ULTRAVIOLETTI, RAGGI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1995)

ULTRAVIOLETTI, RAGGI

Nicola Rosato

(XXXIV, p. 643)

Lo spettro della luce solare è molto più ampio di quello percepito dai nostri occhi; al di là del rosso esistono raggi invisibili, detti ''raggi infrarossi'', che avvertiamo come sensazione di calore sulla pelle, mentre al di là del violetto esistono dei ''raggi ultravioletti'' (UV) che non ci danno nessuna sensazione immediata ma vengono comunque assorbiti dai sistemi biologici, nei quali possono indurre importanti modificazioni. Le radiazioni infrarosse, visibili e ultraviolette sono comunque della stessa natura: sono infatti onde elettromagnetiche come le onde radio, le microonde e i raggi X. La differenza risiede nella lunghezza d'onda: i raggi infrarossi hanno una lunghezza d'onda compresa tra circa un millimetro e 760 nm (1 nm = 1 nanometro = 10−9 m), il visibile parte da 760 nm (colore rosso) e arriva a 400 nm (colore viola). Gli ultravioletti, infine, hanno una lunghezza d'onda compresa tra 400 nm e 10 nm dove, convenzionalmente, iniziano i raggi X.

Tutta la banda dell'ultravioletto viene divisa in quattro sottobande: UVA, UVB, UVC e ultravioletto spinto o da vuoto (VUV). L'UVA, a volte detto anche ''luce nera'', si estende da 400 a 320 nm e ha importanti effetti biologici sia per assorbimento diretto sia attraverso una fotosensibilizzazione dovuta a sostanze endogene o esogene. L'UVB si estende da 320 a 280 nm e viene direttamente assorbito dalle proteine e dagli acidi nucleici delle cellule. L'UVC va da 280 a 100 nm. Tutti i componenti cellulari assorbono UVC, ma questi raggi sono praticamente assenti sulla superficie terrestre poiché vengono assorbiti dallo strato di ozono presente nella stratosfera. L'ultravioletto da vuoto (VUV) è caratterizzato da una lunghezza d'onda compresa tra 100 e 10 nm e viene così chiamato poiché, essendo assorbito dai gas costituenti l'aria (ossigeno e azoto), richiede linee e strumentazioni sotto vuoto per poter essere rivelato e usato in spettroscopia.

La principale sorgente di UV sulla Terra è certamente il sole. L'energia solare circolante sulla superficie dell'atmosfera terrestre è relativamente costante e ha un valore di circa 1,39 kW/m2. Lo spettro di queste radiazioni corrisponde approssimativamente a quello di un corpo nero di circa 6000 K (v. fig.). L'irraggiamento solare del suolo terrestre si riduce però a circa la metà a causa dell'assorbimento e della diffusione da parte dell'atmosfera e del pulviscolo in essa presente. Poiché questi fenomeni dipendono dalla lunghezza d'onda della luce, l'irraggiamento a livello del mare ha uno spettro complesso, diverso da quello della luce solare incidente sull'atmosfera. In particolare, nella figura si può notare che solo le radiazioni con lunghezza d'onda maggiore di 300 nm raggiungono il suolo, poiché quelle con lunghezza d'onda minore vengono assorbite dallo strato d'ozono stratosferico.

Le applicazioni scientifiche e tecnologiche dell'UV si sono molto sviluppate in questi ultimi decenni, come si vedrà più avanti. Questo sviluppo ha richiesto nuove e più perfezionate sorgenti di luce UV che possono essere attualmente divise in tre categorie: lampade, laser e anelli di accumulazione di elettroni (per es. sincrotrone).

