PUTEALE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1998)

PUTEALE

F. Betti

Con il termine p. si intende la sponda - nella maggior parte dei casi in pietra, ma non mancano esemplari in muratura o in terracotta semplice o invetriata - posta all'imbocco dell'apertura del pozzo. Nei casi più complessi, il p. può essere dotato di una struttura superiore - in legno, pietra o metallo - variamente conformata e di norma destinata a sostenere la carrucola utilizzata per il sollevamento dell'acqua.L'uso del p. nell'Antichità risulta ampiamente attestato, soprattutto a partire dalla tarda età repubblicana, in tutti i territori del bacino mediterraneo governati da Roma, dove era di solito posto in relazione con fonti e sorgenti, il più delle volte a carattere sacro. I p. classici si caratterizzano di conseguenza per un'accurata lavorazione, con casi di notevole valore artistico e monumentale, come il p. di Madrid (Mus. Arqueológico Nac., Coll. Medinaceli), sul quale è scolpita in bassorilievo la scena della Nascita di Atena.Nei primissimi tempi dell'era cristiana, la presenza di pozzi, dotati o meno di sponde superiori, è attestata principalmente nei siti dove si svolgeva la commemorazione dei defunti. Esempi del genere si conservano a Roma, nelle catacombe di S. Sebastiano sulla via Appia, sul luogo della memoria apostolorum, e nel c.d. ipogeo dei Flavi nella catacomba di Domitilla, nei pressi della via Ardeatina. Tali rituali si ripetevano anche sulle tombe dei martiri cristiani e a questo proposito si presenta di notevole interesse la testimonianza nel santuario di S. Vittoria a Monteleone Sabino, nei pressi della via Salaria (prov. Rieti). Al centro della navata centrale della chiesa, le cui strutture in parte risalgono al sec. 8°, si trova ancora un pozzo con p. in muratura di forma quadrangolare e di incerta datazione, che rappresenta un caso davvero singolare di conservazione di una fonte d'acqua in un luogo così anomalo che nessuna pratica liturgica potrebbe motivare. In questo specifico caso si è di fronte probabilmente a un passaggio di culto del sito, in età pagana dedicato a Feronia, divinità delle acque, che nel corso del sec. 3° venne probabilmente sostituito da quello per le martiri Vittoria e Anatolia. Sul sepolcro si sviluppò poi un nucleo cultuale che divenne luogo di miracolose guarigioni attribuite secondo la devozione dei fedeli proprio all'acqua attinta dal pozzo. Altro esempio citabile in proposito è quello di S. Lorenzo in Fonte a Roma, dove, sul luogo della memoria laurenziana, si conserva un pozzo messo in relazione con la prigionia del santo e con la conversione e il battesimo del suo carceriere Ippolito.Nel corso dell'Alto Medioevo sono attestati alcuni p. posti all'interno dei chiostri di edifici religiosi (basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma; fase più antica dell'abbazia di Lorsch), ma non mancano numerosi esempi di margelle in uso presso abitazioni private. Quest'ultimo caso è esemplificato in Italia - dove nei primi secoli del Medioevo si concentra in massima parte la produzione di vere da pozzo in Europa - soprattutto nella città di Venezia, dove si segnala, a partire dal sec. 7°-8°, una cospicua serie di p. ancora oggi in buono stato di conservazione. La città infatti, totalmente priva di fonti d'acqua dolce, dal momento della sua formazione si dotò di numerose cisterne - utilizzate ancora fino agli inizi dell'Ottocento e oggi nella maggioranza dei casi interrate (v. Pozzo e Cisterna) - che raccoglievano e conservavano con un ingegnoso sistema di filtraggio l'acqua piovana e di cui rimangono testimonianza visibile le numerosissime margelle collocate in superficie all'imboccatura dei pozzi. Oltre a Venezia, una decina di esemplari superstiti