RADIUMTERAPIA

Enciclopedia Italiana (1935)

RADIUMTERAPIA (dal nome dell'elemento radium e dal gr. ϑεραπεία "cura")

Gian Giuseppe Palmieri

È quella parte della medicina, che si occupa delle applicazioni terapeutiche delle radiazioni emesse dal radio e da altri corpi radiattivi. Essa è indubbiamente tra le branche più importanti della terapia fisica, rappresentando uno dei mezzi attualmente più efficaci, in associazione con la röntgenterapia e con la chirurgia, nella lotta contro i tumori, oltre a giovare nella cura di varie affezioni benigne, segnatamente della cute. Dagli autori francesi, ai quali si deve il massimo sviluppo dato a codesta branca, è anche designata correntemente come curiethérapie, in onore dei coniugi Curie, ai quali si deve la scoperta del radio, benché la denominazione predetta sia piuttosto indicata per contrassegnare tutte le forme di cura, per mezzo dei corpi radioattivi, anche all'infuori del radio, se pure questo è di tutti quello più largamente impiegato, per la sua forte radioattività e per la sua relativa stabilità: quest'ultima, infatti, diviene praticamente assoluta, in rapporto alla durata della vita umana, mentre invece la vita media di altri corpi radiattivi (v. radioattività) può essere da pochi anni a pochi giorni, e perfino a pochi istanti. In questa seconda categoria di elementi va noverata l'emanazione o radon, prodotto della disintegrazione del radio, che si trova allo stato gassoso e che si estrae da quest'ultimo elemento con particolari procedimenti.

Radiumbiologia. - Le azioni terapeutiche esercitate dai corpi radiattivi dipendono sostanzialmente dal modo di reagire delle cellule, dei loro aggregati, e ancora dell'intero organismo di fronte allo stimolo arrecato dall'agente fisico; stimolo il quale a sua volta può variare per la qualità e per l'intensità, oltre che per modi varî relativi alla tecnica impiegata. Le radiazioni dei corpi radioattivi hanno sulla materia vivente effetti sostanzialmente analoghi a quelli prodotti dai raggi X; così pure le reazioni della materia vivente sono fondamentalmente simili, sia che si tratti di tessuti sani sia che si tratti di tessuti patologici. Non di meno è possibile, impiegando una tecnica opportuna, far reagire in modo o per lo meno in grado diverso i varî elementi, normali o patologici, sfruttando il cosiddetto principio dell'"azione elettiva", ciò che si traduce in pratica nella possibilità di ledere "elettivamente" certi elementi (patologici), risparmiandone certi altri (normali). Questo principio è la chiave di vòlta della terapia col mezzo delle radiazioni e, nel caso particolare, della radiumterapia. I diversi elementi cellulari, infatti, non sono egualmente sensibili di fronte all'azione dei raggi, ma presentano al contrario una differente "radiosensibílità". E questo dipende appunto anche dal tipo di tecnica impiegato. Spetta a H. Dominici aver dimostrato che si può avere una azione elettiva, nel senso ora specificato, rinchiudendo il radio entro astucci di metallo pesante (platino), così da far agire questo come un filtro per le radiazioni a più debole potere di penetrazione, come sono tutti i raggi corpuscolari, α e β, e come anche i raggi γ cosiddetti molli, compendiati dal Dominici nel termine di "radiazione infrapenetrante"; e lasciando uscire dal filtro i soli raggi γ duri (gammaterapia). Se, al contrario, si applicano, direttamente sulla cute o entro gli organi, senza filtro, delle quantità sufficienti di un corpo radioattivo, e si fanno agire per un tempo sufficiente, si esercita un'azione "non elettiva", ma "di massa", di fronte alla quale tutte le cellule si comportano in modo pressoché uguale, con la produzione di una necrosi. L'osservazione è importantissima dal punto di vista pratico, perché ne nasce il principio fondamentale di tecnica, quello cioè della "filtrazione"; dal punto di vista puramente biologico, invece, è possibile dimostrare, anche per la radiazione infrapenetrante e in condizioni particolari, un'azione elettiva (G. Paltrinieri).