Esistono delle lampade ad arco per UV costituite da un bulbo in quarzo riempito di gas particolare e da due elettrodi posti a pochi millimetri di distanza, attraverso i quali passa un'intensa corrente. La radiazione emessa da un arco è caratteristica del gas di riempimento e consiste di intense righe a particolari lunghezze d'onda e di un fondo continuo. Se il gas è vapore di mercurio a bassa pressione, l'emissione è concentrata nelle linee del mercurio a 254 (90 % dell'intensità totale), 313, 365, 405, 436, 546 e 577 nm. Se il gas è Xenon ad alta pressione (50-80 atm), le righe sono molto più allargate (400-500 e 800-900 nm) e sono sovrapposte a un intenso fondo continuo. Nel caso delle lampade a idrogeno o deuterio, si ha uno spettro continuo che si estende fino a circa 190 nm. Oltre a quelle ad arco, sono state sviluppate delle lampade fluorescenti a bassa pressione di mercurio. In queste lampade la riga a 254 nm del mercurio viene assorbita da un rivestimento a fosfori dalla parete interna di un tubo in vetro e riemessa come fluorescenza a lunghezze d'onda maggiori. L'intervallo spettrale viene così a dipendere dalla natura del rivestimento fosforescente e dal tipo di vetro usato. Le lampade fluorescenti sono poco costose, di bassa potenza e utili soprattutto quando bisogna irradiare superfici estese per lungo tempo. A questa categoria appartengono le lampade abbronzanti e le lampade a ''luce nera'' che emettono tra 325 e 400 nm con un picco a 360 nm. In particolari applicazioni di tipo scientifico dell'UV vengono usati dei laser come sorgente di luce. I laser emettono una radiazione monocromatica molto intensa e molto collimata. Il laser ad azoto emette a 337 nm mentre i laser a eccimeri hanno diverse righe nell'UV (193, 248, 308 e 351 nm). Entrambi funzionano in regime impulsato con basse frequenze di ripetizione. Per ottenere sorgenti laser continue nell'UV si può ricorrere alla tecnica della ''duplicazione delle frequenze'', che consiste nel far attraversare al raggio laser un cristallo con proprietà dielettriche non lineari. All'uscita del cristallo si avrà un raggio con lunghezza d'onda pari a metà di quella del raggio incidente, anche se d'intensità più bassa. Per es., si possono citare i laser a coloranti che, se duplicati, emettono nell'UV fino a circa 260 nm, e anche i laser a Neodimio che, pur avendo un'emissione a 1064 nm, sono tanto potenti che possono essere duplicati a 532 nm e quindi quadruplicati per ottenere una riga a 266 nm. Questi due ultimi tipi di laser, oltre che in continuo, possono essere usati per produrre una sequenza di impulsi molto brevi (1-10 ps; 1 ps = 1 psicosecondo = 10−12 s) con alta frequenza di ripetizione (circa 100 MHz; 1 MHz = 1 MegaHertz = 106 Hertz) e sono quindi particolarmente utili nello studio cinetico di fenomeni chimici e biologici ultrarapidi.

Una sorgente di UV non convenzionale, di estrema importanza scientifica, è un anello di accumulazione di elettroni (ESR, Electron Storage Ring). In queste enormi macchine acceleratrici un fascio di elettroni viaggia all'interno di un canale in ultravuoto di forma circolare a una velocità prossima a quella della luce. Ogni volta che il fascio elettronico viene deviato dalla traiettoria rettilinea per mezzo di potenti campi magnetici, viene emessa una radiazione caratteristica detta ''radiazione di sincrotrone'' (v. sincrotrone, Luce di, in questa Appendice). Questa radiazione si estende in modo continuo dall'infrarosso fino ai raggi X e comprende quindi tutto lo spettro dell'UV, incluso l'ultravioletto da vuoto (VUV). Inoltre la radiazione di sincrotrone, utilizzata da vari laboratori situati intorno all'anello di accumulazione, non è continua, ma consiste in una serie di brevi impulsi (0,1-1 ns) a una frequenza di varie decine di MHz, e può quindi essere utilizzata per misure risolte in tempo. Attualmente nel mondo sono stati costruiti numerosi anelli di accumulazione; in Italia è funzionante il sincrotrone di Frascati (adone), mentre è in costruzione quello di Trieste (elettra). La radiazione di sincrotrone è attualmente l'unica disponibile per misure di spettroscopia nell'ultravioletto da vuoto con lunghezze d'onda inferiori a 100 nm.

I componenti ottici per UV (lenti, prismi, celle portacampioni, ecc.) non possono essere costruiti in vetro poiché questo assorbe le radiazioni con lunghezza d'onda inferiore a 320 nm; si usa quindi il quarzo che permette di lavorare fino a circa 180 nm. Al di sotto di questa lunghezza d'onda bisogna eliminare l'ossigeno atmosferico e lavorare in azoto con elementi ottici in fluorite. Questo accorgimento però non permette di scendere sotto i 120 nm dove anche l'azoto e la fluorite cominciano ad assorbire. Per studi a lunghezza d'onda inferiori bisogna lavorare nel vuoto e usare ottiche di riflessione: specchi invece di lenti, reticoli di diffrazione invece di prismi, ecc.

