Psicologia dinamica

Enciclopedia Italiana - VI Appendice (2000)

Psicologia dinamica

Giovanni Jervis

Rapporti con la psicoanalisi

Il termine generico di psicologia dinamica viene abitualmente usato per designare quelle teorie della mente e dei legami interpersonali che derivano dalla psicoanalisi. Peraltro, questa collocazione va corretta con una serie di distinzioni e comunque, fin dall'inizio, il riferimento alla psicoanalisi andrebbe inteso, in questo contesto, in senso estensivo, e cioè comprendendo in quest'ambito non soltanto le teorie di S. Freud e di coloro che dopo di lui si richiamano direttamente al suo pensiero, e cioè la psicoanalisi in senso stretto, ma anche le teorie di C.G. Jung, e altresì quelle di una serie di altri clinici e studiosi che, pur presentando talune affinità di indirizzo con le impostazioni freudiane, non vengono considerati abitualmente appartenenti all'ambito psicoanalitico vero e proprio, come P. Janet, A. Adler, W. Reich, L. Binswanger, H.S. Sullivan, E. Fromm, K. Horney, C. Rogers e altri più recenti. Tutti questi autori hanno fornito importanti contributi alla p. d. moderna.

L'autonomia e l'importanza, oggi crescenti, del concetto di p. d. derivano da una serie di fattori, i quali hanno contribuito a differenziare la p. d. dalla psicoanalisi.

In primo luogo, va ricordato che la p. d. nasce storicamente dall'esigenza di porre a confronto le teorie della psicoanalisi con la psicologia accademica. Tuttora, la p. d. è essenzialmente identificata con l'insieme delle cattedre universitarie che prendono in esame, da un punto di vista storico, teoretico e metodologico, le teorie di derivazione psicoanalitica e le pongono a confronto con le altre correnti della psicologia moderna. Occorre ricordare, a questo proposito, che fin dalla sua impostazione iniziale la psicoanalisi freudiana volle collocarsi, anche indipendentemente dalle incomprensioni di cui fu oggetto, come un movimento culturale organizzato in associazione professionale privata riproducentesi per affiliazione, addestramento e cooptazione e, dunque, come struttura societaria indipendente ed esterna rispetto al mondo universitario, agli istituti di ricerca scientifica e alle organizzazioni pubbliche di salute mentale. Da allora, la psicoanalisi come istituzione è rimasta un insieme di associazioni strettamente private di terapeuti.

Mentre, però, in Europa l'ambiente accademico, e in particolare l'ambito delle facoltà e degli istituti di Psicologia, rimaneva per molti decenni sostanzialmente indifferente se non ostile alla psicoanalisi, negli Stati Uniti fin dall'inizio del secolo le idee di Freud e quelle di Jung, e poi quelle dei loro seguaci, furono oggetto di notevole attenzione da parte di psicologi e psichiatri non psicoanalisti: un'attenzione a volte critica, ma altre volte molto più favorevole. Questo benevolo interesse per i temi psicoanalitici, o almeno per una parte di essi, fu più spiccato nella cultura scientifica americana degli anni Venti e Trenta, per declinare in seguito sempre più nettamente soprattutto dopo gli anni Quaranta. Ne derivarono, in quel periodo, elaborazioni di notevole interesse non solo nell'ambito della psicologia clinica ma anche in quello della psicologia infantile e della psicologia sociale: il concetto di motivazione, per es., risultò frutto dell'influenza del concetto freudiano di pulsione; e così anche, benché più indirettamente, fu sempre sotto l'influenza di idee psicoanalitiche che vennero messi a punto e largamente utilizzati in psicologia generale i concetti di frustrazione e quello di adattamento. L'insieme delle elaborazioni psicologiche più nettamente legate alle ipotesi della psicoanalisi prese il nome di psicologia dinamica. Nei decenni dopo il secondo conflitto mondiale, non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, l'insegnamento della p. d., e i suoi temi, entrarono a far parte del curriculum degli studi universitari di psicologia.

