Reazioni chimiche, dinamica delle

Enciclopedia del Novecento II Supplemento (1998)

Reazioni chimiche, dinamica delle

Vincenzo Aquilanti e Gian Gualberto Volpi

Sommario: 1. Introduzione. 2. Generalità. 3. Definizioni e modelli: a) sezioni d'urto per collisioni reattive; b) dalle sezioni d'urto alle costanti di velocità. 4. Aspetti teorici: a) generalità sulla dinamica delle collisioni; b) classificazione delle collisioni; modelli classici. 5. Tecniche sperimentali. 6. Fenomenologia. 7. Dalla dinamica dei processi elementari alla modellistica dei sistemi complessi. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Le ricerche sperimentali e teoriche sulla dinamica delle reazioni chimiche hanno l'obiettivo di caratterizzare gli eventi reattivi a livello molecolare e di chiarire come le quantità osservabili dipendano dalla natura e dalla distribuzione nei reagenti e nei prodotti di alcune grandezze fisiche: velocità, energia interna e momento della quantità di moto.

In questo campo di indagine le grandezze osservabili sono le costanti di velocità e le sezioni d'urto definite nel cap. 3. Il dettaglio con cui queste quantità possono essere misurate dipende fortemente dal sistema in esame e soprattutto dal progresso delle tecniche sperimentali. Un altro importante aspetto delle ricerche in questo campo è quello che riguarda la possibilità di correlare i fenomeni osservabili con le forze d'interazione intermolecolari (superfici di energia potenziale), al di là dei semplici modelli della cinetica chimica. Questi ultimi due temi formeranno l'oggetto dei capp. 4 e 5, mentre nel cap. 6 verranno brevemente illustrati alcuni aspetti dell'ampia fenomenologia che si è andata accumulando; la scelta degli esempi è stata peraltro limitata a processi semplici in fase gassosa, che sono tuttavia rappresentativi delle tecniche sperimentali e interpretative modernamente in uso nello studio di sistemi più complessi (v. cap. 7). Infine, si rinvia alla bibliografia per quanto riguarda le prospettive e i problemi che si aprono nel portare avanti il programma che si propone di descrivere sistemi complessi di interesse macroscopico a partire dalla caratterizzazione della dinamica dei processi elementari.

2. Generalità

Lo studio della velocità delle reazioni chimiche (v. Bonino, 1931; v. Rolla, 1948; v. Aquilanti e Mele, 1992) è di primaria importanza non solo dal punto di vista della ricerca fondamentale - per approfondire la conoscenza della struttura della materia e delle leggi che la governano - ma anche da quello applicativo. Citiamo, per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, le prospettive che questi studi aprono nella preparazione di nuovi composti e nella comprensione dell'evoluzione di sistemi complessi (processi di combustione, atmosfere planetarie, plasmi) e delle modalità dei trasferimenti di energia nelle reazioni chimiche.

Storicamente, la cinetica chimica diventa un capitolo importante della chimica sin dalla metà del secolo scorso. All'inizio l'attenzione viene rivolta alla determinazione delle leggi che governano le velocità delle reazioni e la loro dipendenza da grandezze quali le concentrazioni delle specie reagenti e la temperatura del sistema. Un successivo stadio di queste ricerche riguarda la determinazione del meccanismo delle reazioni chimiche (v. reazioni chimiche, vol. VI), cioè la caratterizzazione di complesse reazioni come combinazione di processi elementari. Il terzo stadio consiste nell'interpretazione del processo macroscopico come risultante di più processi microscopici.

Mentre si è dovuto attendere il primo quarto del XX secolo per interpretare le reazioni monomolecolari in termini di trasferimento intermolecolare e di ridistribuzione dell'energia nei moti intramolecolari, fin dagli inizi è risultato evidente il ruolo delle collisioni tra molecole reagenti nelle reazioni bimolecolari. La legge generale che descrive la dipendenza dalla temperatura assoluta T della costante di velocità k (S. Arrhenius, 1884),

k = A exp (-Ea/RT) (1)

(ove R è la costante dei gas e il fattore A varia poco con la temperatura; v. cinetica chimica, vol. I, capp. 1 e 2; v. anche Bonino, 1931) e il significato attribuito all'energia di attivazione, Ea, come la quantità minima di energia che le molecole devono possedere per poter reagire, possono essere considerati come l'atto di nascita della dinamica delle reazioni chimiche intesa come studio del moto degli atomi e delle molecole nel singolo evento reattivo.

