RAGUSA

Enciclopedia Italiana (1935)

RAGUSA (in croato Dubrovnik; lat. Rhagusium, Rhacusa; gr. ‛Ραύσιον; A. T., 24-25-26 bis, 77-78)

Antonio Renato TONIOLO
Bruno MOLAJOLI
Giuseppe PRAGA

Città della Dalmazia meridionale, sorta dove la fascia costiera quasi si annulla sotto le pendici meridionali del calcareo M. San Sergio (m. 412) sul ben riparato Canale di Val Cassone dietro la fronteggiante Isola di Lacroma, una delle ultime dell'Arcipelago Dalmata. Gli abitanti fuggiaschi della colonia greca e poi romana di Epidauro, che sorgeva più a sud, presso l'odierna Ragusa Vecchia, costruirono l'attuale Ragusa su un isolotto roccioso presso la costa, dove oggi sorge la parte meridionale della città, separata dalla terraferma da uno stretto canale, riempito in tempi posteriori, a formare l'arteria maggiore della città (lo "Stradone"). La città è capoluogo d'ispettorato circondariale, nel Banato della Zeta del regno di Iugoslavia.

Con clima dolcissimo (media temperatura del gennaio 8°,7, del luglio 25°,0), riparata dai venti settentrionali dall'orlo sovraincombente dell'altipiano carsico, con piogge relativamente abbondanti (media annua mm. 1500), aventi i massimi in novembre e dicembre e minimi in luglio e agosto, Ragusa ha tutta una cornice verde di ricca flora mediterranea e quasi subtropicale, in cui fra la macchia si elevano il Pinus halepensis e il Cupressus sempervirens, la vite e l'olivo, il fico, il melograno, il carrubo e inoltre la palma da datteri, le agavi e le opunzie, che si specchiano nel mare di un azzurro intenso, cosicché oggi è una stazione climatica molto rinomata.

Con una popolazione di 18.767 ab. (1931; 13.340 nel 1921), Ragusa ha dintorni assai popolosi (più di 175 ab. per kmq.), che si stendono attraverso la penisola di M. San Sergio, dalla Val d'Ombla alla Valle di Breno, da Gravosa a Ragusa Vecchia. Abitata in massima parte da Croati, fino al censimento del 1900 presentava forti nuclei italiani, che sono stati fatti scomparire nei rilevamenti posteriori. Distrutta in gran parte da un terremoto nel 1667, Ragusa è stata ricostruita su un piano assai regolare; per cui diversamente dalle altre città della Dalmazia, dalle strette e irregolari viuzze di tipo veneziano, qui le "calli" si presentano disposte parallelamente fra loro ad incontrare ad angolo retto la via principale, lo Stradone, la quale divide a metà la città e da Porta Pila, verso la terra ferma, scende ad oriente fino alla Torre dell'Orologio in direzione del porto, chiuso dalla diga "Le Casse". Così mentre rimangono preziosi monumenti di arte romanica e del Rinascimento (v. appresso) il tipo della città è, con case, palazzi, chiese, di stile barocco; ma, vista dall'alto, come da M. San Sergio, presenta l'aspetto di una gran massa di costruzioni simmetriche Sormontata da cupole e campanili, di diverso carattere delle altre città dalmate, ma genuinamente italiana, tanto che è stata chiamata la "Firenze dalmata". La parte occidentale del centro poi, arrampicata e compressa sullo scoglio, fra l'antico canale dello Stradone e il mare, ha calli strette e con numerose scalinate e terrazze.

È sede vescovile cattolica, e ha un museo d'arte locale assai interessante. Toccata dalle vie di navigazione della Dalmazia, Ragusa ha rapporti giornalieri con Spalato, per via di mare e per ferrovia a scartamento ridotto, con Mostar e Belgrado.

