Psicosi

Dizionario di Medicina (2010)

psicosi

Nicoletta Gosio

Psicosi puerperale

Con l’espressione psicosi puerperale si indica l’insieme di sindromi psicopatologiche che insorgono nel puerperio, inteso in senso lato come il periodo di esperienza esistenziale successiva al parto. Riconosciute già da Ippocrate ma delineate in maniera più precisa nel 19º sec. da Jean-Étienne-Dominique Esquirol e da Louis Marcé, le psicosi puerperali sono attualmente ritenute dalla maggior parte degli autori espressione di un disturbo affettivo, ma è discusso se considerarle malattie a sé stanti. Sebbene la scuola francese riunisca sotto la dizione di psicosi puerperali tutte le turbe psichiche della perinatalità, tale diagnosi è oggi in genere più correttamente riservata ai quadri clinici con caratteristiche psicotiche che costituiscono solo una parte del più vasto ambito delle depressioni post partum, rispetto alle quali possono rappresentare un aggravamento di forme più lievi o, più frequentemente, una modalità di esordio. La gravidanza esplica un ruolo protettivo nei confronti delle psicosi, tanto che anche il rischio di una riacutizzazione in donne che ne soffrono è ridotto in questa fase della loro vita e aumenta viceversa subito dopo il parto. Le psicosi puerperali propriamente dette, o psicosi post partum, si manifestano per lo più nelle prime settimane in maniera improvvisa e in circa i due terzi dei casi configurano sin dall’inizio un quadro di depressione maggiore. Alterazioni timiche, depressive, maniacali o miste si associano anche ai quadri, a prognosi migliore, dove è predominante uno stato di marcata confusione mentale ricca di elementi onirici, agitazione o inibizione psicomotoria, allucinazioni e tematiche deliranti sovente incentrate sulla relazione con il bambino, del quale viene talora disconosciuta l’appartenenza o la nascita stessa.

Depressione post partum

Descritta come ‘un ladro che ruba la maternità’, la depressione è la patologia mentale più frequente nel post partum, anche se è criticabile la tendenza a un uso estensivo e non di rado improprio del termine di fronte a qualsiasi problema psicologico, in prevalenza di tipo ansioso, o sociale, legato alla maternità. È infatti considerato pressoché fisiologico lo stato transitorio di tristezza e apatia, con facilità al pianto, ansia e irritabilità, denominato dal pediatra e psicoanalista Donald W. Winnicott baby blues, o maternity blues, che oltre la metà delle donne sperimenta pochi giorni dopo aver partorito. Durante la gestazione o nei mesi successivi al parto possono esordire bruscamente o progredire in maniera insidiosa disturbi depressivi conclamati, dei quali sono state descritte (in partic. da Adolfo Pazzagli) forme melanconiche, disforiche, minori, ecc. Insonnia, ansia, astenia, inappetenza, preoccupazioni eccessive e pensieri ossessivi, come il timore di fare del male al neonato, ridotta concentrazione e difficoltà nello svolgimento del ruolo materno, sono i sintomi più frequenti che raggiungono livelli differenti di intensità e persistenza. I sentimenti di colpa, inadeguatezza e rabbia comunemente presenti assumono nelle condizioni francamente psicotiche i caratteri della ideazione delirante con tematiche di rovina, indegnità, autoaccusa e persecuzione che possono condurre a propositi di suicidio e a disinteresse o a gesti aggressivi nei confronti del bambino, fino all’infanticidio. L’evoluzione in una psicosi cronica è rara, ma permane elevato il rischio di ricadute in occasione di parti successivi. La depressione post partum può influenzare negativamente lo sviluppo del bambino, primariamente legato alla capacità materna di accogliere, riconoscere e soddisfare i bisogni di attaccamento e i desideri del lattante. Le conseguenze più importanti includono ritardi nell’acquisizione del linguaggio e dell’autonomia motoria, difficoltà di apprendimento e di socializzazione, deficit cognitivi e problemi emotivi nell’infanzia e nell’adolescenza. La nascita di un figlio ha ripercussioni profonde anche sul padre, che può andare incontro a propria volta a varie problematiche psicologiche e franchi disturbi depressivi.

Eziopatogenesi della depressione post partum

Molteplici fattori, biologici, psicologici, familiari e sociali, concorrono alla comparsa della depressione nel post partum. Un ruolo scatenante di rilievo è attribuito al calo ormonale degli estrogeni e del progesterone, e un valore predisponente viene riconosciuto a possibili complicanze ostetriche o malattie del neonato, parti multipli e prematuri, precedenti psichiatrici, giovane età, condizioni ambientali svantaggiate, supporto sociale scarso e conflitti coniugali. Una posizione centrale occupano le dinamiche psichiche legate ai cambiamenti che la nascita di un figlio comporta, il cui studio è affrontato soprattutto dalla psicoanalisi fin dai contributi iniziali di Sigmund Freud, Melanie Klein e Helen Deutsch sul desiderio di maternità e sullo sviluppo delle relazioni con le figure genitoriali. Numerosi autori (Margaret Mahler, Grete Bibring, ecc.) hanno analizzato le possibili difficoltà per la donna dopo il parto a costruire il delicato equilibrio fra l’acquisizione legata all’arrivo di un figlio e la perdita del senso di fusione psicofisica con il bambino sperimentata nel corso della gravidanza. La rottura della simbiosi comporta il lavoro psicologico di confronto tra fantasie, fantasmi inconsci e realtà, e sostiene vissuti di depressione fino al rischio del rifiuto di una parte di sé sentita come estranea dopo la separazione, da cui deriva l’importanza di mantenere unita la coppia madre-bambino durante le cure. Su questa scia psicoanalisti come Eugenio Gaddini e Dinora Pines hanno sottolineato l’importanza che rivestono il processo di separazione-individuazione dalla propria madre, lo stile di attaccamento (John Bowlby), la riattivazione di conflittualità infantili legata alla regressione fisiologica del post partum (Paul Racamier) e, ancora in Dinora Pines, la rivalità con la figura materna, alla base della differenza fra desiderio imitativo di gravidanza e vero desiderio di maternità.