PSICOANALISI

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1981)

PSICOANALISI (XXVIII, p. 455; App. II, 11, p. 627; III, 11, p. 516)

Gaetano Benedetti

Dal 1960 a oggi la p. ha conosciuto una serie di importanti sviluppi volgendosi soprattutto in direzione dello studio di fasi precocissime della vita umana (1), di aspetti particolari della struttura psichica (2), delle sue modalità di funzionamento nei rapporti sociali (3), di problemi sperimentali (4), di nuove relazioni con altre scienze dell'uomo (5).

I cinque temi suesposti si possono così sintetizzare:

1) Vi è stato nella p. un interesse sempre crescente per quegli eventi psicosimbiotici che definiscono la struttura della persona umana prima della fase edipica, precedenti quindi quella fase sessuale della ontogenesi psichica che è stata la chiave di volta della ricerca freudiana.

2) Una linea di evoluzione della p. si disegna nel concetto che il suo maggiore oggetto di studio si è andato spostando, con il progredire della ricerca, dall'Inconscio istintuale (primi due-tre decenni del secolo corrente) alla struttura dell'Io (terzo, ma soprattutto quarto e quinto decennio) fino al Sé, la cui esplorazione s'inizia negli anni Sessanta e sembra adesso rappresentare, per la messe degli studi più recenti, una terza fase del progresso psicoanalitico.

3) Abbiamo inoltre, dopo il 1960, uno sviluppo sempre maggiore dello studio psicodinamico delle interazioni sociali fra l'individuo e i suoi gruppi. Ciò ha portato a formulazioni già classiche nel campo della p. della famiglia e del cosiddetto "transazionalismo", concetto americano che trascurando in parte lo studio fantasmatico e intrapsichico dell'individuo ha scrutato piuttosto le deformazioni prepsicotiche della persona a livello della codificazione di messaggi che nella vita postnatale intercorrono fra bimbo e genitori.

4) Un altro punto è rappresentato da una maggiore evoluzione della p. verso i modelli delle scienze naturali, con le sue quantificazioni, misurazioni, statistiche, verifiche sperimentali. Abbiamo qui il lungo studio catamnestico di casi curati psicoanaliticamente, l'indagine analitica di intere linee biografiche dalla nascita ai trent'anni, il paragone reciproco dei dati di ricercatori organizzati in équipe e ottenuti gli uni al coperto dagli altri, l'organizzazione scientifica dei grandi istituti di psicoanalisi.

5) Le interazioni fra p. e discipline scientifiche che studiano l'uomo in altri parametri concettuali si sviluppano oggi secondo modalità diverse da quelle della prima metà del secolo. Scomparso è lo sforzo di ridurre a modelli psicoanalitici i reperti delle scienze dell'uomo che muovono, come per es. l'antropologia culturale, da un altro tipo di premesse, mentre è sempre più visibile la ricerca di punti di contatto. Ricordiamo qui, fra le maggiori aeree d'interazione, quella con il behaviorismo, con la linguistica e con la neuropsicologia.

I punti sopra indicati possono essere ulteriormente articolati come segue:

1) Lo studio dei processi psichici di origine preedipica. - L'accento maggiore della ricerca si è spostato qui dallo studio delle classiche neurosi da transfert a quello di disturbi psichici recedentemente meno indagati: come l'autismo infantile, le psicosi infantili simbiotiche, le neurosi narcisistiche, le neurosi famigliari.

La linea generale di sviluppo non è sempre chiaramente percepibile. Poiché nella ricerca dei singoli oggetti di studio gli autori sviluppano un vocabolario di volta in volta diverso (individuazione, simbiosi, subfasi di tale processo secondo M. Mahler; internalizzazione progressiva dell'oggetto arcaico di amore e conseguente formazione del Superio idealizzato, secondo H. Kohut; metacomunicazione come alternativa alla pseudomutualità e all'identità parassita, secondo il transazionalismo americano), la p. si trova oggi di fronte al compito di un raffronto critico fra i vari contributi di pensiero; i quali non si sventagliano più, come nel passato, al punto da scindere fra loro il filone centrale del pensiero in scuole discordanti, ma che proprio per questo richiedono un maggiore vaglio di elaborazione critica comune, che è ancora da compiere.