L'analogia con i semplici modelli microscopici a fondamento della teoria cinetica dei gas, modelli che riproducono soddisfacentemente la fenomenologia macroscopica, appare evidente, anche se la grande varietà di comportamento riscontrata nelle reazioni chimiche richiede l'introduzione di una maggiore complessità delle interazioni in gioco e implica quindi la necessità di adottare modelli e teorie adeguate. Si è dovuto quindi attendere la fine degli anni venti e l'inizio degli anni trenta del nostro secolo perché la dinamica delle reazioni chimiche potesse avere solide basi teoriche a seguito dell'applicazione della meccanica quantistica; mentre soltanto dagli anni sessanta si sono rese disponibili le tecniche sperimentali che permettono lo studio delle reazioni a livello microscopico. Da allora la dinamica delle reazioni chimiche è diventata uno degli argomenti di punta della ricerca chimica: il suo studio ha impegnato un numero sempre maggiore di ricercatori e ha visto riconosciuta la sua importanza con l'assegnazione nel 1986 del premio Nobel per la chimica a Dudley R. Herschbach, Yuan T. Lee e John C. Polanyi. La quantità di lavori pubblicati sulle riviste scientifiche specializzate è andata sempre più aumentando nel tempo: in questo articolo ci si limiterà alla presentazione della tematica nelle sue linee più generali e ad alcuni esempi più significativi relativi a reazioni chimiche semplici in fase gassosa. (Per una trattazione più completa e per un'ampia bibliografia fino al 1986, v. Levine e Bernstein, 1987; per una trattazione più approfondita e per una bibliografia più aggiornata si suggeriscono articoli specifici più recenti: v., ad esempio, Parker e Bernstein, 1990; v. Khundkar e Zewail, 1990; v. Ng e Baer, 1992; v. Casavecchia e altri, 1995).

3. Definizioni e modelli

a) Sezioni d'urto per collisioni reattive

L'evento reattivo è spesso un problema a tre centri; reazioni a quattro centri sono rare e rarissime quelle a più di quattro centri (per le reazioni complesse della chimica organica - ‛concertate', ‛specifiche', ecc. - v. reazioni chimiche, vol. VI).

Per definire una collisione reattiva a tre centri, scriviamo dunque:

A + BC → (A•••B•••C) → AB + C,

dove A, B e C sono atomi o radicali. Si consideri un esperimento ideale in cui un flusso di particelle A (di massa mA) incide su BC (di massa mBC) con energia cinetica relativa, E = ∀μv2, dove v è la velocità relativa di A e BC, e μ = (mAmBC)/(mA + mBC) è la loro massa ridotta (v. cap. 6 per configurazioni sperimentali di questo tipo). Gli stati quantici delle specie in gioco sono indicati, collettivamente, con gli indici i per i reagenti e f per i prodotti, a identificare gli stati elettronici, vibrazionali, rotazionali e l'eventuale polarizzazione, quest'ultima riferita all'orientazione delle specie che si avvicinano, all'inizio della reazione, o si allontanano, al termine. Poiché sperimentalmente non è in generale possibile controllare il momento della quantità di moto della collisione L (definito quantisticamente come L = (h/2π) √ ℓ (ℓ + 1), dove h è la costante di Planck e ℓ il numero quantico orbitale o, classicamente, come L = μvb, dove b è il parametro d'urto: v. fig. 1), le grandezze misurabili risultano dal contributo di collisioni corrispondenti a tutti i possibili valori di L.

In dinamica, le grandezze misurabili associate alla probabilità di un evento reattivo sono le sezioni d'urto, il cui significato viene illustrato con riferimento a una configurazione sperimentale in cui due fasci molecolari (v. cap. 6) dei reagenti A e BC si incrociano in un volume τ con velocità relativa v (v. Levi, Fasci..., 1993).

Il numero N di particelle di uno dei prodotti misurato a un valore di angolo solido Ω, nel sistema del baricentro e con risoluzione dΩ, può essere scritto in forma differenziale rispetto al tempo t come:

dN/dt = σi,f (E,Ω) vnAnBC τdΩ,

dove nA e nBC sono le densità delle particelle reagenti, e σi,f (E, Ω) è la sezione d'urto differenziale della reazione dallo stato i allo stato f. Questa grandezza ha una grande importanza nella caratterizzazione della dinamica delle reazioni chimiche.

Integrando la sezione d'urto differenziale su tutto l'angolo solido Ω si ottiene la sezione d'urto totale o integrale Qif (E), che è una misura della probabilità complessiva dell'evento reattivo, ottenibile direttamente mediante varie configurazioni sperimentali.

b) Dalle sezioni d'urto alle costanti di velocità

La sezione d'urto totale Qif (E), è legata alla costante di velocità microcanonica dalla relazione kif (E) = vQif (E). Qualora le velocità dei reagenti seguano una distribuzione di Maxwell-Boltzmann, la media su tale distribuzione 〈−k−if (−E−) 〉 = kif(T) è la costante di velocità ‛da stato a stato'.

La somma delle costanti kif (T) su tutti i possibili valori di f e la media sulla eventuale distribuzione di i danno la costante di velocità k (T), che è la grandezza misurabile negli esperimenti macroscopici (v. cinetica chimica, vol. I, capp. 1 e 2).

