Psicologia

Enciclopedia del Novecento (1980)

Psicologia

Leonardo Ancona

di Leonardo Ancona

Psicologia

sommario: 1. Introduzione: a) definizione; b) articolazione. 2. L'osservazione esterna: a) rilevazione psicofisiologica; b) comparazione del comportamento; c) manifestazioni differenziali. 3. L'introspezione pilotata: a) i contenuti mentali; b) le funzioni interiori; c) l'organizzazione interna. 4. Lo studio delle interazioni sociali: a) la prospettiva incentrata sul gruppo; b) la prospettiva incentrata sull'individuo. 5. La dimensione genetica: a) l'evoluzione psichica normale; b) la deviazione psicopatologica; c) la processualità psicopatologica; d) la prospettiva psicanalitica. 6. Integrazione. 7. Conclusione. □ Bibliografia.

1. Introduzione

a) Definizione

La psicologia è la scienza che si propone lo studio delle funzioni mentali dell'uomo; a tal fine essa analizza il comportamento umano, sia dal punto di vista delle manifestazioni esterne, e cioè nelle sue componenti motorie e neurovegetative, sia dal punto di vista della dinamica, conscia e inconscia, del pensiero e dell'affettività. In quanto disciplina scientifica, la psicologia ha una lunga preistoria, come componente fondamentale del pensiero filosofico, ma una brevissima storia, iniziata all'incirca un secolo fa; non tutti, peraltro, sono disposti, ancor oggi, ad attribuire alla psicologia la qualifica di disciplina scientifica. Il ritardo subito dalla psicologia nel costituirsi come scienza si può imputare a due ragioni principali. La prima, di carattere generale, riguarda il peculiare oggetto di studio della psicologia, e cioè l'individuo nella sua totalità. In particolare si è incontrata enorme difficoltà, non ancora compiutamente superata, a inquadrare scientificamente il concetto di mente e di funzione mentale. Per questo motivo, fra le discipline che studiano l'uomo, sono diventate rigorosamente scientifiche innanzitutto quelle nel cui ambito non rientra l'analisi della ‛soggettività individuale. La prima in ordine di tempo è stata l'anatomia, seguita dall'anatomo-patologia: queste due discipline, per il fatto di studiare corpi inanimati, garantiscono in senso assoluto la possibilità di prescindere dalla soggettività. Si costituirono poi come scienze la fisiologia e la farmacologia, che, pur studiando l'organismo vivente, non si occupano dell'uomo nella sua totalità. In un momento successivo si differenziarono la chirurgia e la medicina interna; queste due branche della medicina, benché riguardino già l'individuo come un tutto e prendano in considerazione anche le caratteristiche individuali del paziente, pongono ancora l'accento sull'aspetto biologico dell'uomo; solo recentemente nell'ambito della medicina interna si è distinta come disciplina autonoma la neurologia. È ben noto che la psichiatria, per le ragioni in discussione, ha avuto più difficoltà di ogni altra specialità medica a costituirsi come scienza, e in realtà ancor oggi la sua identità rimane piuttosto indefinita; infatti, da una parte la psichiatria tende a presentarsi come una branca della medicina, e quindi come scienza naturale, dall'altra tende a sconfinare nella sociologia (v. psichiatria).

È pertanto comprensibile la difficoltà incontrata dalla psicologia a costituirsi come scienza e si comprende anche come la sua collocazione fra le scienze naturali sia alquanto problematica, tanto che alcuni sono propensi a collocarla nell'ambito delle discipline filosofiche. La psicologia, infatti, si accosta più di tutte le altre scienze naturali all'intimità dell'uomo; questa sua caratteristica può ingenerare il sospetto che sia ancora impregnata di quel pensiero magico dal quale sono nate, distaccandosene, tutte le scienze naturali e specialmente la medicina. È interessante notare che nella storia stessa della psicologia è possibile rintracciare una linea evolutiva che sembra riflettere lo sviluppo sopra delineato a proposito delle scienze mediche, dal momento che gli aspetti anatomici e fisiologici del comportamento sono stati i primi a essere rilevati e studiati, mentre quei settori della psicologia che studiano la dinamica profonda dell'apparato psichico, in particolare la psicanalisi, che rappresenta il settore più avanzato della psicologia, sono stati sviluppati per ultimi. La seconda ragione che ha impedito per lungo tempo alla psicologia di trovare un assetto scientifico dipende dalla natura stessa della disciplina. La molteplicità degli aspetti che la psicologia presenta, spesso apparentemente incompatibili fra loro, il fatto che non di rado scuole di psicologia di diversa ispirazione si pongano in antagonismo, la mancanza di una terminologia unitaria sono circostanze che alimentano il sospetto che la psicologia stenti a trovare la sua strada, o, all'opposto, che abbia già esaurito il suo compito. In realtà il carattere peculiare dell'oggetto di studio della psicologia comporta necessariamente una molteplicità di metodologie, di terminologie, di indirizzi di ricerca; orientata in ultima analisi verso lo studio della soggettività umana, la psicologia deve occuparsi di tutti quegli aspetti della vita individuale e sociale, conscia e inconscia, che mediano ed esprimono la stessa soggettività, intesa non già come un'entità statica e immutabile, ma come un processo dinamico in continua evoluzione. Proprio la straordinaria ricchezza espressiva della vita umana offre all'indagine psicologica una varietà praticamente inesauribile di riferimenti che devono essere affrontati con diverse metodologie, da cui scaturiscono risultati apparentemente eterogenei, in realtà reciprocamente integrabili. Per far sì che le conclusioni tratte nell'ambito delle varie direttive di ricerca possano inserirsi in un comune tessuto concettuale, è però necessario interpretare le variabili osservate come espressioni di funzioni mentali e queste, a loro volta, come le strutture portanti di quella funzione superordinata che è la soggettività. Resta inteso che il concetto di soggettività è un'astrazione; ma in ciò la psicologia non si differenzia dalle altre scienze naturali le cui teorie vengono formulate a partire, appunto, da astrazioni concettuali.

È evidente che non sempre una ricerca psicologica permette di trarre conclusioni riguardanti direttamente e globalmente la soggettività. D'altra parte, molti ricercatori si limitano a interpretare i risultati delle loro indagini sul piano fattuale, disinteressandosi di ogni riferimento alla soggettività o addirittura negandola programmaticamente. Ciò non toglie che il contributo di questi ricercatori allo sviluppo della psicologia come scienza possa essere di inestimabile valore, purché la ricerca venga condotta con autentico rigore scientifico. In altre parole, se si studia obiettivamente un riflesso condizionato, la formazione di una Gestalt, la dinamica di un transfert, e lo si fa secondo una procedura scientifica, si compie della vera ricerca psicologica, anche se l'orizzonte del ricercatore rimane limitato a quei dati e anche se egli sostiene che tutta la vita mentale è riducibile a riflessi condizionati, a Gestalten, ad atteggiamenti transferali. In questo caso il suo errore consisterà nella concezione di base piuttosto che nella strategia procedurale prescelta e i fatti messi in rilievo costituiranno comunque un prezioso contributo alla ricerca psicologica, potendo essere inseriti in una sintesi concettuale di ordine superiore. Come infatti accade in molte altre scienze, anche in psicologia dati ormai acquisiti sono suscettibili di interpretazioni sempre più approfondite, ovvero possono essere utilizzati a un livello preliminare di analisi, anche quando sembrano superati da nuove prospettive di ricerca: si tratta infatti di ‛pezzi di sapere' che restano veri e che possono sempre essere integrati in una più ampia visione sintetica. La tendenza in atto in campo scientifico a operare sintesi sempre più estese sulla base della collaborazione fra specialisti di diverse discipline, cioè la tendenza interdisciplinare, indica la strada del futuro sviluppo della psicologia: l'integrazione delle diverse metodologie caratterizzerà sempre più la psicologia come scienza. Tuttavia questo processo di integrazione comincia a svilupparsi soltanto adesso ed è per questo che tuttora molti considerano la psicologia come un insieme di concezioni eterogenee e non le riconoscono quel carattere unitario di corpus disciplinare cui si è soliti attribuire la qualifica di scientifico. D'altra parte, il superamento della posizione deterministica in campo scientifico, la sostituzione del concetto di osservazione con quello, più comprensivo, di interazione e il conseguente ampliamento del concetto stesso di scienza sono fattori che aprono la strada alla possibilità di annoverare ormai la psicologia fra le scienze naturali.

La psicologia si può allora definire, in ultima analisi, come la disciplina scientifica che studia ciò che caratterizza e media la soggettività umana, nel suo divenire normale e patologico.

b) Articolazione

Non è mai stato facile descrivere il contenuto della psicologia, a causa della sua complessità. Vi è stato chi ha risolto il problema prendendo in esame, separatamente, le diverse branche della psicologia che si occupano delle più importanti funzioni mentali. Altri hanno preferito seguire l'evoluzione storica della disciplina, analizzando le diverse scuole e i diversi indirizzi di ricerca che si sono succeduti nel tempo. Altri ancora hanno scelto di presentare lo sviluppo della psicologia nei diversi paesi e nelle diverse culture scientifiche. Vi è stato infine chi ha preso lo spunto dall'opera dei grandi pionieri per offrire un quadro articolato del contenuto della disciplina. Tutti i metodi sono validi e tutti presentano dei limiti. Il criterio scelto nella stesura di questo articolo mira a fornire una visione d'insieme della psicologia, a partire da quelle metodologie e dai quei punti di vista che meglio caratterizzano l'attuale ricerca psicologica. Si tratta di diversi modi di studiare la dinamica psichica, attraverso la quale si rende manifesta quella soggettività che, come abbiamo visto, costituisce l'ultimo riferimento delle funzioni mentali. Le metodologie scelte debbono pertanto intendersi come punti di riferimento, strumenti di ricerca, e quindi come modalità operative piuttosto che come modelli interpretativi.

L'indagine sulle manifestazioni della soggettività umana si può condurre attraverso: a) l'osservazione esterna; b) l'introspezione pilotata; c) lo studio delle interazioni sociali; d) la rilevazione genetica e psicopatologica. Ognuna di queste modalità di ricerca costituisce una delle strade maestre della psicologia; a sua volta, ognuna di esse si suddivide in varie procedure specifiche e indipendenti le une dalle altre. A partire dal prossimo capitolo prenderemo in esame le diverse modalità di ricerca elencate con le rispettive suddivisioni.

2. L'osservazione esterna

L'osservazione esterna del comportamento, eseguita con l'ausilio di speciali strumenti di rilevazione, deriva direttamente da quella osservazione ingenua e non scientifica attraverso la quale l'uomo ha sempre cercato di comprendere gli altri uomini e se stesso. Questa modalità di ricerca comprende tre tipi di procedure specifiche, molto diverse l'una dall'altra, benché in qualche modo collegate tra loro: la rilevazione psicofisiologica, l'osservazione comparata e l'esame delle manifestazioni differenziali.

a) Rilevazione psicofisiologica

La psicofisiologia è nata in seguito ai tentativi di esprimere quantitativamente il rapporto fra l'intensità di una sensazione e l'intensità dello stimolo relativo. Questo programma di ricerca, per quanto limitato si possa giudicare, ha avuto un'importanza enorme nello sviluppo della psicologia come scienza.

Sulla scorta delle indicazioni fornite da E. H. Weber, G. Th. Fechner giunse a formulare, nella sua opera Elemente der Psychophysik, una legge che lega direttamente l'intensità di una sensazione all'intensità del relativo stimolo; questa legge, nota come ‛formula fondamentale' di Weber-Fechner, stabilisce che l'intensità di una sensazione è proporzionale al logaritmo dello stimolo:

S=k logR;

S indica la sensazione, k è una costante di proporzionalità e R indica lo stimolo (dal tedesco Reiz).

Fechner chiamò ‛psicofisica' la disciplina fondata sulla formula fondamentale; tale disciplina costituì il fondamento storico e concettuale della psicofisiologia moderna. La ricerca delle relazioni intercorrenti fra stimoli e sensazioni implicò infatti la necessità di misurare le ‛soglie differenziali', cioè i minimi incrementi percepibili di intensità degli stimoli; da questa esigenza si sviluppò un settore di ricerca ricco di spunti concettuali e metodologici. Fra l'altro l'indagine psicofisiologica comportò l'utilizzazione di teorie e concetti matematici, come, per esempio, il concetto di ‛distribuzione normale degli errori' secondo la curva di Gauss.

Chi proseguì sistematicamente su questa linea di ricerca fu W. Wundt, che a ragione è considerato il padre della psicofisiologia, non tanto per l'originalità del suo pensiero, quanto per la prodigiosa attività di ricerca da lui svolta all' Università di Lipsia, dove fondò, nel 1879, il primo laboratorio di psicologia del mondo. Il trattato di Wundt, Grundzüge der physiologischen Psychologie, offre un panorama completo delle indagini svolte in campo psicofisiologico, nonché degli strumenti concettuali e materiali introdotti e applicati alle ricerche. Wundt e i suoi collaboratori fecero approfondite indagini sulle soglie iniziali, differenziali e terminali, sui tempi di reazione semplici e complessi, sulla visione, sull'udito, sul tatto, sul gusto, sul senso del tempo, nonché sull'attenzione, sui sentimenti, sulle associazioni, ecc. Partendo dal concetto che la psicologia poteva essere sperimentale solo se era fisiologica, Wundt definì la psicologia come la scienza dell'esperienza immediata (Erfahrungswissenschaft) e suddivise l'attività di ricerca in tre momenti: a) la scomposizione in elementi dei processi di cui si è consapevoli; b) la determinazione delle connessioni fra tali elementi; c) la formulazione delle leggi che regolano le connessioni suddette; la principale di queste leggi è quella della ‛sintesi creatrice', subordinata alla causalità psichica.

Secondo la concezione di Wundt un fatto psichico corrisponde a un fatto di coscienza, cioè alla consapevolezza immediata, da parte del soggetto, del verificarsi di tale fatto; l'esperienza mediata appartiene invece alla fisica.