La differenziazione postnatale del vissuto infantile fra Sè e il mondo è comunque l'argomento principe della p. dagli anni Sessanta in poi (R. Spitz, M. Mahler, E. Jacobson, H. Kohut). La base di questo sviluppo più recente sta nella ricerca di Freud sul narcisismo primario, di H. Hartmann sull'autonomia dell'Io, e inoltre nell'opera di M. Klein e di R. Fairbain. A parte i nuovi concetti (a quello d'introiezione e proiezione della Klein segue per es. quello di simbiosi, Mahler), la tesi centrale è sempre quella che la differenziazione fra Sé e il mondo avviene attraverso trasformazioni nel rapporto con l'oggetto primario di amore, con la madre. Entro questa trama i nuovi argomenti sono i seguenti:

a) Il rapporto oggettuale e non l'autoerotismo viene visto all'origine della vita psichica. Su questo concetto convergono sia nuove esperienze e speculazioni psicoanalitiche, sia quelle behavioristiche (J. Bowlby, I. Eibl-Eibesfeldt) che vedono per es. una programmazione prenatale del neonato sui moduli attitudinali materni.

b) Non solo la speculazione filosofica, come nella concettualizzazione di Freud sul narcisismo primario, e non solo l'osservazione interpretativa del giuoco e della fantasia dei bimbi, come in M. Klein, ma anche un attento studio del comportamento contraddistingue l'opera recente della Mahler. Tale autrice ci parla così di diverse fasi e subfasi di autismo, simbiosi e separazione, lungo il cui alternarsi si sviluppa l'"individuazione". Osservazioni precise vengono compiute riguardo ai cosiddetti "fenomeni formativi", la percezione tattile e visiva del viso materno da parte del bimbo, la reazione cenestesica al turgore e al calore della pelle, le modificazioni dell'umore nelle vicissitudini del rapporto con l'oggetto (vedi qui le ricerche più antiche di Spitz). La Mahler ritiene in conclusione che il disturbo psicotico sia fondato sull'incapacità del bimbo di entrare in un rapporto soddisfacente di simbiosi psichica con la madre, il quale gli permetta di "usare" l'organismo psichico matermo come una continuazione del proprio Sé (vedi anche D. W. Winnicott e il concetto di io ausiliario di Spitz) - onde esplorare il mondo senza essere sommerso da stimolazioni non ancora sufficientemente elaborabili e assimilabili.

c) Vi è oggi una tendenza a porre l'origine di fenomeni psichici gravi (psicotici, borderline, narcisistici) in rapporto con le deformazioni del Sé e dell'Io di origine postnatale precoce (Mahler, Kohut, Jacobson, H. F. Searles, e prima di loro Spitz, Klein, Schultz-Encke).

d) Una tendenza della p. da Hartmann e D. Rapaport in poi, rivolta ai fenomeni psicostrutturali in paragone a quelli libido-energetici. In altri termini, alla tendenza classica di "ridurre" fenomeni strutturalmente complessi, come appunto quelli coscienti, alle basi inconscie, alle tensioni istintuali e alle fantasie infantili, fa seguito una ricerca che studia per es. come certi meccanismi primitivi di difesa vengono dissociati nel corso dello sviluppo dagli originali conflitti libidici per arricchire strutturalmente l'Io. Non solo esistono attività autonome dell'Io, come sappiamo fin dai primi anni Quaranta; ma anche il Superio viene oggi concettualizzato nel binario Autorità-Autonomia. Il Superio autonomo è frutto di tecniche educative e di esperienze biografiche diverse da quelle studiate dalla prima p., e rappresenta valori non semplicemente riducibili a sole informazioni reattive" o "sublimazioni" di pulsioni istintuali. L'interesse, la creatività, l'intenzionalità, il senso morale vengono oggi compresi su un piano più autonomo dai fatti istintuali di quanto non lo fossero un tempo; la loro essenza viene studiata dalla p. odierna meno attraverso la speculazione metapsicologica della loro storia naturale onto- e filogenetica, quanto piuttosto nella trama dei fenomeni di comunicazione.