In un esperimento di dinamica è praticamente impossibile controllare contemporaneamente i numerosi parametri importanti, quali velocità, stati interni e orientazione di reagenti e prodotti, e quindi sono necessari processi di media, ciascuno dei quali toglie parte delle informazioni contenute nella sezione d'urto differenziale. Si ottengono pertanto sezioni d'urto differenziali o integrali per insiemi di particelle, per i quali alcuni dei gradi di libertà possono non essere univocamente definiti. Ciò complica l'interpretazione degli esperimenti, ma è innegabile che le misure di sezioni d'urto contengano sempre qualche informazione in più rispetto alle misure di velocità di reazione: queste ultime implicano per definizione il concetto di temperatura e quindi distribuzioni canoniche di tutti i gradi di libertà traslazionali e interni di reagenti e prodotti. Pertanto, le costanti di velocità sono sempre ottenibili, almeno in via di principio, mediando le sezioni d'urto secondo distribuzioni di Boltzmann su quei gradi di libertà che non si è riusciti a controllare, mentre il processo inverso (e cioè una deconvoluzione da costanti di velocità a sezioni d'urto) non è evidentemente possibile. È anzi necessario introdurre esplicitamente le sezioni d'urto per interpretare le velocità dei processi reattivi o di trasporto nelle condizioni in cui l'ipotesi dell'equilibrio termico non è verificata, nelle condizioni, cioè, in cui la temperatura non è un parametro significativo.

Il più semplice modello microscopico che illustra la dinamica delle reazioni chimiche elementari è quello secondo il quale si considera che la reazione avvenga con probabilità indipendente da v, i, e f, ma che dipenda solo dal requisito che i reagenti si avvicinino con un parametro d'urto b inferiore a una distanza b0 che è dell'ordine della somma dei raggi delle molecole, approssimate come sfere (ipotesi delle sfere rigide). La sezione d'urto totale, che in questo modello è indipendente dall'energia di collisione, è uguale a πb²0: si può facilmente dimostrare, mediando su una distribuzione di Maxwell-Boltzmann, che in questo caso la costante di velocità risulta dipendere molto poco dalla temperatura (k(T) ∝ T1/2), in disaccordo con l'esperienza la quale mostra che per molte reazioni tale dipendenza è esponenziale (v. eq. 1).

La dipendenza della probabilità dell'evento reattivo dall'energia di collisione può essere introdotta nella maniera più semplice ipotizzando che il requisito per la reattività sia non soltanto che i reagenti si avvicinino a una distanza inferiore a b0, come nel modello precedente, ma anche che l'energia di collisione sia superiore a un determinato valore di soglia E0: come vedremo, questo valore di soglia per l'energia rappresenta l'interpretazione microscopica dell'energia di attivazione Ea che compare nell'equazione di Arrhenius (v. eq. 1) e che descrive la dipendenza dalla temperatura della velocità dei processi macroscopici. Se dunque si assume che la sezione d'urto totale sia una funzione a gradino dell'energia - e cioè uguale a zero per E E0 e uguale a πb²0 per E E0 - si ottiene:

k (T) = πb²0 (8kBT/πμ)1/2 (1 + E0/kBT) exp (-E0/kBT),

dove kB è la costante di Boltzmann, legata alla costante dei gas R dal numero di Avogadro N (kB = R/N).

Il più semplice modello microscopico adeguato a interpretare la legge di Arrhenius (v. eq. 1) si ottiene introducendo nel modello delle sfere rigide la condizione che la reazione abbia luogo solo se l'energia di collisione, lungo la linea che unisce i centri delle sfere rigide, supera il valore di soglia E0: in questo caso la sezione d'urto totale risulta essere uguale a zero per E E0 e uguale a πb²0 [1 - (E/E0)2] per E E0; si ottiene anche

k (T) = A (T) exp (- E0/kBT), (2)

in sostanziale accordo con l'equazione (1) se si identifica l'energia di attivazione con l'equivalente macroscopico dell'energia di soglia e ponendo Ea = NE0.

I modelli oggi utilizzati dalla dinamica delle reazioni chimiche vanno al di là di queste forme semplici di sfere rigide e considerano esplicitamente forme più realistiche per le interazioni in gioco. Ad esempio, le reazioni che non presentano energia di attivazione possono essere interpretate mediante modelli a due corpi che interagiscono a lunga distanza nei quali l'interazione può essere approssimata da V (r) ∝ r-s (s > 2) (v. Levi, Interazioni..., 1993) e l'unico ostacolo alla reazione è il superamento da parte dei reagenti di una barriera centrifuga di altezza Eb2/r2, dove E è l'energia cinetica e b è il parametro d'urto della collisione. Questo modello è stato applicato, da G. Gioumousis e D. P. Stevenson (v., 1958) negli Stati Uniti, alle reazioni tra ioni e molecole neutre (s = 4) e la sezione d'urto di queste reazioni assume la semplice espressione σ = π (2α/ET)1/2 (dove α è la polarizzabilità della molecola), mentre la costante di velocità specifica, k, risulta in questo caso non dipendere dalla temperatura. Per molte di queste reazioni si osserva la debole diminuzione della sezione d'urto in dipendenza dall'energia di collisione prevista dal modello; anche i valori numerici delle sezioni d'urto calcolate sono in molti casi in discreto accordo con i dati sperimentali.

