FABIO Rulliano, Quinto

Enciclopedia Italiana (1932)

FABIO Rulliano, Quinto (Quintus Fabius M. f. N. n. Maximus Rullianus)

Gaetano De Sanctis.

Uomo politico e generale romano dell'età delle guerre sannitiche. Nel 331 a. C. la tradizione riferisce che fu edile curule. Quel che però viene narrato intorno alla parte che egli ebbe durante la sua edilità nella scoperta di un grande complotto di matrone avvelenatrici sembra poco degno di fede e ricalcato sul più tardo processo per i Baccanali. Nel 325 fu magister equitum del dittatore Lucio Papirio Cursore. La tradizione narra che in assenza del dittatore e contro i suoi ordini egli attaccò battaglia coi Sanniti vincendoli presso la ignota Imbrinio; perciò il dittatore avrebbe voluto condannarlo a morte e solo con difficoltà s'indusse e lasciargli la vita per le preghiere del senato e del popolo. Tutto questo racconto è estremamente sospetto e foggiato in gran parte sulla storia dei dissensi tra Q. Fabio Cunctator e Minucio nel 217. Forse può mantenersi, attribuendola a buona tradizione famigliare, la notizia della vittoria a Imbrinio. Nel 322 F. fu console per la prima volta. Di questo suo consolato sappiamo poco. I Fasti Trionfali registrano una sua vittoria de Samnitibus et Apuleis.

Nominato dittatore nel 315 in un momento di estremo pericolo, quando i Sanniti, invasa improvvisamente la Campania, mostrarono di voler marciare su Roma, venne a battaglia con essi al passo di Lautule presso Terracina e riportò una grave sconfitta nella quale perì il magister equitum Quinto Aulio Cerretano. La sconfitta sembra per altro frenasse l'impeto offensivo dei Sanniti che non pare procedessero oltre Terracina. Dopo una seconda dittatura del 313, che è forse invenzione, F. rivestì il secondo consolato nel 310. In quest'anno mentre gli Etruschi assediavano la colonia latina di Sutri, F. con audace diversione, oltrepassata la Selva Ciminia, penetrò nel cuore dell'Etruria e, sconfitti gli Etruschi presso Perugia, concluse una pace di 30 anni con Perugia, Cortona e Arezzo e costrinse così gli Etruschi ad abbandonare l'assedio di Sutri.

Questi fatti sono riferiti da Livio con non pochi abbellimenti e amplificazioni. Ma data la concordia sostanziale delle due nostre fonti principali, Livio e Diodoro, fra loro indipendenti, e la conferma dei Fasti Trionfali che registrano all'anno seguente il trionfo di Fabio come proconsole de Etrusceis, sembra ipercritica il dubitarne e considerare la campagna etrusca di F. del 310 come reduplicazione di quella del 308, ed entrambe ripetizioni di quella del 295. Sembra anzi naturale che alla sottomissione dell'Etruria si giungesse per gradi, come appunto la tradizione riferisce; e pare assai più verosimile che i fantastici racconti sul passaggio della Selva Ciminia abbiano avuto origine a proposito di fatti della seconda guerra sannitica, quando davvero il passaggio della Selva Ciminia poté essere un isolato e memorando atto di audacia, che non a proposito di vicende della terza guerra sannitica quando le esperienze di guerra dei Romani erano senza paragone maggiori.