2) La psicoanalisi del Sé. - Ai primi anni Sessanta lo studio del Sé sembrava ancora di portata limitata e riguardava soltanto le neurosi narcisistiche: un antico termine e un concetto nuovo. Freud aveva chiamato così le schizofrenie, prima che E. Bleuler le riconoscesse definitivamente come psicosi. Valido rimaneva però il concetto psicodinamico di Freud, che metteva in luce la povertà di rapporti oggettuali in questi pazienti e il sovrainvestimento del mondo interiore. Per neurosi narcisistica Kohut intende, mezzo secolo dopo Freud, un fenomeno psicodinamico simile, ma nei termini della neurosi. In tal modo egli riscopre con la chiave di un meccanismo psicogenetico unitario tutta quella psicopatologia preedipica, che con varie denominazioni era stata descritta da tanti ricercatori precedenti, e che sfociava in complesse alterazioni del carattere, più che nelle classiche sintomatologie delle neurosi da transfert. Molto di ciò che Reich negli anni Trenta aveva concettualizzato come neurosi del carattere, senza precisarne però l'origine, rientra oggi nella sindrome di Kohut. Il meccanismo descritto da questo autore è pressapoco il seguente: brusca rottura (frustrazione traumatizzante, disillusione abnorme) del rapporto primario con l'oggetto d'amore arcaico; conseguente impossibilità d'internalizzazione progressiva della libido previamente investita nell'oggetto d'amore; da qui insufficiente strutturazione del "Superio idealizzato" (da parte della "libido idealizzante"); successiva continua ricerca nel mondo esterno dell'oggetto d'amore perduto, e sua sostituzione con l'immagine identificatoria di esso, il "Sé grandioso"; conseguente orientamento narcisistico del carattere, ossia povertà di rapporti oggettuali, e stato depressivo come indicatore dell'assenza dell'oggetto di amore, infine disturbi sessuali "secondari", per es. perversioni come tentativi d'incorporamento di esso.

Questa concezione non avrebbe influenzato in modo tanto pervasivo la p. odierna (per cui disturbi narcisistici vengono oggi scoperti un po' dovunque al di là dei limiti delle neurosi narcisistiche) se al di là delle intenzioni di Kohut stesso non fossero contenute nel suo pensiero le seguenti tre dimensioni:

Primo, il carattere narcisistico descritto dall'autore (labilità di rapporti oggettuali, preoccupazioni ipocondriache, relazione terapeutica quasi-transferale, ecc.) definisce in realtà un vasto reame delle neurosi preedipali, in cui il difetto di rapporto, di autoidentità, di empatia, le lacune nella percezione della vicinanza intervengono come segni di patologia fondamentale al posto della rivalità con il genitore dell'altro sesso, e rivelano un difetto di costruzione nella relazione con il partner primario.

Secondo, lo sviluppo del concetto di Sé (immagine dell'Io) accanto al concetto dell'Io (inteso come una "agenzia psichica") dà per la prima volta nello sviluppo della p. maggiore importanza allo studio della subbiettività, non la riduce a termini quasi-obbiettivi, che sono spesso solo extrapolazioni dell'obbiettività.

Terzo, si sviluppa una nuova concezione della psicoterapia analitica, che nel trattamento di disturbi psichici di origine precoce non si limita a interpretare al paziente il significato dinamico del transfert (come nelle neurosi da transfert o edipiche) ma accetta piuttosto l'esperienza fatta dal paziente nel transfert (per es. nel trasferire sull'immagine del terapeuta quella dell'oggetto arcaico di amore e con ciò il suo Sé grandioso). Il terapeuta nutrisce allora psichicamente il paziente stando adeguatamente con lui nella situazione transizionale e transazionale, accettandola nella sua verità vissuta di fenomeno, senza ridurla a un "meccanismo", a una ripetizione.