L'influenza della Scuola di Lipsia, che restò viva per circa due generazioni, si estese in Nordamerica per merito di E. B. Titchener (v., 1909), che di Wundt fu prima allievo e poi traduttore, e ispirò l'opera di G. T. Ladd (Elements of psychology, New York 1887); lo stesso W. James, un altro dei ‛padri' della psicologia, nella versione pragmatista americana, subì l'influenza della concezione wundtiana.

b) Comparazione del comportamento

In contrasto col metodo precedente, che aveva fatto riferimento sistematico a parametri fisiologici, il metodo della comparazione del comportamento trovò garanzia di obbiettività nello studio del comportamento animale, condotto prescindendo da qualsiasi riferimento mentalistico, in particolare dal concetto di coscienza. In effetti, anche nella ricerca psicofisiologica più rigorosa, non si poteva fare a meno del riscontro introspettivo nel descrivere gli effetti prodotti dagli stimoli; pertanto lo studio del comportamento prese piede anche sulla base di una posizione polemica nei confronti della psicofisiologia.

Il principio ispiratore di questa corrente di pensiero fu formulato da C. L. Morgan nel suo famoso ‛canone', secondo il quale ‟in nessun caso è lecito interpretare una azione come il risultato di un'attività psichica superiore, se essa può essere interpretata come il risultato di una facoltà situata a un livello inferiore nella scala psicologica". Fondamento sperimentale della scuola fu la dimostrata possibilità di studiare tipici fatti psichici, come l'apprendimento e la memoria, senza ricorrere all'introspezione e riferendosi piuttosto con grande esattezza alla situazione esterna contingente in cui si determina il comportamento. Questa forma di sperimentazione prese l'avvio dagli studi di Vl. Bechterev (v., 1913) e di I. P. Pavlov (v., 1927) sui riflessi incondizionati e condizionati. Come è noto, il concetto di riflesso condizionato deriva dall'osservazione elementare che, nel cane affamato, la secrezione gastrica o salivare si produce non soltanto alla vista del cibo o durante la masticazione, ma anche alla semplice vista del piatto su cui il cibo gli viene abitualmente dato, o in presenza di stimoli di vario tipo che abbiano preceduto regolarmente l'offerta di cibo. Tali stimoli, di per sé neutri, stimolano la secrezione a condizione di essere stati più volte associati allo stimolo incondizionato, il cibo. Attraverso il meccanismo del riflesso condizionato, in un primo tempo chiamato ‛riflesso psichico', Pavlov poté studiare, senza ricorrere a interventi distruttivi, il funzionamento cerebrale, cui aveva attribuito la formazione dei riflessi stessi, e poté interpretare, in termini di riflessi condizionati e della relativa organizzazione, tutto il comportamento e anche l'attività nervosa cosiddetta superiore dell'uomo.

Rimasta confinata in Russia fino al 1912, la reflessologia fu fatta conoscere in Francia da un ex allievo di Pavlov, F. Dontchef (v. Dontchef e Deseuze, 1912); solo nel 1927, ad opera di F. Andrep, fu divulgata anche negli Stati Uniti, dove esercitò un potente influsso sulla cultura scientifica. J. B. Watson si servì della tecnica sperimentale fondata sul concetto di riflesso condizionato per costruire una psicologia obiettiva basata unicamente sullo studio del comportamento. Watson perseguiva tale progetto fin dal 1912 e aveva già capito che si poteva sostituire l'indagine basata sull'introspezione con la tecnica dei riflessi condizionati (v. Watson, 1916). Egli fondò la dottrina chiamata behaviorismo (v. Watson, 1919) e si propose di eliminare dal campo della psicologia concetti inutili, come quelli di sensazione, immagine, coscienza, pensiero, per riferirsi esclusivamente a stimoli oggettivamente riscontrabili e a movimenti osservabili; il presupposto di questo programma di ricerca è che gli eventi psichici, come le immagini e gli stessi pensieri, siano dovuti a micromovimenti muscolari, costituiscano cioè un ‛comportamento implicito' (v. Watson, 1925). Il behaviorismo finì per diventare la corrente di pensiero che, a un certo punto della storia della cultura, rappresentò il pragmatismo americano nell'ambito della ricerca psicologica.

Nell'ambito del behaviorismo si inserisce anche l'opera di E. L. Thorndike, il quale aveva proposto come legge fondamentale dell'apprendimento quella dell'‛effetto', secondo cui il successo rende stabile l'associazione che lo ha determinato (Animal intelligence, an experimental study of the associative processes in animals, in ‟Psychological review", 1898). Thorndike conduceva i suoi esperimenti servendosi delle cosiddette puzzle-boxes; si trattava di gabbie chiuse provviste di un congegno di apertura che l'animale doveva scoprire e attivare per poter uscire. Le puzzle-boxes furono le precorritrici della gabbia ideata da B. F. Skinner (v., 1938) allo scopo di studiare il riflesso condizionato ‛operante' o ‛strumentale', complemento di quello ‛rispondente' della Scuola russa. La gabbia di Skinner è stato uno degli strumenti più importanti fra quelli impiegati nella vastissima ricerca psicologica comparata fatta negli Stati Uniti. Altri strumenti e tecniche sperimentali sono: i labirinti (V. S. Small, 1900), l'apparecchio a scelte multiple (R. G. Hamilton, 1911), la tecnica delle risposte differite (W. Hunter, 1913), il labirinto temporale (Hunter, 1920), l'apparecchio a ostruzione (C. J. Warden, 1926), la tecnica del salto (K. S. Lashley, 1930), ecc. (v. psicologia del comportamento).

c) Manifestazioni differenziali

Si può giungere alla comprensione del modo in cui l'uomo è strutturato psicologicamente studiando le differenze comportamentali che intercorrono fra diversi soggetti impegnati a eseguire uno stesso compito. Su questo presupposto si basa il programma di ricerca della psicologia differenziale, di origine anglosassone; a Fr. Galton (Hereditary genius, London 1869) va il merito di avere iniziato questo tipo di ricerche, basate su osservazioni sperimentali, adeguatamente inquadrate mediante rigorose leggi statistiche, e sul concetto di ‛correlazione'. Queste prime ricerche riguardavano la trasmissione ereditaria (1869) e la personalità criminale (Inquires into human faculty, London 1877); i soggetti sperimentali venivano distinti in tipi visivi, acustici e cinetici a seconda delle loro immagini preferenziali. A un nordamericano, J. McKeen Catell, già primo assistente di Wundt, venne poi l'idea di studiare non il tempo di reazione in sé, come faceva il suo maestro, ma le differenze presentate da vari soggetti sottoposti alla stessa prova. Tornato negli Stati Uniti, McKeen Cattell introdusse il primo esame psicologico per l'ammissione all'Università di Columbia (Physkal and mental measurements of the students of Columbia University, in ‟Psychological review", 1896, III, pp. 618-648), dando inizio all'enorme sviluppo dei metodi di misura mentale (psicometria) in America e nel mondo. Contemporaneamente, in Francia, A. Binet, incaricato dal Ministero dell'Istruzione pubblica di ideare un sistema per poter distinguere i ragazzi normali da quelli mentalmente ritardati, in modo da riunire questi ultimi in classi differenziali, escogitò un nuovo metodo basato sul numero di risposte date a una serie di domande ordinate secondo difficoltà progressive. Per fare una ‛scala' di misura fondata su questo criterio, Binet, in collaborazione con Th. Simon (v. Binet e Simon, 1905), incominciò a sottoporre la sua lista di domande a ragazzi normali divisi per gruppi in base all'età. Le domande cui veniva data una risposta corretta dal 75% di ogni gruppo diventavano il gradino di difficoltà corrispondente all'età del gruppo, permettendo in tal modo di distinguere i ragazzi normali dai ritardati, da una parte, e dai superdotati, dall'altra. La ‛scala' di Binet fu perfezionata da L. M. Terman e M. A. Merrill (v. Terman, 1916; v. Terman e Merrill, 1937); in quest'ultima versione si introdussero la misura del Quoziente Intellettivo (QI), rappresentato dal rapporto tra età mentale ed età reale, secondo il suggerimento di W. Stern; fu questo il primo esempio di test mentale, ancor oggi largamente utilizzato.

Immensa è stata la quantità di ricerche cui questo metodo ha dato origine e numerosi i suoi perfezionamenti. Dopo i test per la misura dell'intelligenza sono stati messi a punto test per la rilevazione degli interessi, per la valutazione del carattere, delle attitudini lavorative, dei sentimenti, degli atteggiamenti sociali e del grado di adattamento. Nell'ambito della psicometria si sono poi differenziate branche specifiche; la psicometria, nel suo complesso, è poi confluita nella ‛caratterologia' (o ‛tipologia'), disciplina che studia le differenze di carattere, ovvero tipologiche, individuali. Questa corrente della psicologia differenziale mira a raggruppare, sulla base di uno o più aspetti comuni, diversi individui, attraverso l'osservazione delle loro differenze comportamentali; i gruppi che ne derivano non hanno solo valore di classificazione, ma servono anche a prevedere il modo di comportarsi di ciascun individuo.

A questo proposito possiamo ricordare le funzioni caratterologiche stabilite da G. Heymans ed E. Wiersma (v., 1906 e 1907) sulla base di questionari volti a controllare l'emotività, l'attività, la risonanza, e gli otto ‛tipi' che derivò da queste funzioni, secondo varie combinazioni, R. Le Senne (v., 1946); la tipologia di C. O. Jung (v., 1925), imperniata sulle polarità opposte di introversione ed estroversione e sulle quattro funzioni psichiche elementari, anch'esse in opposizione, e cioè il pensiero, il sentimento, la sensazione e l'intuizione; quella di E. R. Jaensch (v., 1929), fondata sul diverso modo di reagire alle cosiddette immagini eidetiche; e quella di O. Pfahler (v., 1932), basata sulla coppia antagonista: contenuto mentale fluido - contenuto mentale rigido. Ph. Lersch (v., 1932 e 1938) è assurto alla fama, in questa area della psicologia, per aver trattato molto ampiamente i vari tipi di personalità in un quadro meticolosamente articolato e secondo un orientamento globale che l'autore stesso ha definito ‛antropologico'.

Il problema della personalità non è stato trascurato negli Stati Uniti; è sufficiente ricordare due nomi, che rappresentano una grande tradizione scientifica. Il primo autore è G. W. Allport, lo psicologo della Harvard University cui si deve l'introduzione, nello studio della personalità, del criterio ‛idiografico' accanto a quello ‛nomotetico'; mentre quest'ultimo criterio caratterizza gli indirizzi sopra ricordati, il primo studia invece l'individualità nel modo in cui si è venuta costituendo lungo l'evoluzione del soggetto, e quindi ha un interesse prevalentemente clinico (v. Allport, 1937). Il secondo autore è W. H. Sheldon, anch'egli della Harvard University, che ha compiuto estese e sistematiche osservazioni sugli allievi di quel centro universitario, ponendo in correlazione i dati antropometrici, ottenuti mediante una speciale tecnica di misura, con i risultati dell'applicazione di 60 tratti di carattere, ricavati da questionari. In tal modo Sheldon ha potuto dimostrare la corrispondenza fra tre tipi somatici, l'endomorfo, il mesomorfo e l'ectomorfo, e tre tipi psicologici, il viscerotonico, il somatotonico e il cerebrotonico, rispettivamente (v. Sheldon, 1942).

3. L'introspezione pilotata

Wundt aveva stabilito il principio secondo cui la psicologia riguarda lo studio dei fatti dei quali si ha diretta esperienza; non ci si deve quindi meravigliare se molti ricercatori hanno pensato di ricorrere all'introspezione per condurre l'indagine psicologica. Vero è che un tale indirizzo speculativo aveva dei precedenti nella cosiddetta psicologia razionale, come fu definita la psicologia elaborata dai filosofi, e altrettanto vero è che la psicologia scientifica sorse come una reazione alla vaghezza e all'inutilizzabilità dei risultati ottenuti tramite l'introspezione. Tuttavia il fallimento della psicologia introspettiva può essere attribuito non alla scarsa validità del metodo in sé, ma al fatto che chi lo aveva usato non era preparato a farlo in modo scientifico e subordinava il metodo stesso e i risultati cui perveniva a una finalità ideologica estranea alla scienza, anteponendo il quadro esplicativo al fatto sperimentale; così non si poteva giungere ad altro che a uno ‛psicologismo', a una easy-chair psychology incapace di fornire risultati attendibili. In realtà, quando il pensatore aveva dimostrato di possedere indipendenza di giudizio e sufficiente distacco da un'ideologia preconcetta, ciò che si era ottenuto con l'introspezione era stato del più alto interesse scientifico: le descrizioni fenomenologiche di Agostino di Ippona e quelle di Tommaso d'Aquino sono una testimonianza irrefutabile di tale possibilità e trovano diretto riscontro in quelle più recenti di H.-L. Bergson e di M. Merleau-Ponty.

Allo scopo di dare carattere di scientificità all'introspezione, permettendo la comunicabilità dei risultati ottenuti, era pertanto necessario raffinare il metodo, in modo da renderlo oggettivo.

Questo proposito ha ispirato i vari modi in cui l'introspezione è stata utilizzata in psicologia, secondo tre diverse prospettive: a) lo studio dei contenuti mentali; b) lo studio delle funzioni interiori; c) lo studio dell'organizzazione interna.

a) I contenuti mentali

La scuola che per prima si propose l'adozione sistematica dell'introspezione scientifica fu quella di Würzburg, diretta da O. Külpe. Questi formulò il suo programma di ricerca in completo antagonismo rispetto a quello di Wundt, del quale, fino al 1894, era stato allievo; quindi bandì dalla propria ricerca qualsiasi strumento di rilevazione dei dati (Grundriss der Psychologie, Leipzig 1893). H. Ebbinghaus aveva già dimostrato, lavorando autonomamente, la possibilità di applicazione e la fecondità del metodo introspettivo nel suo studio sulla memoria, (Über dar Gedächtnis, Leipzig 1885), rimasto esemplare nella psicologia. Ebbinghaus aveva individuato il numero di ripetizioni necessarie per apprendere liste di sillabe prive di significato, per ricordarle, per memorizzarle di nuovo dopo un certo tempo dal primo apprendimento. Con queste ricerche Ebbinghaus aveva chiarito importanti problemi di psicologia, in modo scientifico e prescindendo da qualsiasi riferimento a fattori sensoriali.