4. Aspetti teorici

a) Generalità sulla dinamica delle collisioni

Le proprietà dinamiche della materia (reazioni chimiche e proprietà di trasporto) sono manifestazioni macroscopiche di collisioni che avvengono a livello atomico e molecolare e sono descritte dalle leggi generali che regolano tali collisioni. Lo studio delle proprietà statiche (strutture degli atomi, delle molecole, degli stati aggregati) ha infatti ampiamente dimostrato che tali leggi fondamentali sono quelle della meccanica quantistica, che tendono al limite classico per lunghezze d'onda molto piccole. L'interpretazione delle collisioni atomiche e molecolari sulla base dei ‛primi principî' non è quindi altro che un problema di applicazione della meccanica quantistica, applicazione che tuttavia è ostacolata da enormi difficoltà di calcolo, data la complessità dei sistemi interessati nella pratica. Questa complessità si riflette nella dipendenza delle equazioni del moto da un numero elevatissimo di coordinate (tre per ogni elettrone e nucleo), cosicché si tratta in generale di problemi a dimensionalità tali da scoraggiare ogni tentativo di soluzione esatta.

D'altra parte, fino alla metà di questo secolo, le informazioni sperimentali disponibili erano fornite da esperimenti su proprietà macroscopiche, e quindi costituite da quantità (costanti di velocità, coefficienti di trasporto) mediate su un numero enorme di collisioni distribuite, nella migliore delle ipotesi, su sistemi canonici; quindi, le approssimazioni dei modelli che venivano usati potevano considerarsi già soddisfacenti a un livello abbastanza basso: era sufficiente, cioè, arrestare il calcolo quando si era ancora ben lontani dall'affrontare direttamente il problema dinamico delle singole collisioni.

L'importante cambiamento avvenuto negli ultimi decenni è dovuto in gran parte all'avvento di tecniche sperimentali (raggi molecolari, spettroscopie risolte in tempi molto brevi e dell'ordine dei moti intermolecolari) che permettono di studiare la dinamica di collisioni singole. In casi favorevoli, tali dati possono essere invertiti per ottenere informazioni sulle forze d'interazione, e fornire così un ponte tra fatti osservati e ‛primi principî'. Il programma attuale della cinetica chimica sperimentale, come si è visto nel cap. 2, consiste dunque nel fornire dati sempre più accurati sulla dinamica dei processi elementari, mentre la teoria deve fornire metodi di approssimazione sempre più raffinati.

Occorre premettere subito che la teoria delle collisioni costituisce un campo estremamente vasto della fisica teorica: infatti, le tecniche collisionali, se rappresentano un metodo d'indagine di recente sviluppo in cinetica chimica, costituiscono invece praticamente l'unico metodo d'indagine in fisica nucleare e particellare. Se poi si tiene presente che in definitiva ogni nostra informazione sulla materia è il risultato di collisioni tra particelle elementari, si comprende come negli anni quaranta W. Heisenberg e altri abbiano proposto di fondare ogni teoria fisica sulla teoria delle collisioni, considerata come l'unica teoria in cui gli osservabili sono rigorosamente i parametri dinamici di ogni esperimento.

Anche se la descrizione dei processi molecolari è riconducibile alla meccanica quantistica, per molti problemi d'interesse può essere sufficiente muoversi nell'ambito del limite classico. Quindi una metodologia spesso interessante per la dinamica chimica consiste nell'impostare classicamente un determinato problema e introdurre successivamente un formalismo quantomeccanico. Si sono infatti sviluppate teorie semiclassiche delle collisioni in cui si parla di particelle che seguono traiettorie classiche e manifestano proprietà ondulatorie solo in certe regioni critiche del loro cammino.

b) Classificazione delle collisioni; modelli classici

Il problema fondamentale della dinamica chimica consiste nella ricerca di relazioni tra le forze che si esercitano a livello molecolare e le grandezze osservabili (per es., le sezioni d'urto). Risalire da queste ultime alle forze di interazione costituisce il cosiddetto ‛problema dell'inversione', solubile soltanto in situazioni talmente semplici da presentare scarso interesse pratico. Più spesso è necessario in primo luogo costruire un modello per le interazioni che, da un lato, sia sufficientemente realistico e, dall'altro, abbastanza trattabile, e quindi impostare il problema dinamico relativo, confrontando infine i risultati con quelli degli esperimenti.

È conveniente classificare i processi di collisione in tre tipi di complessità crescente: 1) ‛collisioni elastiche', per effetto delle quali non ci sono modificazioni negli stati interni delle molecole collidenti, ma solo deflessioni nelle loro traiettorie; 2) ‛collisioni anelastiche', in seguito alle quali uno o più degli stati interni iniziali viene a cambiare, ma le molecole mantengono la loro natura chimica; 3) ‛collisioni reattive', in cui la natura stessa delle molecole viene alterata.