3) Transazionalismo psicoanalitico. - Qui abbiamo le osservazioni fondamentali di Th. Lidz, di L. C. Wynne e delle loro scuole, secondo cui esistono analogie profonde fra l'irrazionalità del pensiero schizofrenico e l'irrazionalità della comunicazione intrafamigliare, ove i genitori non riescono a differenziare i loro ruoli e a partecipare a comuni foci di attenzione nel discorso. La comunicazione sarebbe "una trasmissione d'irrazionalità", secondo cuí la figura parentale si serve del bimbo per vivere attraverso di esso certi suoi bisogni egocentrici, giustificandoli come bisogni del bimbo, ma in realtà imponendoli al bimbo. Questo, a sua volta, non riesce più a distinguere fra i suoi propri bisogni e quelli dei genitori. Ciascuno dei partner usa l'altrui come una parte di sé stesso. L'opera imponente di Wynne e M. T. Singer è forse la più sistematica di tutte le precedenti, perché basata su ricerche volte a valutare certe ipotesi e validata inoltre da studi testistici sperimentali. La loro ipotesi è il modello più chiaro e completo finora pubblicato di una classificazione di patologia individuale relata a un catalogo di disturbi della comunicazione.

Gli autori partono dalla descrizione di ciò che essi chiamano "una lesione o danno strutturale dell'Io" dei pazienti, che riguarda precisamente disturbi del pensiero e del linguaggio. In particolare: a) il difetto d'integrazione (fra Io e non Io, fra dentro e fuori, fra il mondo interno e quello esterno); b) il difetto di differenziazione. Quest'ultimo è un processo più arcaico del primo, perché riguarda la capacità di tracciare limiti cognitivi fra i contenuti, che altrimenti fanno massa. Se non c'è differenziazione, la schizofrenia corrisponde al tipo della "non-strutturazione amorfa"; se manca l'integrazione, ossia la sintesi gerarchica di ciò che è stato distinto, la schizofrenia corrisponde alla forma "fragmentata".

Gli autori vedono tali disturbi del pensiero in rapporto di simmetria con disturbi della comunicazione, che essi osservano parallelamente nell'intera vita transazionale della famiglia. Essi ci parlano così della difficoltà dei genitori a stabilire un "fuoco di attenzione", a costruire foci di attenzione cui partecipino gli altri membri della famiglia; per cui singole comunicazioni, anche se eventualmente chiare in sé stesse, si rivelano come patologiche in quanto disturbano il "fuoco di attenzione comune".

Non staremo adesso a descrivere gli stili comunicativi di queste famiglie in rapporto con le due forme fondamentali di schizofrenia; ma ricordiamo soltanto che G. E. Morris e Wynne descrivono nella loro "scala dell'attenzione" dieci diversi stili di comunicazione. Wynne pretende che osservatori neutrali sono in grado, con un'alta significatività statistica, di diagnosticare tipi di schizofrenia ascoltando al magnetofono le transazioni verbali dei genitori del paziente, specie i riferimenti alla malattia del figlio. Un dramma umano frequente nella storia del futuro paziente schizofrenico sembra dunque quello di esser cresciuto in una famiglia in cui non esiste veramente la possibilità di essere sé stesso.

