Protezione civile

Enciclopedia Italiana - VII Appendice (2007)

Protezione civile

Bernardo De Bernardinis

Il Servizio nazionale della Protezione civile nasce con l. 24 febbr. 1992 nr. 225, ed è composto, ai sensi del primo articolo della stessa, dalle amministrazioni dello Stato, centrali e periferiche, delle Re gioni, delle Province, dei Comuni e delle Comunità montane, degli enti pubblici nazionali e territoriali e di ogni altra istituzione e organizzazione, sia pubblica sia privata, presente sul territorio nazionale. La citata legge sancisce, altresì e definitivamente, che al coordinamento del Servizio nazionale e alla promozione delle attività di p. c., provvede il presidente del Consiglio dei ministri attraverso il Dipartimento della Protezione civile, istituito nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 21 della l. 23 ag. 1988 nr. 400, a cui è assegnato il compito di "tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi".

La legge, inoltre, riserva al Consiglio dei ministri la dichiarazione dello stato di emergenza e riconosce al presidente del Consiglio o al ministro il potere di emanare ordinanze in deroga alla normativa vigente. L'impianto della l. 225/92 può essere interpretato come risultato di un'evoluzione a livello normativo che nasce dalla necessità di disporre di strumenti giuridici e di intervento che permettano di affrontare le calamità naturali e tutte le situazioni d'emergenza anche di vaste proporzioni. L'impianto è fondato sul concetto di una p. c. estesa ben oltre l'attività del soccorso, che includa, quindi, precisi compiti in materia di previsione e prevenzione dei rischi e rappresenti non più una struttura dello Stato centrale, ma una funzione da estendere su tutto il territorio.

In particolare all'art. 3, si individuano le attività di p. c. in tre momenti fondamentali: a) previsione e prevenzione, che comportano la definizione del tipo, della distribuzione e della probabilità del manifestarsi del rischio cui è soggetto il territorio al fine di realizzare una prevenzione a livello normativo, di pianificazione, tecnologico e informativo; b) soccorso e assistenza alle popolazioni colpite, tale fase deve essere tempestiva a seguito del manifestarsi di un evento e richiede quindi un'immediata risposta di p. c.; c) superamento dell'emergenza e ripristino del sistema socioeconomico, questa fase consiste nella sistemazione e nell'assistenza della popolazione colpita, nel ripristino dei servizi principali, delle strutture e delle attività produttive in modo da ricreare le condizioni che consentano alla popolazione di riprendere possesso del territorio. All'attuazione di tali attività provvedono, nell'ambito del Servizio nazionale della Protezione civile, le componenti e le strutture operative nazionali, cioè il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, le Forze armate e di polizia, il Corpo forestale dello Stato, la Croce rossa italiana, il Servizio sanitario nazionale, il Corpo nazionale del soccorso alpino, il Volontariato civile e le componenti tecnico-scientifiche. Il coordinamento degli interventi spetta al Comitato operativo in cui sono rappresentate le amministrazioni e gli enti che intervengono, a vario titolo, nelle attività di soccorso.

Da questo impianto organizzativo prende il via un'intensa attività tesa essenzialmente a migliorare, da un lato, la capacità di risposta del sistema di p. c. al verificarsi di un evento calamitoso (a partire dal livello locale, con l'utilizzo sia di strumenti ordinari sia, attraverso l'impiego di risorse statali, di strumenti e misure straordinarie), dall'altro, la capacità di mobilitazione e organizzazione dei soccorsi. L'improvvisazione, generosa e disordinata degli anni Settanta del 20° sec., ha lasciato il posto alla costruzione di un metodo di lavoro in emergenza ben definito e codificato.

Il metodo Augustus. - L'adozione da parte di tutto il Servizio nazionale della Protezione civile, a partire dal 1998, del metodo di pianificazione denominato Augustus ha permesso, a livello nazionale e periferico, di disporre di un unico modello organizzativo e operativo. Il metodo Augustus individua: le funzioni di supporto, che costituiscono l'organizzazione delle risposte, distinte per settori di attività e di intervento, necessarie alle diverse esigenze operative; le procedure per una corretta valutazione della dimensione del fenomeno calamitoso e della risposta con cui affrontarlo; i soggetti che devono intervenire; le modalità d'azione; le procedure per lo scambio delle informazioni; il coordinamento dell'attività in situazioni sia di crisi attesa sia di emergenza acclarata. In modo dinamico, seguendo l'evoluzione degli eventi e delle conseguenti situazioni critiche, l'attività di coordinamento e operativa viene funzionalmente organizzata in strutture relazionate gerarchicamente a partire dai Centri operativi comunali (COC) sino alla Direzione comando e controllo (DICOMAC), ossia il centro di coordinamento nazionale sul territorio interessato dall'evento, attraverso i Centri operativi misti (COM) e i Centri coordinamento soccorsi (CCS).