Monumenti. - La città è cinta di interessanti fortificazioni con porte e torri (secoli XIV-XVI; torre Menze costruita nel 1538 dall'architetto bergamasco Ferramolino; forte Rivellino fatto costruire da papa Pio II; forte S. Lorenzo, del 1639). I più notevoli monumenti architettonici appartengono al Rinascimento che, nella continuità del flusso delle correnti venete e nei rapporti con l'arte dell'Italia centrale e meridionale, rielaborò e completò anche costruzioni d'epoca precedente: tra queste, nelle loro forme originarie, eccellono i bellissimi chiostri del convento dei domenicani e di quello di San Francesco, con annesso coevo campanile, costruiti nel sec. XIV con caratteri di transizione romanico-ogivali. La Dogana, antica Zecca della Repubblica, fu iniziata nel 1312, ma completata nel 1520 da Pasquale di Michele Ragusino. Due fontane, una all'inizio dello Stradone (1438), l'altra sotto la Gran Guardia (1440), sono dovute a Onofrio di Giordano di La Cava, lo stesso che innalzò il principale edificio della città, il Palazzo dei Rettori (v. XII, tav. LXVI) cui nel 1464 il fiorentino Michelozzo e Giorgio Orsini da Sebenico diedero varia e nobile impronta artistica. La chiesa di S. Salvatore ha una bella facciata con eleganti portali, di Bartolomeo da Mestre (1520); la chiesa di S. Francesco un portale di tarde ma fastose forme gotiche fiorite; altro adorno portale è nella chiesa di S. Domenico. L'architettura del periodo barocco ha qualche interesse, anche per l'aspetto della città che subì varî rinnovamenti dopo il terremoto del 1667. Tra gli edifici più importanti si ricordano la cattedrale, su progetto di Andrea Ruffalini d'Urbino, compiuta dall'architetto Andreotti (1671-1713); la chiesa di S. Biagio, del 1715 (architetto Marino Gruppelli da Venezia); la chiesa di S. Ignazio, che si ascrive, in parte, ad Andrea Pozzo, e a cui si accede per una scalea architettata dal romano Padalacqua. Tra i palazzi da ricordarsi per carattere monumentale quelli Bizzarro, Boscovich, Caboga, ecc. Varie pitture sono nelle chiese: di Tiziano, Giorgio Vasari, Nicola Ragusino, Girolamo Imparato, Francesco de Maria in San Domenico; del Pordenone, e di scuola tizianesca nel duomo; affreschi di Gaetano Garzia in S. Ignazio.

V. tavv. CLXI e CLXII.

Storia. - Fondata, come si è accennato, dai profughi di Epidauro, distrutta verso il 615 dall'invasione avaro-slava, Ragusa rimase sotto la sovranità dell'impero bizantino, nel nesso del tema di Dalmazia, manifestando assai per tempo un'energica vita comunale, d'impronta nettamente latina e di risorse essenzialmente marinare. Nel sec. IX le sue energie erano già tante che poté, unica delle città adriatiche, respingere nell'840 gli assalti delle formidabili flotte saracene. Nell'867 si fece, tra i due imperi, iniziatrice dell'impresa contro i Saraceni di Bari, trasportando nelle sue navi le truppe slave dei Franchi. Di questo tempo è anche la sua prima espansione sul continente, nel territorio dei Zaculmi e dei Terbuni, a ciascuno dei quali pagava per le terre occupate un censo annuo di 36 soldi d'oro. Nel 1000, quando, con l'impresa del doge Pietro II Orseolo si stabilì la giurisdizione adriatica veneziana, Ragusa fu la più meridionale delle città dalmate che, inviando legati e l'arcivescovo ad incontrare l'armata dogale sull'isoletta di San Massimo, rendesse omaggio a Venezia. Sotto la sovranità bizantina e la giurisdizione veneziana rimase durante la prima metà del sec. XI; nella seconda invece, durante le lotte per l'investitura, si orientò decisamente verso il papato e i Normanni di Puglia. Valido concorso di navi e di armati prestò a Roberto il Guiscardo nelle spedizioni antibizantine di Durazzo nel luglio 1081 e di Corfù nel 1084, ottenendo in cambio ampî privilegi nei porti pugliesi. In quegli anni ebbe anche luogo il suo distacco dalla giurisdizione metropolitana di Spalato, avendo da Gregorio VII ottenuto il riconoscimento della arcidiocesi già formatasi sotto Bisanzio. All'inizio del sec. XII, quando Venezia stroncò le velleità di espansione orientale dei principati normanni, Ragusa tornò sotto la sovranità bizantina. Sovranità, ormai tranne che ai tempi di Manuele Comneno (1143-1180), puramente nominale, di fatto quasi inesistente. Dal caos, determinatosi nella Balcania dopo la morte di Manuele, uscì costituito il regno di Serbia, che fu l'unico pericoloso nemico che Ragusa abbia avuto nella sua storia. Dopo aver sostenuto vittoriosamente nel 1184-1185 una sanguinosa lotta per terra e per mare, si diede nel 1187, per sottrarsi all'inviso dominio, ai re di Sicilia Guglielmo II e Tancredi, nel 1192 tornò all'impero bizantino, e infine, nel 1205, dopo la breve signoria locale del conte Damiano Giuda, si diede a Venezia, sotto la quale, ove si eccettui la dominazione di Federico II dal 1232 al 1236, rimase ininterrottamente sino al 1358. Nonostante la protezione veneziana, a salvaguardia della sua autonomia e del suo carattere latino, dovette ben otto volte impugnare le armi contro la Serbia: nel 1232-1234, 1254, 1266-1268, 1275, 1301-1302, 1317-18 , 1324-26, 1349.