4) Studi sperimentali. - Traducendo giudizi clinici in predizioni verificabili è possibile superare uno dei punti più deboli della p., e cioè il ragionamento post-hoc, che razionalizza in termini di causalità tutto ciò che viene osservato. Esistono oggi vasti studi sperimentali in America e in Inghilterra, come il Menninger research project o il Research project of the Hampstead child therapy clinic, che si sforzano di dare alla p. una dimensione "predittiva", la quale l'avvicini al modello delle scienze naturali. I progetti succitati sono in corso da 10-20 anni, condotti da gruppi di specialisti che raccolgono e vagliano una messe enorme di dati. Per es., nel Menninger project le informazioni dei pazienti vengono distribuite secondo 24 variabili, riguardanti l'età, il sesso, il grado di ansietà, il tipo dei sintomi, la natura dei conflitti intrapsichici, la forza dell'Io, le difese, gli aspetti intellettuali ed emotivi, la motivazione al cambiamento, ecc. Su questa base i ricercatori fanno una cinquantina di predizioni: per es. indicazione terapeutica, tipo di problemi che sorgeranno in terapia - transfert, controtransfert, difese, prognosi - ecc. Tali predizioni vengono depositate in modelli appositi, che poi, a trattamento finito, vengono confrontati con i risultati. Questi ultimi vengono a loro volta ordinati secondo 38 variabili (forma della terapia, tecniche basilari applicate, abilità e qualità dei terapeuti, tipo di rapporto fra paziente e terapeuta, temi transferali, ecc.). Inoltre, ogni caso viene esaminato secondo sette variabili situazionali, come la posizione culturale e socioeconomica del paziente, le relazioni interpersonali con gli altri membri della famiglia, i rapporti maritali, il tipo di attività lavorativa, la salute fisica, ecc. In questo modo si cerca di afferrare il giuoco delle variabili dei pazienti in modo da comprendere più a fondo la natura e il corso del processo psicoanalitico e di fare delle predizioni. Il paragone dei pazienti fra loro, compiuto infine sulla base di tre gruppi di variabili, permette di affrontare i problemi con metodi quantitativi. Altri studi del genere sono le vaste ricerche catamnestiche condotte sistematicamente da A. Pfeffer su pazienti trattati con tecniche freudiane; il lavoro della clinica Tavistock, cui sono legati i nomi di W. R. Bion, J. Bowlby, D. W. Winnicott, M. Balint, e che si estendono alle dinamiche di gruppo; gli studi "microscopici" che con l'aiuto di film e altri mezzi di osservazione minuta analizzano i dettagli del processo psicoanalitico. Questo tipo di ricerche come anche le analisi longitudinali che osservano lo sviluppo del carattere attraverso i decenni richiedono naturalmente lunghi archi di tempo per il loro compimento, e promettono comunque nuovi orizzonti di teoria psicoanalitica per la fine del secolo.

5) Psicoanalisi e scienze dell'Uomo. - a) Psicoanalisi e behaviorismo. Un fertile campo di reciproche, profonde influenze si va stabilendo, dagli anni Sessanta in poi, fra p. e behaviorismo. Sebbene le due discipline scientifiche siano fra loro contrastanti, per quel che riguarda sia la teoria che la psicoterapia, nasce tuttavia dal loro incontro una scienza dei rapporti interumani, che da un canto è behavioristica nel senso di limitarsi all'osservazione esatta, quantificabile, elaborabile statisticamente, delle interazioni intrafamigliari; ma d'altro canto studia essenzialmente problemi psicodinamici di origine psicoanalitica: come si sviluppa nel bimbo l'autoidentità sessuale? quale l'attenzione del bimbo per il genitore dello stesso sesso, l'identificazione con le sue aspettative, l'influenza dell'identificazione sull'aggressività, sul senso morale, sulla formazione del carattere? in che misura dipendenza e attaccamento infantile vengono influenzati o determinati da questo o quell'altro comportamento materno? quali correlazionì statistiche esistono fra un dato tipo di educazione (punitiva, restrittiva, rigida, tollerante) e l'aggressività del figlio? com'è possibile definire concetti quali protezione materna, dipendenza infantile o aggressività secondo criteri precisi e riproducibili? in che misura il senso morale del bimbo dipende dalla frequenza delle punizioni ricevute, morali, fisiche, dal rapporto con il genitore dello stesso sesso, dalla condizione socioeconomica della famiglia, dal mestiere del padre, dalla coordinazione fra tutte queste e altre variabili? a quali differenziazioni vanno incontro tali influenze educative a seconda dell'età o del sesso del figlio? (Per una rivista di questi lavori, che oggi sono circa un centinaio, vedi G. Benedetti, 1979).

