Rabano Mauro

Enciclopedia Dantesca (1970)

Rabano Mauro

Nicolò Mineo

Enciclopedista, organizzatore e divulgatore di cultura tra i più importanti dell'alto Medioevo, nacque a Magonza da nobile famiglia intorno al 780 e fece i primi studi, sotto la guida di Aimone, nell'abbazia benedettina di Fulda. Fu quindi per qualche anno, per volontà dei suoi superiori, nel convento di San Martino di Tours, alla scuola del grande Alcuino. Tornò a Fulda forse prima dell'804, allontanandosene probabilmente solo per compiere un viaggio in Terrasanta. A partire dall'817 poté liberamente sviluppare la sua azione religiosa e culturale, prima come direttore della scuola abbaziale (817-822), poi come abate (822-842), finché non preferì ritirarsi a vita di preghiera e di studio nella vicina Petersberg. Alla decisione non furono estranei motivi politici, come la momentanea ostilità di Ludovico il Germanico, provocata dalla sua fedeltà verso Lotario. La situazione però evolveva presto positivamente, e nell'847 " i principi, il clero e il popolo " lo vollero arcivescovo di Magonza, dignità che conservò sino alla morte, avvenuta nell'856.

Operando alle frontiere della cristianità, egli portò avanti, con spirito missionario, il processo di evangelizzazione del mondo germanico e per tale opera gli fu necessaria la collaborazione del potere temporale; poté quindi essere coinvolto nelle vicende politiche del tempo, senza però che da parte sua - come sembrano documentare le fonti - si confondesse la sfera dell'azione religiosa con quella della politica. Nutrito dell'esperienza intellettuale vissuta a Tours, ove gli erano stati rivelati i nuovi orizzonti di una cultura volta a recuperare tanta parte del messaggio degli autori pagani, poté avvalersi del prestigio delle sue alte cariche per svolgere un'ampia e costante opera di elevazione e divulgazione culturale nell'ambiente ecclesiastico tedesco, meritando il titolo di " praeceptor Germaniae ". Esplicò infatti un'intensa e varia operosità di commentatore del sacro testo (quasi mai originale però), che ha la base metodologica nelle teorie esposte nelle Allegoriae in Scripturam sacram; di compilatore di opere a carattere enciclopedico, come il De Universo (842-847), a carattere manualistico, come l'importante De Institutione clericorum (819) o il De Arte gramatica o il Liber de computo (che contiene, tra l'altro, indicazioni sul simbolismo numerico, di ascendenza agostiniana); di autore di scritti di teologia mistica, come il De videndo Deum, di omelie e lettere e anche di poesie e di inni (poeticamente assai mediocri), come quelli raccolti nel Liber de Cruce. Sono scritti non da misurarsi col metro dell'originalità dell'informazione o del pensiero o dell'impostazione, poiché R. deve quasi tutto alla tradizione. In realtà essi furono concepiti come strumento di organizzazione enciclopedica del sapere e di diffusione della cultura e, in specie, per l'addottrinamento del clero in funzione di una più efficace penetrazione apostolica.

L'ideale culturale di cui R. fu assertore consiste nella capacità di esprimersi con chiarezza ed eleganza di linguaggio, secondo il modello degli autori classici, ma soprattutto nel possesso della scienza della Sacra Scrittura, interpretata sia nel senso storico che nell'allegorico. A lui appunto si riconosce il merito di aver rimesso in circolazione in modo organico la teoria della polisemia del testo biblico e i relativi metodi interpretativi. Funzionale e subordinata alla scienza scritturale, specie all'intendimento della lettera, dev'essere, nella sua prospettiva, la conoscenza della filosofia pagana e delle arti liberali (divise, alla maniera di Alcuino, nelle due categorie del ‛ trivio ' e del ‛ quadrivio '). La grammatica e le retorica servono anche, attivamente, alla realizzazione dell'ideale stilistico. Il sapere pagano appunto - e di esso fa parte anche quello dei poeti, in particolare di quelli che, agostinianamente, possono chiamarsi ‛ teologi ' -, in quanto non discorda dalla religione cristiana, proviene dalla stessa fonte di questa, dalla Verità e dalla Sapienza, cioè da Dio. Ciò non esenta tuttavia dall'esercitare ogni cautela critica nel processo di assimilazione, poiché si tratta di una scienza strettamente legata spesso all'errore. Siamo nello spirito dell'insegnamento di Girolamo e di Agostino.