Diventato professore ordinario di psicologia a Würzburg, Külpe intraprese, con i suoi collaboratori, lo studio del pensiero, del giudizio, della volontà, della coscienza e dei sentimenti: tutti problemi che Wundt si era dichiarato incompetente a risolvere con i metodi della psicofisiologia e che in realtà aveva affrontato indirettamente, quando nell'ultima parte della sua vita si era dedicato allo studio della ‛psicologia dei popoli' (v. Wundt, 1911-1920). A Würzburg il metodo d'indagine si riduceva alla descrizione dei processi mentali studiati, stimolati dall'istruzione data ai soggetti sperimentali, descrizione estremamente dettagliata, in base all'assunto che in tal modo si sarebbe ottenuto il massimo grado di oggettività dei risultati. Gli elementi di ogni processo psichico su cui doveva successivamente concentrarsi in modo esclusivo l'attenzione erano: il periodo preparatorio, il momento di comparsa della stimolazione, il periodo di ricerca secondo l'istruzione, l'insorgenza della risposta.

La Scuola di Würzburg non riuscì a ottenere risultati convincenti a proposito dei contenuti mentali; tuttavia proprio da questo fallimento emersero risultati imprevisti: per esempio, il compito di giudicare se un peso è maggiore o minore di un altro non provoca un'immediata risposta diretta ma, semplicemente, un ‛atteggiamento di consapevolezza' (Bewusstseinanlage) del processo mentale in via di svolgimento (K. Marbe). L'analisi dei sentimenti (J. Orth) conduce analogamente a mettere in evidenza un'attitudine conscia (Bewustheit), che rimane tuttavia oscura, irraggiungibile, inanalizzabile; quella del pensiero (H. J. Watt) rivela una ‛predisposizione ad agire' (Einstellung) tipicamente priva di immagini; quella della volontà (N. Ach) evidenzia la ‛tendenza determinante' (determinierende Tendenz). Dall'analisi della coscienza risultò evidente che non si tratta di un ‛contenitore' quanto di una funzione mentale, ovvero di un ‛atto' mentale. In sostanza le ricerche della Scuola chiarirono il fatto che i processi mentali superiori non corrispondono ad alcun contenuto, quindi sono inattingibili mediante un'analisi introspettiva; in particolare si precisò che il pensiero può essere privo di immagini, le quali insorgono, piuttosto, quando un'interferenza ne disturba il corso. In ciascuno dei processi mentali è presente invece una tendenza, un orientamento attivo, di cui l'introspezione non è in grado di precisare né la natura né lo sviluppo; al massimo, attraverso l'introspezione, ci si può rendere conto dell'importanza decisiva che riveste il compito (Aufgabe) assegnato al soggetto e dell'orientamento mentale (Einstellung) che tale compito induce.

Di questo tipo di psicologia introspettiva tratta l'opera di Galton, Inquires into human faculty and its development, in cui sono descritti numerosi esperimenti di analisi dei modi di associare e di immaginare rilevati in soggetti diversi. Galton aveva fatto uso del metodo delle libere associazioni sui contenuti mentali; tuttavia anch'egli, come Külpe e i suoi discepoli, non conseguì risultati di rilievo. Nel corso delle associazioni, infatti, si verificava invariabilmente un fenomeno che Galton non fu in grado di spiegare: la catena associativa a un certo punto si arrestava, come di fronte a un ostacolo insuperabile, e chi tentava di procedere era preso da ansia, paura, disgusto, noia. I tempi non erano evidentemente maturi per suggerire a Galton tutto quel mondo nuovo di fatti psichici che gli stessi dati avrebbero più tardi rivelato a Freud.

b) Le funzioni interiori

La modalità d'indagine esperita dalla Scuola di Würzburg si era imprevedibilmente conclusa con la scoperta delle ‛funzioni mentali', cioè di un'attività spontanea del soggetto che non era stata ancora esaminata. Allo studio delle funzioni mentali arrecò un importante contributo Fr. Brentano (Psychologie vom empirischen Standpunkt, Wien 1874), che, benché fosse un filosofo, influì considerevolmente sulla psicologia. A questo autore si deve la dottrina dell'‛intenzionalità' degli atti psichici, attinta alla Scolastica, che parte da una contestazione della ‛psicologia dei contenuti' sottolineando che questi non hanno, di per sè, quella ‛esistenza intenzionale', cioè quella orientazione a un fine, che è invece caratteristica ineliminabile dei fatti psichici; non il colore o l'oggetto desiderato sono in se stessi ‛psichici' ma l'atto con cui si percepisce il primo, si vuole il secondo. In tal modo fu possibile distinguere il contenuto mentale (fenomeno) dalla funzione che lo riguarda (atto) e chiarire che l'atto resta identico anche se il contenuto cambia, e viceversa (v. Stumpf, 1906).

Nella stessa prospettiva dinamica si colloca il cosiddetto funzionalismo anglosassone, definibile come ‛la psicologia nella prospettiva dell'azione', i cui maggiori esponenti furono W. James e W. McDougall. Il primo fondò alla Harvard University un laboratorio che divenne più famoso di quello di Wundt e scrisse quei Principles of psychology (1890) che sono ancor oggi in più parti insuperati. James, contro la psicologia germanica che egli accusò di ‟polverizzare l'unità del vivente in atomi che si ordinano e si riordinano come pezzi di un domino", si batté per la continuità, la mobilità, la fluidità della coscienza. James assimilò la coscienza a un fiume, provvisto di una parte centrale e di frange laterali, che collega e unifica tutti i fatti psichici. Egli affermò che l'esperienza psichica dell'Io è primaria, immediata, si compie nella transizione e nel cambiamento; gli ‛stati transitivi', che nel linguaggio naturale si esprimono con verbi, corrispondono a funzioni di coscienza; i contenuti sono invece ‛stati sostantivi', sono espressi da nomi e non dicono niente sul fine proprio dell'uomo, che è quello di adattarsi all'ambiente esterno, nonché di modificare la realtà mediante la volontà.

James attribuì, di conseguenza, grande importanza all'azione, fece di essa la misura del valore dell'uomo, inteso, secondo i canoni del pragmatismo, come rendimento pratico. Su questo presupposto si può capire la ‛teoria periferica' delle emozioni formulata da James; l'emozione è la percezione di una modificazione di natura sensoriale, cenestesica, propriocettiva prodotta dall'ambiente esterno. Di qui il noto paradosso: ‟non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo". Oltre che allo studio dell'emozione, James diede importanti contributi a quello della memoria e degli istinti, inquadrati in una prospettiva evoluzionista, e fornì un'interpretazione delle verità necessarie imposte dalla natura biologica, e della religione.

Il programma della ricerca in psicologia era così chiaramente impostato: essa non doveva più interessarsi di ‛ciò che è' un fatto psichico, ma di ‛ciò per cui è', con la sostituzione dell'interesse funzionale a quello strutturale. Anche la psicologia differenziale si era posta, come si è visto, questo programma; ma nei funzionalisti era conservato l'interesse per la dinamica psichica interiore, rimasta invece trascurata o quanto meno sfumata nella corrente di psicologia differenziale.

McDougall è l'autore che ha portato fino alle estreme conseguenze il discorso funzionalista, imperniato sull'importanza attribuita all'attività psichica; egli coniò un nuovo termine per specificare il suo modo di intendere la psicologia: chiamò psicologia ‛ormica', da hormè, impulso, la sua dottrina. Secondo questo autore scopo della psicologia è lo studio degli impulsi che spingono l'organismo a perseguire determinati finì; nell'agire umano queste spinte sono più importanti delle decisioni prese a livello di coscienza ed è a partire da tali spinte che le altre motivazioni si differenziano e si organizzano. I caratteri distintivi della condotta finalizzata sono i seguenti: a) la spontaneità motoria; b) la persistenza dell'attività al di là della spinta determinata dalla causa iniziale; c) la variabilità dei mezzi per raggiungere il fine; d) il fatto stesso di raggiungere una conclusione.

McDougall (v., 1908) ha anche proposto una lista degli ‛impulsi umani fondamentali', definendoli come processi emotivi interposti fra la ritenzione di alcune delle innumerevoli eccitazioni che pervengono all'organismo e l'esecuzione dei movimenti specifici per raggiungere un fine. Così gli impulsi partecipano sia della natura delle emozioni sia di quella degli istinti e questo fatto conferisce loro un carattere di modificabilità in funzione dell'esperienza, da una parte, e, dall'altra, un carattere di permanenza. Sulla base degli impulsi fondamentali si formano i sentimenti, che a loro volta generano interessi e legami che si attuano sul piano sociale.

Anche McDougall ha pertanto trattato del comportamento, tuttavia ha affrontato l'argomento in modo del tutto diverso rispetto a Watson; fra i due intercorse infatti un'aspra polemica: per distinguere il proprio oggetto di studio da quello di Watson, McDougall impiegò il termine behaviour, mentre Watson parlava di behavior; Watson accusò McDougall di ‛oscurantismo medievale', intuendo la risonanza, nella psicologia ormica, della concezione scolastica rappresentata dal pensiero di Brentano, per molti versi vicino a quello di McDougall.

c) L'organizzazione interna

In questo paragrafo tratteremo di quella corrente di pensiero che va sotto il nome di Gestaltpsychologie o di ‛psicologia della forma'. A prima vista sembrerebbe improprio porre la psicologia della forma nell'ambito della psicologia introspettiva, tuttavia questa collocazione si può giustificare in base al fatto che i gestaltisti hanno unanimemente e sempre sostenuto che l'unico modo di compiere un'indagine sperimentale valida in psicologia è quello di porsi in condizioni di ‛ingenuità' di fronte al fatto psichico, di coglierlo nella fenomenicità con cui si presenta, senza deformarlo con atteggiamenti preconcetti. La Gestaltpsychologie sorse come movimento culturale in aperto contrasto con le scuole di Wundt e di Külpe; d'altra parte la posizione dei gestaltisti era polemica nei confronti di ogni assunto elementaristico, sensistico o associazionistico, cui essi contrapponevano il principio della totalità primordiale.

M. Wertheimer, W. Köhler e K. Koffka sono i tre fondatori della scuola della forma; essi sostennero che, se in psicologia l'analisi del dato introspettivo è inevitabile, deve però essere compiuta senza distruggere l'unità originaria del dato stesso, perché il tutto non è riducibile alla somma delle parti; gli elementi di coscienza sono solo il frutto secondario di un'analisi successiva all'apprensione del tutto. L'introspezione non deve pertanto raggiungere gli elementi sensoriali né gli atti mentali, ma semplicemente gli ‛oggetti'; essi assumono un significato che non dipende da una sovrapposizione conoscitiva, ma dal modo in cui si svolge l'esperienza, cioè dalla capacità di cogliere in una struttura le relazioni fra gli oggetti.

Si suole far risalire la nascita della Gestaltpsychologie al 1912, anno in cui Wertheimer pubblicò il resoconto di esperimenti sul ‛movimento apparente' che aveva compiuto nei due anni precedenti con Köhler e Koffka (v. Wertheimer, 1912). L'esperimento con cui si dimostra che un'autentica percezione di movimento può originare da stimoli luminosi stazionari, si svolge come segue: A e B sono due segmenti luminosi proiettati in parallelo a qualche centimetro di distanza l'uno dall'altro e a differenti intervalli di tempo. Il tipo di percezione de due segmenti dipende dall'intervallo di tempo intercorrente fra le successive proiezioni: per un intervallo piuttosto lungo si vedono apparire due linee in successione; se l'intervallo si fa più breve si vede un solo segmento luminoso spostarsi dalla posizione A alla posizione B e viceversa; una riduzione ulteriore dell'intervallo di tempo produce la percezione di un movimento che inizia da A e da B simultaneamente e per un intervallo di tempo ottimale si ha la percezione di un movimento continuo dall'una all'altra posizione: il phenomenal movement o fenomeno phi.

Wertheimer definì il movimento come ‛emergenza' da due elementi statici, cioè come la comparsa di una struttura sovraordinata rispetto alle componenti di base, cui non è riducibile. In questo senso la struttura è qualcosa di più della somma delle parti che la compongono. L'esperienza del movimento si struttura senza bisogno di intermediari fisiologici, di moti oculari; infatti quando i due segmenti si muovono l'uno verso l'altro gli occhi non potrebbero muoversi contemporaneamente in due direzioni opposte; questa esperienza è quindi primaria e la stessa cosa si può dire per quel che riguarda la percezione delle forme, che, anche se risultano poi composite, vengono colte nella loro globalità, prima dei particolari che le compongono.

Koffka mise bene in evidenza l'inadeguatezza di ogni interpretazione percettiva basata sulle proprietà fisiche degli stimoli, cioè sulla ‛corrispondenza punto a punto'; e per spiegare la correttezza delle percezioni in termini di organizzazione di forma stabilì che ‟le stesse leggi fisiche debbono governare sia l'organizzazione degli oggetti che quella del campo percettivo" (v. Koffka, 1935).

Quali fattori determinano la ‛forma'? Wertheimer ne ha descritti parecchi, che si possono così sintetizzare: macchie disperse senza ordine su uno sfondo tendono a raggrupparsi secondo la vicinanza e, se di forma diversa, secondo la somiglianza; sono pure raggruppate se animate da un moto comune; se una figura ha contorni interrotti è vista integra; si ha anche la tendenza a ridurre le irregolarità di una forma, ad accentuare una forma nei riguardi dello sfondo oppure in riferimento a una forma contigua. Il materiale sensoriale è dunque sempre lo stesso, ma lo strutturarsi della percezione di una forma è qualcosa di nuovo, di emergente, condizionato dalla situazione psicofisica totale, cioè dal ‛campo'. Questo concetto implica quello di ‛tutto dinamico', del quale non è possibile modificare una parte senza la conseguente modificazione del tutto medesimo, e viceversa (v. psicologia della forma).

Le leggi della configurazione riguardano infine non solo la realtà psichica, ma anche quella fisica, inorganica e organica; ecco perché Kböhler (v., 1920) ha sostenuto che i fenomeni percettivi hanno un corrispettivo nella dinamica cerebrale, che è analoga a quella fisica, e che le Gestalten possono intendersi tanto come oggetti reali, aventi una figura percettibile, quanto come forme percepite (principio dell'isomorfismo). A sua volta Koffka (v., 1921) ha sostenuto l'ipotesi di un'evoluzione nel costituirsi delle percezioni, nel senso che l'esperienza passata e anche quella attuale arricchiscono e trasformano continuamente la percezione, permettendo lo stabilirsi di nuove relazioni, quindi di nuovi significati, fra i vari oggetti delimitati dal rispettivo contorno e presenti nel campo.