Questo metodo ha consentito al sistema di avere un proprio linguaggio, condiviso da chiunque vi partecipi, dal capo del Dipartimento al vigile del fuoco fino al singolo volontario, e di condividere una comune conoscenza del funzionamento di una sala operativa, della sua composizione e gestione. La metodologia adottata e la struttura dinamica individuano nel piano di emergenza l'insieme delle procedure operative di intervento da attuare nel caso in cui si verifichi l'evento atteso. Ciò risulta particolarmente efficace nella consapevolezza che, pur essendo necessario assumere la ciclicità quale fattore costante per i fenomeni calamitosi, l'entità del danno e il tipo di soccorsi sono parametri variabili che di volta in volta caratterizzano gli effetti reali dell'evento. Pertanto un piano di emergenza deve essere sufficientemente flessibile per potere venire utilizzato nelle diverse situazioni di crisi, incluse quelle impreviste, ma anche semplice in modo da divenire rapidamente operativo.

Per quanto attiene allo studio del territorio e all'individuazione delle aree esposte maggiormente a rischio, il processo evolutivo avviatosi con la l. 225/92 ha determinato l'avvio di attività finalizzate all'eliminazione o alla riduzione delle situazioni di rischio quale particolarizzazione, anche ai fini di p. c., della generale attività di pianificazione di cui sono responsabili lo Stato e le Regioni. In tale contesto si collocano i programmi d'interventi urgenti mirati all'eliminazione delle situazioni di rischio idrogeologico e idraulico elevato o molto elevato, attuati a seguito del d. l. 11 giugno 1998 nr. 180, convertito dalla l. 3 ag. 1998 n. 267 e successivamente modificato e integrato con d. l. 13 maggio 1999 nr. 132, convertito dalla l. 13 luglio 1999 nr. 226, e infine con d. l. 12 ott. 2000 nr. 279, convertito dalla l. 11 dic. 2000 nr. 365. Tali programmi sono stati predisposti dalle Autorità di bacino sulla base di piani straordinari con i quali sono individuate e delimitate le aree a rischio idrogeologico elevato e molto elevato. In particolare, la normativa aveva attribuito al Comitato dei ministri per i Servizi tecnici nazionali e gli interventi nel settore della difesa del suolo, istituito ai sensi dell'art. 4 della l. 18 maggio 1989 nr. 183, l'onere di definire programmi d'interventi urgenti per la riduzione del rischio idrogeologico, previsto dall'art. 1 co. 2 dello stesso. Il Comitato, presieduto dal presidente del Consiglio dei ministri o, su sua delega, da un ministro membro del Comitato stesso e composto dai rappresentanti dei ministeri dei Lavori pubblici, dell'Ambiente e della Tutela del territorio, delle Politiche agricole e forestali, per i Beni e le attività culturali, e dei Dipartimenti della Protezione civile e degli Affari regionali e Autonomie locali, ha svolto, tra l'altro, attività istruttoria ai fini dell'approvazione dei suddetti programmi a valere sulle risorse stanziate per gli anni 1998, 1999 e 2000. I programmi sono stati definiti dal Comitato stesso e successivamente approvati con appositi decreti.

Tale attività di programmazione è tuttavia da riportare nell'ambito dei programmi di previsione e prevenzione di cui al già citato art. 3 della l. 225/92. Ciò ha comportato il progressivo chiarimento e approfondimento della loro applicazione alle tipologie di rischio e del necessario raccordo con gli strumenti ordinari della pianificazione e programmazione statale e regionale in essere, stabiliti dalla diversa normativa di settore. Da qui la necessità di stabilire compiti e funzioni rispettivamente di Stato, Regioni ed enti locali e la specificità dell'azione di p. c. in materia di previsione e prevenzione.

