Quadrivio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Quadrivio (Quadruvio)

Michele Rak

L'unica occorrenza di Q. in D. (Cv II XIII 8) è nel corso di una comparazione tra sistema dei cieli e sistema delle arti alla quale D. dedica l'intero cap. XIII.

Dopo aver premesso la necessaria rinuncia alla littera (non è qui mestiere di procedere dividendo, e a lettera esponendo; ché, volta la parola fittizia di quello ch'ella suona in quello ch'ella 'ntende, per la passata sposizione questa sentenza fia sufficientemente palese, XII 10) allo scopo di utilizzare i vocaboli non come inerti tessere di un disegno già dato ma come strumenti di significati da costruirsi in una catena aperta di significazioni possibili, D. ipotizzava un'analogia generale, secondo uno schema logico già della tradizione mistica e simbolista, tra i cieli e le scienze (prima si vuol vedere che per questo... vocabulo ‛ cielo ' io voglio dire... per cielo io intendo la scienza e per cieli le scienze, XIII 1).

Quest'analogia era rivelata attraverso una puntuale ‛ comparazione ' che delineava innanzitutto uno schema generale di corrispondenze secondo le relazioni: Grammatica = Luna; Dialettica = Mercurio; Rettorica = Venere; Arismetrica = Sole; Musica = Marte; Geometria = Giove; Astrologia = Saturno; Fisica/Metafisica = Cielo Stellato; Scienza morale = Cielo Cristallino; Teologia = Empireo.

Il procedimento utilizzato da D. consiste nell'accertamento puntuale delle simiglianze tra le singole componenti dei due sistemi e quindi di un'analogia in re tra di esse da comporsi - era questo il fine dell'operazione - in un'unità o almeno simmetria degli ordini della natura e degli ordini della conoscenza significativa dell'ordine universale.

Egli afferma: 'l cielo de la Luna con la Gramatica si somiglia [per due proprietadi], per che ad esso si può comparare. Che se la Luna si guarda bene, due cose si veggiono in essa proprie, che non si veggiono ne l'altre stelle: l'una sì è l'ombra che è in essa, la quale non è altro che raritade del suo corpo, a la quale non possono terminare li raggi del sole e ripercuotersi così come ne l'altre parti; l'altra sì è la variazione de la sua luminositade, che ora luce da uno lato, e ora luce da un altro, secondo che lo sole la vede. E queste due proprietadi hae la Gramatica: ché, per la sua infinitade, li raggi de la ragione in essa non si terminano, in parte spezialmente de li vocabuli; e luce or di qua or di là in tanto quanto certi vocabuli, certe declinazioni, certe construzioni sono in uso che già non furono, e molte già furono che ancor saranno; sì come dice Orazio nel principio de la Poetria quando dice: " Molti vocabuli rinasceranno che già caddero " (XIII 9-10).

Questo esempio illustra anche le forzature di una ‛ comparazione ' faticosamente articolata al fine - non raggiunto - di recuperare un modo conoscitivo mistico-simbolista al discorso filosofico di tipo retorico, nel senso di B. Latini. Queste forzature appaiono negative solo a una lettura che non tenga conto del tentativo di D. - preparato attraverso una sapiente regia del contesto - di non limitarsi a definire un'ennesima imago mundi (di qui la stroncatura di Vossler, La Divina Commedia ecc., I 232, che indicava questo tentativo " una curiosità e nulla più ") ma piuttosto a isolare una nozione sistematizzando i dati di un procedimento caratteristico di una tradizione in declino: una relazione tra cieli e apostoli era già in s. Gregorio Magno Homil. 30 in Evangel. (VI sec.) e nella susseguente tradizione simbolista da Isidoro Ethym. I II a Ugo da Santo Caro Comm. Psal. 18, 1 e Giovanni di Salisbury De Septem septenis 2 (Patrol. Lat. CXCIX 959). Su un altro versante la correlazione tra arti e cieli si trovava anche nella lettera Sedentibus super aquas (Pietro della Vigna?, cfr. F. Torraca, Aneddoti di storia letter. napolet., Città di Castello 1925, 41), in Ristoro d'Arezzo La composizione del mondo 2 8 6 (1282; ediz. Roma 1859), in Alano da Lilla Anticlaudianus (Patrol. Lat. CCX CC. 504-538), etc.

Si trattava di relazioni proposte da un'attività conoscitiva di tipo contemplativo che potevano essere utilizzate solo parzialmente come nessi per un discorso regolato dal problema dell'acquisizione progressiva del sapere e quindi del raggiungimento graduale di certezze - nel viaggio del pellegrino d'oltretomba - in cui era sensibile la matrice agostiniana ma che va considerato anche come tratto distintivo del sapere dell'età comunale. Per questo, tentando nel Convivio certi tratti di una classificazione generale di questo sapere, come appunto era il caso del Q., D. propone uno schema verticale e ‛ graduale ' di esso. Ma, soprattutto in questo tratto, il discorso del Convivio procedeva secondo sequenze tematiche discontinue sia per le intermittenze tipiche del commento sia per il ricorso a strumenti critici di diversa tradizione i cui ambiti semantici erano spesso se non altro sfuggenti. Nella Commedia, ipotizzata una sistematica organica della mondanità, termini, come Q., di debole potenzialità semantica sarebbero stati messi gradualmente da parte. D. cioè riconosceva in Q. - dopo questo tentativo di uso - una semplice nozione classificatoria di una parte del sistema delle Arti liberali da utilizzarsi solo in un discorso descrittivo dei cursus studiorum. Il sistema delle Arti - e quindi sia della nozione di Trivio come di quella di Q. - non costituiva una nozione utile in un discorso che tendesse all'acquisizione, quello dell'età comunale, ma piuttosto in un discorso che tendesse alla descrizione, quello della media medievalità. Inoltre Tommaso d'Aquino aveva notato gli stretti limiti della nozione di Arti liberali che copriva solo parzialmente l'arco dell'attività conoscitiva e in particolare i suoi preliminari quando la si considerasse storicizzata - nell'organizzazione delle scuole, nei gradi della vita intellettuale individuale etc. - e certamente non nel momento nel quale essa fosse considerata nella sua essenza:

" Septem liberales artes non sufficienter dividunt philosophiam theoricam, sed, ut, dicit Hugo de S. Victore in III sui Didascalon, praetermissis quibusdam aliis connumerantur, quia in his primum erudiebantur qui philosophiam discere volebant, et ideo in trivium et quadrivium distinguuntur, eo quo his quasi quibusdam viis vivax animus ad secreta philosophiae introeat... Vel ideo haec inter caeteras scientias artes dicuntur, quia non solum habent cognitionem, sed opus aliquod, quod est immediate ipsius rationis, ut constrictionem, syllogismum, et orationem formare, numerare, mensurare, melodias formare, cursus siderum computare. Aliae vero scientiae vel non habent opus sed cognitionem tantum, sicut scientia divina et naturalis, unde nomen artis habere non possunt cum ars dicatur ratio factiva, ut dicitur VI Ethic.; vel habent opus corporale, sicut medicina, alchimia et huiusmodi. Unde non possunt dici artes liberales, quia huiusmodi actus sunt hominis ex parte illa qua non est liber, scilicet ex parte corporis Scientia vero moralis, quamvis sit propter operationem, tamen illa operatio non est actus scientiae, sed actus virtutis, ut patet V Ethic., unde non potest dici ars ", In Boeth. de Trin. 5 1 ad 3.

La nozione di Q. si trovava sul versante del suo declino storico. La sua persistenza anche dopo il sec. XIV sarebbe stata legata al conservatorismo dei ceti intellettuali e al fatto che essa costituiva un'immagine elementare di facile memorizzazione (P. d'Ancona, Le rappresentazioni allegoriche delle arti liberali nel Medio Evo e nel Rinascimento, in L'arte, a. V, fasc. V-XII, Roma 1903). Tuttavia proprio attraverso questa indiretta analisi di D. essa mostrava i limiti della sua funzione storica, in quanto segno della classificazione di un gruppo di attività derivata dalla classificazione del materiale librario elaborata dalla scolarità carolingia (P. Raina, Le denominazioni ‛ Trivium ' e ‛ Quadrivium ', in " Studi medievali ", n.s., I [1928]). La nozione di Q. va quindi osservata, almeno per certi tratti della cultura comunale alla quale era legato D., come una nozione assolutamente secondaria nell'economia del sapere o almeno del suo versante più interessante: quello operativo-accrescitivo. Questo non esclude naturalmente che essa potesse essere più o meno largamente utilizzata - ma in assenza di statistiche indicative si tratta d'ipotesi discutibili - come nozione operativa nell'organizzazione degli studi o nella classificazione dei materiali librari.

I nessi della nozione di Q. con la tradizione simbolista sono evidenti anche per la parte che il numero (v.) e la sua simbologia ha nel disegno generale del Convivio a partire dall'ipotesi iniziale delle quattordici canzoni sì d'amor come di vertù materiale (I I 14) analoga a quella delle quattordici lettere paoline (Isidoro Liber numerorum, Patrol. Lat. LXXXII 194) e cioè fondata sulla stessa opposizione binaria (7 + 7 = 4 + 3 + 4 + 3). La struttura del trattato avrebbe dovuto risultare conformata di 14 + 1 capitoli (il + 1 formava ad es. il 10 dopo la moltiplicazione del 3 per sé stesso) e di due gruppi di 7 canzoni (4 trattati + 3 canzoni) secondo un modello frequente in alcuni trattati della tradizione mistica e aritmologica (dove spesso 4 sono le corporeità e 3 le spiritualità) fondata su precedenti illustri (i 4 Vangeli e i 4 libri contra Gentiles di Tommaso, cfr. Cv IV XXX 3). Ma si tratta soltanto di precedenti che la cultura comunale componeva in unità, nei quali la simbologia smarriva il suo aspetto contemplativo per acquisirne uno pienamente conoscitivo. Costituisce un esempio indicativo la struttura multipla ideata da Brunetto Latini per la classificazione dell'attività conoscitiva che non sembrava, nonostante la sua base numerica facilmente individuabile (sempre 1-2-3-4), rifarsi a una simbologia del numero quanto utilizzarne i dati, tra gli altri, per una composizione unitaria.

Altre divisioni delle scienze in Isidoro, Ugo da San Vittore, Michele Scoto, Alfarabi sono riportate da Vincenzo di Beauvais Specul. doctrin. I 14 ss. Per il significato della nozione di Q. nella classificazione scolastica e delle Arti liberali si rimanda a Trivio (v.).

Bibl. - J. Mariétan, Problème de la classification des sciences d'Aristote à saint Thomas, Parigi 1901; P. Rajna, Le denominazioni ‛ Trivium ' e ‛ Quadrivium ', in " Studi Mediev. " I (1928); H.J. Marrou, S. Augustin et la fin de la culture antique, Parigi 1938; ID., Storia dell'educazione nell'antichità, Roma 1950, 1966²; P. Renucci, D. disciple et juge du monde gréco-latin, Parigi 1954; F. Schalk, Zur Entwicklung der Artes in Frankreich und Italien, in Artes Liberales von der antiken Bildung zur Wissenschaft des Mittelalters, a c. di J. Koch, Leida 1959.

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