I gestaltisti hanno poi esteso e applicato agli stati d'animo, alla memorizzazione, al pensiero, alle motivazioni, al comportamento degli animali e all'interazione sociale le loro teorie sulla percezione. Anche per tali funzioni vale secondo loro il principio dell'isomorfismo.

4. Lo studio delle interazioni sociali

Questo campo di ricerca psicologica è relativamente nuovo; esso si è sviluppato da alcune delle direttive di ricerca sopra presentate e dalla consapevolezza dei limiti inerenti ad altre concezioni metodologiche.

Nella rilevazione psicofisiologica e nell'analisi dei contenuti mentali, il sociale, infatti, non compariva mai; ciò rappresenta, secondo le attuali vedute, il maggior difetto di tali metodologie, dato che un soggetto umano, isolato dal contesto sociale e studiato in un laboratorio, cioè in un ambiente del tutto artificiale, non si può più nemmeno considerare un soggetto umano.

Già nell'osservazione comparata del comportamento era evidente, d'altra parte, l'importanza che l'ambiente circostante assume per l'individuo; le manifestazioni differenziali conducevano anch'esse, attraverso l'applicazione del test di adattamento e tramite il concetto di personalità, alla prospettiva sociale; ancor più, lo studio delle funzioni psichiche, nell'ambito sia della concezione pragmatista di James sia di quella pulsionale di McDougall, preludeva alle ricerche sulla dinamica sociale, e non è sorprendente che la psicologia ormica di quest'ultimo autore sia stata presentata proprio in uno dei primi volumi di psicologia sociale. La Gestaltpsychologie, infine, sfociò direttamente nel sociale ad opera di K. Lewin, che allargò il concetto di ‛campo dinamico' all'ambiente in quanto contenente uno o più individui. Per questo autore il campo è infatti ‟lo spazio vitale che contiene la persona e il suo ambiente psicologico" e in esso sono presenti, come all'interno del campo mentale, forze di attrazione e di repulsione per oggetti rispettivamente appetibili e sgradevoli, locomozioni verso e via da tali oggetti, barriere e resistenze, soddisfazioni e frustrazioni (v. Lewin, 1936). Infatti, secondo Lewin, l'individuo in campo sociale si trova nella stessa situazione in cui si trova l'Io in campo psichico: ‟ambedue costituiscono, rispettivamente al proprio livello, una regione della situazione globale".

Questi concetti, espressi da notazioni e riferimenti matematici, fondarono quella ‛topologia', da intendersi come la formalizzazione matematica dello spazio sociale, e quella analisi vettoriale, pertinente alle motivazioni sociali, che hanno conferito alto livello di scientificità alla psicologia sociale.

La prospettiva della Gestalt divenne il modello più preciso per la comprensione psicologica dei fatti sociali; tuttavia, poiché nel ‛campo' i poli sono due, l'individuo e l'ambiente, e ambedue concepiti con lo stesso grado di dignità funzionale, alcuni gestaltisti, nello studio della dinamica sociale, hanno posto l'accento sull'ambiente, altri invece sull'individuo. Questi due orientamenti hanno di fatto caratterizzato il contenuto della psicologia sociale, e a essi si possono ricondurre paradigmaticamente le elaborazioni fatte anche da psicologi appartenenti ad altre scuole, a proposito dell'interazione sociale. Si possono pertanto distinguere due prospettive in questo campo: quella incentrata sul gruppo e quella incentrata sull'individuo.

a) La prospettiva incentrata sul gruppo

Le indagini sull'interazione sociale che pongono l'accento sul gruppo, piuttosto che sull'individuo, costituiscono una corrente di pensiero che traspone sul terreno psicologico le concezioni sociologiche del XIX secolo. Tali concezioni erano fondate sull'ipotesi comune di una ‛mente collettiva', basata, per G. Tarde, sulla reciproca imitazione (Les lois de l'imitation, Paris 1890) e sull'opposizione (L'opposition universelle, Paris 1897), per G. Le Bon sulla regressione emotiva (La psychologie des foules, Paris 1895) e per E. Durkheim (Le suicide, Paris 1897) sulla coscienza collettiva. Nel campo strettamente psicologico si possono qui ricordare: E. A. Ross (v., 1908), che interpretò i fatti sociali secondo la prospettiva di Tarde, nella dinamica della suggestionabilità, della moda, dell'imitazione, dell'opinione pubblica e del conflitto; C. H. Cooley (v., 1909), che sottolineò l'influenza sullo sviluppo infantile dell'ambiente sociale e in particolar modo della classe di appartenenza; è di questo autore il concetto di looking-glass self, secondo cui l'idea che un soggetto si fa di se stesso dipende unicamente dal modo in cui gli altri lo trattano. Anche L. L. Bernard (v., 1924) seguì un orientamento sociologico, combattendo l'ipotesi che l'istinto determinasse i motivi dell'attività umana; per Bernard, infatti, gli istinti possono determinare il comportamento animale, non quello umano che implica l'esistenza di fattori più complessi della causalità biologica istintuale. M. Sherif (v., 1935) infine si assunse il compito di dimostrare sperimentalmente la modificazione profonda che i processi psichici elementari subiscono per effetto dell'interazione sociale. Sherif scelse a questo fine un particolare fenomeno, il cosiddetto movimento autocinetico, che si può illustrare come segue: se si fissa, in una stanza completamente buia, un punto luminoso di debole intensità proiettato su una parete, dopo circa dieci secondi si ha l'impressione che il punto si muova lentamente, anche se resta effettivamente fermo. Ora, la valutazione individuale dell'ampiezza del movimento appare fortemente subordinata all'interazione di gruppo; se infatti a ogni esperimento si domanda a soggetti isolati di quanto si è mosso il punto, si hanno valutazioni diverse da individuo a individuo. Ma quando i soggetti vengono messi in gruppo e sono invitati a esprimere i loro giudizi ad alta voce, si ha una sorprendente convergenza delle valutazioni che tendono a uniformarsi. Da ciò Sherif dedusse il principio che le ‛norme individuali' si trasformano nel gruppo in ‛norme sociali' e che la verità è relativa al gruppo più che al singolo; egli pose questi risultati sperimentali alla base della sua concezione di psicologia sociale (v. Sherif, 1936). In tal modo Sherif si metteva in completo allineamento con il pensiero di Lewin, per il quale l'individuo da solo non ha alcun valore, ma lo acquista in quanto diventa membro di un gruppo. Coerentemente con i principi gestaltistici, infatti, individuo e ambiente sono i due poli di un campo di forze e le linee del comportamento individuale si dispongono secondo la risultante delle forze presenti, così come le linee di forza di un campo elettromagnetico si dispongono intorno ai due poli che lo generano. Su questa base Lewin è giunto a formulare l'equazione R=f(P × E), secondo la quale il comportamento (B) è una funzione (f) della persona (P) e dell'ambiente (E). Valgono naturalmente anche le relazioni inverse; in particolare, considerando la persona come variabile indipendente, si ha che ‟lo stato di una persona dipende dal suo ambiente" (v. Lewin, 1951). Degli studi di Lewin sono rimasti famosi quello sulle ‛atmosfere di gruppo' e quello sulle ‛motivazioni di gruppo'; nel primo, insieme con R. Lippitt, egli si propose lo studio dell'influenza di tre climi sociali sperimentalmente prodotti, chiamati rispettivamente ‛autoritario', ‛democratico', ‛anarchico', sul comportamento aggressivo e sulla produttività di gruppi di bambini di 11 anni (v. Lewin e Lippitt, 1938). Risultò da questa indagine che il clima ‛autoritario' paralizza l'iniziativa e l'energia dei membri del gruppo: in questa condizione si sviluppa in essi una forte aggressività e quando poi il leader si allontana, il gruppo si disintegra rapidamente per mancanza di forza interna. Il clima ‛democratico' tende invece a far scomparire l'aggressività ed eleva al massimo la produttività collettiva e il benessere psichico dei membri del gruppo; all'allontanamento del leader il gruppo resta coeso e continua a svolgere le sue funzioni. Il gruppo ‛anarchico' non funziona. Il secondo lavoro di Lewin rimasto celebre tratta della ‛decisione di gruppo' ed è stato condotto durante la guerra; bisognava indurre le massaie nordamericane a fare uso di carni che abitualmente non vengono consumate, in modo da far fronte alla contingente carenza di cibo. Lewin confrontò l'efficacia di tecniche di persuasione convenzionali, come le conferenze propagandistiche, con una nuova tecnica consistente nel promuovere una discussione sull'argomento, seguita da una decisione collettiva finale. Risultò che soltanto il 3% delle massaie che avevano ascoltato le conferenze aveva seguito il consiglio, mentre ben il 32% di quelle coinvolte nella decisione di gruppo lo aveva fatto. Questa ricerca diventò esemplare e paradigmatica degli interventi di ‛bonifica sociale' sviluppatisi in quest'area della psicologia (v. Lewin, 1948).

b) La prospettiva incentrata sull' individuo

Iniziatore della corrente di psicologia sociale che pone l'accento sull'individuo si considera McDougall, che, come si è già avuto modo di rilevare, trattò degli istinti intesi secondo la prospettiva ormica, ponendoli alla base delle istituzioni sociali. Questo autore si interessò infatti primariamente degli aspetti individuali dell'adattamento sociale, collegandosi direttamente ad altri due psicologilnordamericani: G. W. Allport e J. R. Cantor.

Allport (v., 1924) respinse decisamente il concetto di ‛mente collettiva' o di gruppo, sostenendo che il comportamento individuale si spiega con la presenza di un sistema nervoso mentre il gruppo non possiede niente del genere. I comportamenti collettivi si possono pertanto spiegare adeguatamente, secondo Allport, in termini di reazioni di un soggetto nei confronti degli altri, in base all'integrazione di tali reazioni nella coscienza e alla presenza di reazioni inconsce. La sistematicità che si osserva nei comportamenti deriva poi dal fatto che, a causa delle esperienze e delle scelte compiute, si organizza uno stato preparatorio, neurale e muscolare, che è durevole, facilita il passaggio all'azione e si concretizza nell'atteggiamento (attitude), variabile di schietta impronta sociale.

Anche R. H. Thouless (v., 1925) interpretò la dinamica sociale in termini personalistici, secondo la teoria degli istinti di McDougall, e con lui si possono ricordare B. C. Ewer (1929), Ch. Murchison (1929) e K. Young (1930), tutti autori di opere di psicologia sociale. Di fronte a queste interpretazioni del comportamento collettivo, in realtà limitate e riduzioniste, si manifesta, come è stato già accennato più sopra, la ricchezza e la fecondità della concezione gestaltista, introdotta da Wertheimer e sviluppata in seguito da S. Asch.

Wertheimer (v., 1935) partì dall'assunto che l'individuo e il gruppo non sono due realtà inconciliabili, in quanto sia l'uno sia l'altro sono elementi indispensabili del processo sociale. Quindi, come Lewin, Wertheimer ha visto i rapporti fra individuo e gruppo come una forma particolare di relazione della parte col tutto. Ma per questo autore, se è vero che gli individui sono parte del gruppo e che fra di essi intercorrono forze la cui forma conferisce un carattere all'insieme, anche l'individuo è già in se stesso una unità organizzata, dotata di sue caratteristiche originarie. In ciò Wertheimer ha visto la via per giungere a una definizione del gruppo senza accentuare il valore della società, da un lato, e dall'altro, senza dare peso eccessivo alle modificazioni che l'individuo può portare alla società.

Asch, allievo di Wertheimer, ha esplicitato il pensiero del maestro elaborandolo nella prospettiva dell'interazione umana, vista come la condizione primaria del comportamento sociale. Egli ha innanzitutto sottolineato che, per raggiungere il loro posto nella società, gli uomini debbono riconoscere gli uni l'esistenza degli altri e sviluppare un certo grado di comprensione dei rispettivi bisogni, emozioni, pensieri (v. Asch, 1952). Lo studio della comprensione reciproca fra le persone è la base per la comprensione delle azioni umane; per Asch si risponde in modo specificamente qualitativo alle azioni altrui perché si risponde alla loro ‛forma', dotata di un suo intrinseco carattere. Le azioni umane, al pari di una melodia, hanno pertanto delle ceratteristiche ‛qualità formali' che ne rendono possibile la percezione e la conoscenza; non sarebbero percepite se si vedessero soltanto come una successione di movimenti, così come da singole note non si potrebbe riconoscere un motivo musicale, un'armonia. Vi è inoltre corrispondenza fra esperienza soggettiva e azione, per cui nel seguire le azioni degli altri, nel prendervi parte, si vengono a conoscere le loro motivazioni, secondo il principio dell'isomorfismo che è fondamentale nella teoria della Gestalt; il significato dell'azione di un soggetto A, delle sue condizioni emotive, si comunica dunque direttamente a un soggetto B e diventa parte del suo campo psicologico. Di conseguenza, gli atti di due soggetti in interazione si compenetrano, si regolano a vicenda e ciascuno dei due vede in tali atti la partecipazione di entrambi; la capacità di percepire una situazione che include se stessi e gli altri, e di percepire gli altri come soggetti riferentisi alla stessa situazione, costituisce il requisito fondamentale per la formazione del ‛campo sociale'. Questo processo richiede d'altra parte che ciascuno dei partecipanti all'interazione mantenga il proprio punto di vista e affermi la propria individualità. A fondamento della comprensione sociale sta dunque l'interazione dei campi psicologici e il gruppo deve considerarsi come un insieme di campi mutuamente interagenti, in cui ogni membro ha una rappresentazione mentale che include se stesso, gli altri, le reciproche azioni. Tale sistema non risiede nei soggetti presi singolarmente, nè risiede fuori di essi: è presente nelle interazioni fra gli individui. Il gruppo ha perciò la sua fondazione negli individui che lo compongono, ma si tratta di soggetti che interagiscono gli uni con gli altri. In quanto rapportato agli altri, e non come soggetto isolato, l'individuo è quindi per Asch la sede dei fatti sociali. Come si vede, questa impostazione concettualizza il gruppo come il prodotto e allo stesso tempo come il presupposto degli individui che lo compongono, partendo dallo stesso modello teorico, quello della Gestalt, che aveva condotto Lewin e la sua scuola a concepire il gruppo come una realtà astratta, indipendente dall'individuo. Strettamente subordinato a questa prospettiva è un principio di natura operativa, politica: mentre la scuola di dinamica di gruppo di Lewin afferma che chi devia dalle idee del gruppo di appartenenza ha sempre torto, per la scuola di Wertheimer e di Asch non si può parlare di deviazione, ma di indipendenza dal gruppo; anzi di fronte a un dissenziente il gruppo ha il dovere di riesaminare le proprie norme di azione ed eventualmente di correggerle.