In secondo luogo, occorre notare che le teorie psicodinamiche, a differenza di quelle psicoanalitiche, non sono teorie cliniche. Le idee psicoanalitiche, infatti, sono nate e si sono sviluppate in stretto rapporto con una particolare esperienza empirica (o 'artigianale') di tipo clinico, cioè nell'interazione di ascolto e di interpretazione fra il curante e la persona sofferente. In questo ambito le 'teorie della mente' di più stretta impostazione psicoanalitica si pongono in stretto rapporto con la 'teoria della tecnica psicoanalitica', cioè sono difficilmente separabili, almeno in quell'ambito, da considerazioni e prescrizioni circa le modalità di trattamento di persone sofferenti. Viceversa, quando si parla di p. d., ovvero di teorie psicodinamiche, si tende a prescindere del tutto da considerazioni e prescrizioni di ordine terapeutico.

In terzo luogo, è caratteristico della p. d. moderna il tentativo di porre a confronto fra loro, in uno sforzo di selezione e di sistematicità, i principali e più validi aspetti delle teorie della mente proposte da Freud, da Jung e da tutti gli autori che si rifanno, anche indirettamente e magari con riserve critiche, all'ambito psicoanalitico. Se da un lato la p. d. utilizza, talora con qualche eclettismo, spunti e idee che emergono dalla pratica dei clinici della mente (e lo si è visto circa le elaborazioni statunitensi degli anni Venti e Trenta), da un altro lato essa aspira anche a cogliere, al di là della notevole dispersione di indirizzi delle varie scuole cliniche, un nucleo comune di idee. Sia Freud, sia una serie di altri autori, da Janet in poi, che oggi vengono considerati in senso lato 'di ambito psicodinamico' (piuttosto che soltanto, in via più ristretta, 'di ambito psicoanalitico') sono accomunati dal fatto di essersi occupati, sul piano relazionale, ovvero interindividuale, degli aspetti più propriamente affettivi delle relazioni interpersonali nella vita quotidiana, e allo stesso tempo e in modo analogo, ma questa volta sul piano intrapersonale o intrapsichico, degli aspetti inconsci, e intrinsecamente dialettici, e conflittuali, del funzionamento della mente. Sono questi, volendone identificare un nucleo tematico, i filoni centrali in cui tuttora si impegna l'indagine propria della p. dinamica.

Funzione storica e rinnovamento della psicologia dinamica

La stessa locuzione psicologia dinamica nasce dunque nei primi decenni del secolo, e si sviluppa non già presupponendo che esista un modo 'dinamico' di intendere la psicologia, bensì come sinonimo di psicologia delle dinamiche della mente. È da questo punto di vista che l'impostazione di Freud rimane, malgrado molte e talora radicali revisioni, storicamente al centro di tutto l'orientamento psicodinamico. Secondo Freud, infatti, il comportamento umano è il risultato di forze interiori in contrasto fra loro (e in particolare di forze istintuali primarie - le pulsioni - in contrasto con esigenze 'civili' di adattamento sociale); e gli stessi eventuali sintomi e le sofferenze psichiche del singolo, anziché essere l'effetto meccanico di fattori traumatici, sono piuttosto 'soluzioni di compromesso' precariamente elaborate dal soggetto per far fronte a difficili esigenze interiori. Il fatto di proporre una visione dialettica e conflittuale del comportamento umano si lega, sia in Freud sia negli altri autori di questo insieme di scuole, alla tendenza a sottolineare la scarsa consapevolezza che ciascuno ha delle proprie dinamiche interiori. Così, è tipico dell'impostazione psicodinamica il rilevare come l'ordinaria operatività umana, nei suoi aspetti cognitivi e razionali, tenda a nascondere un livello sottostante di motivazioni, dove forze o 'spinte' di carattere emozionale e affettivo, aventi origine nei legami interpersonali primari dell'infanzia, influenzano o addirittura guidano le razionalizzazioni tipiche del pensiero calcolante all'interno delle relazioni interpersonali.

La collocazione della p. d. nell'ambito delle discipline psicologiche del Novecento va peraltro compresa tenendo conto della sua distanza dalla ricerca psicologica sistematica. Per gran parte del secolo, e in pratica fino agli anni Settanta, il panorama generale delle discipline psicologiche è stato caratterizzato da una scissione, o divaricazione, fra la ricerca psicologica sistematica (o pura) e - su un altro versante - la psicologia empirica, o operativa, talora anche detta psicologia applicativa. Fin dall'inizio del 20° secolo la ricerca psicologica sistematica, o scientifica, si è occupata, partendo dallo studio degli aspetti più semplici del sistema nervoso, di capire e spiegare le leggi che governano i meccanismi basilari dell'apprendimento e della percezione, e nel far questo ha utilizzato quasi esclusivamente animali di laboratorio. Per molti decenni, in pratica fino agli anni Settanta, la psicologia sistematica e sperimentale non ha ritenuto di poter affrontare temi complessi quali il pensiero operativo, le rappresentazioni della mente, i sogni, le emozioni, la genesi e la natura dei legami affettivi.