Per quanto il meccanismo intimo di produzione dei diversi effetti dello stimolo radiante sulle cellule viventi sia oggetto di discussioni tutt'altro che esaurite, non di meno si possono praticamente distinguere tre modi o gradi diversi: azione eccitante, azione inibitrice, azione distruttiva. Questi diversi modi d'azione sono, in linea generale, in rapporto: 1. con la qualità, l'intensità e la quantità globale (dose) dello stimolo radiante; 2. con la morfologia e la fisiologia cellulare. Sotto quest'ultimo riguardo può valere di massima, per quanto più come regola mnemonica che non come principio biologico assoluto, la legge di Bergonié-Tribondeau che riassume molti dei dati sperimentali precedenti: vale a dire che l'azione dei raggi è tanto più marcata, quanto maggiore è l'attività riproduttiva delle cellule; quanto maggiore è il loro "divenire cariocinetico", ossia la vita latente delle cellule stesse, in rapporto a possibili successive divisioni cellulari; quanto minore è la loro differenziazione morfologica e funzionale. È importante, da un punto di vista anche pratico, tenere in particolare considerazione il modo di reagire della pelle; la quale, per una dose opportuna e per raggi fortemente filtrati secondo il principio di Dominici, può manifestare gli aspetti di una radioepidermite, cioè la caduta completa dell'epidermide; il che suole avvenire dopo circa 15 giorni dall'irradiazione, periodo cosiddetto di latenza, che corrisponde al termine dell'evoluzione delle cellule dell'epitelio germinativo della cute, elettivamente uccise da una dose sufficiente di raggi γ: si parla allora di "dose epidermicida" (C. Regaud).

Una reazione analoga si può verificare a carico delle mucose e va col nome di radioepitelite o radiomucosite. Tali reazioni, che possono essere schematicamente interpretate secondo le leggi biologiche predette, sono anche fissate come espressioni di una dose limite dell'irradiazione, che può essere somministrata sulla cute e rispettivamente sulla mucosa normale, in quanto tali reazioni sono suscettibili di una riparazione perfetta entro pochi giorni, e non debbono essere confuse dai medici pratici e dai profani con radiolesioni, quali possono verificarsi (con esito anche in necrosi) per effetto di errori di tecnica. In modo analogo alla cute reagisce, per esempio, il testicolo, nel quale in condizioni acconce è possibile produrre la sterilizzazione, distruggendo elettivamente gli spermatogonî, ossia le cellule stipiti della generazione spermatica. E così pure avviene di certi tumori, d'origine epiteliale, in cui si riconosce l'esistenza, se non di un vero strato germinativo, delle cellule stipiti: la sterilizzazione del tumore si ottiene in questi casi distruggendo elettivamente, mediante l'irradiazione, le dette cellule stipiti (C. Regaud), oppure anche inibendo la moltiplicazione di queste cellule, sfruttando l'effetto amitogeno (da α privativo e da mitosi "divisione cellulare"; ossia effetto, che produce l'assenza di divisioni cellulari) esplicato dalle radiazioni stesse (L. Cappelli). È da ricordare, peraltro, che per raggiungere l'effetto in discorso, è necessario sfruttare il cosiddetto "fattore tempo"; sia che si miri a colpire le singole cellule tumorali nel momento della divisione cellulare, durante la quale, secondo la cosiddetta legge di Perthes, la cellula è più radiosensibile (ed è allora necessario prolungare l'azione irradiante, per tutto il tempo richiesto a che ogni cellula blastomatosa dello strato germinativo entri appunto in divisione); sia che si miri a mantenere codesta cellula sotto l'azione amitogena delle radiazioni, per tutto il tempo necessario a che la cellula stessa venga a morire, eventualmente di morte naturale, ma senza lasciare discendenza, a cagione appunto della provocata amitosi (assenza di divisioni cellulari).

Ma oltre a queste varie azioni squisitamente citologiche, i raggi del radio, non meno dei raggi X, provocano effetti funzionali complessi, soprattutto sull'innervazione e sul circolo, dimostrabili sia nel focolaio irradiato, sia talora a distanza, e derivanti con probabilità da influenze sul sistema endocrino-simpatico. Tra le azioni di questa natura, dimostrabili in loco, alcune si manifestano di solito per piccole dosi, a effetto risolvente, antiflogistico, analgesico, ovvero anche eccitante rispetto a una funzione ghiandolare.

Tornando ora all'argomento delle radiolesioni, è da aggiungere, infine, come sia assolutamente indispensabile aver presente la possibilità di alterazioni acute o croniche da radio, sia nel personale tecnico, sia nei medici addetti alle speciali cure (ulcerazioni, necrosi, ipercheratosi, anemie aplastiche, azoospermia, ecc.); danni in gran parte e facilmente evitabili, ricorrendo alle opportune protezioni contro le radiazioni parassite. I mezzi di protezione più validi sono rappresentati dagli schermi di piombo e dalla distanza. L'entità delle difese dev'essere proporzionata al quantitativo di radio impiegato (v. sotto, ad es., i cannoni di radio).

