SCHIAMINOSSI, Raffaello

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCHIAMINOSSI, Raffaello

Annalisa Pezzo

– Nacque a Sansepolcro da Bernardino e da Olimpia e venne battezzato il 26 settembre 1572. Prima del rinvenimento dell’atto del battesimo (Sansepolcro, Archivio storico del Comune, Serie XXVI, n. 4, c. 225v, e n. 5, c. 278v; individuato in Borri Cristelli, 1984, p. 22 nota 14, ma con data errata, poi rettificata in Giannotti, 1988) la nascita di Schiaminossi veniva ipotizzata in un arco temporale vastissimo, oscillante tra il 1529 e il 1575, che rendeva difficile qualunque tentativo di ricostruzione dell’itinerario artistico. La formazione avvenne presso i fratelli Giovanni e Cherubino Alberti, massimi esponenti della scuola biturgense, con i quali esisteva anche un legame di parentela, essendo essi nipoti di Benedetta Schiaminossi. Forse al seguito di Cherubino Alberti, lì attivo l’anno precedente, nel 1590 è attestato a Firenze, dove presentò un’Allegoria della Filosofia per la festa di s. Luca, per poi essere immatricolato, nel 1596, nell’Accademia del Disegno. Oltre a Firenze, Schiaminossi dovette senza dubbio frequentare Roma, con ogni probabilità ancora grazie alle aperture di Alberti. Qui venne in contatto con la produzione figurativa dei toscani gravitanti in città come Francesco Vanni, Ventura Salimbeni, Antonio Tempesta, dai quali mutuò la tecnica dell’acquaforte per coperture, da poco introdotta da Federico Barocci. La prima incisione datata pervenutaci (1595) è proprio copia di un’acquaforte con S. Gioacchino e s. Anna realizzata da Salimbeni nel 1590, mentre si collocano all’esordio del secolo successivo un S. Didaco e un S. Antonio da Padova, entrambi stampati nel 1601 e dedicati a personaggi di Sansepolcro. Si può loro accostare un Frate Filippo da Ravenna non datato ma assai prossimo stilisticamente e compositivamente.

La sintesi tra le influenze di cultura fiorentina e quelle di ambiente romano – alle quali deve aggiungersi la maniera di Taddeo e di Federico Zuccari – si palesa negli affreschi con Storie della Vergine e di Cristo (Sansepolcro, oratorio di S. Maria delle Grazie) e nelle tele di Sant’Angelo in Vado: il Martirio di s. Caterina d’Alessandria (chiesa di S. Filippo) e la Madonna della Ghiara (chiesa di S. Maria dei Servi), databili tra la fine del Cinquecento e il primo decennio del Seicento.

Alcune prove preparatorie a penna e acquerello degli affreschi di S. Maria delle Grazie si trovano, assieme a studi da Polidoro da Caravaggio, Albrecht Dürer, Luca di Leida e figure di santi, in due taccuini smembrati (Roma, Istituto centrale per la grafica, Fondo Corsini, vol. 158, I, 1) resi noti da Simonetta Prosperi Valenti Rodinò (2016).

Negli stessi anni potrebbe collocarsi l’incisione con la Favola di Niobe tratta dalle celebri decorazioni di Polidoro nella facciata del palazzo Milesi in via della Maschera d’Oro a Roma, ricordata da Marzio Milesi ma non altrimenti nota (Petrucci, 1956, pp. 130, 131). La stampa fu donata a Milesi dallo stesso Schiaminossi a riprova di una frequentazione non occasionale e dell’avvenuto contatto dell’artista con il fervido ambiente culturale che ruotava attorno al giureconsulto bergamasco.

Pressoché coeva, oltre che stilisticamente vicina agli affreschi di S. Maria delle Grazie, è la fortunata serie all’acquaforte Quindecim Mysteria Rosarii Beatae Mariae Virginis del 1602, ristampata a Roma nel 1609 e copiata da Luca Ciamberlano nel 1619. Al medesimo anno risale la Predica di s. Francesco, di cui si conserva il disegno preparatorio a Berlino (Berlino, Dipartimento disegni e stampe, inv. 15259; Raffaello Schiaminossi incisore, 2000, pp. 39 s.), stampata a Roma da Giovanni Orlandi, nota anche nello stato del 1604 di Antonio Caranzano e in quello successivo di Giovanni Giacomo De Rossi.

