Psicomotricità

Universo del Corpo (2000)

Psicomotricità

Giovanni Chiavazza
Renza Calliano Massara
Claudio de' Sperati

Il termine psicomotricità indica l'insieme delle dottrine e pratiche terapeutiche che riguardano la reciproca integrazione delle funzioni psichiche con quelle motorie, quali elementi fondamentali del comportamento dell'uomo. Questi due tipi di funzioni, infatti, che si presentano rudimentali alla nascita, evolvono in stretta interdipendenza e via via si differenziano e si specializzano, mantenendo però sempre connessioni e legami profondi. La complessa unione psicomotoria può essere compromessa, durante lo sviluppo infantile o nell'età adulta, sia da patologie neurologiche sia da turbe psichiche e dell'umore, dando così origine ai disturbi psicomotori. L'ambito proprio della psicomotricità, caratterizzato dalle sue patologie e dalle relative modalità terapeutiche, è stato definito da esponenti della neuropsichiatria e della psicologia evolutive in ambiente di lingua francofona negli anni Cinquanta e Sessanta del 20° secolo. Da tale interpretazione sono derivate fondamentalmente una valorizzazione delle esperienze corporee nello sviluppo infantile e una concezione antropologica che riconosce l'importanza della corporeità non solo nel processo educativo ma in tutte le età dell'uomo.

Il corpo nella psicologia genetica, nella psicoanalisi e nella fenomenologia

L'aspetto genetico della psicologia è stato preso in considerazione dagli psicologi H. Wallon e J. Piaget. Già dagli anni Venti del 20° secolo, Wallon parla di sindromi e di tipi psicomotori, ma i suoi contributi più rilevanti per lo sviluppo della concezione psicomotoria derivano dall'aver posto in evidenza il ruolo della tonicità muscolare e della postura nello sviluppo delle relazioni e della personalità. L'emozione è studiata con riferimento alle concomitanti modificazioni del tono e della postura - per es. gli atteggiamenti corporei generalizzati od orientati, come la mimica - che costituiscono una fondamentale modalità di rapporto. Le reazioni tonico-emozionali sono infatti per Wallon i primi indicatori della vita psichica. Anche l'iniziale fusione affettiva tra la madre e il bambino si esprime mediante fenomeni motori che rivelano come, nella relazione, la postura corporea 'si impregna' delle caratteristiche posturali materne. Inoltre, la qualità di questo dialogo corporeo ed emozionale ha una notevole importanza per l'organizzazione delle configurazioni del carattere. Tale concezione del legame del tono muscolare e della postura con fenomeni emozionali accompagnerà costantemente la psicomotricità nei suoi sviluppi.

Più o meno nello stesso periodo Piaget descrive dettagliatamente lo sviluppo cognitivo del bambino. I primi stadi dell'evoluzione dell'intelligenza sono chiamati fino all'età di 2 anni sensomotori e successivamente, fino a 6 anni, preoperatori. In essi il ruolo dell'azione e del movimento è fondamentale: gli schemi di azione motoria sono considerati l'equivalente delle operazioni logiche che si svilupperanno solo successivamente, al punto che Piaget considera il pensiero un'azione interiorizzata. Anche l'acquisizione delle condotte simboliche risulta favorita da esperienze motorie. Concorrono alla funzione simbolica attività come l'imitazione e il gioco, nelle quali nel 'far finta di' l'oggetto esterno è utilizzato in funzione delle immagini interiori del bambino. Mentre per Wallon l'imitazione favorisce il passaggio da uno stadio iniziale di fusione tonico-emozionale tra mamma e bambino a uno stadio di successivo riconoscimento della propria estraneità all'altro, Piaget sottolinea l'importanza dell'imitazione nel costituire le rappresentazioni simboliche. Entrambi, poi, mettono in rilievo che, nell'imitazione, il modello esterno viene rappresentato mediante un adeguamento posturale del corpo e, più in generale, indicano che l'attività motoria e la psiche sono due aspetti di uno stesso processo evolutivo di adattamento attivo e costruttivo al proprio ambiente.