5. La dimensione genetica

La conoscenza della genesi di una struttura, di un processo psichico, può essere di impareggiabile importanza per comprendere quella struttura, quel processo e non solo perché anche in questo caso si può applicare il canone di Morgan, già ricordato, riuscendo a comprendere il più complesso attraverso l'articolazione del più semplice, ma anche perché nella dimensione genetica occorre considerare, oltre che il divenire normale, anche l'evoluzione verso il patologico: la patogenesi accanto alla normogenesi.

In questa prospettiva la psicologia ha raccolto i suoi frutti studiando il processo evolutivo che va dalla nascita all'età adulta e analizzando le deviazioni e la processualità psicopatologiche.

a) L'evoluzione psichica normale

Lo studio della maturazione progressiva della mente consente di cogliere l'essenza dei processi psichici; i primi a intraprendere questo tipo di indagine sono stati A. Binet in Francia e W. Stern in Germania.

Binet, interessato agli aspetti psicologici comparati, si era dedicato all'osservazione sistematica delle figlie, Armanda e Margherita, ed era giunto autonomamente alle stesse conclusioni della Scuola di Würzburg, cioè a postulare l'esistenza di un ‛pensiero senza immagini' (v. Binet, 1903). Stern, esaminando anch'egli l'evoluzione dei suoi figli, si era reso conto di un fatto psichico fondamentale, cioè della convergenza dei tratti del carattere in formazione con la totalità delle influenze ambientali (v. Stern, 1900). Da tale convergenza o sinergia egli aveva dedotto il principio dell'unità dei fatti osservabili nell'individuo in sviluppo, la unitas multiplex della personalità d'insieme, ed era diventato così l'iniziatore della psicologia ‛personalistica' (v. Stern, 1935), nonché il promotore dello studio sistematico della psicologia infantile. Anche K. Buhler (v., 1930) aveva perseguito lo studio dello sviluppo psichico, attraverso l'esame dell'attività cognitiva, del linguaggio, del gioco e del disegno.

All'attività di questi pionieri ha fatto seguito la sistematica ricerca compiuta da H. Wallon a Parigi, da A. Gesell negli Stati Uniti e soprattutto dagli allievi di Binet, É. Claparède, fondatore a Ginevra dell'Istituto Jean Jacques Rousseau per lo studio della psicologia infantile, e J. Piaget, suo successore alla direzione di questo Istituto e alla cattedra di Ginevra.

Wallon ha messo in evidenza l'importanza che hanno i rapporti dell'organismo umano in evoluzione con l'ambiente che lo circonda, e in modo speciale con gli influssi sociali; tali rapporti influiscono sull'intera personalità del bambino, quindi, oltre a interessare le capacità intellettive e l'apprendimento, condizionano anche l'evoluzione delle emozioni e l'affettività (v. Wallon, 1941). Gesell, attestato su posizioni behavioristiche, ha introdotto metodi obiettivi di osservazione, seriati alle varie età, dello sviluppo motorio, dell'adattamento verbale, personale e sociale. Egli si è avvalso della tecnica cinematografica per documentare le sue osservazioni, la cui sistematicità ha reso possibile la definizione di ‛normalità comportamentale' per ogni livello di età (v. Gesell, 1948).

La Scuola di Ginevra ha il merito di aver portato più avanti di ogni altra la sperimentazione nel campo della psicologia genetica, ad opera soprattutto di Piaget. Questo autore si è proposto il compito di scoprire il rapporto esistente tra la maturazione delle strutture nervose e diversi ‛stadi' di sviluppo psichico, osservando, sulla base di un'accuratissima metodologia clinica, le attività dei bambini, a cominciare da quelle dei propri figli (v. psicologia genetica).

In un primo periodo, iniziato nel 1933, Piaget dimostrò che l'intelligenza dell'adulto, con le leggi che le sono proprie, si può considerare come l'ultimo stadio di un'evoluzione iniziata con gli schemi dell'attività muscolare, i quali gradualmente si interiorizzano e si trasformano in strutture mentali. Dalle reazioni circolari primarie, sul tipo dei riflessi di coordinazione, si passa all'intelligenza senso-motoria, ancora legata alla concretezza della situazione, alle reazioni circolari secondarie e terziarie, che si complicano sempre di più con l'intenzionalità volta all'adattamento dell'organismo all'ambiente fisico e sociale, e infine all'intelligenza rappresentativa, tramite la quale gli oggetti possono venire sostituiti da un'immagine mentale, da un simbolo, da un segno. A sua volta l'intelligenza rappresentativa, che si sviluppa sui parametri dell'imitazione, del gioco e del linguaggio, si suddivide nei due livelli del pensiero concreto, dai 7 agli 11 anni, e del pensiero verbale e ipotetico-deduttivo, dai 12 anni in poi. Dopo il 1943 Piaget allargò il campo della sua indagine allo studio genetico della percezione, in quanto il funzionamento di questa risulta essere autonomo rispetto a quello dell'intelligenza e, dal 1955, con la promozione di un fiorente centro di epistemologia genetica aperto a un mirabile cenacolo di ricercatori, si è dedicato all'analisi dei problemi logici sul terreno empirico. La produzione letteraria di Piaget è assai vasta; G. Petter ne ha redatto una sintesi a proposito delle ricerche sullo sviluppo mentale (v. Petter, 1967) e un gruppo di noti autori ha svolto una serie di studi sullo sviluppo cognitivo in onore del maestro (v. Elkind e Flavell, 1969). Un volume dello stesso Piaget, dedicato ai meccanismi percettivi, contiene una sintesi delle numerosissime ricerche fatte in questo campo dall'autore e dai suoi collaboratori (v. Piaget, 1961).

b) La deviazione psicopatologica

Dall'esame del malato mentale si possono imparare molte cose sulla dinamica psichica normale; infatti la malattia determina necessariamente l'esaltazione unilaterale di meccanismi e di contenuti che sono difficilmente percepibili nel soggetto sano di mente, e agisce a guisa di lente diffrattrice che ha valore di vero e proprio strumento di ricerca: l'experimentum naturae. Per questa ragione l'osservazione dei malati mentali è stata ampiamente utilizzata nell'indagine psicologica. La consapevolezza dell'importanza di questa prospettiva è stata peraltro sempre presente nella comune opinione, prova ne sia la fortunata trasposizione letteraria fatta da Cervantes di due tipi opposti di alienazione nelle figure di don Chisciotte e Sancio Panza. Sul piano scientifico E. Kretschmer, lo psichiatra di Tubinga, si è certamente ispirato alla coppia di caratteri resi celebri dal Cervantes nel distinguere le due polarità opposte della schizofrenia e della cosiddetta follia circolare (maniaco-depressiva), affermando l'esistenza di una correlazione significativa (purtroppo non dimostrata dall'autore) fra la struttura corporea e il funzionamento mentale (v. Kretschmer, 1925): gli schizofrenici posseggono una struttura longilinea e fragile, i maniaco-depressivi una corporatura massiccia e tondeggiante.

Avendo poi attribuito a orientamenti psichici opposti caratteri somatici pure in opposizione, Kretschmer pensò che non solo nel campo patologico, ma anche in quello della normalità psichica si potesse ritrovare qualcosa di analogo; cioè che tutti i soggetti magri e longilinei echeggiassero il modo di funzionare degli schizofrenici, quelli corti e grossi il modo dei malati circolari. Egli chiamò pertanto i primi schizotimici o asintonici, i secondi ciclotimici o sintonici e pose fra lo stato di normalità e quello patologico uno stadio di passaggio nel quale collocò forme schizoidi e cicloidi, rispettivamente. Più tardi, allo scopo di completare il quadro del funzionamento psichico, Kretschmer aggiunse ai primi due tipi un terzo tipo somato-psichico, quello ‛adetico-gliscroide', attribuendogli come malattia l'epilessia e come caratteristica specifica una certa viscosità mentale, ostacolo alla capacità di seguire agilmente il flusso delle impressioni esterne.

Un contributo originale agli studi sulle correlazioni fra caratteri somatici e malattie mentali è stato dato da L. Szondi (v., 1952), che elaborò una sua tipologia. Questo autore propose anche uno speciale test psicodiagnostico, basato sull'espressione fisionomica tipica di quattro forme di devianza psicopatologica, considerate come manifestazioni geniche, rispettivamente riguardanti: la sessualità (sadismo e omosessualità), la istero-epilessia, la dissociazione dell'intelligenza (catatonia e paranoia) e la depressionemania. Il test si applica presentando diverse volte al soggetto sei serie di otto fotografie corrispondenti alle devianze citate e chiedendogli di scegliere le fisionomie che considera più simpatiche o verso le quali prova maggiore repulsione. Per interpretare il risultato del test si parte dall'ipotesi che le scelte vengano guidate da fattori istintuali analoghi a quelli rappresentati nelle singole devianze; inoltre si postula che quando questi fattori sono presenti in modo omozigote (come nei malati delle fotografie) determinino forme irreversibili di malattia e che, viceversa, i soggetti eterozigoti, pur avendo tutti i fattori istintuali considerati, siano suscettibili di modificazioni spontanee nel corso dello sviluppo.

Nel campo della ricerca psicologica effettuata attraverso l'esame delle manifestazioni psicopatologiche si deve ricordare l'attività della Scuola francese della Salpètrière, il cui massimo esponente fu J. M. Charcot. Egli si interessò, come è noto, di forme cliniche di isterismo e fu il primo a interpretare, sulla base dei meccanismi agenti in tale malattia, l'ipnotismo.

c) La processualità psicopatologica

L'evolversi di un processo morboso mentale può chiarire i problemi della psicologia normale molto più che la rilevazione della sua presenza, perché, come ha felicemente sottolineato Freud (v., 1933), ‟i malati di mente, essendosi disinteressati della realtà esteriore, la sanno naturalmente più lunga di noi su quella interiore e possono quindi rivelarci certe cose che senza di loro resterebbero impenetrabili". La psicopatologia scatena inoltre un processo regressivo in base al quale possiamo conoscere, osservando il malato mentale, aspetti del mondo preverbale proprio dei primi tempi di vita. Lo studio della processualità psicopatologica, oltre a rivelare l'intima natura di processi psichici profondi, ha promosso, più vigorosamente di quanto si sia verificato per la medicina interna, la convinzione che non vi sono iati sostanziali fra chi è sano e chi risulta malato: ogni persona mentalmente sana contiene, infatti, dentro di sé i nuclei che caratterizzano i vari disadattamenti mentali, da quelli più lievi a quelli più gravi delle psiconevrosi e delle psicosi; solo per il fatto di rimanere celati in profondità, o incistati difensivamente, questi nuclei patologici possono non turbare un'armonia complessiva di funzionamento psichico.

Allo studio della processualità psicopatologica è dedicata, in primo luogo, la psicanalisi. È noto che l'orientamento clinico di Freud prese un deciso contenuto dinamico, anticipatore della psicanalisi, dopo il soggiorno a Parigi nel 1885 e a Nancy qualche anno più tardi; è quindi in Francia che si deve rintracciare il clima culturale che avrebbe portato Freud alla scoperta di una nuova disciplina scientifica. Più ancora che a Charcot questo clima può attribuirsi a Th. Ribot, il titolare della prima cattedra francese di Psicologia sperimentale e comparata al Collège de France (cattedra fondata nel 1889) e di un incarico di Psicologia sperimentale alla Sorbona; Ribot si dedicava alla psicopatologia. A Ribot seguirono P. Janet (al Collège), G. Dumas (alla Sorbona), H. Wallon, M. Lagache e numerosi altri ricercatori, particolarmente interessati all'aspetto patologico della vita mentale e alla dinamica affettiva supeificiale e profonda. Freud fu chiamato a cogliere l'eredità di questo pensiero, a innestarlo nella linea della clinica psichiatrica secondo il modo di procedere di Charcot, a svilupparlo autonomamente e originalmente fino alla fondazione della psicanalisi.

Si dice, a ragione, che Freud è partito dal punto cui era arrivato Janet; di fatto, quest'ultimo portò avanti un discorso importante, dimostrando quanto poteva contribuire alla conoscenza psicologica l'osservazione di isterici e di allucinati. Frutto di queste osservazioni sono l'opera che tratta delle ‛forme inferiori dell'attività mentale', L'automatisme psychologique (Paris, 1889), il volume L'état mentale des hystériques (Paris, 1893), altri numerosi contributi e l'insegnamento che questo autore impartì per 40 anni al Collège de France.

Fedele al metodo prescelto, Janet studiò i tipi di condotta dei suoi malati, ricercando di ognuno la filogenesi e l'ontogenesi; scoprì così l'enorme importanza del linguaggio, la sua derivazione dall'azione, delineò l'evoluzione della memoria e della nozione del tempo, propose la distinzione di forza e di debolezza psichica, formulando il concetto di ‛psicastenia'. È rimasta famosa la polemica che contrappose Janet a Freud sia sul piano personale sia su quello clinico; quanto al primo, Janet accusò Freud di aver concepito la teoria psicanalitica in seguito alle conversazioni cui aveva assistito alla Salpêtrière, nelle quali Janet era uno dei principali interlocutori; quanto al secondo, lo scienziato francese interpretava l'isterismo come il risultato dell'insorgenza, a causa di uno stato di debolezza mentale, di automatismi psichici inconsci e irrazionali, mentre per Freud la malattia dipendeva dal processo della rimozione, un processo che avrebbe avuto un'importanza fondamentale nella nascente psicanalisi.