La pittura di Schiaminossi, e ancor più la sua attività di incisore all’acquaforte, denunciano già in questa fase evidenti influenze nordiche, giunte per il tramite di Cherubino Alberti e di Tempesta. Lo dimostrano in maniera eloquente diverse stampe tratte da Luca di Leida, tra le quali La moglie di Putifarre accusa Giuseppe, S. Bartolomeo, S. Gerardo Sagredo, S. Giacomo Minore, La tentazione di Cristo e la serie degli Attributi dell’anima del 1605, composta di dodici figure allegoriche esemplate sul modello dell’edizione illustrata dell’Iconologia di Cesare Ripa, da poco uscita a Roma (1603).

Le due serie di Profeti e Sibille, composte rispettivamente da dodici e dieci fogli, furono stampate a Roma da Orlandi nel 1606 e poi, tre anni più tardi, da Nicolas van Aelst che ne aveva acquisito le lastre; assieme a quelli dei Quindecim Mysteria Rosarii i rami compaiono nel testamento dettato dallo stampatore belga nel 1612. Ancora a Roma, dove in questi anni Schiaminossi deve aver risieduto a più riprese, se non addirittura stabilmente, vennero pubblicati da Andrea Vaccari nel 1606 il ciclo XII Caesarum qui primi Rom. imperarunt a Iulio usque ad Domitianum effigies – derivato da Tempesta – e da Matteo Florimi, probabilmente a Siena, la raccolta Il Sacrato Collegio Apostolico (successivamente ristampata da Filippo Succhielli), le cui incisioni furono realizzate tra il 1606 e il 1607.

Alla collaborazione con Florimi si devono anche l’acquaforte con S. Francesco in preghiera con episodi della sua vita e santi e martiri francescani e le piante di Perugia e di Pavia (collocabili entro il 1613, data della morte dello stampatore), mentre una di Roma è ricordata nell’inventario di Vaccari del 1614.

A Siena uscì poi nel 1610 per Silvestro Marchetti e Camillo Turi il Gran simulacro dell’arte e dell’uso della scherma, fortunato (e più volte ristampato) trattato di Ridolfo Capoferro, appartenente all’Accademia dei Filomati e maestro di scherma della nazione tedesca della città, dedicato al principe di Urbino, il piccolo Federico della Rovere (figlio del duca Francesco), e recante quarantacinque illustrazioni di Schiaminossi. Le tavole rispecchiano con vivacità narrativa i precetti impartiti nel testo e furono fonte d’ispirazione per il giovane Jacques Callot (Lieure, I, 1924-1929, p. 37 nota 2).

Al 1612 risale la partecipazione dell’artista a due importanti imprese editoriali fiorentine. La prima, con il titolo Essequie della sacra cattolica e real maestà di Margherita d’Austria regina di Spagna, è il resoconto, stampato da Bartolomeo Sermartelli e fratelli, della cerimonia celebrata a Firenze per volontà del granduca Cosimo II il 6 febbraio di quell’anno; le illustrazioni furono affidate a Tempesta, di stanza a Roma, che ingaggiò oltre a Schiaminossi (cui si devono cinque acqueforti con episodi della vita della regina, quattro siglate e una attribuita), Callot e, sembra, un quarto incisore rimasto ignoto (Bruwaert, 1912, p. 48). La seconda, la Descrizione del Sacro Monte della Vernia, opera del francescano Lino Moroni tesa a fornire un itinerario spirituale sul monte, «sacro» per essere stato il teatro delle stimmate di s. Francesco, fu illustrata in collaborazione con il senese Domenico Falcini sui disegni tracciati da Jacopo Ligozzi, che si era recato sul posto nel 1607.

Tra la fine del primo decennio del secolo e gli inizi del successivo si collocano inoltre alcuni dipinti tradizionalmente assegnati all’artista – tutti a Sansepolcro – in cui le ascendenze manieristiche si stemperano nella direzione di un più deciso e austero naturalismo, fra i quali la Madonna della Misericordia (cattedrale); più controversa l’attribuzione della Madonna col Bambino, s. Carlo Borromeo e il beato Ranieri Rasini, in S. Francesco (Witcombe, 1992, p. 54; Giannotti, 1989, p. 18 nota 57; non condivisa da Contini, 1989, p. 351). Per la sacrestia di quest’ultima chiesa i documenti attestano la commissione intorno al 1608 a Schiaminossi, al nipote Giovanni Battista Mercati e ad Asdrubale Gherardi (probabilmente suoi allievi) di alcune tele, quasi tutte perdute o non identificate, fra cui una con il Beato Ranieri Rasini in estasi, oggi nei locali del convento (Witcombe, 1992, pp. 53, 66 nota 4). L’attività pittorica dell’artista rimane nota ancora soltanto in parte nonostante la ricca produzione ricordata dalla letteratura erudita locale e confermata dall’inventario stilato alla morte.