Dal punto di vista dell'ordinamento amministrativo, è da tempo in corso un processo di riforma orientato ad aumentare il peso, le competenze e le responsabilità delle istituzioni regionali e locali, attuando e sviluppando, in forme adeguate alle esigenze attuali, orientamenti al regionalismo e alla valorizzazione delle istituzioni locali già presenti nella Carta costituzionale. La p. c. non poteva risultare estranea a questo processo che ha, conseguentemente, accresciuto il ruolo e l'importanza delle Regioni e delle amministrazioni locali, affidando loro responsabilità e competenze, articolando i livelli di decisione e di intervento, aumentando le esigenze di direzione e coordinamento ai diversi livelli. Il d. legisl. 31 marzo del 1998, nr. 112 pur mantenendo in capo allo Stato le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di protezione, ha stabilito che competono alle Regioni e agli enti locali, le attività di preparazione e gestione degli eventi calamitosi meno gravi di carattere locale (l. 225/92 art. 2, co. 1, lettere a e b). Alle Regioni spetta il compito di predisporre i programmi di previsione e prevenzione dei rischi, alle Province la predisposizione e l'attuazione dei relativi piani di emergenza, ai Comuni la redazione del piano di emergenza comunale e la gestione dei soccorsi sul proprio territorio. La l. cost. nr. 3 del 18 ott. 2001, con la quale vengono attuate sostanziali modifiche al titolo v della parte seconda della Costituzione, indica, quale materia di legislazione concorrente, la protezione civile. Pertanto, i governi regionali possono attuare la struttura di p. c. ritenuta più opportuna sulla base delle caratteristiche territoriali e di rischio specifiche della propria regione, pur nel rispetto dei principi fondamentali definiti dallo Stato in materia.

Il primo governo della xiv legislatura, con d. l. 7 sett. 2001 nr. 343, convertito nella l. 9 nov. 2001 nr. 401, ha apportato sostanziali modifiche all'assetto del sistema nazionale della p. c., che ne hanno determinato l'attuale quadro organizzativo. Tale legge attribuisce al presidente del Consiglio, oppure al ministro dell'Interno da lui delegato, il compito di determinare le politiche di p. c., affidandogli i poteri di ordinanza in materia e il compito di coordinare e promuovere le attività delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, degli enti pubblici nazionali e territoriali, e di ogni altra istituzione e organizzazione pubblica e privata presente sul territorio nazionale. Il decreto legge fa salve, in ogni caso, le determinazioni del d. legisl. 31 marzo 1998 nr. 112, con il quale sono trasferiti alle Regioni e agli enti locali compiti e funzioni amministrativi, anche in materia di protezione civile. In particolare, in base all'art. 107 di quest'ultimo dispositivo, spettano allo Stato, oltre ai già citati compiti attribuiti al presidente del Consiglio, quelli relativi alla deliberazione e alla revoca, d'intesa con le Regioni interessate, dello stato di emergenza al verificarsi degli eventi di cui all'art. 2, co., lettera c, della l. 24 febbr. 1992 nr. 225 (calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, devono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari); all'emanazione, sempre d'intesa con le Regioni interessate, di ordinanze per l'attuazione degli interventi di emergenza, per evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o cose; alle funzioni operative riguardanti gli indirizzi per la predisposizione e l'attuazione dei programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di rischio, la predisposizione dei piani di emergenza, il soccorso tecnico urgente, la previsione e lo spegnimento degli incendi e lo spegnimento con mezzi aerei degli incendi boschivi. Alle Regioni, alle Province e ai Comuni spettano, ai sensi dell'art. 108 del d. legisl. nr. 112 del 1998, i compiti non attribuiti allo Stato, sulla base dell'ambito territoriale coinvolto nell'evento calamitoso o nell'emergenza. Inoltre, per assicurare il coordinamento tra lo Stato e le Regioni in materia, il d. l. 7 sett. 2001 nr. 343, convertito nella l. 9 nov. 2001, nr. 401, ha previsto l'istituzione, presso la presidenza del Consiglio dei ministri, di un comitato paritetico Stato-Regioni-Enti locali, nel cui ambito la conferenza unificata designa i propri rappresentanti.