È evidente che, se due molecole possono reagire, parte delle collisioni procederà tuttavia elasticamente o anelasticamente. La loro interazione sarà in generale rappresentata da tanti termini quante sono le interazioni tra ognuno degli elettroni e dei nuclei che le compongono con tutti gli altri elettroni e nuclei. Le superfici di energia potenziale avranno una dimensionalità pari a tre coordinate per ogni nucleo ed elettrone, e per tale ragione possono essere funzioni assai complicate; è quindi importante averne per ogni processo sia una visualizzazione appropriata che una rappresentazione matematica sufficientemente trattabile in termini di quelle coordinate che sono effettivamente cruciali per la descrizione della dinamica delle reazioni. In generale, sono note le caratteristiche delle superfici di energia potenziale per le configurazioni corrispondenti ai reagenti e ai prodotti, e cioè alle situazioni di partenza e di arrivo delle reazioni. Infatti, reagenti e prodotti sono in genere sostanze sufficientemente stabili da poter essere studiate con le tecniche convenzionali dell'analisi chimica e della spettroscopia atomica e molecolare. Assai meno note sono le configurazioni corrispondenti agli stadi intermedi delle reazioni (complessi intermedi o stati di transizione; v. Rolla, 1948).

Per quanto riguarda gli stadi intermedi e la caratterizzazione dei ‛cammini di reazione' tramite i quali i reagenti danno origine a prodotti, è fondamentale il contributo della chimica teorica moderna - il cui strumento principale è la meccanica quantistica della struttura elettronica delle molecole - la quale consente di individuare accuratamente le modificazioni geometriche che avvengono a livello molecolare nel corso delle reazioni chimiche e di classificare le simmetrie dominanti; peraltro, dato che le previsioni della chimica teorica per quanto riguarda le caratteristiche energetiche fondamentali per la dinamica delle reazioni (esotermicità o endotermicità, energia di attivazione) non sono ancora sufficientemente accurate, per queste grandezze si fa ricorso a modelli totalmente o parzialmente empirici.

A titolo di esempio, trascuriamo il ruolo delle collisioni elettronicamente anelastiche e, inoltre, interpretiamo ogni atomo contenuto nelle molecole come una particella senza struttura (separazione adiabatica di Born-Oppenheimer). Allora la superficie di energia potenziale (v. Rolla, 1948) viene a dipendere solo dalle coordinate relative degli atomi che vi compaiono: per esempio, nel caso della reazione A + BC → AB + C, avremo una superficie V (rAB , rBC, rCA). Se gli atomi, inoltre, sono considerati particelle classiche, il problema si può impostare scrivendo le equazioni differenziali del moto della meccanica classica. Si tratta evidentemente di un problema in cui devono considerarsi almeno tre corpi, e ciò richiede in ogni caso una notevole mole di lavoro numerico. Il risultato è naturalmente una serie di traiettorie sulla superficie V (per es., tre funzioni rAB (t), rBC (t), rCA (t) a loro volta funzioni delle condizioni iniziali, come la velocità relativa, la velocità e la fase iniziali della rotazione di BC, l'energia vibrazionale di BC, ecc.). Per individuare l'esito finale della collisione, occorre esaminare per ogni traiettoria il suo comportamento asintotico per t →∞, determinando, per esempio, le velocità relative e l'energia interna dei prodotti.

A partire dagli anni sessanta, grandi passi avanti sono stati compiuti in questa direzione. La fig. 4 mostra uno dei primi studi dettagliati di traiettorie tipiche per la reazione H + H2, ottenute con una superficie di energia potenziale realistica. Effetti elastici, anelastici e reattivi possono evidentemente essere riprodotti da questo tipo di calcoli.

La possibilità di trattare accuratamente il problema della dinamica di una reazione chimica elementare come problema quantomeccanico dell'interazione fra tre corpi è emersa negli anni settanta, grazie all'avvento di strumenti di calcolo sempre più potenti. Ove confronti sono stati possibili, si è concluso che le tecniche basate esclusivamente sulla meccanica classica - e che trascurano quindi effetti quantomeccanici di interferenza, effetto tunnel, risonanze - forniscono in generale una stima accettabile per le costanti di velocità, purché non si abbia a che fare con reazioni coinvolgenti atomi di idrogeno, mentre è necessario un approccio esplicitamente quantomeccanico per la previsione accurata di sezioni d'urto. A tale scopo sono stati sviluppati procedimenti intermedi, generalmente designati come ‛semiclassici', in cui la dinamica sulle superfici di energia potenziale è descritta come moto essenzialmente classico dei nuclei, ma gli effetti quantistici sono introdotti mediante teorie che tengono conto esplicitamente del comportamento ondulatorio nel regime di lunghezze d'onda piccole rispetto alle dimensioni molecolari.

Per quanto riguarda la trattazione di problemi più complicati di quelli delle reazioni a tre centri fin qui considerati, l'uso di tecniche classiche, semiclassiche o statistiche è necessario, vista la difficoltà di affrontare direttamente la soluzione delle equazioni della meccanica quantistica in tali casi.