Dal punto di vista psicoanalitico, il corpo è inteso come luogo sia di manifestazione sintomatica dei conflitti psichici (per es. con il meccanismo della somatizzazione v. psicosomatica), sia di origine di tensioni ed eccitazioni che hanno i loro esiti sul piano psichico. S. Freud parla di Io corporeo (l'Io è, delle tre istanze psichiche - Io, Es e Super-Io -, quella che presiede all'adattamento al mondo esterno e alla conseguente costruzione dell'unitarietà della persona) per designare quella parte dell'Io che deriva dalle percezioni del corpo, in modo particolare quelle che originano dalla superficie di questo. Il corpo è tuttavia soprattutto il corpo degli orifizi e delle mucose, che media il rapporto fra interno ed esterno, e che produce, con l'elaborazione psichica dell'eccitazione somatica, le fantasie inconsce di rapporto. Altri autori di ambito psicoanalitico, fra i quali M. Klein, R. Spitz, D.W. Winnicott, W. Reich, hanno poi contribuito a elaborare ulteriormente l'importanza della corporeità nello sviluppo psichico. Tra questi, Reich considerò anche la componente muscolare, evidenziando la correlazione tra disturbi emozionali a sfondo conflittuale e alterazioni dell'assetto muscolare. La psicoanalisi, in sostanza, ha messo in luce l'importanza del vissuto corporeo nelle prime determinanti fasi dello sviluppo del bambino e ha proposto un superamento dell'aspetto anatomofisiologico, trattando così di un corpo immaginario, prodotto dall'elaborazione psichica inconscia senza approfondire, proprio in virtù della sua autodefinizione, le risorse corporee del movimento e dell'azione nella relazione con l'altro e con il mondo esterno, aspetto che è invece fondamentale nell'approccio psicomotorio. Per la fenomenologia di M. Merleau-Ponty la motricità è centrale nel costituire il rapporto fra lo spazio corporeo e lo spazio esterno, nella percezione degli oggetti, nel modo di muoversi nel mondo e, di conseguenza, nel rivelare il significato che ha il mondo per noi. Merleau-Ponty parla di 'corpo-proprio', che non è solo il corpo a sé stante, separato dal mondo, e nemmeno solo il corpo soggettivo che ognuno percepisce. Dall'incontro tra il corpo e il mondo nasce il corpo-proprio, e ciascuno dei due non ha significato se si prescinde dall'altro. Un oggetto è percepito in relazione al corpo, e il corpo si muove nel mondo. La motricità, lungi dall'essere un'ancella della coscienza che trasporterebbe il corpo nello spazio, rivela invece sia i significati degli oggetti sia lo spazio espressivo del corpo. La psicomotricità deve molto all'approccio fenomenologico: il movimento è rivelatore non solo degli atteggiamenti individuali, ma soprattutto dell'inscindibile legame fra l'uomo e l'Universo in cui vive e che fa proprio. Per la psicomotricità, come per la fenomenologia, il mondo esterno è incorporato nel nostro agire. La terapia psicomotoria consiste infatti proprio nel ripercorrere le tappe attraverso cui il movimento si è plasmato nel mondo, per ricostituire le fratture tra corpo e mondo che si possono osservare in molte patologie.

