Protezionismo

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In economia, aiuto dato dallo Stato ad alcuni rami della produzione per mezzo sia di dazi che ostacolano o impediscono la concorrenza di prodotti stranieri sul mercato nazionale, sia di altri strumenti (divieti, contingentamenti, ostacoli all’esportazione di materie prime che possano essere utilizzate da industrie nazionali, nonché facilitazioni e franchigie all’importazione di materie prime e semilavorati esteri, premi all’esportazione di prodotti nazionali ecc.); in senso più largo, contrapposto all’accezione più ampia di liberismo, ogni forma di intervento dello Stato nell’economia nazionale.

La pratica protezionistica commerciale ha come obiettivo l’aumento dell’esportazione e la diminuita dipendenza dalla produzione estera; la protezione dei settori industriali nascenti per impedirne il soffocamento da parte di economie estere più progredite; l’indipendenza economica in alcuni settori produttivi dello Stato che, tutelati e stimolati, progredirebbero nella ricerca di perfezionamenti tecnici industriali. Tuttavia le politiche protezionistiche sono oggi poco praticate a favore di una politica di libero scambio delle merci e delle persone e dell’integrazione commerciale e culturale degli Stati (➔ globalizzazione) in grado di aumentare il reddito dei paesi partecipanti allo scambio (teoria dei vantaggi comparati).

Con riferimento al mercato del lavoro, si parla, per analogia, di p. dei paesi d’immigrazione per indicare il complesso di provvedimenti destinati a impedire, ridurre o selezionare l’afflusso di immigranti al fine di riservare le possibilità di occupazione alla mano d’opera nazionale e difenderne il tenore di vita contro la concorrenza di lavoratori stranieri disposti ad accettare salari e condizioni di lavoro meno vantaggiosi.

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