Tecnica radiumterapica. - Le applicazioni cliniche della radiumterapia si effettuano secondo quattro modalità fondamentali: 1. applicazioni per via interna; 2. applicazioni esterne; 3. applicazioni endocavitarie; 4. applicazioni interstiziali.

1. Applicazioni per via interna. - Consistono nell'assunzione per parte del paziente, di quantità minime di corpi radioattivi in soluzione (metodo pericolosissimo, anche se in mano di esperti, come Naegeli, ha dato buoni risultati pratici in certe emopatie; pericolosissimo, in quanto tali corpi, anche se introdotti allo stato solubile, si fissano in parte nell'organismo, particolarmente negli organi emopoietici, determinando a lungo andare non solo fatti necrotici, ma anche anemie aplastiche, le quali sono state causa di morte); oppure facendo inalare dei vapori contenenti una certa quantità di emanazione. S'impiegano all'uopo acque naturali radiattive o acque comuni artificialmente attivate. Manca tuttora una larga e sicura base scientifica a tale sorta di radiumterapia, detta anche "piccola curieterapia" o "radiumterapia microenergetica", che ne autorizzi la generalizzazione senza riserve.

2. Applicazioni esterne o radiumterapia transcutanea. - Si compie con tre modalità fondamentali: a) mediante apparecchio modellato, formato di materiale plastico vario (cera, cera-paraffina, pasta Colombia, celluloide, gammaplast, ecc.) modellato sulla parte anatomica ammalata o contenente l'organo ammalato, sul quale, per mezzo di opportuni supporti, si fissano, a distanza variabile dalla pelle (cm. 0,5-3-6 e più), dei tubetti metallici, in numero variabile, contenenti un sale di radio o del radon, la parete dei quali agisce come filtro, nel senso precisato sopra; b) mediante una piastra, contenente un sale di radio, incorporato con un materiale eccipiente (smalto), oppure protetto verso la superficie d'applicazione da uno strato sottile di materiale molto permeabile (metallo Monel), così da trattenere appena i raggi α e i raggi β molli: metodo indicato esclusivamente per la cura di certe dermatosi; c) mediante la telecurieterapia, effettuata con i cosiddetti cannoni di radio, ossia cupole di piombo, variamente foggiate, per lo più uniche, ma anche in numero cospicuo (fino a 13) e con parete di diverso spessore, destinate a proteggere il malato e tutto l'ambiente circostante dall'azione dei raggi del radio, salvo che nella direzione utile agli effetti curativi. Scopo della telecurieterapia è quello di assicurare una più omogenea distribuzione dei raggi γ nell'interno del corpo, su tutta la parte ammalata; ciò che si può appunto ottenere (come si dimostra geometricamente) aumentando la distanza dei focolai di radio dalla pelle del malato, rendendo peraltro necessario l'impiego di forti quantitativi di radio (1-4 grammi e più).

3. Applicazioni endocavitarie. - Si tratta di introdurre tubetti metallici, contenenti radio o radon, entro le cavità naturali del corpo (vagina, retto, vescica, esofago, cavità buccale, ecc.) per mezzo di particolari supporti, o metallici o di gomma. Questi ultimi, quando il materiale sia sprovvisto di sali metallici (para), giovano, oltre che come supporto, anche come "filtro secondario", destinato ad arrestare la radiazione secondaria, provocata nel filtro primario (parete metallica del tubetto) dalle radiazioni del radio; radiazione in parte di natura corpuscolare, in parte di natura vibratoria, ma sempre di penetrazione relativamente scarsa e perciò a effetto caustico, in rapporto al forte assorbimento, che di essa avverrebbe, senza questo filtro secondario, nella superficie mucosa a contatto.

4. Applicazioni interstiziali (o radiumpuntura, o anche radiuminfissione). - Si compie introducendo nei tessuti, sia aggredibili direttamente dall'esterno, sia attraverso le cavità naturali, sia per mezzo di un atto chirurgico (eventualmente con esteriorizzazione di un organo, p. es. l'utero o lo stomaco: radiumchirurgia), aghi metallici cavi, o tubi metallici o di vetro, contenenti radio o radon. Nel caso degli aghi, l'infissione si fa direttamente, sostenendo l'ago con pinze variamente foggiate per i varî scopi e a seconda delle parti anatomiche da aggredire; nel caso dei tubi, si prepara un tunnel con speciali trequarti. Nel caso particolare dei tubi di vetro capillari, contenenti radon (il quale praticamente s'esaurisce nel giro di pochi giorni), i tubi stessi possono essere abbandonati permanentemente in sito; mentre negli altri casi si deve compiere l'estrazione dell'apparecchio, dopo un numero determinato di giorni.

