RODOLFO, re di Borgogna

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

RODOLFO, re di Borgogna

Giuseppe Sergi

RODOLFO, re di Borgogna. – Secondo re con questo nome al potere nel regno di Borgogna, dal 922 al 926 fu titolare anche della corona italica. Apparteneva a un ramo del gruppo parentale dei Welfen, proveniente dall’Austrasia e insediatosi a ovest dell’arco alpino nel IX secolo, negli anni della crisi carolingia. Il padre era Rodolfo I, prima conte e marchese e poi, dopo l’888, re di Borgogna; la madre era Willa, figlia di Bosone re di Provenza.

Il 25 ottobre 912, alla morte del padre, Rodolfo II gli succedette sul trono borgognone, il cui governo in quella fase era limitato alla regione transgiurana. Nonostante le accese concorrenze di quegli anni, Rodolfo non fu contrastato nella sua ascesa né da Carlo il Semplice, re di Francia, né da Corrado I, re di Germania.

Il carattere regio del principato territoriale, quando salì al potere il nuovo re, era ormai fuori discussione, e Rodolfo II puntò subito a espanderne la giurisdizione verso Nord e verso Est. Subito, nel 912, Rodolfo confermò al conte alsaziano Liutfrido (lontano parente dei Rodolfingi) i diritti ereditari sull’abbazia di Moutiers-Grandval, punto di passaggio in una spedizione verso Basilea: nel corso dei quindici anni successivi la famiglia rodolfingia acquisì il controllo diretto dell’abbazia, probabilmente in virtù dei sopravvenuti buoni rapporti con il nuovo re teutonico Enrico I.

L’intraprendenza espansionistica di Rodolfo lo portò in rotta di collisione con il duca di Svevia, Burcardo II. Nel 914 Rodolfo intervenne nello scontro fra costui e il re teutonico Corrado I, muovendo dal Nord della diocesi di Losanna e risalendo la valle dell’Aar. Un documento di Ulrico, fratello di Burcardo, prova che nel 915-916 nella zona di Zurigo e in Turgovia Rodolfo II era riconosciuto come re. Mentre Burcardo II, nelle sue tensioni con il regno teutonico, aveva recuperato la Svevia, il regno di Borgogna si era esteso a nord-est, oltre la Reuss.

Nel dicembre del 918 morì Corrado: il nuovo re teutonico Enrico I si accordò con Burcardo II che quindi poté muoversi con determinazione contro Rodolfo II e tra il 919 e il 920 lo sconfisse nella battaglia di Winterthur (a sud-ovest del lago di Costanza). Rodolfo II dovette rinunciare – non si sa quanto definitivamente – alla Turgovia, ma successivamente trasformò in alleanza la precedente inimicizia con Burcardo II, di cui sposò la figlia, Berta, probabilmente nel 922. In parallelo, come abate laico dell’abbazia di St.-Maurice d’Agaune, proseguiva una tradizione che conferiva alla famiglia rodolfingia un ruolo influente presso il valico del Gran San Bernardo e lungo la maggiore via di comunicazione fra Borgogna e Italia.

Sul finire del 921 una parte dell’aristocrazia italiana, guidata dal marchese di Ivrea Adalberto (della dinastia nota come «anscarica»), si ribellò al re italico Berengario del Friuli e fece ricorso a Rodolfo II, invitandolo a venire in Italia per assumere la corona del regno. Rodolfo accettò e nel febbraio del 922 fu incoronato re d’Italia a Pavia. Esiste l’ipotesi che l’Ulrico, conte palatino italico, che nel 921 aveva offerto la corona di Pavia a Rodolfo fosse Ulrico fratello di Burcardo II: sarebbe una testimonianza quasi immediata dei sopravvenuti buoni rapporti tra i Rodolfingi e la famiglia del duca di Svevia. I grandi elettori consegnarono la Santa lancia, simbolo del potere regio italico, a Rodolfo, che nonostante la solennità della sua elezione non risulta abbia mai puntato a un’incoronazione imperiale.

L’attività regia di Rodolfo in Italia fu subito volta a consolidare consensi. Il 4 febbraio 922 confermò alla Chiesa di Parma l’abbazia di Berceto; il 3 dicembre dello stesso anno accordò l’immunità alla chiesa di Bergamo e ne confermò i beni, autorizzando in parallelo i cittadini a riparare strutture difensive necessarie contro gli Ungari; l’8 dicembre seguente confermò ai canonici di Parma possessi provenienti da vari donatori, risarcendoli di beni che erano andati distrutti nell’incendio della città. Gli intercessori di questi atti informano dell’identità dei primi sostenitori: il marchese Adalberto d’Ivrea, il conte di Bergamo Giselberto, l’arcivescovo di Milano Lamberto, i vescovi di Piacenza Guido e di Tortona Beato.