A questo periodo risalgono anche diverse incisioni legate all’attività romana: da Luca Cambiaso la Maddalena portata in cielo dagli angeli (1612), la Sacra Famiglia (1614), entrambe dedicate da Pietro Stefanoni rispettivamente a Bartolo Giordano e a Marzio Milesi; da Federico Barocci il Riposo nella fuga in Egitto (1612), ancora riferibile a Stefanoni, i due tondi con l’Assunta e Cristo in gloria, la Madonna con Bambino (1613); da Paolo Veronese S. Vincenzo e s. Caterina d’Alessandria adorano la Madonna con il Bambino, con dedica di Stefanoni a Federico Cesi (post 1613).

L’interesse di Schiaminossi nei confronti della pittura di Barocci è pure testimoniato nelle memorie del pittore aretino Teofilo Torri, che ricorda una sua visita ad Arezzo nel 1613 per studiare e copiare la Madonna del popolo (Verani, 1937, p. 161; Giannotti, 1988, pp. 88, 91).

Il rapporto con Stefanoni, collezionista e appassionato antiquario vicentino, oltre che stampatore ed editore attivo a Roma, per cui Schiaminossi aveva già nel 1608 realizzato un Martirio di s. Stefano da un’opera di Cambiaso, offerto al cardinale Giacomo Sannesio con un testo composto da Marzio Milesi (Petrucci, 1956, p. 135), s’inserisce in quella rete erudita di relazioni e di scambi di cui faceva parte anche Cherubino Alberti, stabilmente in città da molti anni e figura di riconosciuto prestigio (Alberti, principe dell’Accademia di S. Luca dal 1611 al 1614, fu tra l’altro nel 1612 compare di battesimo del figlio di Stefanoni, Giovanni Antonio; Rossi, 2012, p. 20). E pure Schiaminossi godeva ormai di un certo credito se Giulio Cesare Gigli ne La pittura trionfante (Venezia, 1615), inserendolo nel canone dei più eminenti pittori contemporanei (oltre a quelli del passato non ricordati da Giorgio Vasari), annunciava l’intenzione di un progetto più ampio, dal titolo Gareggio pittorico – che non vide però mai la luce – per il quale intendeva affidare le illustrazioni allo stesso artista biturgense e a Tempesta: al primo, i ritratti degli artisti viventi, al secondo, quelli degli altri (Spagnolo, 1996, p. 65).

Il 19 luglio 1615, morta la prima moglie Doralice Buoninsegni (sposata nel 1599 e dalla cui unione non erano nati figli), Schiaminossi si unì in matrimonio con Maddalena Dusi, dalla quale il 27 settembre 1619 ebbe Bernardino.

Morì il 17 giugno 1622 a Sansepolcro e dalle memorie di Torri si apprende come negli ultimi due anni di vita avesse dovuto interrompere il lavoro per ragioni di salute: «passò a miglior vita Raffaello Schiaminossi dal Borgo, pittore valente mio compare, et amico mio sviscerato, sendo stato malato nel letto circa venti mesi, homo molto spirituale et spiritoso tanto nel dipingere come nel’intaglio d’acquaforte» (Giannotti, 1988, p. 92).

Dall’ultimo testamento (dei quattro stilati a partire dal 1599), redatto nell’anno della morte, si deduce una condizione di relativa agiatezza, mentre la notevole prolificità è testimoniata dai numerosi dipinti stimati da Torri e da Mercati e ricordati nell’inventario dei beni del pittore (pp. 98-102). Con l’eccezione di alcuni ritratti, di copie da maestri del secolo precedente e di una più abbondante quantità di soggetti religiosi, si tratta di opere di genere («venti quadretti con più sorte d’uccelli», «un buffone con un pollo in mano», «un quadretto con dua gatti») che ribadiscono la decisa inclinazione ‘nordica’ di Schiaminossi.

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