Durante i 150 anni del governo veneziano il comune si assestò costituzionalmente, si estese per mare e per terra, sviluppò i traffici e si arricchì. Come tutti i comuni dalmatici ebbe costituzione aristocratica. Organi legislativi erano il Maggior Consiglio, composto di un centinaio di membri che mutavano annualmente, e il Consiglio dei Pregadi (Rogati), composto di 30 membri. Il potere esecutivo era esercitato dal Minor Consiglio, o Senato, composto di 12 membri, compreso il conte. In questi consigli sedevano esclusivamente i patrizî. Raramente veniva convocato l'arengo popolare. Capo politico supremo era il rappresentante di Venezia (conte, comes), dapprima eletto a vita, in seguito, a partire dal 1236, biennale. V'era poi tutta una folla di magistrature minori, di curie e di ufficiali, che regolavano minutamente la vita comunale. Nel 1272, con la codificazione e promulgazione dello statuto, fatte dal conte Marco Giustinian, la vita giuridica ebbe assetto pressoché definitivo. Nel Due e Trecento si registrano anche i più notevoli àmpliamenti di territorio, tanto sulla terraferma (astarea, dal gr. ἡ στερεά), quanto sulle isole. Originariamente i conti del territorio (nobili ragusei che ne venivano inviati al governo per un anno) erano tre: l'uno di Breno e Gionchetto con residenza a Breno, e l'altro di Malfi, Ombla e Gravosa con residenza a Ombla, il terzo delle isole (le Elafiti) con residenza a Giuppana. Verso la metà del Duecento si aggiunse per dedizione (non per donazione di un re serbo come vuole una leggenda) Lagosta, alla quale nel 1310 venne largito un particolare statuto, e, dopo un secolo Méleda, sede di un antico convento benedettino. Nel 1333 il comune acquistò per 8000 perperi dal re di Serbia, Stefano Dusan, Stagno e la penisola di Sabbioncello; nel 1399 dai Bosniaci, Slano e la marina; nel 1419 e 1427 la contrada di Canali, retrostante all'antica Epidauro. Con ciò si stabilirono i classici limiti del territorio raguseo dalle foci della Narenta alle Bocche di Cattaro. Inutili gli sforzi per ottenere durevolmente dal re d'Ungheria Curzola, Lesina e Brazza, occupate dal 1413 al 1417. Vivissimi erano in questo tempo i traffici. Principali zone di attività la costa occidentale adriatica da Rimini a Otranto, con le cui città, sin dal Medioevo più lontano, Ragusa aveva conchiuso, e poi via via rinnovato, perfetti trattati di commercio, i porti siculo-napoletani, quelli albanesi e, in misura minore, il Mediterraneo orientale. Nella terraferma una vera posizione di privilegio aveva Ragusa in Bosnia e in Serbia, particolarmente a Brskovo, dove risiedeva un consul mercatorum Ragusaeorum.