D. nomina R. una sola volta, nella Commedia, e lo pone tra gli spiriti sapienti del cielo del Sole, undicesimo nella compagnia (Pd XII 145) di s. Bonaventura, tra Donato e Gioacchino da Fiore, ma non lo caratterizza in alcun modo, limitandosi a una semplice indicazione: Rabano è qui (v. 139). Bastava la fama di cui R. godeva tra ecclesiastici e dotti per indurre il poeta a collocarlo tra i sapienti. Difficile piuttosto è stabilire se e cosa D. avesse conosciuto direttamente di lui e perché l'abbia posto tra i sapienti che fanno corona a Bonaventura.

Qualche puntuale rapporto di dipendenza di D. da R. è stato indicato. Non convince però l'ipotesi del Butler (The Hell of D.A., Londra 1952, cit. in Toynbee, Dictionary 536) che D. abbia derivato dal Liber de Cruce il suggerimento di far disporre in forma di lettere le anime che gli appaiono nel cielo di Giove. Il Magontino in effetti non fa che iscrivere delle figure nel corpo della pagina, chiudendovi dentro delle lettere. Probabile invece è che un passo dei Commentariorum in Ezechielem libri XX possa aver offerto a D. l'idea di assegnare agli angeli custodi dei gironi il compito di cancellare una dopo l'altra le P dalla fronte del pellegrino: " Ad hominum igitur peccata delenda... veniunt sex viri... Eratque in medio sex virorum unus, id est septimus... Quidam sex viros, sex interpretantur angelos... ipsumque unum... Salvatorem intelligunt " (Patrol. Lat. CX 629; cfr. G.R. Sarolli, Prolegomena alla " D.C. ", Firenze 1971, 362). In un altro luogo del dotto tedesco (De Universo, Patrol. Lat. CXI 415 D) è stata vista la fonte dell'informazione di D. sul pensiero di Epicuro, in specie sul punto della mortalità dell'anima (U. Cosmo, Noterelle francescane, in " Giorn. d. " VIII [1900] 172). Una ricerca sistematica di dipendenze e utilizzazioni particolari, specie dai commenti scritturali, potrebbe costituire un interessante capitolo dello studio delle fonti dottrinali di Dante.

Non mancavano piuttosto ragioni generali di stima e adesione. Una conferma alle sue stesse scelte culturali D. può aver visto nell'apertura di R. al mondo classico e nel riconoscimento della sapienza dei poeti, mentre non poco interesse si può credere che abbia provato per il vasto impegno di definizione della semantica dei simboli biblici esplicato dal dotto benedettino. In lui inoltre poteva apprezzare l'assertore del principio dell'importanza primaria dell'intendimento della lettera nell'esegesi biblica, principio risolutamente affermato da Ugo di San Vittore ed energicamente sostenuto da D. in Cv II I 8. Non poco poi egli deve aver appreso dal libro II del De Universo, interamente dedicato al tema del rapporto di consequenzialità tra nome e realtà biografica. Ma forse più di tutto entusiasmava D. la concezione che R. ebbe del significato della figura imperiale, a cui riconosceva una sorta di sacralità cristologica (v. il preambolo del Liber de Cruce, che fu opera molto letta e ricercata; cfr. anche la lettera De Reverentia filiorum erga patres, in Mon. Ger. Hist., Epist. V 403).

Quanto alla collocazione nella seconda corona, tenendo conto che poco chiaro è tuttora lo stesso criterio generale adottato da D. per la scelta e la distribuzione delle anime (non ci sembrano del tutto risolutive le interpretazioni di F. Tocco, Le correnti del pensiero filosofico nel secolo XIII, in Arte, Scienza e Fede ai giorni di D., Milano 1901, 180 ss.; P. Mandonnet, Siger de Brabant et l'averroïsme latin au XIIIe siècle, Lovanio 1908-11, 287 ss.; U. Cosmo, L'ultima ascesa, Firenze 1965², 105 ss.), si può forse pensare che D. nella sua complessiva personalità di religioso e di studioso abbia visto come dominanti la rinuncia al mondo e il momento spiritualistico e mistico. Basti ricordare come nella sua opera prevalgano i commenti allegorizzanti della Bibbia e come lo stesso De Universo sia ispirato a una concezione rigorosamente simbolistica della natura.

Bibl. - M. Manitius, Geschichte der lateinische Literatur des Mittelalter, Monaco 1931, 288-302; H. Peltier, Raban Maur, in Dictionnaire de théologie catholique, XIII 2, Parigi 1937, 1601-1620.

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