Psiche

Dizionario di Medicina (2010)

psiche


L’insieme di funzioni e di processi che danno all’individuo l’esperienza di sé e del mondo. La parola, di origine greca, è equivalente al termine di origine latina anima, ma come sostantivo è desueta. Sono invece assai numerose – in italiano, ma anche in molte altre lingue – le parole che hanno nella radice il riferimento alla p.: psicologia, psicoanalisi, psicodramma, psicofarmaco, psicotico e anche psichiatria, psichedelico o semplicemente psichico. Sigmund Freud, che ha denominato come analisi della p. la sua disciplina, ricorreva spesso alla terminologia della classicità (Eros e Thanatos, libido). Il termine anima ha invece un eccessivo alone di significati e di nessi associativi con concezioni religiose, filosofiche e metafisiche. In tal senso, il termine p. appare più neutro, più tecnico, seppure con tutte le sue valenze polisemiche. Secondo la psicoanalisi, la p. è composta da funzioni affettive, sensoriali, cognitive verbali e non verbali; da sogni, fantasie, memorie; da percezioni, astrazioni e simbolizzazioni. La p. è caratterizzata da una plasticità perpetua che fa interagire il patrimonio innato con le esperienze relazionali e ambientali. L’identità psichica di ciascuno è ben più che la somma delle singole funzioni, ma è frutto di nessi associativi, di processi di integrazione consci e inconsci.

Psiche e mente

La parola psiche, uscita di scena nel linguaggio colloquiale, è oramai di competenza pressoché esclusiva delle discipline psicologiche sia come sostantivo, sia come aggettivo (psichico), anche se spesso trascina con sé, in modo esplicito o implicito, gli eterni dilemmi delle religioni e i controversi assunti delle filosofie. In tempi più recenti, nell’ambito delle neuroscienze, la parola psiche viene lasciata ai margini, sostituita autorevolmente dalla parola mente. Le neuroscienze, infatti, con il loro imponente apparato strumentale tecnologico, sono l’unico ambito disciplinare psicologico che non contenga il prefisso psico- nella sua denominazione ma quello neuro-, che rimanda alla oggettiva esperibilità dei neuroni, delle funzioni del sistema nervoso e del cervello. In psicoanalisi, invece, la parola mente è utilizzata piuttosto in riferimento ai processi di pensiero più evoluti dello psichismo.

Psiche e immortalità

La controversia circa lo statuto ultraterreno della p. si ripropone identica e inesausta ancora oggi, lasciando a ciascuno la libertà e il peso di scegliere la propria personale convinzione. La credenza nell’immortalità dell’anima (punto chiave di quasi tutti i sistemi religiosi) consente di eludere l’angoscia della morte dei nostri cari e del più definitivo dei lutti: la propria morte. Sigmund Freud e i suoi più stretti seguaci considerano irrazionali le ipotesi metafisiche e illusioni difensive dall’angoscia le credenze in una nuova vita dello spirito dopo la morte della carne. La psicoanalisi, infatti, considera l’elaborazione della separazione e della perdita di noi stessi e degli altri – la più dolorosa delle esperienze umane – un nodo evolutivo cruciale. Sul confine tra metapsicologia e trascendenza si giocò anche uno dei più roventi punti di dissenso tra Freud e Carl G. Jung, il cui modello teorico era assai più compatibile con gli aspetti mistici e religiosi dell’esistenza di quanto non fosse la severa lezione freudiana. Infatti, tuttora gli junghiani conservano nel loro patrimonio concettuale i termini animus e anima, a indicare metaforicamente i due elementi ‘maschile’ e ‘femminile’ della spiritualità. Un’eco moderna e tormentata della questione dualista o riduzionista si ritrova oggi nell’ambito della bioetica, dove opposte fazioni si scontrano per stabilire se e quando l’anima si insedia nell’embrione o abbandona le spoglie mortali e su quando, di conseguenza, possa essere lecito intervenire in caso di aborto, trapianti, sospensione delle cure.

Psiche e corpo

In psicologia si possono individuare tre grandi linee di tendenza a proposito della antica antinomia tra p. e soma, mente e corpo. La prima ipotesi, dualista, è debitrice della classica contrapposizione filosofica tra due distinte entità: una concreta, corporea, e una immateriale, spirituale. Il modello è quello cartesiano, che descrive una res cogitans (l’intelletto) ben distinta da una res extensa (la materia corporea). Il cosiddetto vitalismo scientifico (il ‘soffio’ vitale che animerebbe la bruta corporeità) ne offre un significativo esempio. All’interno di tale visione dualista gli autori di diversa formazione si contendono le ipotesi causali – psicologiche o biologiche – delle affezioni morbose. La seconda ipotesi, materialista o riduzionista (che raccoglie gli epigoni della vecchia e della nuova scuola di psichiatria organicista, e anche un consistente filone della ricerca psicologica empirica), ritiene invece che l’unica realtà psichica plausibile – e comunque l’unica della quale sia lecito occuparsi secondo un paradigma scientifico – sia quella della materia cerebrale e dei neuroni, uniti in una fittissima rete di collegamenti (sinapsi). La terza ipotesi, più complessa, ritiene che le attività psichiche non coincidano con la somma algebrica delle singole attività neuronali, che ne costituiscono solo l’ovvio substrato anatomofisiologico. La p. di un individuo è il risultato del configurarsi plastico e mobile di proprietà emergenti, il frutto di un coordinato gioco associativo tra innato e acquisito e dell’integrazione delle arvarie aree e funzioni neurocerebrali.