Apparecchi radiferi. - Risulta da quanto precede che gli apparecchi impiegati in radiumterapia sono fondamentalmente i seguenti: tubi, aghi, piastre, caricati per lo più con sali di radio (o con altri sali radioattivi), più raramente con emanazione (radon). La carica ordinaria di questi apparecchi varia in media da 1 a 10-20 (raramente più: apparecchi per telecurieterapia) milligrammi di radio-elemento.

Dosaggio. - La questione del dosaggio è di fondamentale importanza in tutta la terapia clinica e quindi anche nella radiumterapia, e ad essa sono stati consacrati numerosi studî e anche deliberati di commissioni internazionali. Nelle applicazioni cliniche, dobbiamo considerare un dosaggio biologico e un dosaggio fisico. Da un punto di vista rigorosamente scientifico, quest'ultimo soltanto potrebbe essere tenuto in considerazione potendosi solo con mezzi fisici giungere a determinazioni esatte della quantità di energia radiante somministrata. In realtà, anche le misure proposte da fisici, ossia quelle che utilizzano l'r (röntgen), unità internazionale di misura dell'irradiazione che giunge su di una superficie o su di un focolaio morboso, mentre da un verso non soddisfano a tutte le esigenze del fisico, non soddisfano neppure completamente a quelle del biologo e del medico, che vorrebbe piuttosto conoscere la quantità di energia assorbita dai tessuti e soprattutto la quantità di energia utilizzata per l'effetto biologico, o meglio per l'effetto terapeutico. A prescindere da tali questioni teoricamente insolute, nella pratica terapeutica ci si serve di due metodi fondamentali di dosaggio, i quali possono essere raggruppati come segue:

1. Esprimendo l'energia totale erogata dagli apparecchi radiferi in condizioni minuziosamente descritte: numero, forma, dimensioni e caratteristiche degli apparecchi; carica di ciascun apparecchio e carica totale, in radio-elemento (Ra-El) o in radon; filtrazione; distanza tra gli apparecehi singoli e la pelle; distanza tra i diversi apparecchi; superficie irradiata; durata dell'applicazione; distribuzione cronologica dell'applicazione stessa.

2. Misurando l'intensità dell'irradiazione in punti determinati della parte anatomica irradiata.

Nel primo caso, la dose può essere espressa in milligrammi-ora (mgh.), tenuto conto che, secondo l'uso più recente, il peso si fa corrispondere al quantitativo di radioelemento contenuto nel sale impiegato, qualunque sia la composizione chimica di questo, giacché l'intensità dell'irraggiamento dipende soltanto dal predetto quantitativo ed è del tutto indipendente dal modo di combinazione chimica del radio-elemento. Per gli altri corpi radioattivi, diversi dal radio, p. es., per il mesotorio, il peso, agli effetti della dose, è riportato al quantitativo di radio-elemento, equivalente per intensità della radiazione emessa. Nel caso particolare dell'emanazione o radon l'unità di misura è espressa dal curie, che rappresenta la quantità di emanazione in equilibrio radioattivo con un grammo di radio: tale equilibrio si ottiene in un recipiente chiuso, contenente radio, quando la quantità di atomi di emanazione che si producono e di quelli che si distruggono si compensa reciprocamente. Per sole ragioni d'indole pratica, si usa correntemente come unità la millesima parte di un curie, cioè il millicurie. E poiché l'emanazione che si distrugge, trasformandosi in radio B e C, emette raggi β e γ, sfruttabili agli scopi terapeutici, così la dose di radiazione erogata dai focolai radioattivi impiegati può essere misurata dai millicurie distrutti (mcd.), secondo la proposta di C. Regaud e A. Debierne; notazione che può valere sia per i tubi di radon come per quelli contenenti sali di radio. Questa dosimetria è insufficiente, peraltro, in quanto ci dice soltanto la quantità di energia erogata dagli apparecchi, e non quella distribuita nella regione irradiata. Per queste ragioni, sono stati introdotti i metodi di dosaggio appartenenti alla seconda categoria, allo scopo cioè di misurare direttamente l'intensità dell'irradiazione in punti determinati della parte anatomica irradiata. Gli apparecchi, che servono a tale scopo, sono fondati sull'effetto ionizzante dell'irradiazione: essi sono quindi degli ionometri, di cui la parte veramente misuratrice è costituita da un elettrometro. Lo strumentario più correntemente usato è il microionometro di Mallet-Danne, in cui una piccola sfera di circa 1 cmc. di volume contiene un'asticella metallica isolata, con applicatavi una minuscola foglia d'oro: tale sistema costituisce insieme una camera di ionizzazione e, al tempo stesso, un elettrometro. Somministrando all'asticella, dall'esterno, una carica elettrica opportuna, la fogliolina d'oro divergerà dall'asticella stessa: irradiando la sfera, l'aria in essa contenuta si ionizzerà, e scaricherà il sistema, producendo la caduta della fogliolina d'oro, tanto più rapida, quanto maggiore è l'intensità dell'irradiazione. Tale caduta può essere sorvegliata, sia con un microscopio, sia con un apparecchio speciale di proiezione, attraverso due finestrelle, protette da vetri, aperte nella parete della sferetta; talché la velocità di caduta si può misurare al cronometro. Altri apparecchi ionometrici, praticamente usati, sono quelli di Sievert, di Ferroux-Bruzau, di Stahel, di Sluys-Kessler. Recentemente, lo stesso Mallet (secondo una proposta già avanzata da E. Pugno Vanoni e successivamente attuata da R. Sievert) ha sostituito la camera di ionizzazione con un minuscolo condensatore, al quale si somministra una carica; le cui modificazioni, per effetto dell'irradiazione, possono essere misurate a parte.