della produzione scultorea di p. nel corso dell'Alto Medioevo si segnalano a Roma, città nella quale l'interruzione degli acquedotti costrinse gli abitanti a rifornirsi d'acqua o direttamente dal Tevere o scavando pozzi.In questo periodo le margelle potevano indifferentemente assumere forma cilindrica (a Roma hanno unicamente tale conformazione) o quadrangolare. In qualche caso è stato riscontrato il reimpiego di elementi architettonici (rocchi di colonne) o scultorei (are, cippi) di età romana, come nella vera di pozzo proveniente dalla veneta Altino (Venezia, Mus. Archeologico), dove da un rocchio scanalato di colonna romana rilavorato fu ricavato un lato frontale rettilineo sul quale è un ornato composto da una croce fra palmette stilizzate entro archeggiatura.Il repertorio decorativo riscontrato in tale serie di p. è quello consueto della scultura ornamentale altomedievale, ripetuto senza particolari varianti, anche se si notano una certa libertà compositiva e una maggiore variazione dei singoli elementi ornamentali. Oltre ai consueti motivi di croci, rosette, tralci vegetali, intrecci viminei a tre capi e motivi geometrici, non mancano casi di maggiore complessità, come il p. attualmente collocato al centro del chiostro cosmatesco di S. Giovanni in Laterano, dove sulla superficie esterna del cilindro si dispone una decorazione nel suo insieme non priva di una certa eleganza; nell'ordine si susseguono: croci alternate a elementi vegetali, una maglia intrecciata, sulla quale sono archetti su colonnine che racchiudono al loro interno croci, elementi gigliati e una figura di uccello. Altro esemplare degno di nota è quello proveniente dall'antica città di Porto (Roma, Mus. dell'Alto Medioevo); questo p. si distingue, oltre che per il tipo di lavorazione piuttosto rozza e sommaria, per l'inconsueto e complesso tema decorativo, composto da croci con varie figure di animali a carattere simbolico, come uccelli, cervi e leoni, appena rilevate dal fondo della lastra, che campiscono l'intera superficie. Sempre a Roma si conserva inoltre l'unico esemplare che presenta ancora intatta l'intera struttura di coronamento: si tratta del pozzo posto di fronte alla chiesa di S. Giovanni a Porta Latina, nel quale alla margella - decorata con tralci vegetali a rilievo - si affiancano due colonne con capitelli a foglie d'acqua, tra le quali è una trave in ferro.I p. altomedievali che possono essere giudicati, da un punto di vista strutturale, i migliori del periodo sono comunque di produzione veneziana; in essi inoltre - in consonanza con quanto si riscontra nell'ambito della produzione delle lastre a rilievo conservate nella città lagunare - risulta sempre molto attenta e controllata l'impaginazione dei singoli elementi ornamentali, senza le approssimazioni e le incertezze evidenti nella lavorazione delle vere di Roma. Il gruppo più cospicuo si conserva a Venezia (Mus. Archeologico), ma si segnalano pezzi anche a Torcello, oltre che nell'entroterra veneto. Si presentano indifferentemente di forma cilindrica o quadrangolare, mentre l'apparato ornamentale è quello tipico dei repertori altomedievali e carolingi, fra i quali risulta comunque prevalente quello composto da archeggiature, all'interno delle quali si dispongono uccelli, grifi, motivi vegetali, animali fantastici e intrecci geometrici. Non mancano, comunque, anche p. particolarmente semplici, che, proprio per tale ragione, sono probabilmente da considerare di età ancora più antica (sec. 7°-8°), come quello di provenienza ignota attualmente collocato sullo spiazzo tra S. Fosca e il palazzo del Consiglio a Torcello, qualificato dalla presenza, all'interno di specchiature, di semplici croci latine in rilievo e profilate.Per il periodo immediatamente successivo