Per la rivelazione e la dosimetria degli UV sono ormai disponibili dei fotorivelatori che convertono il segnale luminoso in segnale elettrico, con grande sensibilità e basso rumore di fondo. I più usati sono i fotodiodi e i fotomoltiplicatori. I primi consistono in un bulbo di vetro, in cui è praticato il vuoto, contenente un fotocatodo che emette elettroni quando viene esposto alla luce, e un anodo che raccoglie gli elettroni emessi. Nei fotomoltiplicatori tra il fotocatodo e l'anodo è presente una serie di dinodi che amplificano la corrente emessa dal fotocatodo mediante il fenomeno dell'emissione di elettroni secondari. Per la dosimetria degli UV in fisica sanitaria si possono usare pellicole fotografiche tarate fornite al personale a rischio (film badge).

Gli effetti degli UV sulla materia possono essere distinti in chimici e biologici. Gli effetti chimici sono cambiamenti molecolari dovuti all'assorbimento degli UV. A seconda della natura clinica indotta potremo avere: a) addizione lineare a una molecola insatura (per es., la timina e la cisteina possono dare la 5-S-cisteinil-6-idrossitimina); b) addizione ciclica a una molecola insatura (per es., due timine possono dare un dimero di timina); c) fotoframmentazione (per es., la riboflavina può dare lumiflavina più CH3COCHOHCHOHCH2OH); d) fotossidazione (per es., il colesterolo può dare 3β−idrossi-5α−idroperossi-Δ6−colestene); e) fotoidratazione (per es., l'uracile può dare il 6-idrossi-5-idrouracile); f) isomerizzazione cis-trans (per es., trans-stilbene passa a cis-stilbene); g) fotoridisposizione. In quest'ultimo effetto la molecola originale e quella finale sono composte dagli stessi atomi disposti in maniera diversa. Un esempio per quest'ultima fotoreazione è la produzione di vitamina D3 nella pelle dei mammiferi a partire dal 7-deidrocolesterolo.

Alcuni di questi effetti fotochimici degli UV vengono sfruttati dall'industria. Per es., vi sono sostanze plastiche, vernici e collanti, che vengono induriti e resi più resistenti da reazioni di reticolazione indotte dagli UV. Esistono anche polimeri fotocromici che cambiano colore sotto l'azione degli UV, impiegati negli occhiali, che si scuriscono sotto l'effetto dei raggi UV dello spettro solare e diminuiscono l'intensità del visibile che arriva ai nostri occhi.

In vari campi della ricerca scientifica gli UV vengono usati come indagatori della struttura molecolare. In questo caso, la sostanza da studiare viene esposta a una dose molto bassa di UV in modo da non provocare effetti fotochimici. Si misurano quindi l'assorbimento della sostanza in studio (spettroscopia di assorbimento ottico) ed eventualmente la riemissione di luce da parte della stessa sostanza (spettroscopia di fluorescenza). Con l'aiuto di queste tecniche spettroscopiche si possono studiare in modo sia qualitativo che quantitativo campioni di sostanze incognite. Ogni sostanza che interagisce con la luce è infatti caratterizzata da una particolare distribuzione delle lunghezze d'onda assorbite (spettro di assorbimento) e riemesse (spettro di fluorescenza). Attraverso questi spettri si possono quindi riconoscere e dosare sostanze presenti nei campioni da studiare. Esempi di applicazione di queste tecniche sono il dosaggio di proteine, di ormoni e di farmaci nei laboratori di analisi cliniche, e di riconoscimento e dosaggio di inquinanti aromatici nei vari comparti ambientali.

Poiché gli UV vengono assorbiti dalla materia vivente, si possono avere importanti effetti biologici indotti. Le proteine, per es., assorbono luce a 280 nm (banda degli aminoacidi aromatici) e in misura maggiore a circa 200 nm (banda del legame peptidico). Questi assorbimenti possono provocare reazioni fotochimiche come la fotolisi dell'aminoacido triptofano, dando luogo a vari prodotti come la triptamina, la chinurenina e la N-formil-chinurenina. Quest'ultimo prodotto può essere considerato un fotosensibilizzatore per l'UVA e quindi può essere implicato nell'invecchiamento del cristallino dell'occhio. Anche i ponti disolfuro nelle proteine assorbono radiazioni UV e possono essere da questi distrutti formando radicali altamente reattivi. L'assorbimento di UV da parte del triptofano e della cistina conduce spesso a un'inattivazione degli enzimi; per es., il lisozima, la tripsina, la papaina e la ribonucleasi vengono inattivati sia da luce di 254 nm che da luce di 280 nm.