La definizione dei disturbi psicomotori

Uno dei primi disturbi psicomotori analizzati è stato quello definito come sindrome di débilité motrice a partire dal 1909 da E. Dupré, attraverso lo studio della motricità infantile da un punto di vista neurologico. Sulla base di tale approccio, che rappresenta il punto di partenza del discorso psicomotorio, la débilité motrice veniva descritta come una serie di disturbi comprendenti alterazione dei riflessi, sincinesie (movimenti 'spuri' attivati in concomitanza di normali movimenti), goffaggine dei movimenti volontari, paratonie (difficoltà a rilasciare contrazioni muscolari volontarie), instabilità, tic, mioclonie (contrazioni muscolari improvvise e ripetute) e balbuzie. Con la débilité motrice Dupré individuava uno stato patologico causato non da lesioni cerebrali focali, bensì da un arresto di maturazione del sistema nervoso. L'indicazione di una causa neurologica non attribuibile a un danno anatomico circoscritto rappresentava anche, secondo Dupré, un tentativo di superare il modello anatomoclinico di ispirazione positivistica, per il quale l'alterazione di una funzione doveva trovare il corrispettivo in una specifica alterazione anatomica localizzata. Dupré sottolineava invece il parallelismo tra funzioni psichiche e motorie, che si presentano come i due lati di una medaglia. Un tratto caratteristico della débilité motrice era infatti la contemporanea presenza di infantilismo motorio, di deficit intellettivi e di alterazioni del carattere. La débilité motrice di Dupré venne riesaminata e criticata a fondo da J. de Ajuriaguerra, dalla cui revisione emergono i capisaldi del campo psicomotorio sotto l'aspetto clinico e terapeutico. Basandosi sui risultati di un'approfondita ed estesa indagine neurologica infantile, de Ajuriaguerra e G. Bonvalot-Soubiran (1959) dimostrarono che la casistica di Dupré non era stata esaminata nella sua evoluzione longitudinale, metodologia fondamentale in ogni indagine neuropsichiatrica infantile. Inoltre, sotto la categoria débilité motrice erano state incluse manifestazioni di diversa eziologia, comprese alcune forme di encefalopatia. De Ajuriaguerra studiò sistematicamente, nella loro evoluzione a partire dalla nascita, il tono muscolare, i riflessi e le sincinesie in assenza di encefalopatie, dimostrando che lo sviluppo del tono e della motricità è intimamente fuso con lo sviluppo emozionale, dell'orientamento, del gesto e del linguaggio. Egli definì pertanto la nuova categoria dei troubles psycomoteurs, nei quali rientrano: 1) la debilità motoria, in cui la goffaggine e le difficoltà a realizzare l'azione sono correlate con sentimenti di disagio del bambino nel suo stare al mondo; 2) l'instabilità psicomotoria, contrassegnata da labilità dell'attenzione, motricità incontrollata e ipervigilanza, che sono caratteristiche tipiche del periodo tra i 2 e i 3 anni, e che hanno perciò fatto pensare a una specie di 'permanenza' del bambino in questo stadio di sviluppo; 3) i disordini della realizzazione motoria, consistenti in disprassie contraddistinte da una seria mancanza di abilità nel compiere le azioni quotidiane, nel regolare le sequenze ritmiche e nell'organizzare lo spazio; 4) certi tic e la balbuzie; 5) un'abnorme persistenza e alterazione di abitudini motorie infantili quali dondolii e movimenti ritmici. I troubles psycomoteurs presentano inoltre i seguenti tratti distintivi: non derivano da un danno organico evidente; nello stesso soggetto si manifestano variabili nella forma, intensità e durata, perché sono legati alle sollecitazioni ambientali e relazionali; mostrano un carattere espressivo quasi caricaturale e una somiglianza con le reazioni primitive di contatto, rifiuto, aggressività, passività.

Essi definiscono un quadro di disturbi denotato da una stretta dipendenza da fattori affettivi e relazionali, consentendo inoltre la 'lettura' di una componente comunicativa: possono infatti segnalare stati di disagio e intensificarsi o ridursi in relazione al senso che il soggetto vive nell'azione che compie. Rispetto al parallelismo di Dupré, qui l'idea portante è che le funzioni psichiche e motorie siano non già due aspetti di uno stesso fenomeno, bensì funzioni diverse seppur profondamente integrate. Nelle manifestazioni espressive toniche e posturali le funzioni psichiche e motorie non sono mai separate. Con la definizione dei troubles psycomoteurs l'ambito del controllo tonico ed emozionale è stato posto al centro dell'organizzazione relazionale e dell'adattamento all'ambiente, diventando una chiave di lettura di problematiche evolutive anche al di là delle manifestazioni che definiscono la sindrome dei troubles psycomoteurs. L'intervento psicomotorio si cimenta in tal modo anche su altre patologie sia di tipo relazionale sia conseguenti a lesioni riguardanti il sistema nervoso.