a quello altomedievale si segnala il p. posto ancor oggi all'interno della chiesa di S. Bartolomeo all'Isola in Roma, sulla scalinata che conduce al presbiterio, primo esemplare fra quelli conservati che presenti un complesso apparato ornamentale con figure stanti in rilievo e che può essere considerato la più celebre testimonianza del genere per l'intero corso del Medioevo. Anche in questo caso, l'inconsueta collocazione della margella, analogamente all'esempio di S. Vittoria di Monteleone Sabino, si spiega probabilmente con l'origine pagana del culto, in età romana consacrato al dio Esculapio, con annessa sorgente miracolosa. È stato infatti ipotizzato che la basilica cristiana fosse costruita sui resti del tempio e che sul luogo dell'antica sorgente venisse collocato in un secondo momento il p., cui la tradizione attribuì carattere sacro per le proprietà salutari della fonte d'acqua. La superficie perfettamente circolare del p., ricavato da un rocchio di colonna romana scavato all'interno, si presenta scandita in quattro campi da colonnine di varia forma con capitelli corinzi che sostengono elementi architettonici cuspidati, ricoperti di tralci vegetali, che sottendono quattro figure: Cristo, S. Bartolomeo, un alto prelato (forse un vescovo) e infine un personaggio laico che tiene nella sinistra il globo imperiale, sul quale è inciso il modellino della chiesa, e nella destra uno scettro. La datazione del pezzo proposta dagli studiosi, non tutti su posizioni univoche, oscilla dall'ipotesi ottoniana, vale a dire tra la fine del sec. 10° e gli inizi dell'11°, al tempo della costruzione della chiesa patrocinata dall'imperatore Ottone III (983-1002) - alcuni ritengono a questo proposito che la figura in abiti civili sia da identificare proprio con l'imperatore - a quella che colloca il p. nel 12° secolo. La vera di S. Bartolomeo all'Isola rappresenterebbe, nell'ambito della scultura di età ottoniana, uno degli esempi più significativi del programmatico ritorno alle forme plastiche dell'Antichità, rivissute in questo caso con piena adesione e controllo di mezzi espressivi.Nel corso dei secc. 11° e 12° la produzione di p. si concentrò in modo pressoché esclusivo a Venezia, dove l'espansione urbana della città favorì l'installazione di numerose cisterne per l'approvvigionamento idrico. La conformazione delle vere si evolvette in questo periodo verso tipologie più complesse e strutturate, con l'adozione generalizzata, anche se non esclusiva, del tipo a cilindro compreso in archeggiature sorrette da colonnine o pilastrini, staccate agli angoli e tangenti al centro, che conferiscono al p. un aspetto quadrangolare. Le decorazione si dispone soprattutto sulla superficie curva arretrata o anche sugli spazi compresi fra le archeggiature e le cornici superiori. Sono motivi ricorrenti gli animali fantastici (grifi), gli uccelli e soprattutto i tralci vegetali abitati, ma non mancano riprese del tipico repertorio altomedievale (intrecci viminei dal disegno geometrico). Esempi significativi di tale particolare tipologia, tutti a Venezia (Mus. Correr), sono una margella proveniente da corte Batagia, la vera del palazzo Vendramin-Calergi e infine quella del Fondaco dei Turchi, originaria di Murano. Quest'ultima, in particolare, probabilmente da assegnare al sec. 12°, costituisce la più interessante testimonianza della serie per complessità strutturale, ricchezza e varietà dell'apparato ornamentale.Accanto a questa tipologia, nella città lagunare coesisteva nello stesso periodo la produzione di p. dalla forma più tradizionale, a semplice cubo, e fortemente caratterizzati dalla presenza di figure in rilievo, come in un p. proveniente da Altino (Venezia, Mus. di Torcello), ricavato forse agli inizi del sec. 11° da