Non vi è comunque dubbio che mancò in Janet la dimensione della dinamica inconscia e quella considerazione della libido che Freud avrebbe sviluppato in un modo assolutamente personale, al punto che non appare possibile esimersi dal dedicare, nell'ambito della psicologia genetica, un capitolo alla psicanalisi, intesa come studio dell'evoluzione normale e patologica facente perno sulla dinamica dell'inconscio (v. inconscio).

d) La prospettiva psicanalitica

È ovviamente impossibile tentare in breve un riassunto della psicanalisi, vista l'estensione, la profondità, la novità della dottrina. È soltanto possibile accennare ai suoi principi più importanti, che si possono sintetizzare nel modo seguente: 1) l'inconscio è una sfera di attività psichica obiettivamente dimostrabile, in grado di determinare fatti patologici e sequenze ordinate di comportamento: è quanto Freud capì nell'osservare le dimostrazioni di ipnosi fatte da Charcot sugli isterici e di comando postipnotico eseguite alla Scuola di Bernheim a Nancy; 2) è possibile conoscere le motivazioni inconsce che determinano sintomi e comportamenti più precisamente che mediante l'ipnosi, stabilendo una collaborazione intima e significativa col paziente: è quanto Freud dedusse dall'uso dell'ipnosi applicata da lui personalmente e dal collega e amico J. Breuer; 3) l'uso delle associazioni libere e l'interpretazione dei sogni costituiscono metodi primari per svelare la problematica conflittuale inconscia: è quanto Freud scoprì mediante l'autoanalisi e l'analisi dei propri pazienti; 4) l'inconscio oppone una grande resistenza all'analisi, anche perché i sintomi e i modi di comportamento sono dei compromessi gratificanti: è quanto Freud accertò, dimostrando che nel sintomo il malato trova sistematicamente una soddisfazione, un guadagno secondario, per cui tende a perpetuare la propria malattia; 5) il trattamento psicanalitico, come anche quello ipnotico, innesca un sentimento emotivo (di amore o di odio) del malato verso il terapista, il transfert, al quale il terapista può corrispondere con analoghi e opposti sentimenti, che costituiscono il controtransfert. L'uno e l'altro processo debbono considerarsi come forti resistenze, soprattutto lo è la loro reciproca combinazione: è quanto Freud dedusse, inizialmente, dal fallimento registrato da Breuer nella cura di Anna O., entrata in un transfert cui Breuer aveva controrisposto; in segnito Freud osservò regolarmente lo sviluppo di transfert nei suoi pazienti; 6) transfert e controtransfert costituiscono forme di resistenza se e fino a quando non vengono interpretati, perché rappresentano un comportamento motivato dall'istinto anziché da una riflessione su di esso. L'interpretazione adeguata e adeguatamente accettata è perciò un cardine del processo terapeutico; 7) transfert e controtransfert costituiscono la reviviscenza di atteggiamenti emotivi del lontano passato personale; questi atteggiamenti sono strettamente collegati con la dinamica della sessualità infantile; 8) la sessualità infantile si svolge in modo inconscio e attraversa varie tappe di maturazione, ciascuna delle quali può venire perturbata da traumi e frustrazioni di varia natura; queste dolorose esperienze determinano un arresto, nell'inconscio, dei contenuti e dei modelli di comportamento tipici della fase in cui sono state vissute e ciò produce la formazione di nuclei di disadattamento psicopatologico. In questo processo patogenetico il trauma può essere vissuto nella fantasia anziché nella realtà, conservando tuttavia tutto il suo valore morbigeno; 9) i dinamismi impulsivi inconsci hanno carattere di istinto; le varie classificazioni degli istinti che Freud adottò successivamente e l'interpretazione dinamica che ne diede costituiscono la cosiddetta ‛metapsicologia' della psicanalisi. Di essa sono soprattutto note la distinzione fra conscio, inconscio e preconscio, la tripartizione dell'apparato psichico in Io, Es e Super-Io e la distinzione fra istinto di vita e istinto di morte; 10) la conoscenza della pulsione libidica, più tardi di quella aggressiva, ha offerto la possibilità di prospettare in modo unitario, in termini di pulsione e di difesa dalla stessa, non solo il comportamento psichico quotidiano normale e la natura del sogno, ma anche i più vari aspetti della vita associata e della civiltà, e quelli della psicopatologia; inoltre ha consentito di prospettare una psicoterapia ragionata dei disturbi mentali, nota col nome di trattamento psicanalitico. Dalla teoria e dalla pratica psicanalitiche sono comunque derivate importantissime conoscenze sulla vita psichica dell'uomo (v. psicanalisi).

6. Integrazione

Il discorso condotto sinora è stato imperniato sul modo in cui la psicologia si è strutturata come disciplina scientifica a partire dai suoi primordi. Come si è già avuto occasione di dire, le posizioni passate in rassegna rappresentano i parametri, i modelli concettuali, ai quali sembra si possa ricondurre la ricerca in psicologia. Tuttavia essi non rappresentano più sostanzialmente la psicologia contemporanea, in quanto la massima parte dei suoi cultori, pur riconoscendo in essi la matrice della disciplina, hanno oggi assunto altre prospettive e modalità più complesse di azione.

In questo capitolo vedremo come il progresso compiuto dalla psicologia nel corso degli anni non si sia configurato come un approfondimento dei singoli parametri esaminati, anche perché molti di essi hanno da tempo raggiunto un ‛tetto' non facilmente superabile; il progresso si è invece verificato ogni volta che una delle singole modalità di ricerca si è integrata con qualcuna delle altre. In tal modo resta dimostrato che la specificazione di parametri individuali può porsi unicamente e artificiosamente per esigenze pragmatiche e didattiche e che ognuno di essi assolve il compito di prospettare una disarticolazione speciale del funzionamento mentale; ma, essendo quest'ultimo assolutamente unitario in quanto unica è la soggettività che ciascun parametro traduce e media, diventa necessario attuare un'integrazione delle parti, una volta che si sia proceduto alla loro individuazione.

La legge dell'unificazione, fondamentale a proposito delle funzioni mentali specifiche e tenacemente sostenuta in tutta la sua opera da A. Gemelli (v. Gemelli e Zunini, 1947), deve a sua volta trovare un'unificazione superordinata fra le stesse funzioni, e proprio in questo incontro, che si potrebbe definire interdisciplinare, anche se si svolge in seno a una sola disciplina, sta evidentemente la vitalità e il progresso della psicologia.

Può essere interessante ripercorrere il cammino sin qui compiuto, dando qualche esempio del modo in cui si è attuata, nel progresso della psicologia, la sua crescente integrazione.

Esaminiamo innanzitutto i progressi registrati nel campo dell'‛osservazione esterna'. Per quanto riguarda la ‛ricerca psicofisiologica' propriamente detta, G. T. Ladd e R. S. Woodworth danno un primo esempio di integrazione: ispirati alla visione integratrice della neurofisiologia di C. S. Sherrington, questi autori si interessano con metodi psicofisiologici dei ‛contenuti di coscienza' (v. Ladd e Woodworth, 1911). A loro volta, rifacendosi alla teoria di W. B. Cannon, molti ricercatori si dedicano allo studio delle ‛emozioni' utilizzando il riflesso psicogalvanico (C. Landis), l'elettromiografia (F. L. Golia), il palloncino gastrointestinale (D. Brunswick) e l'elettroencefalogramma (H. Berger). S. I. Franz e K. S. Lashley, e soprattutto quest'ultimo (v. Lashley, 1928), utilizzano gli schemi della Gestalt per studiare non più singole risposte, ma l'esito complessivo sul comportamento di ablazioni sperimentali dell'encefalo, cioè le cosiddette unità molari; anche A. Gelb e K. Goldstein fanno riferimento alla Gestalt per studiare i cerebrolesi di guerra (v. Gelb e Goldstein, 1920) e il secondo giunge a distinguere l'attitudine ‛concreta' da quella ‛astratta' verso l'ambiente, attribuendo alla prima un carattere di rigidità, alla seconda la possibilità di adattamento e dimostrando che la concretezza è propria dei cerebrolesi, degli schizofrenici, dei deficienti e dei bambini (v. Goldstein, 1934).

Altri ricercatori in campo fisiologico si interessano delle conseguenze delle lobotomie prefrontali e degli accidenti vascolari cerebrali (v. Jacobsen, 1936) sulle funzioni mentali, dando così inizio a quella moderna specialità psicologica che va sotto il nome di neuropsicologia. Infine R. B. Malmo, rifacendosi ai concetti di omeostasi e di reazioni neurovegetative, affronta, sempre con metodologia psicofisiologica, lo studio della ‛motivazione' (v. Malmo, 1959).

Secondo una diversa prospettiva di integrazione, N. Rashevsky fonde poi la ricerca psicofisiologica con la biofisica matematica (v. Rashevsky, 1948) e attraverso l'influenza esercitata da N. Wiener (v., 1948) viene formulato il concetto che l'organismo può considerarsi come un calcolatore cui può applicarsi la teoria dell'informazione; ancora, l'organismo viene sempre più considerato come un sistema fisico di risposte, secondo le vedute dell'ingegneria umana (v. Delgado, 1969).

Se si analizza ora con lo stesso criterio lo studio comparato del comportamento, si osserva una complicazione del tutto analoga; lo stesso behaviorismo riduzionista si integra, per merito di E. C. Tolman (v., 1932), con il concetto di ‛finalità' di un comportamento, ‟anche se - afferma Tolman - non si potrà mai sapere se l'animale raggiunge il suo fine"; questa prospettiva sancisce di fatto la convergenza fra la psicologia obbiettiva del comportamento e quella ‛ormica' di McDougall. A sua volta C. Hull interpreta il comportamento come il risultato di un adattamento biologico, quindi come un processo sempre orientato alla riduzione dei bisogni prodotti da una modificazione nelle condizioni ideali di vita. Per rendere conto in maniera coerente dei vari modi di adattamento, Hull ha elaborato un metodo ipotetico-deduttivo estremamente complesso e rigorosamente inquadrato in formulazioni matematiche (v. Hull, 1952).

Al di là di questi schemi, ancora molto teorici, la psicologia comparata si è arricchita, nell'ambito della reflessologia, del concetto di ‛nevrosi sperimentale'; lo stesso Pavlov (v., 1927) sottoponeva i suoi animali da laboratorio a frustrazioni intollerabili, facendo ricorso alla tecnica dei riflessi condizionati. Più precisamente, i cani da esperimento venivano abituati ad associare a uno stimolo luminoso di forma circolare la presenza di cibo e a uno stimolo luminoso di forma ellittica l'assenza del cibo stesso; proiettando successivamente forme circolari sempre più schiacciate e forme ellittiche sempre più arrotondate, gli animali cadevano vittime di un acuto, grave disadattamento. Le nevrosi sperimentali vengono analogamente realizzate da J. H. Masserman (v., 1950) nei gatti, col sottoporli a situazioni gravemente conflittuali; in un secondo tempo lo sperimentatore elimina tali nevrosi indotte mediante la psicoterapia: in tal modo il behaviorismo reflessologico si salda intimamente con la psicopatologia.

Su di un altro versante, J. McV. Hunt e altri (v., 1941) si sono incaricati di controllare, nel comportamento dell'animale adulto, l'effetto di maltrattamenti subiti nella prima infanzia, introducendo in tal modo considerazioni di ordine genetico nell'ambito della psicologia comparata. Di notevole importanza sono da considerarsi al riguardo le ricerche compiute da H. F. e M. K. Harlow nel Laboratorio dei Primati dell'Università di Wisconsin, su scimmie neonate separate dalla madre (v. Harlow e Harlow, 1969). Harlow ha dimostrato che sul futuro comportamento dell'animale ha un'importanza determinante il tipo di trattamento che riceve da neonato; più precisamente il tipo di sostituto che gli si dà al posto della madre naturale: se il neonato può fruire di un contatto ‛morbido', come quando ha a disposizione un pupazzo di gommapiuma che funga da madre, non solo risulta meno ansioso e più disinvolto, ma diventa anche molto più socievole quando si fa adulto; l'opposto si verifica quando il sostituto materno è costituito da un reticolo di fili metallici a forma di pupazzo, anche se questa sagoma (come d'altronde quella in gommapiuma) è fornita di un biberon che dispensa latte (v. Harlow e Harlow, 1969). La ricerca comparata si è anche enormemente arricchita per l'apporto degli etologi, che osservano gli animali nelle condizioni naturali di vita, evitando così le deformazioni connesse con l'esperimento di laboratorio; fra le più importanti ricerche in campo etologico debbono essere ricordate quelle relative all'imprinting fatte dal caposcuola K. Lorenz (v., 1935) e dai suoi discepoli; i risultati raggiunti confermano l'enorme influenza che possono avere le esperienze neonatali sull'intero corso evolutivo. Le ricerche di N. Tinbergen (v., 1951) sul ‛comportamento innato' degli animali hanno permesso a questo studioso di affermare che ogni animale possiede un determinato corredo di movimenti, organizzati gerarchicamente, che vengono effettuati quando le circostanze ambientali forniscono un innesco specifico, funzionando da Innate Releasing Mechanism (IRM).

Molti dei risultati ottenuti dalla ricerca psicologica comparata concordano con analoghi risultati raggiunti nel campo dell'esperienza psicanalitica; un autore che si è occupato di confrontare i dati raccolti nell'ambito delle due prospettive di indagine è stato J. Bowlby (v., 1969-1973). Anche la psicofisiologia ha contribuito ad arricchire la gamma dei dati a disposizione della psicologia comparata, in particolare tramite gli esperimenti di elettrostimolazione cerebrale profonda su animale integro; con questo metodo si sono potuti localizzare i centri istintuali del piacere e del dolore (v. Olds e Milner, 1954) e quelli deputati alla dmamica dell'aggressione (v. Delgado, 1967).