Il vissuto psicomotorio

La psicomotricità riconosce alcune categorie del vissuto corporeo su cui agire, quali il tono muscolare, la postura, il movimento, le relazioni con lo spazio e il tempo, la percezione di sé e il rapporto con gli oggetti esterni. Esse costituiscono il terreno dell'azione psicomotoria, un po' come il terreno di psicoterapie più tradizionali è costituito dal materiale verbale-immaginativo. Si potrebbe dire, per semplificare, che comprendere e modificare le categorie del vissuto corporeo, isolabili sul piano teorico, anche se intimamente intrecciate nell'esperienza soggettiva, è il compito specifico dello psicomotricista. Dalle premesse storiche e teoriche cui si è fatto fin qui riferimento discende che l'aspetto importante per lo psicomotricista non è tanto la descrizione di queste categorie con il linguaggio della chinesiologia, bensì la loro modellabilità nell'azione. Tra queste categorie viene riconosciuta un'importanza primaria, sia durante lo sviluppo sia nel rapporto terapeutico, al tono muscolare, cui si è già accennato, come tessuto della relazione. Il bambino emerge gradualmente da uno stato di ipertono neonatale e da un'elevata reattività muscolare generalizzata e le variazioni di questo 'fondo tonico' costituiscono la prima risposta all'ambiente. Inizialmente si assiste alla semplice comparsa di alternanze tra stati di allarme e di riposo, accompagnati da variazioni del tono, ma ben presto lo stato tonico si arricchisce di modulazioni più specifiche, per es. in risposta alle cure materne, attraverso le quali si instaura un dialogo tra madre e figlio basato su stati tonico-emozionali. Tale 'dialogo tonico' è importante per modellare e differenziare le risposte del bambino. Su questa trama si svilupperanno prima le relazioni affettive di accettazione e di rifiuto, di dipendenza e autonomia, poi le sfumature delle relazioni più evolute e gli atteggiamenti verso il mondo esterno. Come affermano E. Berti, F. Comunello e G. Nicolodi (1988): "Il tono può allora essere definito il principio informatore della relazione del soggetto con il mondo, ciò che trasforma una posizione in postura, determina l'organizzazione e la qualità del movimento e, tramite questo, informa delle connotazioni affettive con cui sono vissuti il tempo e lo spazio" (pp. 66-67).