un cippo romano con iscrizione: sulla fronte compaiono due grifi, posti ai lati di un albero della vita a forma di croce, accuratamente lavorati con una tecnica a semplice incisione e ad abbassamento del piano di fondo, che risente ancora dei modi della scultura altomedievale, mentre sulla cornice in alto è una fascia di animali fantastici in rilievo. Un simile p., con un analogo apparato decorativo (grifi e due leoni affrontati all'albero della vita) si conserva a Padova (Mus. Civ.), anche se per il rilievo accentuatamente plastico è probabilmente da collocare in età più avanzata (fine sec. 11°-inizi 12°). Fra i p. italiani collocabili in epoca romanica spicca per originalità quello di Brindisi (Mus. Archeologico Prov. Francesco Ribezzo), databile forse all'ultimo quarto dell'11° secolo. Il pezzo, da alcuni considerato un capitello successivamente riadattato, presenta in sequenza continua quattro gruppi di tre figure, due maschili e una femminile, abbigliate con cura, che si tengono per mano e compongono una figura di danza, tema iconografico di derivazione cortese, che si ritrova in seguito molto simile su una margella veneziana oggi a Budapest (Szépművészeti Múz.), della metà del 14° secolo.A partire dal sec. 13° la lavorazione dei p. subì a Venezia un processo di radicale semplificazione e i pochi esemplari pervenuti databili in questo periodo hanno perduto quasi del tutto l'apparato ornamentale, ridotto alla semplice presenza di colonnine in rilievo con archeggiature (p. di corte del Remer in campiello Ca' Zen e p. di corte dei Preti a Venezia, p. in campo S. Donato ai Frari a Murano). A tale schema tipologico se ne affiancava un secondo, leggermente più complesso, di cui si conservano solo tre esemplari (p. in borgo loco S. Lorenzo, p. nel chiostro di S. Apollonia, p. in corte del Teatro Vecchio), caratterizzato dalla forma a cubo scantonato, con quattro facce a trapezio isoscele chiuse sui lati da cornici a semplice listello, con al centro la raffigurazione in rilievo di un'anfora biansata, mentre gli angoli sono a forma di triangolo con i lati maggiori curvi.In questo periodo nel resto d'Italia, cessata del tutto la produzione a Roma, è documentata solo qualche testimonianza isolata di p., come l'esemplare di forma poligonale posto al centro del chiostro cosmatesco dell'abbazia di S. Scolastica a Subiaco (prov. Roma), degli inizi del sec. 13°, e quello di dimensioni monumentali rintracciato a Perugia nel cortile del Collegio della Sapienza, uno dei pochi ancora conservati nella città. Quest'ultimo, di forma dodecagonale con colonnine agli angoli, privo di qualsiasi rilievo ornamentale a eccezione della cornice, completata da un coronamento su colonne architravate del sec. 16°, sembra riprodurre in forme semplificate e in scala ridotta lo schema architettonico della fontana Maggiore di Nicola e Giovanni Pisano nella medesima città e per tale motivo non sembra improbabile proporre per esso una delimitazione cronologica all'interno dell'ultimo quarto del 13° secolo.Nel corso dei secc. 14° e 15°, a Venezia si assistette al periodo di maggior produzione di p. del Medioevo. È del 1325 la notizia della costruzione su diretta disposizione dalla Repubblica di ben cinquanta pozzi, seguita nel 1424 da un'analoga decisione che comportò lo scavo di altre trenta cisterne, per fronteggiare una grave siccità. In tali occasioni, di conseguenza, si dovette provvedere assai probabilmente alla collocazione di altrettanti puteali. Le tipologie si evolvettero verso una forma che divenne in seguito la più diffusa e tradizionale, ripetuta senza sostanziali varianti anche nei secoli successivi, per cui non sempre risulta agevole circoscriverne con precisione la cronologia. Ritorna il fusto a cilindro leggermente