QUAGLIATI, Quintino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

QUAGLIATI, Quintino

Fabrizio Vistoli

QUAGLIATI, Quintino. – Nacque a Rimini, allora provincia di Forlì, il 15 settembre 1869 da Fidenzio, impiegato comunale di Castel Bolognese, e da Giuseppa Ghiandoni.

Conseguita brillantemente la laurea in lettere presso l’Università degli studi di Bologna (22 giugno 1892) con la tesi Le lettere di frate Guittone d’Arezzo (relatore Giosue Carducci), si dedicò per qualche tempo con successo al giornalismo satirico, per poi rivolgersi, occasionalmente e senza troppa soddisfazione, all’insegnamento di materie letterarie in vari licei del centro Italia (Todi, Narni, Roma, Sulmona e Livorno). Durante questo periodo, sempre più attratto dalle antiche civiltà della penisola, frequentò per un triennio (1892-95) a Roma la Scuola italiana di archeologia, specializzandosi ventinovenne in paletnologia con Luigi Pigorini (14 giugno 1898), non senza avere prima compiuto proficui viaggi di studio in Grecia, Austria, Baviera e Svizzera (1895-96).

Apprezzato e oltremodo sostenuto dal suo influente ‘maestro’, nonché da Felice Barnabei per la sua preparazione e il suo carattere energico e onesto, fu nominato (r.d. 23 settembre 1898) viceispettore nei ruoli dei musei, gallerie e scavi di antichità del Regno, e nel contempo destinato a reggere la direzione del Museo nazionale di Taranto, istituito formalmente da ben undici anni (r.d. 4458 del 3 aprile 1887), ma non ancora aperto al pubblico.

Giunto in Puglia con l’incarico di esercitare una più efficace attività di controllo e tutela del complesso palinsesto archeologico della città ionica – messo a rischio dall’indiscriminato sviluppo urbanistico postunitario per lo più incurante dei livelli antichi –, Quagliati riorganizzò radicalmente il locale Ufficio scavi, vacante dai tempi di Luigi Viola (1880-91) e successivamente affidato alla temporanea responsabilità di singoli delegati o inviati in missione (Edoardo Brizio, Paolo Orsi, Giovanni Patroni). Fu così che, attraverso una più attenta e potenziata vigilanza dei cantieri urbani, il recupero conoscitivo di quanto scavato in precedenza e la tessitura di buoni rapporti con i grandi proprietari terrieri coinvolti nell’espansione edilizia, poté porre un freno al depauperamento cui era andato soggetto per decenni il patrimonio archeologico tarantino, fiaccando il fin lì fiorente commercio clandestino di anticaglie, restituendo autorità alle istituzioni ministeriali e, non ultimo, incamerando una gran quantità di dati utili alla ricostruzione della topografia complessiva dell’insediamento classico.

A partire dal 1899 e per i dieci anni successivi Quagliati, privo di risorse economiche adeguate e con il personale tecnico ridotto all’osso, fu incessantemente impegnato dal ritmo incalzante dei rinvenimenti cittadini, determinati non tanto dalla predisposizione di un organico programma di ricerche, quanto dalla rapida urbanizzazione del Borgo e dai lavori di costruzione dell’Arsenale marittimo e dell’Ospedale militare. Emerse in tal modo una complessa e articolata stratigrafia nell’ambito della quale le fasi dello splendore ellenico interagivano tra loro, facendo da contraltare a quelle pre-protostoriche (rivelate in primo luogo dalla «stazione» di Scoglio del Tonno) e ai depositi archeologici romani e tardoantichi.

Per quanto concerne invece il museo, confermatane l’ormai consolidata ubicazione nell’ex convento dei frati Alcantarini, Quagliati ne promosse finalmente l’apertura dopo sostanziali lavori di ristrutturazione (1901-06), rendendolo da un lato epicentro concreto della sua gestione amministrativa e dall’altro luogo di raccolta e poi di esposizione delle ragguardevoli antichità provenienti dai principali siti antichi inclusi nel vasto territorio di sua competenza (che comprendeva anche il Salento, la Capitanata, la Terra di Bari, il Materano).

Nel 1908, dopo aver ricevuto la nomina a ispettore di 2a classe (1° settembre 1905), si presentò al primo concorso nazionale per la nomina a direttore, risultando vincitore (r.d. 27 settembre). Nell’agosto del 1909, due anni dopo l’istituzione della Soprintendenza agli scavi e ai musei archeologici della Puglia, con sede a Taranto, gli fu conferito invece l’ambito grado di soprintendente: circostanza questa che, assieme all’emanazione della legge di tutela n. 364 del 20 giugno, lo dotò di più efficaci strumenti per proseguire nella sua intelligente e assidua opera di notifica delle collezioni d’arte private e di valorizzazione di diversi contesti archeologici via via incamerati nella loro integrità.