Altra importante categoria si riferisce alla postura, nella sua funzione di interfaccia con il mondo. In psicomotricità è utile stabilire la differenza tra posizioni e posture. Se una posizione è univocamente definita dalla disposizione relativa dei segmenti corporei, le posture, oltre a essere caratterizzate da una certa posizione del corpo, sono anche determinate da un certo tono muscolare. Ne consegue che il tono, riflettendo la situazione comunicativa con il mondo, conferisce alla posizione corporea connotazioni espressive e affettive trasformandola in postura. Le posture assumono perciò un duplice valore: nella loro realizzazione tonica veicolano la componente relazionale, mentre la spazialità del corpo con cui si modellano produce forme che hanno una componente segnica. Così, per es., una posizione di apertura corporea e di disponibilità può essere confermata o meno dalla componente tonica con cui si realizza. Questa duplice modalità comunicativa, spaziale e tonica, permette di lavorare sugli aspetti di coerenza, contraddizione e paradosso del vissuto corporeo. Fondamentale è poi il movimento, la cui definizione non è facile, se non si vuole rischiare di banalizzarlo, da una parte, o di fare delle vuote allegorie, dall'altra. Certo, il movimento è vita, e la qualità e l'organizzazione del movimento sono indicatori di come e quanto il corpo sia composto nella sua unitarietà e quanto sia efficace il suo armonizzarsi con il mondo esterno. Il movimento è la 'melodia cinetica' con cui si disegnano le concatenazioni delle figure motorie; la modulazione tonica che questa richiede evidenzia il confine tra ciò che è trattenuto e impedito e ciò che è naturalmente espresso e realizzato. Le possibili alterazioni del movimento - inibito, contratto, frenetico, afinalistico, stereotipato -, quando non siano imputabili a patologie neurologiche, denunciano le fratture del corpo con il mondo. Se il coreografo fa disegnare le figure della danza con il movimento, lo psicomotricista intende aiutare il soggetto a esprimere le figure della sua danza personale, agevolando il superamento di blocchi, timori, impedimenti relazionali. Riguardo poi alle relazioni con lo spazio e il tempo, è necessario prima di tutto dire che il tempo di cui si occupa la psicomotricità non è il tempo della fisica, cioè quello lineare e che preesiste agli eventi che vi succedono: è invece il tempo psicologico, che si struttura intorno agli eventi e alla loro distanza. Ne esistono varie forme e rappresentazioni: ciclico, lineare, compresso, dilatato, rituale, biologico. Esso si struttura in relazione alle seguenti alternanze: assenza/presenza, attesa/compimento, ricordo/progetto. La patologia dell'organizzazione temporale presenta un'estesa gamma di alterazioni che vanno dalle difficoltà a ritmare le azioni fino alla ripetizione ossessiva di gesti e rituali, con i quali si tenta di riempire i vuoti o di rimediare all'angoscia. Questa sorta di riempimento artificiale del tempo, in effetti un suo svuotamento, si coglie come stallo e fallimento del desiderio e dell'attesa. La ricostruzione di una corretta organizzazione temporale permette anche il recupero sia delle coordinazioni motorie più elementari sia dei codici più evoluti, quali i linguaggi simbolici. Anche lo spazio, come il tempo, oltre a essere descritto dalla fisica, può assumere una dimensione psicologica. Lo spazio è anzitutto uno spazio vissuto, potremmo dire abitato: come il tempo, non preesiste a chi lo abita ed è carico di valenze affettive e simboliche. Per converso, modificare l'esperienza dello spazio vissuto si traduce in modificazioni delle dinamiche psichiche, ed è questo il piano su cui lavora lo psicomotricista. L'azione che collega lo spazio corporeo con lo spazio extracorporeo struttura un'esperienza in cui si fondono gli aspetti affettivi e cognitivi. Ciò è testimoniato anche dai giochi dei bambini. Si prenda in considerazione, per es., il gioco del nascondersi: con esso si sperimenta una gamma di rapporti con l'altra persona - all'altro ci si sottrae e allo stesso tempo si vive l'attesa di essere ritrovati e riconosciuti - e contemporaneamente si struttura una rappresentazione dello spazio. Ma il dialogo tonico che intercorre tra la madre e il bambino è già a tutti gli effetti un'esperienza dello spazio in cui si fondono gli aspetti affettivi e cognitivi. Dalla qualità di queste coerenze affettive e cognitive dipenderanno le modalità con le quali ci si può rappresentare il mondo e con cui ci si può muovere in esso.