Questo fatto comportava una evidente carenza di ipotesi atte a spiegare i problemi propri della vita quotidiana degli esseri umani. Tuttavia, pur in mancanza di dati solidamente verificati, fu necessario agli psicologi esprimere teorie che risultassero utili, su un piano del tutto empirico, alle loro esigenze operative, o 'pratiche'. Qui erano dunque necessarie ipotesi di lavoro, comunque formulate, soprattutto in tre campi: la pedagogia, la clinica e lo studio delle dinamiche sociali ('clinica' va inteso qui in senso lato, cioè in riferimento alla psicologia clinica, che si occupa di tutti i problemi di valutazione psicologica, compresa la valutazione diagnostica, delle relazioni di aiuto, comprese quelle terapeutiche, e delle tecniche di modificazione del comportamento individuale e di gruppo).

In questa situazione, la p. d. ha rappresentato, fino agli anni Settanta, il principale insieme di ipotesi empiriche - cioè raccolte in modo aneddotico e non elaborate con ricerche sistematiche - utilizzate a supporto di esigenze di psicologia operativa; questa utilizzazione della p. d. fu soprattutto prevalente nell'ambito della clinica e, in misura meno accentuata, ma sempre significativa, nell'ambito della pedagogia e della psicologia sociale.

Negli anni Quaranta e Cinquanta, peraltro, erano già nati i primi significativi sforzi sistematici - e dunque non più solo empirici o impressionistici - negli ambiti sia della psicologia del bambino, sia della psicologia sociale e dei gruppi. A partire dagli anni Sessanta, l'associarsi della prospettiva etologica con il metodo sperimentale dava luogo, con J. Bowlby, al primo studio veramente moderno del legame di attaccamento, mentre dagli anni Sessanta e Settanta, con il cognitivismo, prendeva piede la ricerca sperimentale sul pensiero e sul rapporto fra consapevolezza e comportamento; ancor più recentemente, iniziavano sia lo studio sistematico delle emozioni sia le prime importanti ricerche statistiche sull'efficacia dei trattamenti psicoterapici e psicoanalitici. In questo ambito, vari aspetti delle teorizzazioni psicoanalitiche 'classiche' si rivelavano inadeguati (la principale fra queste vittime teoretiche delle ricerche moderne fu la teoria delle energie istintuali) e le idee di Freud cominciavano a mostrare, soprattutto a partire dagli anni Settanta, importanti segni di invecchiamento anche sul piano operativo. La psicoanalisi scontava, più che il suo legame con la cultura dell'Ottocento, la sua sostanziale mancanza di basi scientifiche. In questa situazione la p. d. rischiava di perdere il suo ruolo.

A distanza di alcuni anni si può tuttavia affermare che la p. d. ha tratto, nell'insieme, un qualche vantaggio dalla progressiva obsolescenza della tradizione freudiana. Negli ultimi due decenni del 20° secolo è stata la p. d., assai più della psicoanalisi, che si è dimostrata capace di persistere e di rinnovarsi. Il motivo principale di questa sua vitalità, o se si vuole di questo suo vantaggio, va ricercato nella sua maggiore apertura culturale e nella sua tradizionale disposizione al confronto interdisciplinare, ma anche nella mancanza delle tipiche preoccupazioni di ortodossia che affliggono gli ambienti societari psicoanalitici e infine, probabilmente, nello svincolo della ricerca teoretica psicodinamica dalle esigenze empiriche di condotta terapeutica.

La p. d. si è trovata dunque, da un lato, a raccogliere una parte importante della crisi della psicologia scientifica di impronta meccanistica; e, da un altro lato, a trarre vitalità proprio da alcune evoluzioni della psicologia scientifica degli ultimi decenni del Novecento.