Come già visto nel cap. 3, § b, molti processi reattivi che non presentano apprezzabile energia di attivazione sono determinati da interazioni a lungo raggio. In tali casi, la dinamica delle collisioni reattive può essere interpretata da modelli essenzialmente a due corpi (‛modelli di cattura'), che possono essere considerati come una estensione dei modelli a sfere rigide. In questa classe di modelli l'interazione tra le due specie reagenti è interpretabile come perturbazione reciproca e, se almeno una delle due specie è carica, porta a forze d'attrazione di tipo elettrostatico: si può perciò individuare una regione, critica per la reazione, corrispondente a distanze maggiori della somma dei raggi delle molecole, ove si verificano transizioni tra differenti superfici di energia potenziale, corrispondenti tipicamente a configurazioni intermolecolari che differiscono per la distribuzione degli elettroni (effetto di ‛scambio di carica').

Frequente è anche il caso che la dinamica di un evento reattivo debba essere descritta da più superfici di energia potenziale e sia necessario considerare esplicitamente le transizioni (dette ‛non adiabatiche') tra di esse: queste transizioni sono particolarmente importanti laddove entrino in gioco specie eccitate.

La partecipazione di più stati elettronici molecolari in un processo cinetico elementare è un fenomeno tanto comune quanto difficile da caratterizzare, sia sperimentalmente che teoricamente: la formazione o la distruzione di stati eccitati per collisioni elettronicamente anelastiche sono oggetto di studio sin dalla nascita della spettroscopia atomica e molecolare, e tuttavia molti dei modelli proposti per la spiegazione di queste osservazioni si sono rivelati inadeguati alla luce delle attuali esigenze, anche tecnologiche, di chiarire i meccanismi d'inversione di popolazione, di pompaggio ottico, di effetto laser, ecc.

L'introduzione in questo contesto della tecnica dei raggi molecolari, accoppiata, ove possibile, ai metodi sempre più affinati della spettroscopia ottica, ha aperto di recente, anche per quanto riguarda questi aspetti, nuove prospettive sperimentali: parallelamente, notevoli passi avanti sono stati compiuti nell'elaborazione di coerenti teorie semiclassiche, che siano sufficientemente accurate per la trattazione di questo tipo di problemi.

5. Tecniche sperimentali

Le tecniche sperimentali utilizzate per lo studio della dinamica delle reazioni chimiche possono essere classificate in due grandi categorie: quelle collisionali, la cui caratteristica principale è quella di permettere la misura della distribuzione angolare dei prodotti della reazione, e quelle spettroscopiche, che consentono invece principalmente di determinare lo stato energetico interno dei prodotti.

La fig. 5 illustra schematicamente l'apparecchiatura collisionale nella sua configurazione più classica: quella a fasci molecolari incrociati. Questa tecnica venne utilizzata per la prima volta con successo da E. H. Taylor e S. Datz (v., 1955) negli Stati Uniti ed è stata sviluppata e utilizzata per lo studio di una grande quantità di reazioni chimiche da Herschbach e collaboratori negli anni sessanta e settanta (v. Herschbach, 1993) e da Lee e collaboratori negli anni settanta e seguenti (v. Lee, 1993).

Le tecniche di produzione dei fasci variano a seconda della natura delle specie in gioco (v. Scoles, 1988-1992). In genere uno dei reagenti è una specie chimica stabile, così che il fascio molecolare può essere prodotto per semplice espansione del gas attraverso un foro o una fenditura in una camera da vuoto, con successiva collimazione per mezzo di altre fenditure; si ottiene così un fascio di particelle che procedono in una determinata direzione senza subire interferenza da parte del gas residuo. Se l'espansione avviene da una bassa pressione di stagnazione, tale cioè che il cammino libero medio delle particelle sia più grande delle dimensioni della fenditura di espansione, il fascio ha natura effusiva e la velocità delle molecole segue la legge di distribuzione di Maxwell-Boltzmann (v. Persico, 1932; v. Cercignani, 1993), con ampia dispersione intorno al valore più probabile v* = (2kBT/m)1/2. Per ottenere un fascio molecolare con bassa dispersione in velocità sarà quindi necessario utilizzare un selettore di velocità, costituito, per esempio, da dischi ruotanti con opportune fenditure.

Se l'espansione avviene invece da una pressione di stagnazione elevata (e cioè con cammino libero medio delle molecole più piccolo delle dimensioni della fenditura di espansione), il fascio assumerà natura supersonica, con velocità delle particelle nella direzione di propagazione che tende, al crescere della pressione di espansione, a un valore limite vmax = v* [γ/(γ - 1)]1/2, dove γ è il rapporto tra i calori specifici a pressione e a volume costanti, e con una componente trasversale della velocità sempre più bassa (≤ 10% della velocità di picco), così che può non essere necessaria una ulteriore selezione di velocità. Le intensità dei fasci supersonici sono molto più elevate di quelle dei fasci effusivi: si può stimare che in un tipico esperimento la densità di un fascio supersonico nella zona di collisione sia dell'ordine di 1015 particelle cm-3 e cioè almeno 100 volte più elevata di quella di un fascio effusivo nelle stesse condizioni. Accanto alla bassa temperatura traslazionale, che può scendere fino a meno di 10 K, si ha una temperatura rotazionale solo leggermente più elevata della temperatura traslazionale e un abbassamento, però non così marcato, della temperatura vibrazionale. L'uso di miscele composte da un componente pesante in un eccesso di gas leggero (miscele ‛seminate', in inglese seeded) porta la velocità del componente pesante a valori molto prossimi a quelli del componente leggero e quindi a valori di energia cinetica più alti dell'energia termica (~ 0,02 eV): per opportuni rapporti di masse dei componenti che formano il miscuglio seminato, possono essere raggiunte energie traslazionali dell'ordine di alcuni eV. Si deve notare che per poter sfruttare i vantaggi dei fasci supersonici è necessario l'impiego di impianti da vuoto di particolare complessità.