Fu tuttavia un quinquennio tormentato, perché l’aristocrazia dominante italica non aveva uno schieramento omogeneo. Nel 923 Rodolfo con i suoi seguaci (fra cui il suo potente cognato Bonifacio, marchese di Spoleto, che aveva sposato sua sorella Waldrada) vinse, a Fiorenzuola d’Arda, una battaglia decisiva, da annoverare tra quelle dei secoli centrali del Medioevo per cui si dovette contare il maggior numero di vittime: Berengario fu costretto a rifugiarsi a Verona (da tempo centro del suo residuo potere), dove nel 924 fu ucciso da un suo fedele.

Nella nuova fase Rodolfo confermò diritti e possessi (citando esplicitamente re Berengario I come precedente donatore) al vescovo Giovanni di Cremona (27 settembre 924) e prese sotto la protezione regia la Chiesa cremonese. L’8 ottobre dello stesso anno, risiedendo a Pavia, donò al vescovo Aicardo di Parma la corte di Sabbioneta. Il 12 novembre dello stesso anno, presente a Verona dove ormai era riconosciuto il suo potere, Rodolfo garantì protezione al monastero veronese di S. Zeno e ne confermò diritti e possessi, onorando una passata richiesta del vescovo di Verona Guido, che nel frattempo era stato inumato nel monastero. Sempre il 12 novembre e sempre da Verona confermò cinque curtes al monastero di S. Sisto di Piacenza. Nella medesima circostanza garantì protezione e privilegi della Chiesa di Padova. Il 5 dicembre 924 era a Pavia, da dove donò al fedele Oberto il Castellum Vetus di Asti, insieme con la chiesa di S. Ambrogio. In un giorno indefinito del 924 concesse al vescovo Guido di Piacenza una parte delle «mura pubbliche» della sua città insieme con un tratto dell’adiacente via publica. Si ha poi notizia di un importante diploma del 28 febbraio 925 indirizzato da Pavia ai veneziani e al loro duca Urso: il contenuto riguarda conferme di possessi, dell’immunità, della potestas distringendi, della libertà di circolazione e di commercio, con l’aggiunta del diritto di coniare moneta. Partecipanti, intercessori e destinatari di questo gruppo di atti forniscono un quadro dei seguaci italiani, vecchi e nuovi, del re: Beato vescovo di Tortona (divenuto nel frattempo arcicancelliere), Aicardo vescovo di Parma, la contessa Ermengarda (con i figli Berengario e Anscario, della dinastia marchionale di Ivrea), il marchese Bonifacio, l’arcivescovo di Milano Lamberto, Adalberto vescovo di Bergamo, i conti Giselberto e Guglielmo.

In questi anni Rodolfo alternava le presenze nei due regni di Borgogna e d’Italia sottoposti al suo governo. Nel regno di famiglia risulta attivo nel comitato di Ginevra nel gennaio del 926; fra il 927 e il 930 diede il suo consenso ad atti del vescovo di Losanna e dei monaci di St.-Maurice d’Agaune e, forse nel 932, approvò le ordinazioni vescovili di Losanna, Belley e Sion da parte dell’arcivescovo di Besançon. Il fronte italiano, dopo Fiorenzuola, sembrava almeno provvisoriamente pacificato per quanto riguardava le lotte per il trono. Certo non era un periodo pacifico, se nel 924 gli Ungari saccheggiarono e devastarono la pianura Padana e la capitale Pavia. Nel medesimo anno Rodolfo si preoccupò maggiormente della difesa del suo regno originario, e stipulò un accordo con il marchese Ugo di Provenza per combattere gli Ungari che si erano spinti a ovest delle Alpi. L’alleanza, dettata dall’emergenza, ebbe successo ma non fu duratura, nonostante Ugo avesse sposato la madre di Rodolfo II, Willa, vedova di Rodolfo I. In quella fase il re di Borgogna e d’Italia consolidò il suo controllo su Aosta, teatro dei suoi frequenti transiti attraverso il valico del Gran San Bernardo e centro di un distretto tradizionalmente gravitante sulla Borgogna anziché sull’Italia: anche se non troviamo mai il vescovo di Aosta al seguito di Rodolfo II.

