nella società di massa tecnicizzata non si è ancora estinta, nonostante l'enorme complessità dei rapporti, la responsabilità individuale: al contrario, essa si è ingigantita proprio nei managers del potere. Una simile responsabilità, che oggi non implica solo considerazioni di efficienza economica, ma anche valutazioni ecologiche (qualità della vita, limiti dello sviluppo), non può essere veramente sentita come responsabilità dinanzi a Dio e agli uomini senza un estremo affinamento della coscienza. È necessario per questo che l'uomo sia integralmente umano, il che può accadere solo se egli concepisce se stesso, nella sua totalità, come esistenza al cospetto di Dio: e in questo senso è appunto il protestante colui che meglio può difendere, oggi come nel futuro, la causa dell'umanità.

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