L'approccio terapeutico

Prima ancora che si fossero sviluppate, a opera di psicomotricisti dei decenni successivi, terapie psicomotorie volte alle problematiche dell'identità, già nel 1962 lo stesso de Ajuriaguerra sosteneva che "le terapeutiche psicomotorie che agiscono e modificano la componente fisica corporea sono di fatto anche delle attività psicoterapiche" (p. 489). Con il tempo, la terapia psicomotoria è venuta a definirsi anche come terapia relazionale a mediazione corporea. Le sindromi per le quali è indicato il trattamento psicomotorio si possono attualmente raggruppare in tre categorie: 1) turbe dello sviluppo psicomotorio e disordini psicomotori (disturbi tonico-emozionali; inibizione e instabilità psicomotoria; ritardo dello sviluppo psicomotorio; turbe dello schema corporeo, della lateralizzazione, dell'organizzazione spaziotemporale); 2) disordini della programmazione e della realizzazione motoria (disprassie; incoordinazione motoria e gestuale); 3) disturbi dello sviluppo psichico (turbe dell'adattamento emozionale e relazionale, e della rappresentazione corporea; disordini di personalità e di identità; ritardo mentale). Per questi disturbi l'intervento psicomotorio si affianca a trattamenti di altro tipo. Mentre il terreno su cui lo psicomotricista lavora sono le categorie psicomotorie, e in particolare l'assetto tonico-posturale, lo strumento d'intervento è l'azione. Si tratta, in realtà, di un'interazione, organizzata in una sorta di narrazione. L'azione può anche assumere il ruolo di intermediazione tra la vita immaginaria del bambino e la realtà condivisa. Il lavoro terapeutico tramite l'azione non è impostato sul sintomo, né sullo svelamento delle sue cause nascoste, ma si mantiene sul terreno del rimodellamento e della plasmabilità tonica dell'espressività del corpo. Questo modellamento del vissuto psicomotorio mediante l'azione ha anche un'altra caratteristica: propone una dimensione di scoperta, di invenzione, di gioco, intendendo con ciò quell'ambito creativo dell'esperienza non precostituita, quel luogo magico in cui la realtà viene reinventata ma non negata.

Prendiamo come esempio semplice di approccio terapeutico una sequenza di lavoro sul fondo tonico, operata tramite la mimica facciale. Il caso trattato è quello di un bambino con seri problemi di identità, che non riconosce la sua immagine allo specchio e prova verso di essa sentimenti di ostilità. Mentre la guarda, la sua mimica e la sua voce rivelano quanto l'immagine riflessa gli sia estranea: contro di essa produce smorfie di ostilità che ritrova rimandate dallo specchio come presenza ostile nei suoi confronti. Allora lo psicomotricista, accanto al bambino, propone anch'egli l'immagine del proprio volto allo specchio, facendo delle smorfie in risposta alle smorfie del bambino, ma in una situazione di gioco che pian piano fa decantare l'ostilità e l'estraneità. Il bambino, infatti, riconosce il volto del terapeuta e ne segue con interesse le alterazioni. Occorre sottolineare che la tonicità e la mimica del volto del terapeuta si identificano e si distinguono al contempo rispetto alle smorfie di estraneità del bambino. La tonicità del viso del bambino è pian piano raccolta dalla tonicità del viso del terapeuta e le deformazioni del volto di quest'ultimo, che non sono percepite come ostili, diventano oggetto di interesse. Anche il bambino prova, ora faccia a faccia con il terapeuta, a giocare con lui alle smorfie. L'ostilità della percezione estranea di sé si riformula nel piacere di deformare il volto, in accordo con quello del terapeuta, che diventa lo specchio non più deformante ma di conferma della propria immagine. Il lavoro sul tono è in questo caso servito per creare una situazione di condivisione, in cui i tratti del volto del bambino si impregnano dei tratti e della tonicità positiva del volto dell'altro. Un intervento di tipo psicoterapeutico avrebbe proposto, con la mediazione della parola, la descrizione delle emozioni legate alla percezione di parti di sé minacciose o estranee, tentando una ricomposizione unitaria delle parti separate e ostili. Anche lo psicomotricista cerca di ricomporre l'unitarietà delle parti separate, il volto proprio e quello estraneo del bambino, ma lo fa sul terreno del modellamento tonico, mediante l'espressività corporea. Gli stessi principi di fondo, applicati con un adeguamento delle proposte relazionali e del materiale, sono stati estesi a pazienti adulti che presentano difficoltà di relazione con la loro corporeità. Il trattamento psicomotorio, che in questi casi avviene perlopiù in gruppo, ha dimostrato la sua efficacia nel miglioramento della percezione di sé e delle proprie emozioni e nell'utilizzo del corpo nel rapporto con gli altri. Alcuni principi della psicomotricità si trovano anche in altre pratiche, quali la danzaterapia, il rilassamento e l'eutonia, l'espressione corporea. La pratica della psicomotricità, pur valorizzando la spontaneità e la scoperta, non è improvvisazione. Essa richiede materiali, spazi, tempi e regole che non possono essere qui esaurientemente descritti. Accenniamo solo alla sala di psicomotricità e ai materiali di cui è dotata, che devono consentire una piena attivazione del movimento, delle sensazioni cinestesiche, del senso dell'equilibrio. Vi si devono trovare perciò piani a diverse altezze e inclinazioni, materassi per permettere arrampicate, scivolate, cadute, rotolamenti; oggetti con cui realizzare costruzioni e luoghi simbolici con valenze affettive (come cubi e parallelepipedi di materiale espanso di varie dimensioni), e poi palle, teli, corde, bastoni. Vi sono anche strumenti sonori e materiale per disegno e modellaggio. Il ruolo e l'atteggiamento del terapeuta, che è il perno del processo terapeutico, costituiscono una componente fondamentale: nel lavoro terapeutico è necessario che la sua presenza e il suo modo di avvicinarsi non siano sentiti come imposti. Per fare questo il terapeuta deve conoscere bene la propria componente corporea tonico-posturale e di relazione. La sua formazione non è fatta solo di acquisizioni di conoscenze e di tecniche di intervento: egli deve fare anche un approfondito lavoro sulla sua corporeità, indicato come 'formazione personale'.