Si è visto che Rodolfo era ancora presente in Italia nel febbraio del 925. Ma successivamente, nello stesso anno, Ermengarda, vedova di Adalberto marchese di Tuscia e sorellastra di Ugo, promosse un’alleanza tra il fratello Guido di Tuscia e l’arcivescovo di Milano Lamperto, per organizzare una ribellione contro Rodolfo di Borgogna, riuscendo per ben due volte a impedirgli di rientrare nel regno italico. Rodolfo nel 926 concentrò il suo esercito in Italia e chiese aiuto al suocero Burcardo di Svevia, che ad aprile si mise alla guida di truppe di soccorso ma fu ucciso in un’imboscata presso Novara. Dopo quest’ultimo tentativo di rintuzzare l’opposizione, Rodolfo rientrò in Borgogna e lasciò definitivamente l’Italia.

A questo punto i nobili antirodolfingi si allearono con i grandi italici che a suo tempo erano rimasti fedeli a Berengario e offrirono la corona a Ugo marchese di Provenza, che accettò, sbarcò a Pisa e il 6 luglio 926 fu incoronato a Pavia. In questa data e con questa cerimonia l’avventura italiana di Rodolfo era definitivamente conclusa.

Gli obiettivi di Rodolfo tornarono quelli precedenti: rafforzare la propria presenza nel regno della Borgogna Transgiurana ed espandersi ai suoi confini. Nel novembre del 926, in un’assemblea di Worms, donò al re teutonico Enrico I la Santa lancia, solennizzando così la sua rinuncia all’Italia, e ricevendo in cambio la conferma dei territori di là dall’Aar. Nel 927, per la prima volta, il vescovo di Basilea compare al seguito di Rodolfo II: è il periodo in cui il confine settentrionale del regno borgognone risulta essersi spinto fino al Reno.

Fu inutile un tentativo di un gruppo di nobili italiani, che fra il 931 e il 933 si recarono in Borgogna per convincere Rodolfo a impegnarsi nuovamente in Italia. Probabilmente ebbe maggiore efficacia la proposta di Ugo d’Arles che, ormai coinvolto a fondo sul fronte italiano, dopo il 931 offrì al re borgognone territori provenzali in cambio di una rinuncia definitiva all’Italia.

Si hanno conferme di questa espansione verso sud, nel Bugey e nel Viennese. Con un diploma del 932 Rodolfo II stabilì che il vescovo Gerolamo del Belley (diocesi fino ad allora provenzale) fosse consacrato con quelli transgiurani di Ginevra e di Sion: è da notare che già nel 927 il vescovo del Belley Elisacario aveva partecipato a un’assemblea transgiurana come suffraganeo dell’arcivescovo di Besançon. Dovevano contare molto i rapporti personali: Gerolamo era stato protocancelliere di Rodolfo I e poi redattore di un atto italiano di Rodolfo II. Nel 933 la richiesta di fedeltà alla città di Vienne da parte del re della Francia occidentale (Rodolfo) conferma che ormai c’era concorrenza su quella regione con Rodolfo II di Borgogna. Inoltre antichi fedeli di Ugo di Provenza riconobbero come re Rodolfo II, provocando un nuovo intervento del re francese.

Il cronista Flodoardo informa di un patto di amicizia, stipulato nel giugno del 935 ai piedi delle Ardenne, tra i re di Francia, Germania e Borgogna. Intanto Rodolfo II aveva acquisito definitivamente Vienne e la Provenza (l’obituario di Vienne indica Rodolfo II come il primo che regna sulla Provenza). Persino un atto del nuovo re italico Ugo, redatto a Pavia nel 936, colloca il comitato di Vienne entro il regno di Borgogna. Ed è denso di significato il fatto che nel 938 (quando Rodolfo II era già morto) il vescovo provenzale di Embrun avesse scelto come luogo di ritiro l’abbazia rodolfingia di St.-Maurice d’Agaune. Intanto, mentre la città di Lione rimaneva sottomessa al re di Francia, la regione circostante era dominata da Ugo il Nero, parente e fedele del re di Borgogna, che contrastava l’egemonia del re francese.