La psicologia dinamica fra tradizione e nuovi scetticismi

In primo luogo, la p. d. ha fornito un luogo teoretico, e un terreno di ricerca, per dare voce alle inquietudini e insoddisfazioni degli psicologi convinti che lo studio sperimentale e parcellare dell'intelligenza, della coscienza e delle emozioni non fosse adeguato a dar conto della complessità del vivere umano. Da tempo, fin dagli anni Trenta, erano entrati a far parte della p. d. filoni ideologici 'umanistici' e 'globalistici', influenzati da prospettive esistenzialiste, e ostili a ridurre il comportamento e lo spirito umano a una struttura semplificata di temi sessuali e di pulsioni e meccanismi inconsci. Questi orientamenti erano invece inclini a rivalutare la profondità dell'esperienza interiore e la dialettica dell'incontro interpersonale nella loro irriducibile - e irriproducibile - ricchezza. Da sempre, una parte almeno della p. d., attenta ad addentrarsi senza troppo semplificarla nella contraddittoria molteplicità delle storie di vita e nelle mille influenze remote delle esperienze infantili, si era dimostrata sensibile agli aspetti non lineari dei meccanismi mentali, e dunque era preparata per molti versi a considerare gli eventi umani in termini antimeccanicistici, e talora perfino in termini di 'non spiegabilità' razionale. Per questi motivi, la tradizione psicodinamica, giunta a fare un bilancio di se stessa alla fine del 20° secolo, pareva, e pare a molti, la più idonea a salvaguardare sia il carattere inesauribile della soggettività esperienziale, sia la complessità del terreno sottostante, più oscuro ma non per questo meno ricco, dei meccanismi inconsapevoli che guidano il rapporto del singolo con la realtà esterna. Negli anni Ottanta e Novanta contribuivano a questa evoluzione sia la crisi del modello meccanicistico freudiano della mente, sia il riproporsi di orientamenti ermeneuticisti e costruzionisti nella teoria psicologica generale della conoscenza, sia, infine, anche talune autorevoli posizioni, come quella di J. Bruner, decisamente favorevoli a una rifondazione 'culturalista' anziché 'scientifica' della psicologia nel suo insieme.

Così, su questa base tornava a farsi sentire anche il nesso tradizionale fra le teorie della p. d. e l'esperienza generale della relazione di aiuto. Qui le teorie psicodinamiche, anziché pretendere un'autonomia rispetto all'esperienza del rapporto duale nel nome dell'oggettività della scienza, proprio nell'inesauribilità dell'incontro volevano recuperare il proprio patrimonio di esperienza e di saggezza.

Su un versante del tutto diverso, e anzi ideologicamente opposto, non si può non menzionare come gli sviluppi moderni della ricerca psicologica sistematica abbiano confermato e rafforzato, peraltro trasformandoli, taluni fra gli orientamenti psicodinamici tradizionali, e in particolare quelli fra essi che, freudianamente, pongono al loro centro l'importanza dell'inconscio. Se è ben noto anche ai profani che la psicoanalisi di Freud si propose, alla fine dell'Ottocento, come una psicologia dell'inconscio, va ricordato che, a quell'epoca, la nascente psicologia scientifica e sperimentale a cui egli si contrapponeva era una psicologia della coscienza, e più precisamente una psicologia introspettiva dei contenuti della coscienza. Nel corso del 20° secolo, peraltro, la psicologia scientifica fu qualcosa di ben diverso sia dalla psicoanalisi, sia dalla ottocentesca psicologia della coscienza: per i primi cinque o sei decenni essa fu una 'psicologia senza la mente' e, anzi, sostanzialmente uno studio oggettivo del comportamento; e in seguito, con l'avvento della prospettiva cognitivista, divenne quella che è in larga parte tuttora, cioè una psicologia dei modelli di realtà e delle strutture della conoscenza. Queste strutture non sono però necessariamente ancorate all'autocoscienza: si suppone oggi che sia gli animali, sia i bambini molto piccoli, sia, in alcuni casi, i calcolatori possano costruire validi modelli 'interiori' di realtà, in un contesto operativo che prescinde da una separazione netta fra processi consci e processi inconsci.