È chiaro come tutto questo lavoro lasci da parte un lato importante della p., e cioè l'Inconscio, la vita intrapsichica, fantasmatica del bimbo, la metapsicologia. Ma è anche indubbio che i problemi psicodinamici indagati sono di schietta marca psicoanalitica e riguardano la formazione del carattere nella famiglia e nella società.

b) Psicoanalisi e linguaggio. Il linguaggio è divenuto, sempre più, e sotto gli aspetti più diversi, un campo d'indagine della p.: dagli studi dei ricercatori americani, che lo esaminano soprattutto dal punto di vista della sua "irrazionalità comunicativa" originantesi nella discrepanza fra messaggio affettivo e messaggio codificato verbalmente, agli studiosi europei che come J. Lacan lo vedono all'origine della rimozione primaria, o concettualizzano la struttura dell'Inconscio sul modello linguistico (S. Leclaire) o infine vedono le neurosi come forme distorte di comunicazione linguistica (A. Lorenzer).

L'irrazionalità del linguaggio come mezzo di comunicazione, stabilita anzitutto nella schizofrenia (Wynne) poi nella neurosi ossessiva (J. Barnett) e infine (Lorenzer) in qualsiasi forma di neurosi, è un asse della ricerca.

Perché ci sia comunicazione, ossia trasmissione adeguata d'informazione, è necessario che il segnale semantico sia preciso e costante, ossia abbia caratteri di evidenza e di costanza di significato. Inoltre, il complesso di segnali contenuto in una comunicazione non dev'essere autocontraddittorio, ma garantire coerenza di significati.

Poiché talora anche normalmente tutti questi caratteri non sono presenti in ogni comunicazione linguistica, intervengono regolazioni "metacomunicative" (precisazioni, spiegazioni, ecc.) a garantire la purezza dell'informazione.

Esistono rapporti fra genesi dell'Io e acquisizione del linguaggio? Ossia, in altri termini, fra processo di socializzazione e formazione del principio intrapsichico di realtà? È possibile concettualizzare, sia pure unilateralmente, la strutturazione dell'Io come acquisizione di un sistema di segnali comunicativi evidenti, costanti, coerenti? Ammettere che l'ordine del mondo dev'essere rappresentato nel linguaggio? È questa l'ipotesi fondamentale di un ramo della ricerca psicoanalitica moderna.

Esiste per es. nella comunicazione psicopatologica la stratificazione di tre informazioni proibitive dal genitore al figlio (P. Watzlawick): la prima associa la prospettiva di una punizione alla rappresentazione di un dato atto. La seconda sta in contrasto con la prima. La terza impedisce al bimbo di scoprire il conflitto. Questi sta infatti in una relazione vitale con l'informante, e non è quindi in grado di negare o limitare la validità di tale relazione.

La contraddizione esistente fra l'informazione primaria e quella secondaria non è una semplice antinomia; ma, come ci dice Watzlawick, un paradosso che abbraccia diversi livelli logici, e che non è quindi solubile, appunto perché privo di significato. Inoltre, l'unico livello riflessivo che potrebbe risolvere il dilemma, scoprendone l'illogicità con un commento che lo rifiuta in toto, è quello "metacomunicativo", che tuttavia viene represso dai genitori del futuro paziente.

Questo schema è l'estratto di situazioni intrafamigliari studiate nei contesti più diversi nell'ambito della famiglia patologica.