Fra il nucleo solido dei territori transgiurani e gli ampliamenti a nord-est e a sud-ovest, Rodolfo II resse il regno di Borgogna nella sua provvisoria maggiore estensione, convivendo con i potenziamenti politici in corso dei vescovi di Besançon, Lione e Vienne e continuando l’antica pratica borgognona della corte itinerante fra le sedi di Basilea, St.-Maurice d’Agaune, Vienne e, sporadicamente, Arles. Mentre nel caso del regno italico aveva aggiunto formalmente una nuova corona a quella di Borgogna, nel caso della Provenza aveva realizzato un’espansione territoriale di fatto, non l’acquisizione di una nuova carica regia.

Rodolfo morì alla fine del 937, in un anno travagliato: gli Ungari avevano distrutto l’abbazia di Lure e saccheggiato quella di Savigny, ma non erano entrati nel cuore transgiurano del regno di Borgogna. Il figlio Corrado, ancora in giovanissima età, mantenne soltanto la parte tradizionale del regno, sotto la tutela del re teutonico Ottone I. La vedova di Rodolfo II, Berta, sposò il 12 dicembre 937 Ugo di Arles, che non ebbe difficoltà a riacquisire il pieno controllo della Provenza.

Tra gli altri figli di Rodolfo la più famosa fu indubbiamente Adelaide, che nel 947 si unì in matrimonio a Lotario, re italico figlio di Ugo di Provenza, e, dopo la morte del primo marito, sposò nel 951 Ottone I. Abbiamo inoltre notizie dei figli Burcardo (vescovo di Losanna e poi arcivescovo di Lione), Giuditta (monaca di Cluny) e Rodolfo, destinato a succedere, come terzo di quel nome, al fratello Corrado sul trono di Borgogna, sempre più sotto la tutela del regno teutonico.

Il quinquennio italiano di Rodolfo II è espressione del suo vigore politico e della sua particolare intraprendenza militare, che lo segnalano come il più incisivo tra i Rodolfingi. Non poté mai contare su truppe borgognone di particolare consistenza (è una delle spiegazioni della sconfitta di Winterthur), ma seppe mettere a frutto gli efficaci legami parentali dei Welfen (in Italia non ebbe solo alleanze locali, ma fu aiutato anche da aristocratici provenienti dal Nord e dall’Austrasia, importanti nella vittoria di Fiorenzuola). Le cronache accusano Berengario del Friuli di aver usato milizie ungare e Ugo di Provenza di aver fatto ricorso a Saraceni: nulla del genere affiora per Rodolfo II.

Oltre a trattare da pari con i re di Germania e di Francia, conferì una solida continuità alla zona transgiurana del suo regno, modificando la composizione della locale aristocrazia, su cui intervenne in modo differenziato. Non importò figure eminenti del regno italico, si accontentò di avere al suo seguito nobili provenzali soltanto nelle sue presenze meridionali, ma operò un forte ricambio del ceto funzionariale rispetto agli anni del padre Rodolfo I e attrasse aristocratici dalla vicina Svevia. Dopo la morte di Rodolfo II la dinastia rodolfingia di Borgogna non mantenne alcuna ambizione italiana e accentuò la ricerca di protezione da parte del regno teutonico.

Fonti e Bibl.: Annales Alamannici, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, I, Hannover 1826, p. 65; Annales Sangallenses maiores, ibid., pp. 72-85, ad annos 918, 919, 932; Ekkehardi Casus sancti Galli, a cura di I. von Arx, in MGH, Scriptores, II, Hannover 1829, pp. 74-147 (in partic. p. 104); Herimanni Augiensis Chronicon, a cura di G.H. Pertz, in MGH, Scriptores, V, Hannover 1844, pp. 97-133 (in partic. pp. 112 ss., ad annos 913, 917); Annales Sancti Rudberti Salisburgensis, a cura di W. Wattenbach, in MGH, Scriptores, IX, Hannover 1851, pp. 758-843, ad annum 918; G. von Wyss, Geschichte der Abtei Zürich, in Mitteilungen der antiquarischen Gesellschaft in Zürich, VIII, Zürich 1858, p. 23, doc. 23; Régeste, soit répertoire chronologique des documents relatifs à l’histoire de la Suisse romande, a cura di F. Forel, Lausanne 1862, nn. 114, 115, 116, 122, 123, 124, 127, 128; Chartes de l’abbaye de Cluny, a cura di A. Bernard - A. Bruel, Paris 1876-1904, I, pp. 358-361, doc. 379; p. 436, doc. 446; p. 437, doc. 447; p. 579, doc. 622; p. 588, doc. 631, II, p. 218, doc. 1127; MGH, Heinrici I diplomata, a cura di T. Sickel, Hannover 1879-1884, p. 48, doc. 11; Flodoard de Reims, Annales, a cura di Ph. Lauer, Paris 1905, pp. 7-9, 15-23, 35, 61, 68, 197-202, 210-214; I diplomi italiani di Ludovico III e di Rodolfo II, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1910, pp. 96-143, docc. 1-12; I diplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1924, p. 131, doc. 43; Cartulaire du chapitre de Notre-Dame de Lausanne, a cura di Ch. Roth, Lausanne 1948, p. 50; Costantino Porfirogenito, De administrando imperio, a cura di G. Moravcsik - R.J.M. Jenkins, Washington 1967, cap. 26, pp. 110-112; Adalberti continuatio Reginonis, in Fontes ad historiam aevi Saxonici illustrandam, a cura di A. Bauer - R. Rau, Darmstadt 1977, pp. 198-204; Liutprandi liber Antapodoseos, ibid., pp. 298-428; Widukind, Res gestae Saxonicae, ibid., p. 78; MGH, Regum Burgundie e stirpe Rudolfina diplomata et acta, a cura di Th. Schieffer - H.E. Mayer, München 1977, pp. 8-12, 123-130, docc. 22-26.