Ne è derivata, in un certo senso, una conferma dell'idea di inconscio; ma anche una sua radicalizzazione. Al contrario che nel modello freudiano, ancora di impronta ottocentesca, dove il tentativo era pur sempre quello di spiegare cosa fosse l'inconscio, dato che la coscienza veniva data in qualche modo per scontata, negli ultimi decenni del Novecento il processo si inverte, perché la non consapevolezza, o meglio la 'non accessibilità' alla coscienza, appare finalmente come la realtà psichica primaria, mentre ciò che chiamiamo coscienza rimane fenomeno da spiegare, e appare anzi un fenomeno probabilmente composito, non omogeneo, e soprattutto più decisamente marginale. Negli animali e nel bambino molto piccolo, ma anche nell'adulto, la non consapevolezza appare dunque la base reale dei processi di apprendimento ed è la struttura fondamentale del 'saper fare', mentre talune facoltà 'superiori' un tempo date per scontate, come l'autocoscienza, l'introspezione degli stati emozionali, o la capacità di capire e spiegare in termini veridici i motivi dei propri comportamenti, finiscono col ridursi in gran parte, alla luce degli studi sperimentali degli ultimi decenni del 20° secolo, a un insieme di razionalizzazioni precarie e di spiegazioni socialmente concordate.

In quest'ottica, la p. d. di oggi ritrova fondamento come studio sistematico dei meccanismi di autoinganno, e quindi come nuova indagine della pervasività dei fattori di errore nel pensare quotidiano. Mentre però secondo Freud, il quale era ancora legato alla filosofia dell'Ottocento, il soggetto ingenuo inganna correntemente se stesso perché incapace di accettare la presenza, nel proprio intimo, di spinte sessuali e aggressive 'inammissibili', viceversa, nella p. d. della fine del Novecento il meccanismo dell'autoinganno diventa pervasivo. Si ha qui in pratica un vero mutamento di paradigma filosofico. L'indagine di Freud si muoveva ancora all'interno di una logica cartesiana, dove la coscienza è un dato primario, la mente è tendenzialmente autotrasparente, e il ragionamento umano non fallirebbe mai, se non fosse influenzato da quelle che R. Descartes chiama le passioni, le quali sono, già in quel filosofo, i moti emotivo-affettivi (e sessuali) che hanno origine nell'opacità della macchina corporea. Viceversa, la p. d. della fine del Novecento sembra muoversi nella logica di F. Bacon: qui i fattori di errore non sono dovuti a pulsioni istintuali estranee alla mente razionale, bensì sono intrinseci a essa, cioè sono connaturati ai meccanismi cognitivo-affettivi ordinari. I celebri idola, fattori costanti di inganno, configurano, in Bacon, il modo 'naturale' di procedere della conoscenza umana.

Proprio su questa tematica la p. d. odierna si lega più strettamente alla psicologia interpersonale e sociale, soprattutto per quanto concerne i temi della difesa dell'immagine di sé, del pregiudizio e della gestione delle dissonanze cognitive. Il rilancio di studi psicologici d'impronta darwiniana, tipico degli ultimi anni del 20° secolo, ha contribuito ulteriormente a relativizzare la tematica della coscienza. Sullo sfondo della psicologia evoluzionistica, la funzione del linguaggio e quella dell'autocoscienza vengono relativizzate, e la separazione fra la parte razionale della mente e la parte affettivo-emozionale è messa ancor più radicalmente in discussione, così come, del resto, quella ormai tradizionale fra coscienza e inconscio.

La p. d., nei suoi aspetti legati alla ricerca scientifica sistematica, tende allora a rifondarsi come studio degli effetti pratici quotidiani della precarietà globale della condizione mentale propria della nostra specie, e dirige la sua attenzione agli sforzi (e agli inevitabili errori) che ogni soggetto è chiamato a compiere per adattarsi a realtà sociali sempre più complesse, e forse sempre meno individualmente governabili.

bibliografia

S. Freud, Opere, 12 voll., Torino 1966-80.

J. Bowlby, Attachment and loss, 3 voll., London 1969-80 (trad. it. Torino 1972-83).

H.F. Ellenberger, The discovery of the unconscious. The history and evolution of dynamic psychiatry, New York 1970 (trad. it. Torino 1976).

J. Bruner, Acts of meaning, Cambridge (Mass.) 1990 (trad. it. La ricerca del significato, Torino 1992).

Introduzione alla psicologia dinamica, a cura di S. Stella, Torino 1992.

L. Mecacci, Storia della psicologia del Novecento, Roma-Bari 1992.

G. Jervis, Fondamenti di psicologia dinamica, Milano 1993.

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