L'unità fino ad ora più comunemente impiegata, con tali metodi, è l'unità dominici (D), proposta da R. Proust e L. Mallet, che è la quantità di radiazioni, ricevuta dal microionometro di Mallet-Danne, per opera di un tubo di 10 mg. di Ra-El., situato a 2 cm. di distanza e filtrato con 2 mm. di platino, durante 10 ore. Ma si tende oggi a introdurre anche nella radiumterapia l'unità röntgen (r), adottata dai comitati internazionali come unità di dose nella röntgenterapia. Il rapporto fra l'unità D e l'unità r sembra essere approssimativamente: 1 D = 70 r.

Per riferimento agli effetti biologici, è da ritenere che la dose epidermicida corrisponda a circa 32-40 D. Sono ancora in corso le ricerche per dare i corrispettivi in r internazionali, per quanto già si possa dire p. es., secondo H. G. Holthusen, che nella radioinfissione i tessuti giungano a sopportare delle dosi molto elevate e cioè fra 1000 e 8000 r.

Principali applicazioni terapeutiche. - Se da un punto di vista puramente radiobiologico, le reazioni provocate dalle radiazioni dei corpi radioattivi non si differenziano sostanzialmente da quelle provocate dai raggi X; e se in generale si può dire che sia con l'uno, sia con l'altro mezzo, si possono ottenere risultati terapeutici analoghi; non di meno è certo che ognuno di questi mezzi ha indicazioni particolari.

Tralasciando di parlare delle applicazioni interne (leucemie, anemie, gotta), che rientrano piuttosto nell'ambito della terapia medica generale, e venendo alla radiumterapia o curieterapia propriamente detta, sono indicate per questo trattamento molte dermatosi (cheloidi, nevi tuberosi, neurodermiti croniche, lupus); certe endocrinopatie (morbo di Flaiani-Basedow, ipertrofia timica, acromegalia); certe neuropatie (siringomielia, neuriti, nevralgie); alcune affezioni benigne degli organi genitali femminili (metropatie emorragiche, fibromi e fibromiomi); la maggior parte dei tumori maligni, particolarmente gli epiteliomi malpighiani (cancroidi cutanei, epitelioma della lingua e delle labbra, epitelioma del collo e cancri del collo e del corpo uterino, ecc.) nei quali il radio rappresenta, come fu detto, un'arma potentissima, forse la più potente e, non di rado, durevolmente efficace.

Non è possibile in una rapida visione, scendere a particolari, tanto più che ogni caso ha le proprie indicazioni speciali e l'applicazione di questo o quel mezzo o metodo terapeutico deve essere fatta con squisito discernimento clinico. Si deve soltanto tenere presente che in un grande numero di casi, e soprattutto nei tumori, l'optimun dei risultati si ottiene da un'associazione opportuna della radiumterapia con la röntgenterapia e con la chirurgia, talvolta anche con la diatermia chirurgica; e quindi la radiumterapia non è che una branca della terapia generale, la quale non darebbe molte volte, da sola, che risultati sterili o incompleti. Per questa ragione, in Italia come altrove, la radiumterapia è quasi esclusivamente praticata nei centri anticancerigni, importanti istituti parastatali, dove, insieme con i quantitativi più o meno ingenti del prezioso elemento radioattivo, esistono anche le competenze mediche specialistiche per l'attuazione delle cure radioterapiche e l'accentramento di altri mezzi e di altre competenze, allo scopo di una proficua collaborazione.

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