R. Poupardin, Le royaume de Bourgogne (888-1038), Paris 1907, pp. 29-65, 364 ss.; H. Büttner, Heinrichs I. Südwest- und Westpolitik, Konstanz-Stuttgart 1964, p. 55; J.P. Poly, La Provence et la société féodale (879-1169), Paris 1976, pp. 11, 23-32; V. Fumagalli, Il regno italico, Torino 1978, pp. 190-193, 278; M. Borgolte, Die Grafen Alemanniens in merowingischer und karolingischer Zeit, Sigmaringen 1986, pp. 29, 81, 86, 266, 270; E. Hlawitschka, Stirps regia. Forschungen zu Königtum und Führun-geschichten im frühen Mittelalter, Frankfurt-Bern 1988, pp. 299-311; B. de Vregille, Besançon et Lausanne. Métropoli-tains et suffragants des origines au XIe siècle, in Zeitschrift für Schweizerische Kirchengeschichte, LXXXII (1988), pp. 77-88; G. Castelnuovo, L’aristocrazia del Vaud fino alla conquista sabauda (inizio XI-metà XIII secolo), Torino 1990, p. 30; G. Sergi, Istituzioni politiche e società nel regno di Borgogna, in Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X, Spoleto 1991, pp. 205-236; R. Le Jan, Famille et pouvoir dans le monde franc (VIIe-Xe siècle). Essai d’anthropologie sociale, Paris 1995, pp. 289-297; J.D. Morerod, «Sous le regard de la Vierge Marie»: la formation du pouvoir temporel des évéques de Lausanne (IXe-XIVe siècle), Lausanne 1995, p. 83; P. Cammarosano, Nobili e re. L’Italia politica dell’alto medioevo, Roma-Bari 1998, pp. 234-242, 257, 268; C. Brittain Bouchard, Burgundy and Provence, 879-1032, in The new Cambridge Medieval history, III, c. 900-c. 1024, a cura di T. Reuter, Cambridge 1999, pp. 340-342; P. Ganivet, Recherches sur l’évolution des pouvoirs dans les pays lyonnais de l’époque carolingienne aux lendemains de l’an mil, Clermont-Ferrand 2000, p. 192; G. Sergi, L’unione delle tre corone teutonica, italica e borgognona e gli effetti sulla valle d’Aosta, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, CIII (2005), pp. 5-37; F. Demotz, La Bourgogne, dernier des royaumes carolingiens (855-1056). Roi, pouvoirs et élites autour du Léman, Lausanne 2008, pp. 62-77, 207-253; G. Castelnuovo, Élites, pouvoirs et noblesses de part et d’autre des Alpes (XIIe-XVe siècles), III, Paris 2011, pp. 219-262; G. Sergi, Gerarchie in movimento. Spazi e progetti medievali fra Italia ed Europa, Spoleto 2013, pp. 5 ss., 10; L. Ripart, Les temps séculiers (IXe-Xe siècles), in L’abbaye de Saint-Maurice d’Agaune, I, Histoire et archéologie, a cura di B. Andenmatten - L. Ripart, Gollion 2015, pp. 135-149.

TAG

Costantino porfirogenito

Berengario del friuli

Borgogna transgiurana

Arcivescovo di milano

Rodolfo di borgogna