Nel 1358, in seguito alla pace di Zara, Ragusa, insieme con tutta la Dalmazia dal Quarnero a Durazzo, passa all'Ungheria. Per le altre città il trapasso significò dominio; per Ragusa, che sotto l'Ungheria non era stata mai, fu una lieve sovranità che si concretò nel semplice trasferimento ai sovrani ungheresi del tributo che pro redimenda vexatione era stato sino allora pagato alla Serbia. Al conte di Venezia subentrarono tre rettori indigeni, ridotti poi a uno solo che mutavasi ogni mese. Dopo la morte di Ludovico il Grande (1382) il comune, manovrando abilmente nelle competizioni dinastiche angioine, si liberò a poco a poco da ogni vincolo di dipendenza e quasi di obbedienza al sovrano. Nel 1403, ricusò di riconoscere Ladislao di Napoli, incoronatosi a Zara in opposizione a Sigismondo di Lussemburgo. Con questo atteggiamento provvide alla sua indipendenza di fronte a Venezia, giacché quando sei anni dopo Venezia acquistò dal re napoletano tutti i titoli e i diritti sulla Dalmazia, Ragusa non vi fu compresa, non avendone mai Ladislao potuto ottenere il dominio. Nel 1410 poi essa compie l'atto definitivo della sua indipendenza ricusando a Sigismondo, in guerra con Venezia, ogni concorso di milizie e denaro. Era così realizzata in pieno quella che gli statisti ragusei già allora definirono libera fidelitas e insieme fidelis libertas e che costituì la norma direttrice della politica e il fondamento del diritto di stato della ormai formatasi repubblica di Ragusa. Quello che essa soprattutto difese di fronte a deboli e a potenti fu la "franchisia", la libertà d'asilo. Trovarono così dentro le sue mura ricetto non solo molti principi balcanici spodestati ed esiliati, ma nel 1464 Sigismondo Malatesta, dopo il conflitto con Pio II, e nel 1512 Pier Soderini, l'ultimo gonfaloniere della repubblica di Firenze. Era, in questo tempo, quella di Ragusa una libertà ancor forte ed armata. Come nel 1403 e 1409 aveva saputo vittoriosamente respingere gli attacchi delle flotte di Ladislao, così nel 1451 affronta una dura guerra contro Stefano duca di Erzegovina e nel 1463 è persino preparata a resistere al Turco. In questo clima anche i traffici assumono uno slancio meraviglioso, si sviluppano le industrie, fioriscono le arti, le lettere e le scienze. Le magnifiche fabbriche del Rinascimento rinnovano il volto della città.

Nel 1526, nella battaglia di Mohács, perisce l'ultimo re d'Ungheria. Ragusa con abile prontezza si mette sotto la sovranità e la protezione del sultano pagandogli il solito tributo di 2000 ducati, grado a grado aumentato poi sino a 12.500. Poté così conservare i suoi mercati nell'Oriente balcanico e musulmano, e sviluppare relazioni di commercio con gli stati del Mediterraneo e dell'Atlantico, particolarmente con la Spagna, con la quale sino dal 1494 aveva stretto un importante trattato.

I secoli XVI e XVII furono il più fervido periodo della vita marinara ragusea. Mezzo migliaio di grosse navi solcavano i mari europei spingendosi, per conto della Spagna, sin nelle Americhe. Si accentuano però nello stesso tempo sintomi di decadenza e di esaurimento. La libertà ragusea non è più armata. La salvaguardia dello stato è unicamente affidata alla scaltrezza e alla prudenza del Maggior Consiglio. Si tramano congiure: Cosimo I dei Medici è istigato a impadronirsi di Ragusa; nel 1611-1612 Carlo Emanuele I di Savoia è invitato a farsene base di operazione per una guerra contro i Turchi. Lagosta nel 1602 si ribella e si offre a Venezia. I nobili non combattono, né navigano, né trafficano più. Contenti delle ricchezze accumulate, irrigiditi dal passato, dopo aver in Consiglio provveduto soltanto a parole al bene dello stato, tornano a casa e, chiusi nelle fiorite ville degli avi, si occupano di letteratura, fanno dell'accademia, si esauriscono nelle sterili dispute tra salamanchesi (nobili vecchi che studiavano a Salamanca) e sorbonesi (nobili nuovi che studiavano a Parigi). Ascende invece la classe borghese, costituita per la maggior parte da immigrati del continente, che fa suoi i commerci e sa anche battersi a lato della Spagna contro i barbareschi. Il pauroso terremoto del 6 aprile 1667, facendo ruinare quasi tutta la città e uccidendo più che mezza popolazione, affretta il processo di decadenza. È questo il tempo nel quale il carattere spiccatamente latino di Ragusa si corrompe per dar luogo alla caratteristica cultura ragusea, strano composito di elementi italiani, soprattutto toscani, in veste slavizzante. Sino a mezzo il Cinquecento i padri avevano fieramente difeso anche la latinità della repubblica. In seguito questa sensibilità si affievolisce e viene difeso precipuamente lo stato. Non importa che cosa sia Ragusa, purché sia. Al tempo delle Sacre Leghe del 1538 e 1570 i suoi diplomatici avevano fatto miracoli di destrezza per barcamenarsi tra le potenze cristiane e il Turco. Il giuoco riuscì anche nelle trattative di Carlowitz del 1699 quando, con un po' di sacrificio del proprio territorio (Klek e Sutorina), si poté mantenere la continuità territoriale con l'impero turco, e conservare almeno una via per il movimento commerciale con l'interno. Ma fu l'ultimo baleno. Nel 1806, nella guerra franco-russa, tra la quarta e la quinta coalizione, attanagliata dai Francesi, che premevano dalla Dalmazia, e dai Russi che premevano dalle Bocche di Cattaro, non le restò che scegliere a chi aprire le porte. Volle, morendo, non smentire l'antico carattere ed accogliere il 27 maggio le milizie del Regno Italico. Provò per un anno e mezzo gli orrori della guerra e assistette al lento morire delle sue libertà. Il 31 gennaio 1808 il generale Marmont, fatto raccogliere il Senato, vi mandò un ufficiale a leggere un decreto, il cui primo articolo diceva: "Le Gouvernement et le Senat de Raguse son dissous". Così dopo dodici secoli moriva la libertà di Ragusa. Incorporata, con il resto della Dalmazia, al Regno Italico, vi rimase fino alla costituzione delle Provincie Illiriche (v. illiriche, provincie), nel cui nesso fece, con le Bocche di Cattaro, provincia a sé. Il Congresso di Vienna ne confermò il possesso all'Austria, che la tenne sino al 1918.