Passando ora ad analizzare il settore delle manifestazioni differenziali, si può innanzitutto sottolineare che il sistema di W. H. Sheldon costituisce già un esempio dell'incontro fra teoria della personalità e misurazioni obiettive, e l'interesse che ha suscitato dipende certamente da questa sua integrazione. Ma anche il sistema classificatorio proposto da P. S. Holzmann e G. S. Klein (v., 1950) in termini di funzione di levelling e sharpening è un evidente esempio del genere. Allo stesso tipo di integrazione, ma svolto in un modo più ampio e interessante, appartiene il sistema proposto da H. A. Witkin (v., 1959) per la valutazione interindividuale. Tale sistema si basa sui risultati ottenuti con una tipica procedura psicofisiologica: il soggetto dell'esperimento deve porre in posizione verticale un'asta declinata nel piano frontale e inquadrata in una cornice rettangolare i cui lati maggiori sono orientati secondo la verticale, oppure sono obliqui. L'esperimento si svolge in una camera buia nella quale asta e cornice sono rese visibili da una vernice fosforescente. Per portare l'asta in posizione verticale alcuni soggetti fanno riferimento alla propria verticale gravitazionale e trascurano gli indici visivi circostanti (la cornice), pertanto correggono la declinazione dell'asta molto precisamente; tali soggetti vengono chiamati 'field-independent'. Altri soggetti, invece, adottano come sistema di riferimento la cornice, per cui quando essa è inclinata giudicano come verticale una posizione dell'asta che è invece più o meno obliqua a seconda dell'inclinazione della cornice; si tratta di soggetti che, per il fatto di utilizzare gli indici visivi più di quelli posturali e di riferirsi principalmente al campo, si definiscono 'field-dependent'. La ‛dipendenza dal campo' evidenziata mediante la procedura descritta varia con continuità fra due poli opposti; in base al risultato raggiunto nella prova ogni soggetto viene collocato a una certa distanza da essi. Queste polarità corrispondono poi a modi antagonisti non solo di percepire la realtà fisica, ma anche di immaginare se stessi e gli altri, di pensare, di comportarsi; rappresentano cioé due opposti ‛Stili cognitivi', il primo dei quali, quello centrato sul dettaglio e retto dall'analisi, è proprio della psiche maschile; il secondo, centrato sul contesto e retto dalla sintesi, è proprio della psiche femminile. La differenziazione si verifica peraltro anche in funzione del modo generale in cui si è svolta l'evoluzione e in particolare l'educazione familiare del soggetto (v. Witkin e altri, 1962). La classificazione di Witkin si è rivelata di straordinaria importanza per la comprensione sia della dinamica personale sia di quella sociale e ha offerto una prova evidente della fecondità dell'integrazione di metodi diversi della ricerca in psicologia.

Alleandosi infine con la tematica psicanalitica, la psicologia delle differenze individuali ha tenuto a battesimo tutta la serie delle prove ‛proiettive' della personalità, a cominciare dal ‛test delle macchie di inchiostro' di H. Rorschach (v., 1921) e dal Thematic Apperception Test di H. A. Murray (v., 1938), per finire al Picture Frustration Test di L. Rosenzweig (v., 1937) e al test dello sviluppo psicosessuale di G. S. Blum (v., 1954).

Nel campo dell'‛introspezione pilotata' si possono svolgere considerazioni del tutto analoghe; si è già visto come il concetto di Gestalt sia stato applicato, oltre che allo studio della percezione, a quello delle più diverse funzioni mentali e si è già messo in evidenza come il suo inserimento nel campo dell'interazione sociale abbia considerevolmente promosso la conoscenza e la sperimentazione; le ricerche di Gelb e Goldstein sui cerebrolesi di guerra, già citate, e quelle di Wertheimer (v., 1945) sul ‛pensiero produttivo' ne sono una conferma. Debbono qui essere ricordate in modo specifico le osservazioni sperimentali compiute da Köhler (v., 1917) sugli scimpanzé durante il periodo della sua prigionia, nel corso della prima guerra mondiale, nell'isola di Tenerife. Anticipando la prospettiva degli etologi, secondo i quali è necessario osservare l'animale in libertà per sapere di lui qualcosa di significativo, Köhler giunse a dimostrare che l'apprendimento non si svolge attraverso un procedimento di ‛prove ed errori' come sosteneva a quel tempo E. L. Thorndike (v., 19112); l'animale sembra infatti trovare la soluzione definitiva senza esitazioni quando il suo spazio percettivo-motorio si riorganizza come un tutto, secondo i principi della Gestalt: tale riorganizzazione segna il costituirsi di un legame significativo e di un nuovo equilibrio fra le percezioni.

Per quanto riguarda la dinamica delle funzioni interiori, di carattere impulsivo, l'adozione delle tecniche di condizionamento ha permesso a J. V. Brady di condurre interessanti esperimenti che, pur attuati su scimmie, rivestono un'indubbia importanza anche per la psicologia umana. In queste ricerche coppie di scimmie venivano fatte sedere su una specie di panca, con le zampe inferiori appoggiate su una sbarra metallica in cui, ogni 20 secondi, veniva fatta passare della corrente elettrica. Le due scimmie avevano a portata di zampa una leva ciascuna, che potevano abbassare facilmente. Una delle due scimmie abbassando la leva poteva interrompere la corrente, mentre l'altra leva non era collegata con un interruttore. Il programma di lavoro consisteva in periodi di 6 ore di stimolazione e di 6 ore di riposo e le scimmie (chiamate ‛esecutive') apprendevano a manovrare la leva abbassandola frequentemente per evitare le scosse. Dopo 23 giorni di sperimentazione continua una delle scimmie ‛esecutive' morì e l'autopsia rivelò la presenza di larghe ulcerazioni in sede gastroduodenale. L'altra scimmia, pur avendo ricevuto lo stesso numero di scosse non aveva invece alcuna lesione gastrointestinale; tutto ciò dimostrava senz'altro l'importanza patogenica dell'attesa del trauma, in confronto al trauma stesso (v. Brady e altri, 1958).

La ‛determinazione a fare' è stata analogamente studiata con uno dei metodi ricordati nel capitolo riguardante la dimensione genetica: in un gruppo di soggetti in trance ipnotica fu indotto uno stato psichico di tipo tensione/irritazione, in un altro uno stato psichico di tipo distensione/ disponibilità. Fu poi dato il comando di conservare lo stato rispettivo per un certo periodo di tempo dopo il risveglio dalla trance; il rendimento lavorativo registrato in tale periodo risultò significativamente diverso: i soggetti del primo gruppo lavoravano meno e peggio degli altri (v. Ancona e altri, 1970).

L'orientamento dell'aggressività, in senso autoplastico o alloplastico, è stato obiettivato in termini di secrezione catecolaminica, con la dimostrazione che l'aggressività esteriorizzata si correla con una prevalenza noradrenalinica, quella che resta imprigionata all'interno del soggetto è invece correlata con un incremento della secrezione adrenalinica, ed è a sua volta in correlazione con gli stati depressivi (v. Funkestein, 1955).

Infine sono stati sottoposti a meticolosa indagine sperimentale anche i contenuti mentali allo stato puro, come le immagini oniriche e quelle allucinatorie del dormiveglia, e il modo di articolarsi del pensiero. Sono state trovate tecniche per evidenziare questi contenuti, ad esempio il 'Ganzfeld visivo e acustico' (v. Bertini e altri, 1964) e l'applicazione pilotata di LSD (v. Ancona, 1968); inoltre il dormiveglia è stato monitorizzato (v. Bertini e altri, 1970) e si sono fatte registrazioni poligrafiche delle reazioni a stimoli applicati in varie fasi del sonno.

Queste ricerche confluiscono nel ricchissimo filone delle indagini sperimentali sul sogno iniziate negli anni cinquanta da E. Aserinski, N. Kleitman e W. Dement (v. Aserinski e Kleitman, 1953; v. Dement, 1955). Esse comprendono infatti la dimensione introspettiva, quella dell'osservazione esterna, quella genetica e si integrano direttamente con la psicanalisi. Una dimostrazione sperimentale di questa confluenza di interessi e di metodi di ricerca è data dall'indagine fatta da M. Bertini sui contenuti mentali durante il sonno, con un metodo derivato dalle tecniche di condizionamento con cui ha cercato di cogliere la verbalizzazione del sogno allo stato nascente, per confrontarla con il racconto reso dal sognatore al risveglio (v. Bertini, 1970). A tale scopo i soggetti sperimentali sono stati immersi in un Ganzfeld (white noise) facilitante le associazioni e inducente forme concrete di pensiero fino all'allucinazione; i soggetti sono stati poi condizionati a parlare a ruota libera ogni volta che sentivano il white noise. Dopo il training di condizionamento lo stimolo acustico veniva immesso nella camera dove il soggetto dormiva, all'inizio di ogni fase REM, e mantenuto per il periodo presumibile della stessa fase. Si è così ottenuta una verbalizzazione onirico-simile; la sua natura psicofisiologica è tuttora incerta, tuttavia essa si è rivelata capace di tradurre l'esperienza vissuta dal soggetto durante la notte in un modo molto più ampio, dettagliato e privo di distorsioni di quanto sia ottenibile retrospettivamente dopo il risveglio; Bertini ha sottolineato che con questa metodica è non solo possibile lo studio obiettivo dei processi onirici, delle trasformazioni in fase REM e non REM che il soggetto opera sui contenuti (filmici) visionati prima dell'esperimento e dei fenomeni connessi con l'oblio e con la censura del sogno; ma è anche possibile una estesa applicazione clinica alla dinamica del sogno.

Si può ora procedere all'analisi degli sviluppi di quella dimensione della ricerca che è stata definita dell'interazione sociale. Per quanto riguarda quella ‛centrata sull'individuo', non vi è dubbio che la psicologia sociale sia stata profondamente influenzata dall'opera di J. L. Moreno, il ricercatore che nel 1934 ha proposto i risultati delle sue indagini sull'attrazione/repulsione interindividuale registrati col metodo sociometrico (v. Moreno, 1934). Con la procedura di Moreno è diventato possibile dare una configurazione grafica alla composizione dei gruppi e procedere alla loro differenziazione in psico-gruppi (di natura privata, intima, affettiva) e in socio-gruppi (di natura collettiva, organica, funzionale). R. Tagiuri e altri (v., 1953) hanno poi reso possibile un approfondimento del metodo con l'‛analisi relazionale di gruppo', che tiene conto dell'aspetto emotivo più di quanto non faccia Moreno, il cui metodo risulta un po' troppo fenomenologico. Anche J. Maisonneuve (v., 1965) ha seguito questa via, interpretando la risposta selettiva del soggetto al test sociometrico (in uno psico-gruppo) come l'esito di un processo di anticipazione dell'atteggiamento di scelta/rifiuto dell'altro nei propri confronti.

Infine, sempre in questa corrente dell'interazione sociale, R. Carli e le collaboratrici A. Mangiarotti e M. Scalfaro hanno proposto un nuovo modello della scelta sociometrica nello psico-gruppo, interpretando questo comportamento come una decisione selettiva in situazione di incertezza. Secondo tale prospettiva il comportamento sociometrico è stato ricondotto ai quattro esiti classici della TDS (teoria della detezione del segnale) elaborata per spiegare fenomeni di natura percettiva da J. A. Swets (v., 1964).

È evidente che attraverso questi successivi sviluppi quello che era uno strumento di indagine sociologica di carattere descrittivo si è gradualmente perfezionato, giungendo a comprendere interessanti aspetti emotivi, trovando riscontro in criteri di obiettivazione psicofisiologica, permettendo infine di analizzare la fenomenologia dell'adattamento sociale, come appare nel lavoro di Carli e collaboratori sopra menzionato.

Oltre all'interazione sociale ‛incentrata sull'individuo' si deve sottolineare che anche quella ‛incentrata sul gruppo' ha avuto nei tempi recenti ampi sviluppi in senso integrativo, al punto da configurarsi come una nuova disciplina scientifica cui è stato dato il nome di ‛sociopsicologia'. Originata dagli esperimenti di tipo residenziale condotti presso la scuola di dinamica di gruppo a Bethel (Maine), necessariamente orientati verso fenomeni di natura clinica, psichiatrica e che risentivano fortemente dell'influenza del pensiero inglese, che ispirò la fondazione delle prime comunità terapeutiche (v. Jones, 1952), questa forma di psicologia sociale diventò sociopsicologia grazie all'apporto determinante del pensiero psicanalitico, e precisamente di quella corrente che fa capo alla scuola psicanalitica inglese di M. Klein (v., 1948). Questa elaborazione della dottrina freudiana è di fatto decisamente più aperta sul sociale di quanto non lo sia la versione originale di Freud, perché, anziché basarsi sulla dialettica edipica di coppia, si fonda sulla dialettica preedipica, pre-personale che si instaura fra le parti del ‛sé', che corrisponde alla dialettica interna del gruppo (v. Ancona, Dinamica..., 1972).

W. R. Bion ha portato avanti più di ogni altro il discorso sulla dinamica di gruppo, dimostrando che un gruppo il cui terapista si limiti all'interpretazione del transfert in termini collettivi non tarda a costituirsi come un singolo paziente, nel senso che comincia a presentare processi interattivi e difese, che ne rivelano l'intima dinamica, equiparabili in tutto e per tutto ai fatti inconsci intraindividuali. Le tecniche difensive messe in evidenza da Bion sono quelle cosiddette della ‛dipendenza', dell'‛alleanza in attesa di un messia' (accoppiamento) e dell'‛attacco/fuga' (v. Bion, 1952). A esse F. Fornari (v., 1971) ha aggiunto la tecnica fondata sull'assunto di base della ‛conservazione'. Attraverso queste osservazioni e la terapia di gruppo, si è fatto un notevole progresso nella conoscenza di come un gruppo funziona, regredisce, giunge alla propria maturazione, comportandosi in questi processi come una vera e propria persona. P. C. Racamier (v., 1963) ha definito ‛personazione' questo processo e D. Napolitani ha delineato la sua curva evolutiva, facendo riferimento alla vita di comunità terapeutiche seguite con metodologia psicanalitica (v. Napolitani, 1973).

Su questa base è stato possibile programmare e svolgere specifici interventi di bonifica sociale, sia mediante trattamento psicanalitico di gruppo (v. Napolitani, 1972), sia mediante interventi nel campo del lavoro (v. Jaques, 1955).