L'educazione psicomotoria

Non si può, infine, non fare un cenno all'aspetto educativo di cui è investita la psicomotricità. Superando la visione tradizionale e riduttiva dell'educazione fisica, è oggi riconosciuto anche dai programmi della scuola materna italiana che il campo di esperienza della corporeità e della motricità contribuisce alla crescita e alla maturazione complessiva del bambino, promuovendo la presa di coscienza del valore del corpo inteso come una delle espressioni della personalità e come condizione funzionale, relazionale, cognitiva, comunicativa e pratica da sviluppare in ordine a tutti i piani di attenzione formativa. A esso ineriscono inoltre quei contenuti di natura segnica, i cui alfabeti sono indispensabili per l'espressione soggettiva e la comunicazione personale interculturale. La psicomotricità è certamente terapia, ma fondamentalmente è una concezione educativa. Stabilito che il repertorio tonico e posturale illustrato dalle categorie del vissuto psicomotorio è un sistema di significazione, l'educazione psicomotoria è mirata ad attivare, arricchire, ampliare quel repertorio, allo stesso modo in cui nelle discipline educative si fa esercizio di altri repertori e altri codici. Tuttavia, non si tratta semplicemente di attivare un'educazione accanto ad altre: coltivando il repertorio psicomotorio si tende infatti a modificare e migliorare trasversalmente, da parte del bambino, tutte le altre modalità, non solo di relazione ma anche, più in generale, di acquisizione di nozioni ed esperienze, di esplorazione del mondo e di sé. L'educazione psicomotoria ha inoltre una funzione preventiva nei confronti dell'insorgere o del consolidarsi di difficoltà comunicative e relazionali. Questa concezione ha contribuito al formarsi di una nuova consapevolezza del sapere e di chi lo veicola, caratterizzata dalla ricerca di forme espressive e comunicative personali e da un superamento dello schema rigido di trasmissione di nozioni e contenuti. Si può infine osservare che il percorso della psicomotricità, iniziato con l'individuazione di alcune patologie, ha prodotto non soltanto un approccio terapeutico, ma una vera e propria concezione del vivere e del crescere, ormai ampiamente diffusa, in cui la dimensione corporea e quella relazionale rappresentano elementi centrali.

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