allargato verso l'alto, cui si sovrappone un corpo quadrangolare ad archetti pensili (cuspidati o a pieno centro) sui lati, mentre sugli angoli si impostano in qualche caso volticine unghiate. Tale schema di base, inizialmente del tutto privo di decorazioni, può presentare varianti ed evolversi in forme strutturalmente meno elaborate nel corso del sec. 14°, ma arricchendosi di motivi ornamentali fitomorfi, di stemmi, di leoni di s. Marco e soprattutto di anfore in rilievo.Parallelamente a questo schema strutturale, nel corso del sec. 14° si assistette allo sviluppo di alcune forme alternative, come quella caratterizzata dalla presenza lungo gli angoli del corpo della sponda di lunghe foglie acquatiche, in alto molto spesso ripiegate a ricciolo, mentre sui lati si notano i soliti stemmi o le anfore biansate (per es. il p. di campiello dei Calegheri, il p. di corte delle Muneghe, il p. di campo delle Gorne, il p. di corte dei Tagiapiera, il p. di campiello S. Marina). Tale tipologia ebbe seguito nel secolo successivo, anche se in questi esemplari le vere si caratterizzarono per una maggiore esuberanza e ricchezza decorativa. Fra i p. con foglie acquatiche angolari se ne distinguono alcuni con un apparato ornamentale più elaborato, caratterizzato dalla presenza di figure in rilievo, come quello un tempo appartenente alla Scuola Grande di S. Maria della Misericordia (ora nel campo dell'Abazia) su ogni lato del quale sono scolpiti due confratelli genuflessi nell'atto di reggere l'emblema della scuola. Un secondo esemplare molto simile, in cui si ritrovano le stesse figure di monaci con in mano lo stemma dell'ordine, è collocato nel cortile della Scuola di Carità. Entrambi sono riferibili all'ultimo quarto del sec. 14° o forse agli inizi del successivo. Altro caso interessante è quello della vera trecentesca posta nella corte della chiesa di S. Pietro Martire, qualificata dalla presenza di un ricco racemo acantiforme sugli angoli e da una figura di arciere scolpita su uno dei lati. In questo periodo, cioè a partire dall'ultimo quarto del sec. 14° e per i primi decenni del successivo, si scolpirono a Venezia forse i più splendidi p. fra tutti quelli prodotti nella città e ai quali lavorarono probabilmente i maggiori scultori attivi nel centro lagunare; caso emblematico in questo senso è quello della vera di pozzo oggi nel cortile della Ca' d'Oro, opera di Bartolomeo Bon. In tali esemplari, una decina in tutto, l'esuberanza decorativa prende il sopravvento sulla stessa conformazione del p., che si modifica assumendo una forma regolare, in modo da permettere alle raffigurazioni scolpite di distribuirsi su tutta la superficie, senza soluzione di continuità. Testimonianze mirabili della serie, ancora presenti nella città, sono quello di Ca' Gabrielli in Riva degli Schiavoni, dove alle grasse foglie d'acanto angolari sono frapposti gli stemmi della famiglia e la figura dell'arcangelo Gabriele, e inoltre il ricco esemplare (Venezia, Mus. Correr) caratterizzato dalla particolare conformazione a capitello, nel quale si ritrovano foglie d'acanto angolari molto allungate, terminanti in protomi leonine e, sui lati, figure allegoriche e scudi nobiliari. Il p. già presente nella corte delle Muneghe e ora a Firenze (Mus. Stibbert, giardino) è anch'esso qualificato da una ricca decorazione a rilievo costituita da una figura allegorica che regge una colonnina affiancata da due leoni, mentre sugli angoli sono foglie d'acanto allargate dalle quali emergono in alto protomi umane. L'esemplare più singolare di quest'ultima serie è rappresentato dal pezzo oggi a Budapest (Szépművészeti Múz.), sul quale ritorna il tema iconografico a carattere profano già individuato sul p. romanico di Brindisi. Sulla superficie quasi circolare