Un altro punto di vista studia nell'insorgenza del linguaggio il processo, già descritto da Freud, della rimozione primaria. Sappiamo che per essa Freud intendeva un processo svolgentesi essenzialmente fra l'Es e l'Io, anziché fra l'Es e il Superio. Non la proibizione morale starebbe alla base dell'Urverdrängung, ma al contrario la soddisfazione parziale del desiderio istintuale da parte di un ambiente umano fondamentalmente accettante, che per sua natura è incapace, come qualsiasi alter ego, d'identificarsi totalmente col bisogno istintuale altrui. Nessun essere umano è mai in grado di soddisfare le tensioni istintuali del bimbo se non nei parametri della socializzazione, della sua vidimazione nell'espressione linguistica, della sua traduzione in forme socialmente accettabili. Quando tale accettazione è significativa per il bimbo, allora è su questa esperienza che viene trasferita gran parte dell'originaria "carica istintuale", mentre un resto istintuale non totalmente traducibile perde così il suo investimento energetico e rientra a far parte dei processi inconsci. È attraverso tale rimozione primaria, o, in altri termini, attraverso una parziale alienazione dalla totalità istintuale che l'individuo inizia a vivere in una sfera linguistica e diviene soggetto. Il deficit comunicativo non conduce allora tanto (come già spesso nel campo delle neurosi) alla creazione di un Superio perverso, fonte di innumeri rimozioni secondarie; quanto piuttosto al persistere di uno stato arcaico, in cui la rimozione primaria non è avvenuta, e ove il paziente, non divenuto sufficientemente soggetto, è non solo vittima di un continuo vissuto di non-accettazione, ossia d'impotenza psicotica, ma anche di un suo implicito delirio di onnipotenza, di una sua impossibilità di uscire dal narcisismo primario, di accettare attraverso una parziale rinuncia istintuale la realtà.

c) Psicoanalisi e scienze biologiche. Un altro aspetto sperimentale della p. risulta dal progresso della neurofisiologia da un canto e dalla genetica dall'altro. L'aspetto piti interessante è qui la ricerca delle interazioni fra processi psicologici e processi biologici. Mentre nei decenni precedenti gli anni Cinquanta-Sessanta la confrontazione della p. con le scienze biologiche equivaleva a un mero contrapporsi di modelli esplicativi, insorge adesso il problema, in che misura esperienze psichiche modificano l'attività cerebrale, e quale grado di autonomia esse hanno rispetto a questa. In particolare lo studio neuropsicologico del sonno e del sogno, il rapporto fra reazioni emotive e neurovegetative, fra Inconscio e linguaggio, fra fattori genetici ed esperienzali nella genesi della schizofrenia, hanno qui offerto una ricchezza di spunti che sono ancora all'inizio (Benedetti, 1969).

Bibl.: M. Balint, Primary love and psychoanalytic technique, Londra 1952 (trad. it. L'amore primario, 1973; L'analisi didattica, 1974); D. W. Winnicott, Collected papers, ivi 1958 (trad. it. Dalla pediatria alla psicanalisi, 1975); W. R. Bion, Experiences in groups, New York 1961 (trad. it. 1972); H. F. Searles, Collected papers on schizophrenia, Londra 1965 (trad. it. 1975); D. Rapaport, The collected papers of David Rapaport, New York 1967 (trad. it. Il modello concettuale della psicanalisi, 1978); J. Mahler, On human symbiosis and the vicissitudes of individuation, ivi 1968 (trad. it. Le psicosi infantili, 1972); G. Benedetti, Psicanalisi e neuropsicologia, in Neuropsicologia, Milano 1969; J. Bowlby, Attachement and loss, vol. I, Attachement, Londra 1969 (trad. it. Attaccamento alla madre, 1974); vol. II, Separation, ivi 1973 (trad. it. La separazione della madre, 1975); H. Kohut, The analysis of the self, New York 1971 (trad. it. 1976); E. Jacobson, Depression, ivi 1973 (trad. it. 1977); G. Benedetti, Psychodynamik, in Psychiatrie der Gegenwart, vol. I; Grundlagen und Methoden der Psychiatrie, Berlino 19772; id., Psychodynamik als Grundlageforschung, in Psychiatrie der Gegenwart, Praxis und Forschung, vol. I, parte I, ivi 1979.

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