Vani furono, dopo lo scioglimento, gli sforzi dei nobili di ricostituire la repubblica. Congiurarono, si armarono, insorsero, combatterono, intrigarono, supplicarono Francia e Austria. Poiché tutto falliva i più accesi emigrarono, i più idealisti si condannarono al celibato "per non procreare degli schiavi". La borghesia si adagiò nel nuovo ordine di cose continuando a trafficare.

Le fonti documentarie per la storia di Ragusa sono soprattutto serbate nell'archivio di stato di Ragusa (cfr. J. Gelcich, Dubrovački arhiv ["L'archivio di Ragusa"], in Glasnik zemaljskog Muzeja u Bosni i Hercegovini, XXII, 4, Saraievo 1910, pp. 537-588) e in quello di Venezia. Dal primo derivano le raccolte: Monumenta Ragusina. Libri Reformationum (1301-1396), ed. Gelcich, voll. 5, in Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, Zagabria, Acc. Iugosl., 1879-1897; J. Gelcich e L. Thallóczy, Diplomatarium relationum Reipubblicae Ragusinae cum regno Hungariae (1358-1684), Budapest 1887; G. Čremošnik, Istoriski spomenici dubrovačkog arhiva, s. III. sv. I. Kancelariski i notariski spisi, 1278-1301 ("Monumenti storici dell'archivio di Ragusa, s. III, f. I. Atti cancellereschi e notarili"), Belgrado, Acc: di Serbia, 1932; J. Radonić, Acta et diplomata Ragusina, I, fasc. 1 e 2, Belgrado, Acc. di Serbia, 1934. Le vecchie edizioni dei diplomi di re e principi balcanici sono state recentemente sostituite da Lj. Stojanović, Stare srpske povelje i pisma knj. I: Duorovnik i njegovi susedi (R. e i suoi vicini), I, Belgrado, Acc. di Serbia, 1929. Dall'archivio di Venezia derivano: S. Ljubić, Listine o odnošajih izmedju južn. Salvenstva i Mletačke Republike, 960-1469 ("Documenti per le relazioni tra gli Slavi merid. e la Repubblica di Venezia"), voll. 10, in Monumenta cit., Zagabria 1868-1891; V. V. Makušev e M. Šufflay, Isprave za odnošaj Dubrovnika prema Veneciji, 1228-1629 (Documenti per le relazioni di Ragusa con Venezia), in Starine, Zagabria, Acc. Iugosl., XXX (1902, pp. 335-352) e XXXI (1905), pp. 1-257.