Le sorgenti delle specie reattive (atomi o radicali liberi) sono più complesse e variano a seconda della natura delle specie stesse. Sono state impiegate sorgenti a riscaldamento termico (per atomi di metalli alcalini, alcalino-terrosi, alogeni e anche per radicali liberi), a scarica elettrica a microonde o a radiofrequenza (per atomi di idrogeno, ossigeno, azoto, alogeni e per radicali liberi); sempre più diffuse sono le tecniche fotolitiche (in particolare, quelle che fanno uso di radiazioni laser).

In alcuni esperimenti possono essere utilizzate sorgenti pulsate, che producono cioè fasci supersonici transienti della durata di qualche decina di microsecondi e di intensità che può essere 102 ÷ 103 volte più elevata di quella dei fasci supersonici continui. Considerata la loro bassa frequenza di ripetizione, il flusso dei gas immessi nel sistema è molto più basso di quello dei fasci continui, così che le dimensioni dell'impianto da vuoto possono essere drasticamente ridotte. Tuttavia, il loro impiego è particolarmente vantaggioso solo nei casi nei quali questa tecnica è accoppiata con altre - per es., laser - di eccitazione dei reagenti o di rivelazione dei prodotti che abbiano anch'esse carattere impulsivo e che possano essere quindi sincronizzate.

Il rivelatore di fasci molecolari più versatile è lo spettrometro di massa con ionizzazione a bombardamento di elettroni, che opera in condizioni di alto vuoto (~ 10-11 millibar). Per la misurazione di sezioni d'urto differenziali, il rivelatore deve ruotare intorno al centro di collisione. In alcuni esperimenti vengono usate tecniche di ionizzazione più selettive, tra cui ricordiamo la ionizzazione per assorbimento contemporaneo di più fotoni, REMPI (Resonance Enhanced Multi-Photon Ionization) o tecniche spettroscopiche, come la LIF (Laser Induced Fluorescence), che permettono la definizione dello stato vibrorotazionale dei prodotti.

Fra i rivelatori che fino agli anni sessanta hanno avuto un ruolo primario si devono ricordare quelli a ionizzazione superficiale (generalmente un nastro o un filo di metallo con alta funzione di lavoro, quale W o Pt, che portati ad alta temperatura ionizzano con altissima efficienza gli atomi di metalli alcalini e alcalino-terrosi o i loro composti e ne permettono il conteggio), che hanno permesso lo studio sistematico della dinamica delle reazioni chimiche che coinvolgono i metalli. Questi studi, benché condotti con tecniche meno raffinate rispetto alle attuali, hanno gettato le basi della dinamica delle reazioni chimiche elementari.

Un parametro importante negli studi di dinamica è la velocità delle varie specie, che viene in genere ricavata misurando il loro ‛tempo di volo'; ciò è consentito dalle tecniche dell'elettronica moderna per la rivelazione di segnali con alta risoluzione temporale.

Le tecniche spettroscopiche forniscono la possibilità di caratterizzare gli stati interni dei prodotti: un primo esempio è rappresentato dalla misurazione della chemiluminescenza nell'infrarosso dei prodotti ‛nascenti' (e cioè prodotti a pressioni tanto basse e rivelati a tempi così brevi dalla loro produzione da non poter subire collisioni prima di emettere la radiazione caratterizzante i loro stati interni). Da questa tecnica, applicata fin dal 1958 da Polanyi (v., 1993), è possibile ricavare la popolazione degli stati eccitati vibrorotazionali risultanti da particolari processi reattivi. Più generale è l'utilizzazione della tecnica LIF sopracitata (che però richiede che gli stati eccitati abbiano vita media molto breve); altre tecniche alternative basate sull'estensione dei metodi spettroscopici sono state sviluppate di recente.

Nelle tecniche spettroscopiche veloci la reazione viene iniziata con un impulso laser di ‛pompaggio' (pump) che fissa il tempo zero della reazione e caratterizza la sua evoluzione mediante impulsi di ‛sonda' (probe) che eccitano o ionizzano selettivamente i reagenti o i prodotti della reazione. L'evoluzione temporale della reazione, a energia e a stati iniziali e finali definiti, può essere seguita variando i tempi di ritardo tra i due impulsi. La risoluzione temporale di questi metodi è dell'ordine di alcuni femtosecondi (1 fs = 10-15 s) e cioè dello stesso ordine di grandezza del tempo di collisione diretta (v. fig. 4) o del tempo di vita degli stati di transizione di una reazione chimica.