Anche per quel che riguarda la psicologia genetica si sono registrati progressi notevoli; ricordiamo le fondamentali ricerche di H. Werner (v., 1948) sulla progressiva differenziazione del sistema psichico a cominciare dalle attività mentali primitive, comuni all'uomo e agli animali, e gli studi di S. Escalona e P. Bergman sulle precocissime differenze sensoriali nell'uomo (v. Escalona e Bergman, 1948). Ugualmente importanti sono gli studi di R. Spitz (v., 1965), il quale ha dimostrato come il bambino, nel corso dell'evoluzione, passi gradualmente da comportamenti generici e grossolani a comportamenti sempre più differenziati; così al terzo mese il bambino riconosce il volto della madre e sorride, per quanto in modo stereotipato, riflesso; contemporaneamente prova angoscia di fronte a un volto sconosciuto. Dall'ottavo al dodicesimo mese il bambino organizza le sue relazioni con gli altri attraverso il balbettio e l'imitazione; il linguaggio viene poi a stabilire una nuova piattaforma per la successiva evoluzione. Spitz è riuscito a ricondurre a disturbi di rapporto, verificatisi nelle varie fasi attraversate, le tipiche malattie infantili: dal marasma, che si manifesta nel bambino all'ottavo mese, in seguito ad abbandono materno, a quelle che ha chiamato ‛psicotossicosi' della prima infanzia.

Nel campo della psicoterapia, accanto alla psicanalisi, individuale e di gruppo, è sorta una nuova tecnica che si basa sul concetto di ‛condizionamento operante' (v. Dollard e Miller, 1950) e, su analoghi presupposti concettuali, si è sviluppata la cosiddetta ‛terapia del comportamento' che opera attraverso decondizionamenti (desensibilizzazioni) progressivi. I maggiori esponenti di quest'ultimo indirizzo terapeutico sono H. J. Eysenck (v., 1960), in Europa, e J. Wolpe (v., 1958), negli Stati Uniti.

La psicanalisi ufficiale ha dimostrato una certa resistenza a convergere verso altre branche della psicologia, certamente memore dell'ammonimento del suo fondatore di non mescolare, salvo in casi di estrema necessità, l'oro puro della sua dottrina con il piombo degli altri punti di vista. Ogniqualvolta vi è stato un tentativo di integrazione in questo senso, gli psicanalisti ortodossi, pur riconoscendone la relativa validità, se ne sono disinteressati; lo stesso Freud aveva dimostrato di apprezzare la ricerca fatta da O. Poetzl (v., 1915) sulla dinamica delle stimolazioni indirette, e in realtà la psicanalisi offre molteplici possibilità di verifiche sperimentali, come hanno dimostrato parecchi anni fa E. Hilgard, L. Kubie ed E. Pumpian-Mindlin (v., 1952); tuttavia ciò non ha condotto ad alcuna tipica integrazione interdisciplinare. Così la psicanalisi non ha tenuto conto delle prospettive antropologiche sviluppate da A. A. Malinovskij, A. Kardiner, E. Fromm, delle indagini descritte da M. Mead e R. Benedict, della concezione elaborata dalla scuola ‛culturale', sorta negli Stati Uniti intorno a H. S. Sullivan e a K. Horney, nonché dei punti di vista proposti dai discepoli dissidenti di Freud, Jung e Adler.

La psicanalisi non ha adottato tutti questi contributi, mentre spesso i loro autori si sono dichiarati psicanalisti. Questo è stato soprattutto il caso di Jung e di Adler che, sulla base dei rispettivi modelli concettuali, hanno fondato delle scuole i cui allievi non esitano a dichiararsi psicanalisti, pur specificando l'indirizzo teorico e terapeutico adottato. Come è noto, Jung ha proposto il principio di uno psichismo inconscio costituito da una sfera individuale e da una sfera collettiva; l'inconscio individuale contiene istanze moralmente positive in conflitto con istanze perverse, quello collettivo contiene i cosiddetti ‛archetipi', che sono da considerarsi come l'espressione di una mentalità primordiale, anche preumana, la cui prevalenza nella condotta provoca fenomeni deleteri per l'individuo e per la collettività.

Adler si è dedicato allo studio dell'Io, pensando che Freud avesse trascurato l'argomento, e ha messo l'accento sul processo di ‛compenso', reso principio generale del funzionamento psichico. Secondo Adler le nevrosi nascono non dalla dinamica perturbata della libido, ma dal sentimento di inferiorità e dal mancato adattamento alla realtà sociale; in grado maggiore o minore tutti gli individui sono vittime del confronto con tale realtà ed è perciò che tutti sono portatori, specialmente le donne, del sentimento reattivo di ‛protesta' (v. Adler, 1933).

Se la psicanalisi non ha adottato i punti di vista degli autori e delle scuole ricordate, in ben altra considerazione ha tuttavia tenuto la cosiddetta psicanalisi dell'Io, sviluppatasi ad opera di A. Freud, H. Hartmann, E. Kris e M. R. Löwenstein; nonché quella ‛aperta sul sociale' di E. H. Erikson. In realtà oggi in seno alla psicanalisi freudiana si distinguono due correnti di pensiero: l'una interessata alla dinamica profonda dell'inconscio, che viene elaborata dai seguaci di M. Klein ed è accettata soprattutto in Inghilterra, in Italia e in larga parte del Sudamerica; l'altra rivolta allo studio delle funzioni dell'Io, rappresentata da A. Freud e seguita dalla maggioranza degli psicanalisti dell' ‟International journal of psychoanalysis", l'organo ufficiale dell'Associazione Internazionale degli Psicanalisti.

7. Conclusione

Nei capitoli precedenti abbiamo passato in rassegna le diverse articolazioni della psicologia e abbiamo seguito le linee evolutive lungo le quali la disciplina si è sviluppata fino ad acquistare la straordinaria complessità che presenta al giorno d'oggi. Si è anche visto come la ricchezza della psicologia sia sostanzialmente derivata dall'integrazione reciproca delle sue varie componenti. Ora, indipendentemente dal fatto che tale processo interno di integrazione fra le diverse branche della psicologia si sviluppi ulteriormente, un altro tipo di scambio concettuale e metodologico sembra indicare qual è la via della progressiva futura espansione della psicologia: lo scambio interdisciplinare nel senso stretto del termine, cioè quello che implica un sempre maggiore inserimento della psicologia nel sistema delle scienze. Piaget ha magistralmente trattato di questo destino della psicologia nella relazione tenuta al XVIII Congresso internazionale di psicologia, svoltosi a Mosca nel 1966 (v. Piaget, 1966); terremo presente tale relazione nel presentare un panorama dei rapporti intercorrenti fra la psicologia e le altre discipline scientifiche.

La matematica ha sempre offerto alle diverse scienze gli strumenti concettuali per formalizzare i modelli elaborati nell'ambito delle singole discipline e quantificarne i dati. Ciò vale anche per la psicologia, che si è costituita come scienza proprio in seguito al tentativo di quantificare determinati dati psichici. La matematica ha raggiunto una posizione di rilievo, nella ricerca psicologica, sotto forma di ‛analisi fattoriale' eseguita sui risultati dell'applicazione di vari test; ciò ha condotto C. Spearman (v., 1927) e chi lo ha seguito su questa strada a distinguere delle ‛attitudini' di pura formulazione matematica. È ovviamente di ispirazione matematica la cosiddetta ‛topologia' di Lewin (v., 1936) e il ricorso a strumenti matematici è indispensabile nell'applicazione della ‛teoria di detezione del segnale' di Swets (v., 1964) alle scelte decisionali e nella soluzione dei problemi del pensiero proposta da J. S. Bruner (v., 1964). Diverso è il rapporto che intercorre fra psicologia e matematica quando i matematici si pongono il problema della natura e della fondazione della loro disciplina; infatti i matematici si trovano in difficoltà quando ‟si domandano cos'è il numero o qual è la natura delle strutture o della verità matematica in generale" e Piaget ha sostenuto che l'ontogenesi mentale può dare una risposta al quesito; anche negli studi sulla probabilità soggettiva le considerazioni psicologiche e matematiche si intrecciano indissolubilmente. In questa prospettiva, a parte il progetto di rendere più scientifica la psicanalisi per mezzo di una formalizzazione matematica, si pone lo studio che I. Matte Blanco sta conducendo sul funzionamento dell'inconscio (v. Matte Blanco, 1975).

Le scienze fisico-chimiche già da tempo offrono strumenti concettuali e soluzioni teoriche alla psicologia. I risultati ottenuti nel campo della ricerca biochimica sui drogati hanno contribuito ad ampliare gli orizzonti dell'indagine psicologica; tipici modelli fisici utilizzati in psicologia sono i campi elettromagnetici postulati da Köhler (v., 1920) per spiegare la Gestah. Due nuove scienze, sorte in seguito ai recenti sviluppi tecnologici, e cioè la teoria dell'informazione e la cibernetica, si sono rivelate particolarmente utili all'elaborazione di teorie e modelli psicologici. I fisici, da parte loro, hanno già potuto trovare nella psicologia spunti sperimentali atti a definire la velocità senza dover ricorrere alla durata e sembrano sul punto di giungere, per merito della psicologia, alla scoperta di nuovi fenomeni fisici, comprendenti quelli vecchi ma implicanti relazioni più complesse. La psicologia stessa porrà dei problemi ai fisici, perché la fisico-chimica non potrà essere ‛generale' se non comprendendo preliminarmente ciò che si verifica nel sistema nervoso centrale o in quello periferico, durante un comportamento o un lavoro mentale.

Le scienze biologiche hanno parecchi punti di contatto con la psicologia; particolarmente fecondi sono stati gli scambi fra le due discipline sul terreno della psicofisiologia, della ricerca comparata e della psicopatologia. Nuove prospettive di collaborazione fra scienze biologiche e scienze psicologiche sono state aperte dai lavori rivoluzionari di C. H. Waddington (citato da Piaget), che hanno evidenziato il fatto che l'adattamento non è dovuto alle azioni dirette dell'ambiente nè al semplice sorteggio della selezione, bensì a regolazioni multiple su diversa scala, secondo circuiti cibernetici attraverso i quali l'organismo reagisce all'ambiente. Per lo psicologo, embriogenesi e sviluppo diventano allora contemporaneamente il risultato della filogenesi e la fonte di nuove risposte adattative che regolano la filogenesi stessa; il principio di tale regolazione dialettica si applica direttamente alla dinamica dell'intelligenza che si basa sull'esperienza (azione ambientale), da una parte, e, dall'altra, sulle regolazioni endogene genetiche, fonti, a loro volta, di operazioni, per cui la conoscenza, anziché una semplice copia del reale, risulta essere un'organizzazione procedente per equilibri e riequilibri continui. Per lo psicologo del domani si apre, da qui, la strada per affrontare un interessante problema di adattamento biologico: come le strutture logico-matematiche possano adattarsi così bene all'esperienza fisica, secondo quanto risulta empiricamente.

Le scienze sociali hanno spesso percorso binari paralleli a quelli sui quali progrediva la psicologia, ma soltanto ora, che incomincia a essere accettato il principio che la società non è completamente indipendente dall'organizzazione biologica, che non è un tutto omogeneo che ‛forma' gli individui dal di fuori, ma che è un sistema di interazioni, di cui ogni individuo costituisce una parte, insieme biologica e sociale, si delinea un più autentico scambio tra la psicologia e queste scienze. Esse riceveranno molto dalla conoscenza del processo di socializzazione dell'individuo, cioè di quel processo che utilizza la società per la propria conservazione, in opposizione alle trasmissioni ereditarie e biologiche. La prospettiva da adottare è quella ‛relazionale', per la quale non vi sono che interazioni; queste, benché possano venire studiate globalmente, come fa il sociologo, oppure ontogeneticamente, come fa lo psicologo, soltanto quando vengono esaminate da entrambi i punti di vista congiuntamente possono assicurare il massimo progresso delle due discipline.

La linguistica, per quanto aperta alla collaborazione interdisciplinare (con la sociologia, con la teoria dell'informazione), non ha ancora stabilito approfonditi rapporti con la psicologia, mentre quelli con la psicanalisi sono tradizionali (da quando Freud trattò del significato antitetico delle parole primitive, nel 1900) e vanno arricchendosi in seguito all'affermazione di J. Lacan che ‟l'inconscio è strutturato come un linguaggio". Per quel che riguarda la psicologia non psicanalitica, Piaget ha visto innanzitutto possibili fecondi scambi fra linguistica e psicologia a proposito del chiarimento delle relazioni intercorrenti fra linguaggio e logica: la loro stretta interconnessione si verificherebbe a un livello sublogico. Anche in questo caso Piaget propone come metodo di indagine privilegiato l'analisi precisa dell'evoluzione infantile eseguita dal doppio punto di vista linguistico e logico.

Un altro problema alla cui soluzione il linguista e lo psicologo potrebbero collaborare proficuamente è quello della semiotica generale del linguaggio, nella linea di ricerca già intrapresa con lo studio delle comunicazioni fra gli animali; nel caso dell'uomo la ricerca verterebbe sui rapporti fra rappresentazione mentale o pensiero e funzione semiotica.

La logica, infine, deve anch'essa, come la matematica, interrogarsi sulla propria natura e ciò porta necessariamente all'uomo, perché non esiste una ‛logica senza soggetto' come non ci sono ‛soggetti senza logica'. L'individuo, nel corso dello sviluppo, elabora una costruzione progressiva di strutture operatorie, formalizzabili logicamente, che gli consentono a poco a poco di ragionare su ipotesi e non più, come all'inizio, solo su oggetti. Si tratta di strutture logiche ‛naturali', che si prolungano in strutture numeriche e in rappresentazioni di quelle strutture generali o ‛madri' che alcuni matematici pongono alla base dell'edificio matematico. L'analisi sperimentale dello sviluppo infantile ha assicurato anche in questo caso a Piaget un metodo atto a convalidare questo punto di vista; l'analisi psicanalitica condotta in profondità ha assicurato a Matte Blanco un metodo clinico altrettanto valido per dimostrare come le assiomatizzazioni della logica non possono fare astrazione dai meccanismi inerenti all'attività psichica inconscia del soggetto umano. È interessante notare come il contributo di Matte Blanco, già citato, si presenti come un'integrazione di alto livello, perché non solo si incontra con le scienze matematiche, ma anche con la logica.

Non si possono pertanto concludere queste considerazioni se non ripetendo e sottoscrivendo l'affermazione centrale del discorso di Piaget a Mosca; e cioè riconoscendo che la psicologia occupa oggi una posizione di centro nel sistema delle scienze e che le ricerche interdisciplinari le assicurano un avvenire indefinitamente fecondo.

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