Delle fonti cronachistiche il testo più antico sono i Miletii Versus (ed. K. A. Matas, in Biblioteca storica della Dalmazia, lib. I, Ragusa 1882), 91 esametri, non anteriori al sec. XIV, dove pochi elementi di verità sono cronologicamente spostati e soffocati da sovrastrutture leggendarie. Del pari leggendaria è la Historia Ragusii di Giovanni di Conversino da Ravenna (inedita; pochi brani in M. Korelin, Rannij italjanskij gumanizm i ego istoriografija [Il primo umanesimo italiano e la sua storiografia], II, Mosca 1892, append. pp. 14, 28-29, e in R. Sabbadini, Giovanni da Ravenna, Como 1924), utile solo per la storia della vita e del costume nella seconda metà del sec. XIV. Nel sec. XVI incominciano i testi degli annalisti ufficiali: Anonimo (457-1606); Nicolò di Ragnina (400-1552), Giunio Resti (orig.-1451) e Giovanni Gondola (1451-1484), orribilmente travisati e contaminati nella parte antica, da usarsi con cautela per la seconda metà del sec. XIV, attendibili per i tempi successivi. Ed. Sp. Nodilo, voll. 2, in Monumenta cit., Zagabria 1883-93.

Lo statuto del comune fu pubblicato da V. Bogišić e C. Jireček, Liber statutorum civitatis Ragusii compositus anno 1272, in Monumenta historico-juridica Slavorum meridionalium, IX, Zagabria, Acc. Iugosl., 1904; gli statuti delle corporazioni da K. Vojnović, Statuta confraternitatum et corporationum Ragusinarum, id., VII, 1899.

Bibl.: Storie generali: S. Razzi, La storia di Raugia, Lucca 1595 (rist. da G. Gelcich, Ragusa 1903); G. Luccari, Copioso ristretto degli annali di Ragusa, Venezia 1605; D. Farlati, Illyricum sacrum, VI, Venezia 1800; F.M. Appendini, Notizie istorico-critiche sulle antichità, storia e letteratura de' Ragusei, voll. 2, Ragusa 1802-1803; J. Chr. Engel, Geschichte des Freistaates Ragusa, Vienna 1807; G. Gelcich, Dello sviluppo civile di Ragusa, considerato ne' suoi monumenti istorici ed artistici, Ragusa 1884; L. Villari, The republic of Ragusa, Londra 1904; L. Vojnović, Dubrovnik: jedna istorijska šetnja (R.: un'escursione storica), 3ª ed., Zagabria s. a. (1922), sul quale v. A. Filippi, in Atti e memorie della Società dalmata di storia patria, I (1926), pp. 273-283; B. Cjetković, Dubrovacka diplomacija (La diplomazia di R.), I, Ragusa 1923. Monografie su singoli periodi: P. Pisani, Num Ragusini ab omni iure veneto a saec. X usque ad saec. XIV immunes fuerint, Parigi 1893; G. Gelcich, Il conte Giovanni Dandolo e il dominio veneziano in Dalmazia ne' secoli di mezzo, in Archeografo triestino, XXX (1906); B. Cvjetković, Dubrovnik i Ljudevit Veliki, 1358-1382 (R. e Ludovico il Grande), in Izvještaj c. k. Nautičke Škole, XXXI, Ragusa 1913, pp. 5-116; L. Vojnović, Dubrovnik i Osmansko carstvo, 1365-1482 (R. e l'impero ottomano), I, Belgrado, Accad. di Serbia, 1898; A. Vučetić, Dubrovnik za Kandjiskog rata (R. durante la guerra di Candia), in Program. c. k. Velikoga državnoga Gimnazija u Dubrovniku, Ragusa 1895, pp. 3-42, e 1896, pp. 3-42; F. Kirchmayer, La caduta della repubblica aristocratica di R. (testo ital. e tedesco), Zara 1900; L. Vojnović, Pad Dubrovnika, 1797-1815 (La caduta di R.), voll. 2, Zagabria 1907. Monografie su particolari argomenti: G. Gelcich, Delle istituzioni marittime e sanitarie della Repubblica di Ragusa, Trieste 1882; K. Vojnović, O državnom i sudbenom ustrojstvu republike Dubrovačke (L'organizzazione costituzionale e giudiziaria della repubblica di Ragusa), in Rad, Accad. Iugosl., Zagabria, CIII (1891), pp. 42-67; CV (1891), pp. 1-48; CVIII (1892), pp. 99-181; CXIV (1893), pp. 159-220; CXV (1895), pp. 1-36; C. Jireček, Die Bedeutung von R. in der Handelsgeschichte des Mittelalters, in Die feierliche Sitzung der k. Akad. der Wissenschaften am 31. Mai 1899, Vienna 1899, pp. 125-212; M. Rešetar, Dubrovačka numizmatika (La numismatica di R.), voll. 2, Karlovci 1924-Belgrado 1925.

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