della margella - si tratta in realtà di nove lati con gli spigoli quasi del tutto dissimulati - si susseguono, ai lati di un suonatore di liuto posto al di sopra di un musicante con tamburello, nove figure in piedi, quattro uomini e cinque donne, scolpite in rilievo, che si muovono tenendosi per mano al passo di una lenta danza. È degna di nota soprattutto la cura con la quale l'ignoto scultore si sofferma nella descrizione degli abbigliamenti.In Europa non si registra per gran parte del Medioevo una presenza apprezzabile di p. e solo a partire dal sec. 14° sono documentate le prime testimonianze, sulla maggioranza delle quali, specialmente in territorio francese, mancano del tutto studi specifici e aggiornati, dopo le pionieristiche annotazioni di Viollet-le-Duc (1864). In particolare, nella città di Carcassonne si segnalano due interessanti esempi di p. del 14° secolo. Il primo, in arenaria, posto all'imboccatura del più grande pozzo della città, privo totalmente di decorazione, presenta una particolare struttura di coronamento composta da tre monoliti che sorreggono altrettanti travi lignei disposti a triangolo, su ciascuno dei quali è sospesa una carrucola, in modo da permettere contemporaneamente a tre persone di attingere alla fonte d'acqua. Il secondo si può considerare una variante semplificata di quello appena descritto: la margella, una semplice sponda circolare, è sormontata da due piloni in arenaria sui quali si imposta in blocco unico un architrave. Fra i numerosi p. illustrati da Viollet-le-Duc (1864) si segnala l'interessante esemplare, anch'esso in arenaria, presente fino all'inizio del sec. 19° all'interno della cattedrale di Strasburgo, dotato di una complessa struttura di coronamento, impostata su una margella esagonale e formata da tre pilastri raccordati al centro da tre architravi sui quali era appesa la carrucola. L'esemplare, risalente probabilmente al sec. 14°, si distingueva per il ricco ed elaborato apparato decorativo aniconico, costituito da archeggiature e rosoncini, che si distribuiva unicamente sulla struttura posta al di sopra del puteale. Sempre in territorio francese, nel corso dei secc. 14° e 15°, la maggior parte dei p. presentava singolari elementi in ferro battuto dalla forma elaborata, con decorazioni applicate, in gran parte perduti, che erano montati sulla parte superiore della margella: una delle rare testimonianze del genere si conservava fino al secolo scorso nel cortile dell'Hôtel-Dieu a Beaune.Altri interessanti esempi di p. tardomedievali sono documentati nella Spagna meridionale, area periferica nel contesto dell'Europa occidentale, politicamente e culturalmente ancora legata al mondo islamico. In tale ambito territoriale è stata individuata una serie di p. in ceramica o in pietra di un certo valore artistico. Uno degli esempi più interessanti, conservato a Madrid (Mus. Lázaro Galdiano), è costituito strutturalmente da due tronchi di cono di diversa ampiezza sovrapposti, sui quali si dispiega una serie di decorazioni di tipo islamico (a partire dal basso nell'ordine si hanno un'iscrizione cufica, una fascia a intreccio geometrico, una semplice fettuccia intrecciata e infine, in alto, una successione continua di arcatelle a sesto acuto impostate su colonnine con capitello). In base all'analisi stilistica delle decorazioni, per questo esemplare è stato proposto un ambito cronologico e culturale riferibile all'Andalusia dell'ultimo periodo del dominio musulmano, fra i secc. 14° e 15°; verosimilmente esso fu prodotto nella regione compresa fra le città di Córdova, Siviglia e Granada. Altre simili margelle, in pietra calcarea ma del tutto prive di decorazioni, si conservano a Córdova (Mus. Arqueológico Prov.) e a Siviglia (Mus. Arqueológico Prov.).