Ai sensi del 5° co. dell'art. 5 della l. 9 nov. 2001 nr. 401 è il capo del Dipartimento che, secondo le direttive del presidente del Consiglio, deve rivolgere alla componenti del Servizio nazionale della Protezione civile le indicazioni necessarie al raggiungimento delle finalità di coordinamento operativo, assumendo su designazione del presidente del Consiglio i compiti e le funzioni straordinarie di Commissario delegato, anche in assenza di dichiarazione dello stato di emergenza. Il compito precipuo del capo del Dipartimento è quello di indirizzare e coordinare, nel quadro di una regia complessiva, una squadra che vede la partecipazione delle diverse componenti, pur gerarchicamente organizzate, con la pienezza dei propri poteri e competenze, che cambia la propria formazione non solo in ragione della tipologia di rischio, ma nel tempo e nell'area di intervento. In quest'ottica si possono assumere due ambiti di competenze paralleli e interagenti: quello statale che vede nelle prefetture-uffici territoriali di governo le parti che in un quadro collaborativo di sussidiarietà dovranno assicurare e coordinare il concorso delle forze statali, tanto nella contingenza emergenziale quanto nell'ambito di ciò che è stato pianificato in sede locale, in particolare a livello provinciale; quello territoriale che vede, tra l'altro, la responsabilità della Regione nelle attività di previsione e prevenzione, quindi dei sistemi di allertamento regionali, della Provincia nella predisposizione della pianificazione provinciale d'emergenza, nonché nel coordinamento e nell'attuazione degli interventi tecnici urgenti e la responsabilità del Comune per quello che riguarda la predisposizione della pianificazione comunale d'emergenza secondo gli indirizzi provinciali e, soprattutto, l'attivazione dei primi soccorsi necessari a fronteggiare l'emergenza stessa. La prima autorità di p. c. è infatti il sindaco. Particolare rilievo in materia di p. c. hanno poi le organizzazioni di volontariato, il cui intervento è disciplinato dal d.p.r. 8 febbr. 2001 nr. 194.

Utilizzando tale strumento si è proceduto a stabilire i differenti ambiti di competenza dell'azione di p. c. tra la presidenza del Consiglio dei ministri e i diversi dicasteri, la natura e la collocazione dei sistemi di allertamento e della funzione tecnica e scientifica, nonché un diverso rapporto con la comunità scientifica. Per quanto riguarda gli obiettivi di tutela affidati dalla l. 225/92, dal d. l. 112/98 e confermati dalla l. 401/01 al Servizio nazionale di Protezione civile, essi hanno natura specifica relativa a tutte quelle attività, ordinarie e straordinarie, che concorrono a promuovere e a garantire azioni indifferibili e urgenti, anche temporanee e specialistiche, finalizzate alla tutela dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi di origine sia antropica sia naturale, che determinino, o possano determinare, situazioni di grande rischio, nonché da calamità naturali e da catastrofi. In particolare è necessario evidenziare che, ai sensi dell'art. 3 della l. 225/92, il Servizio nazionale svolge attività finalizzate alla previsione e alla prevenzione delle varie ipotesi di rischio, nonché al soccorso delle popolazioni e a ogni altra attività necessaria e indifferibile, diretta a prevenire e fronteggiare l'emergenza in un periodo di tempo significativamente minore di quello attribuibile all'attuale aspettativa di vita umana e sociale, ossia nel breve o brevissimo termine.

La l. 401/01 conferma, oltre al Comitato operativo, la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi, di cui all'art. 9 della l. 225/92, che svolge attività consultiva di carattere tecnico e scientifico. In armonia con l'indirizzo generale la funzione tecnica e scientifica trova una sua nuova e permanente ordinaria esistenza, nell'ambito del Servizio nazionale di Protezione civile, nel Sistema nazionale dei centri funzionali che recentemente il Dipartimento della Protezione civile ha promosso d'intesa con le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano. La finalità di questo intervento di coordinamento è quella di realizzare una rete di centri operativi per il Sistema di allertamento nazionale distribuito che, attraverso attività di previsione, monitoraggio e sorveglianza in tempo reale degli eventi e dei conseguenti effetti relativi sul territorio, sia di supporto alle decisioni delle autorità preposte all'allertamento delle diverse componenti e strutture operative del Servizio nazionale di Protezione civile e alle diverse fasi di gestione dell'emergenza anche in attuazione dei piani di emergenza di p. c. provinciali e comunali.

La Direttiva del presidente del Consiglio dei ministri 27 febbr. 2004, emanata con la finalità di dettare gli indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico e idraulico, è stata estesa alle diverse tipologie di rischio, per architettura e metodologia. Essa definisce i soggetti istituzionali e gli organi territoriali coinvolti nelle attività di previsione e prevenzione del rischio e di gestione dell'emergenza; stabilisce gli strumenti e le modalità con cui le informazioni relative all'insorgenza ed evoluzione del rischio idrogeologico e idraulico devono essere raccolte, analizzate e rese disponibili alle autorità coinvolte.