Gli acidi nucleici assorbono UV di circa 260 nm e le conseguenti reazioni fotochimiche delle basi puriniche e pirimidiniche hanno particolare importanza perché possono portare sia a mutazioni genetiche che alla morte delle cellule stesse. Nelle basi pirimidiniche (timina, uracile, citosina) ci sono due alterazioni fotochimiche importanti. La prima è la fotoidratazione della citosina e dell'uracile, la seconda è la fotodimerizzazione della timina, in cui due molecole di timina vengono fuse in un'unica molecola somigliante al ciclobutano. Questi dimeri così formati bloccano la replicazione del DNA e quindi possono avere effetti disastrosi per la vita delle cellule. In molte specie animali esistono dei meccanismi riparativi capaci di provocare una scissione chimica del dimero o una sua eliminazione. Uno di questi meccanismi viene attivato da un irraggiamento con luce visibile o UVA. Un particolare enzima, infatti, si lega alla doppia elica di DNA distorta, in corrispondenza del dimero di timina; il complesso DNA-enzima, quindi, sotto l'azione della luce riattivante inverte la dimerizzazione. Dopo la fotoriattivazione l'enzima si dissocia dal DNA riparato e si riformano le normali coppie di basi adenina-timina. È stato documentato anche un effetto di fotocarcinogenesi degli UV sia in animali che nell'uomo. Un'esposizione cronica a UVB può infatti produrre l'insorgenza di tumori della pelle. La capacità dei r. UV di provocare la morte dei batteri viene utilizzata nella sterilizzazione di oggetti e ambienti mediante esposizione prolungata ai raggi stessi.

In medicina gli UV vengono attualmente usati per la fotochemioterapia, consistente in una combinazione di farmaci fotosensibilizzanti e in irraggiamenti UVA. La psoriasi, per es., può essere curata con psoraleni e UVA, mentre alcuni tumori possono essere trattati con porfirine, che si legano preferibilmente alle cellule neoplastiche, e quindi irraggiati per provocare la distruzione selettiva di queste cellule.

Negli ultimi anni è stata notata, dagli scienziati che si occupano di atmosfera terrestre, una diminuzione dello strato d'ozono stratosferico che protegge la Terra dalle micidiali radiazioni UVB. L'ozono (O3) forma un sottile strato situato tra 20 e 26 km sul livello del mare, ed è costantemente formato, nella stratosfera, dalla combinazione di ossigeno molecolare (O2) e ossigeno atomico (O). Quest'ultimo proviene dalla fotodissociazione dell'O2 provocata da UV con lunghezze d'onda inferiori a 240 nm. La distruzione dell'ozono è dovuta a reazioni chimiche che avvengono con l'ossido di azoto (N2O) e con il cloro (Cl). L'N2O è normalmente prodotto da batteri, ma in questi ultimi anni la sua produzione è aumentata a causa delle attività umane, per es., la produzione di concimi azotati. Anche il cloro atmosferico è recentemente aumentato a causa del rilascio di clorofluorocarburi (CF2Cl2 e CFCl3; v. clorofluorocarburi in questa Appendice), usati come refrigeranti e propellenti.

La sopravvivenza degli organismi su di un suolo terrestre con un irraggiamento UV maggiore dell'attuale, dovuto al ''buco'' dell'ozono, dipenderà soprattutto dall'efficienza dei meccanismi che riparano i danni indotti dagli UVB. Un'efficace protezione è particolarmente importante per le piante, poiché questi organismi dipendono dalla radiazione solare per la fotosintesi e non possono, quindi, evitare l'esposizione ai raggi UV. Le conseguenze di un aumento di UVB sugli animali e sull'uomo sono difficilmente prevedibili allo stato attuale delle conoscenze, ma è comunque ipotizzabile almeno un aumento dell'incidenza dei tumori della pelle.

Bibl.: K.C. Smith, The science of photobiology, New York 1989; C. Nicolini, A. Rigo, Biofisica e tecnologie biomediche, Bologna 1992.

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