Bibl.:

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Letteratura critica. - s.v. Puits, in Viollet-le-Duc, VII, 1864, pp. 561-570; s.v. Serrurerie, ivi, VIII, 1866, pp. 201-371; L. Seguso, Delle sponde marmoree o vere dei pozzi e degli antichi edifizii della Venezia Marittima. Disegni di Angelo e illustrazioni di Lorenzo Seguso. Periodo arabo-bizantino. Sec. IX-XII, Venezia 1859; D.G. Bianco, Sui modi più acconci di provvedere Venezia d'acqua potabile, Venezia 1862; L. Seguso, Dell'importanza delle vere dei pozzi per la storia dell'arte veneziana, Venezia 1866; Raccolta delle vere da pozzo in Venezia (marmi puteali), a cura di F. Ongaina, Venezia 1889; G. Boldrin, Comune di Venezia. I pozzi di Venezia (1015-1906), Venezia 1910; G. de Francovich, Contributi alla scultura ottoniana in Italia. Il puteale di S. Bartolomeo all'Isola in Roma, BArte, s. III, 30, 1936-1937, pp. 207-224; A. Moschetti, Il Museo Civico di Padova, Padova 1938; A. Tommasoli, Pozzi e fontane di Verona, Verona 1955; J. Balogh, Studi sulla collezione di sculture del Museo di Belle Arti di Budapest. VI. Parte I. Pozzi veneziani, AHA 12, 1966, pp. 211-346; P. Testini, Le catacombe e gli antichi cimiteri di Roma, Bologna 1966, pp. 40-46; R. Jurlaro, Note su uno stampo di Santa Petronilla e su una vera di pozzo: testimonianze della dominazione franca in Brindisi, Vetera Christianorum 5, 1968, pp. 157-162; E. Arslan, Venezia gotica. L'architettura civile gotica veneziana, Milano 1970, pp. 141-142; A. Melucco Vaccaro, La diocesi di Roma, III, La II regione ecclesiastica (Corpus della scultura altomedievale, 7), Spoleto 1974; R. Polacco, Sculture paleocristiane e altomedievali di Torcello, Treviso 1976; W. Wolters, La scultura veneziana gotica (1300-1460), 2 voll., Venezia 1976; Museo di Torcello. Sezione medievale e moderna, Venezia 1978; A.M. Reggiani, Materiali per un programma di ricerca a Monteleone Sabino, "Secondo Incontro di studio del Comitato per l'archeologia laziale, Roma 1979" (Quaderni del Centro di studio per l'archeologia etrusco-italica, 3), Roma 1979, pp. 260-264; P. Hetherington, Two Medieval Venetian Well-Heads in England, Arte veneta 34, 1980, pp. 9-17; A. Rizzi, Vere da pozzo di Venezia. I puteali pubblici di Venezia e della sua laguna, Venezia 1981 (19922); A. Guillerme, Puits, aqueducs et fontaines: l'alimentation en eau dans les villes du nord de la France Xe-XIIe siècles, in L'eau au Moyen Age, Marseille 1985, pp. 185-200; P. Hetherington, The Venetian Well-Heads at Hever Castle, Kent, Apollo 121, 1985, pp. 162-167; E.D. Perela, El brocal hispano-musulman del Museo Lázaro Galdiano, Goya, 1985, 184, pp. 210-214; R. Canova Dal Zio, Le chiese delle Tre Venezie anteriori al Mille, Padova 1986, p. 56; T. Garton, Early Romanesque Sculpture in Apulia (Outstanding Theses from the Courtauld Institute of Art), New York-London 1987; F. Gandolfo, Luoghi dei santi e luoghi dei demoni: il riuso dei templi nel Medioevo, in Santi e demoni nell'Alto Medioevo occidentale, "XXXVI Settimana di studio del CISAM, Spoleto 1988", Spoleto 1989, II, pp. 883-916; L. De Maria, Una vera di pozzo altomedievale da Porto, in "Quaeritur inventus colitur". Miscellanea in onore di padre Umberto Fasola, B. (Studi di antichità cristiane, 40), Città del Vaticano 1989, I, pp. 215-233; M. Cecchelli, S. Lorenzo in fonte: note sulla memoria laurenziana della Subura, in Historiam pictura refert. Miscellanea in onore di p. Alejandro Recio Veganzones, O.F.M., Città del Vaticano 1994, pp. 127-139; P.C. Claussen, Der Marmorbrunnen von S. Bartolomeo all'Isola in Rom oder: Immer Wenn der Tiber kam., in Georges-Bloch-Jahrbuch des kunstgeschichtlichen Seminars der Universität Zürich 1, 1994, pp. 71-91; A. Melucco Vaccaro, L. Paroli, La diocesi di Roma, VI, Il Museo dell'Alto Medioevo (Corpus della scultura altomedievale, 7), Spoleto 1995.F. Betti

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