Al governo del sistema di allertamento nazionale distribuito concorrono responsabilmente la presidenza del Consiglio, attraverso il Dipartimento della Protezione civile, le presidenze delle Giunte regionali, attraverso soggetti e strutture a tal fine individuati e/o delegati, in attuazione di quanto specificato dalla circolare del 30 sett. 2002 nr. DPC/CG/0035114 e di quanto previsto dalla l. 183/89 e successive modificazioni, dalla l. 225/92, dal d. legisl. 112/98 e dalla l. 401/01 e dalle normative regionali di riferimento. La gestione del sistema di allertamento nazionale è quindi assicurata dal Dipartimento della Protezione civile, dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano attraverso la rete dei Centri funzionali, nonché le strutture regionali e i Centri di competenza che sono chiamati a concorrervi funzionalmente e operativamente.

Inoltre, presso il Dipartimento della Protezione civile è istituita la Sala situazione Italia (SitI), nella quale è assicurata la presenza (24 ore su 24) delle principali strutture operative del Servizio nazionale della Protezione civile. Essa rappresenta il centro di monitoraggio e controllo permanente degli eventi che si verificano sul territorio nazionale determinando situazioni di rischio che comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni. La SitI è altresì in collegamento con le Sale operative regionali affinché sia possibile il continuo e costante scambio di informazioni in merito alla risposta del sistema locale a un evento.

Nel caso di eccezionalità della situazione emergenziale, il presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, su proposta del capo Dipartimento della Protezione civile, sentito il presidente della Regione interessata, può disporre il coinvolgimento delle strutture operative nazionali del Servizio nazionale della Protezione civile; conseguentemente il capo del Dipartimento della Protezione civile provvede a coordinare gli interventi e tutte le iniziative necessarie a fronteggiare l'evento in corso (art. 3 d. l. 245/02 convertito nella l. 286/02).

Struttura di protezione civile in altri Paesi. - L'organizzazione della p. c. fuori dall'Italia presenta consistenti differenze da Paese a Paese, tuttavia, in generale, essa può essere ricondotta a due modelli fondamentali: nel primo è gestita direttamente dal governo (per es., in Francia, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi e Grecia), mentre nel secondo i poteri sono concentrati nell'ambito delle autonomie locali (per es., in Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna, Germania).

In Gran Bretagna le competenze primarie sono affidate alle autorità locali che devono preparare i piani di intervento e coordinare i soccorsi con la partecipazione del governo solo in casi eccezionali; largo spazio viene dato al volontariato reclutato presso centri operativi locali. In Svizzera la p. c. è essenzialmente intesa come protezione della popolazione in caso di guerra; in condizioni ordinarie le attività di p. c. vengono svolte direttamente dalla popolazione; il servizio di p. c. è obbligatorio per gli uomini di età compresa tra i 20 e i 60 anni che non prestano il servizio militare; inoltre, tutti i cittadini dopo 16 anni possono svolgere le funzioni del volontariato. In Belgio il coordinamento è svolto dal governatore della provincia e solo in casi più gravi interviene il governo attraverso il ministero dell'interno e altri ministeri; è previsto anche l'intervento dell'esercito. In Francia, a livello centrale la p. c. è assicurata dal ministero dell'interno, mentre a livello periferico è svolta dai prefetti; essa si fonda sull'azione dei vigili del fuoco e dell'esercito. In Norvegia non esiste un vero e proprio organismo di p. c., e in caso di calamità le operazioni sono dirette dal ministero della giustizia e della polizia. In Portogallo l'autorità centrale di p. c. è il primo ministro che affida i compiti al ministro dell'interno; le strutture permanenti di p. c. sono i pompieri e la polizia, mentre in casi particolari interviene l'esercito; l'azione delle autorità locali è supportata da un centro operativo allestito all'atto dell'emergenza. Negli Stati Uniti gli organi di p. c. sono presieduti dal presidente degli Stati Uniti e dai governatori dei singoli Stati: al primo compete il coordinamento degli interventi e la predisposizione di piani generali contro le calamità oltre all'azione di controllo sui governatori, affinché predispongano le strutture necessarie; è da notare che l'organizzazione della p. c. non prevede l'intervento delle forze armate. In Giappone l'organismo centrale è a livello ministeriale e le operazioni di soccorso si fondano su una struttura specializzata alla quale concorrono tutti gli enti pubblici e privati, le forze armate e il volontariato. In Cina il governo predispone i piani di prevenzione che vengono attuati dai ministri competenti con la collaborazione delle autonomie locali: in particolare i comuni hanno la funzione di stimolare la partecipazione dei cittadini alle operazioni di soccorso.

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