F. fu console di nuovo nel 308; questa volta insieme con quel Publio Decio Mure che gli fu poi collega nella censura e in altri due consolati. Anche per questo anno ci vengono riferite imprese di F. nell'Etruria, ma il racconto non appare qui molto fededegno e sembra ripetere in parte le sue gesta del 310, in parte quelle del 295. Certo è che egli non ebbe il trionfo; pare difficile negare che combatté invece nel Sannio e nella Campania, dove indusse Nuceria a entrare in lega con Roma. Una vittoria sui Sanniti che egli avrebbe conseguito presso Allife come proconsole l'anno seguente 307 è probabilmente invenzione, mancandone traccia in Diodoro e nei Fasti trionfali. Nel 304 F. fu censore insieme con Decio Mure, e gli viene ascritto un importantissimo provvedimento che avrebbe limitato la riforma con cui Appio Claudio Cieco aveva iscritto in tutte le tribù quei cittadini che erano privi di proprietà fondiaria. Secondo Livio (IX, 46,14) simul concordiae causa, simul ne humiliorum in manu comitia essent, omnem foremem turbam in quattuor tnbus coniecit, urbanasque eas appellavit. Del significato di questo provvedimento e della sua realtà storica si discute: sembra però affatto arbitrario negar fede alla tradizione Solo punto discutibile è se le tribù urbane siano state istituite allora, ovvero se F. abbia soltanto iscritto nelle già esistenti tribù urbane quelli che non possedevano terreno nei territorî delle tribù rustiche. Comunque, il provvedimento sembra mirasse a riconoscere bensì l'appartenenza alle tribù di quanti avevano solo proprietà mobile, ma a limitare l'influenza che essi avevano nei comizi.

F. ebbe una parte eminente nella terza guerra sannitica. Console per la quarta volta nel 295, combatté nell'Umbria riportando presso Sentino una decisiva vittoria sopra i Sanniti, gli Etruschi e i Galli collegati. In questa battaglia, che fu decisiva per l'unificazione dell'Italia peninsulare nell'antichità, morì combattendo il collega di F., il console Decio. Il racconto della battaglia è stato abbellito senza dubbio dalla leggenda, ma è certo fallace l'ipercritica di quei moderni che dubitano della morte di Decio nella battaglia e persino della partecipazione a essa dei Sanniti, sostituendovi arbitrariamente i Sabini: smentiti dai Fasti trionfali, certamente fededegni per questo periodo, i quali registrano il trionfo di F. de Samnitibus et Etrusceis Gallies. Dopo questa vittoria, nel 292 essendo console Quinto Fabio Gurgite suo figlio, F., dopo una prima sconfitta che il figlio subì dai Sanniti, avrebbe ottenuto che non lo si allontanasse dal teatro della guerra e, raggiuntolo, gli avrebbe coi suoi consigli come legato procacciato una gloriosa rivincita. Tutto questo racconto è di valore estremamente incerto. Più degna di fede pare la notizia che F. fu princeps senatus, il che porterebbe a ritenere che vivesse ancora dopo il 280, perché in quell'anno era ancor vivo Appio Claudio Cieco che sembra lo abbia preceduto in tale dignità.

La tradizione, assai rimaneggiata sotto l'influsso delle vicende della seconda punica, degli anni successivi, non permette di farci un'idea esatta della personalità di F. Ma i suoi tre trionfi, i suoi cinque consolati, il passaggio della Selva Ciminia, le vittorie di Perugia e di Sentino, mostrano che fu uno dei più eminenti uomini di guerra dell'età in cui Roma unificò l'Italia peninsulare e uno di quelli che si resero più benemeriti di tale unificazione. Caratteristico di F. e tale da accomunarlo coi maggiori uomini di guerra di tutti i tempi è il fatto che una sconfitta grave come quella di Lautule non bastò a togliergli la fiducia dei suoi concittadini. Anche caratteristica è la sua stretta amicizia col plebeo Decio Mure. Nella sua censura egli sembra essersi tenuto lontano non meno dal rigido esclusivismo patrizio che da ogni tendenza demagogica.

Bibl.: E. Pais, Storia critica di Roma, IV, Roma 1920, passim; G. De Sanctis, Storia dei Romani, II, Torino 1907, pp. 330 segg., 355 segg. 362 segg. ecc.; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino e Lipsia 1926, p. 413 segg., 440, 443, ecc.; F. Münzer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, col. 1800 segg.

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