Con la soppressione della soprintendenza ai monumenti di Bari, competente per le province di Bari, Foggia, Lecce e Campobasso, e il consequenziale trasferimento delle sue funzioni a Taranto, Quagliati venne promosso al grado di soprintendente di 1a classe (1° dicembre 1923) e assegnato alla Soprintendenza unica alle opere di antichità e d’arte di Puglia e (sino al 1925) di Basilicata e Calabria. In forza di questa nuova funzione, che conservò per un decennio e sino alla morte, prese a poco a poco a disinteressarsi quasi completamente dell’archeologia preistorica e classica per dedicarsi con inesausta passione al campo dell’arte medievale, destando in tal modo il rincrescimento del settantatreenne Orsi, peraltro anche lui tutt’altro che indifferente alla civiltà rupestre dell’Italia meridionale. La responsabilità unica delle cinque province pugliesi, infatti, oltre a comportargli un notevole aggravio di lavoro burocratico, lo indusse ad ampliare di gran lunga i propri orizzonti conoscitivi onde poter dirigere e curare al meglio il restauro architettonico di alcuni pregevoli monumenti pugliesi d’età normanno-sveva «cadenti per rovinosa incuria» quali, inter alia, la basilica di S. Nicola e la cattedrale di Bari (1926-32), la cripta eremitica di S. Maria in Poggiardo (Lecce) e Castel del Monte presso Andria (1928-30).

Morì improvvisamente il 29 dicembre 1932 a Taranto, per una ‘perniciosa’ febbre malarica contratta durante una ricognizione archeologica nella valle del Candelaro, in provincia di Foggia, rivelatasi alla prova dei fatti del tutto improduttiva.

Gli sopravvissero la moglie, Giuseppina Gandolfi (nata nel 1874, sposata il 3 luglio 1902) e i due figli: Antonio Maria (1903-1941) e Mirella (1914-2011).

Scavi stratigrafici, scoperte fortuite documentate con estremo rigore metodologico, opportuni acquisti di importanti raccolte private per le collezioni di uno Stato non del tutto consapevole del proprio patrimonio, consentirono a Quagliati di allargare gli orizzonti della preistoria e della protostoria pugliese e di delineare preliminarmente, soprattutto con la sua attività museografica, «il grandioso quadro storico della società-magno greca nelle industrie e nelle arti dei coloni greci e nella trasformazione delle popolazioni indigene» (Bollettino dell’Associazione internazionale per gli studi mediterranei, I (1931), 6, p. 24). A questa febbrile attività documentativa non corrispose tuttavia una congrua pubblicistica, tanto da indurre Orsi ad asserire che la «fama scientifica» di Quagliati fosse inferiore alla sua «opera di esploratore» (1933, p. 129). Da questa critica (comunque giustificata) Quagliati si difese in vita sostenendo di aver «dato interi animo e spirito all’ideale puro della ricerca storica» (Miroslav Marin, 1985, p. XXVIII), mancandogli di conseguenza il tempo materiale per illustrare le sue scoperte in modo degno e ordinato.

Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Antichità e Belle Arti, Divisione I, (1908-24), b. 958, f. 349; ibid., Div. I (1946-50), b. 127, f. 421; Roma, Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia (ANIMI), Fondo Umberto Zanotti Bianco, A.05.01. Necrol. e comm.: [U. Rellini], in Bullettino di paletnologia italiana, LII (1932), pp. 129-132; A. Bellini, in Rassegna numismatica, XXX, (1933), 3, pp. 98-99; M. Gervasio, in Japigia, IV (1933), 1, pp. 105-107; G.Q. Giglioli, in Nuova Antologia, s. 7, LXVIII, vol. 287, n. 1462 (16 febbraio 1933), pp. 619-621; P. Orsi, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, III (1933), pp. 127-132, con nota bibliografica; C. Teofilato, in La Puglia letteraria, III (1933), 1, p. 5.

Quasi tutta la principale letteratura di e su Quagliati è registrata in apparato alla corrispondente voce del Dizionario biografico dei Soprin-tendenti Archeologi, a cura di J. Papadopoulos - S. Bruni, Bologna 2012, pp. 660-666 (R. Grittani). Si aggiungano: G. Susini, Ombre colte riminesi: Q. Q., in Culture figurative e materiali tra Emilia e Marche. Studi in onore di Mario Zuffa, II, a cura di P. Delbianco, Rimini 1984, pp. 673-676; M. Miroslav Marin, Introduzione a Q. Q., La Puglia preistorica, Cassano Murge 1985, pp. V-XLI (testo rifuso, con qualche modifica, in Il Museo Nazionale di Taranto e i suoi protagonisti, Taranto 1992, pp. 31-59); A. Zingariello, Vincenzo Perazzo, la matita a servizio dell’archeologia ai tempi di Q. Q., in “Vetustis novitatem dare”. Temi di antichità e archeologia in ricordo di Grazia Angela Maruggi, a cura di G. Andreassi - A. Cocchiaro - A. Dell’Aglio, Taranto 2013, pp. 123-140.

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