Naturalmente tra queste tipologie limite di tecniche sperimentali c'è tutta una serie di tecniche sperimentali intermedie che spesso possono essere utilizzate per lo studio di reazioni con particolari caratteristiche. Ad esempio, con le tecniche di spettroscopia veloce, impiegando entrambi gli impulsi di pompaggio e di sonda linearmente polarizzati, si possono ottenere informazioni sulla direzione del moto dei prodotti dall'analisi dello spostamento Doppler della fluorescenza indotta dal laser di pompa.

Le reazioni nelle quali sono coinvolte specie cariche hanno caratteristiche particolari. Gli ioni reagenti o prodotti possono essere selezionati - più facilmente che non le specie neutre - mediante spettrometria di massa e l'energia di collisione può essere variata in intervalli piuttosto ampi, soprattutto per energie superiori all'energia termica. La possibilità di guida degli ioni mediante campi a radiofrequenze non omogenei permette inoltre di studiare l'andamento delle sezioni d'urto totali in ampi intervalli di energia di collisione per reazioni di ioni con molecole neutre, sia per collisione in gas stazionari che in fasci molecolari incrociati. La dinamica di queste reazioni può essere studiata anche in sistemi complessi con la FTICR (Fourier Transform Ion Cyclotron Resonance) e la possibilità di produrre gli ioni reagenti in stati ben definiti, grazie all'utilizzazione della ionizzazione a più fotoni MPI (Multi-Photon Ionization), ha consentito di superare gli inconvenienti associati alla difficoltà di definire gli stati interni dei reagenti.

L'effetto sterico, cioè la probabilità di reazione in funzione dell'orientamento relativo dei reagenti, è stato studiato per una serie di reazioni tra metalli alcalini o alcalino-terrosi e molecole ‛top simmetriche' tipo CH3X (dove X è un alogeno) sfruttando la possibilità di orientare le molecole mediante campi elettrici non omogenei (v. Parker e Bernstein, 1990). Tipici risultati sono quelli illustrati nella fig. 8 per la reazione Rb + CH3I, dove la probabilità di reazione in collisioni di ‛testa' (quando l'atomo di rubidio si avvicina alla molecola dalla parte dello iodio) è chiaramente maggiore che nelle collisioni di ‛coda' (quando l'atomo alcalino si avvicina dalla parte del metile). L'affinamento delle tecniche sperimentali ha permesso di estendere gli studi sulla stereospecificità delle reazioni a molecole biatomiche che posseggano momento di dipolo elettrico.

Notevoli prospettive per lo studio della stereospecificità delle reazioni per orientamento dei reagenti o per l'analisi dell'orientamento dei prodotti sono aperte dall'impiego di laser polarizzati negli impulsi di pompaggio e di sonda.

6. Fenomenologia

Uno dei possibili modi di classificazione della dinamica delle reazioni chimiche è quello che fa riferimento al tempo di vita della configurazione intermedia [A•••B•••C]. Nel modo ‛diretto' o impulsivo, il tempo di vita di [A•••B•••C] è piccolo (dell'ordine del picosecondo) rispetto al suo periodo di rotazione e dipende dalle masse e dalle distanze degli atomi. Questo modo porta a una distribuzione angolare dei prodotti molto anisotropa, con il prodotto AB che o ‛rimbalza' nell'emisfero all'indietro, cioè nella direzione opposta a quella di avvicinamento di A, o prosegue nella stessa direzione di A (‛strappamento') nell'emisfero in avanti o lateralmente. Nel modo ‛complesso' la configurazione [A•••B•••C] ha un tempo di vita lungo rispetto al suo periodo di rotazione e la distribuzione angolare dei prodotti mostra una simmetria ‛avanti-indietro' rispetto alla direzione di avvicinamento relativa dei reagenti. Una stessa reazione può presentare entrambi i modi: in generale, al crescere dell'energia di collisione le reazioni nel modo complesso tendono ad assumere le caratteristiche proprie del modo diretto.

La fig. 9 mostra le caratteristiche di una delle reazioni dirette più studiate, F + D2, presentate nella ‛mappa di contorno' (contour map) relativa al prodotto di reazione DF. Si tratta di un diagramma polare avente l'origine nel baricentro del sistema: l'angolo specifica la direzione di allontanamento, il raggio vettore la velocità, e le curve di livello le intensità del prodotto rivelato. Nel diagramma le direzioni di avvicinamento dei due reagenti sono indicate come 0° e 180°. In questa reazione, il prodotto DF rimbalza nel verso opposto a quello di avvicinamento di F, indicando che la configurazione intermedia [D•••D•••F] ha una struttura lineare. DF è prodotto negli stati vibrazionali con V = 1, 2, 3 e 4 che mostrano una netta inversione di popolazione (e cioè una distribuzione notevolmente diversa da quella corrispondente all'equilibrio termico). Questi risultati sono confermati sia dalle misurazioni della chemiluminescenza del DF nascente (v. cap. 5), che da quelle osservate nei laser chimici. Questa è inoltre la reazione grazie alla quale numerosi studi sono riusciti a effettuare un soddisfacente confronto tra calcoli teorici e risultati sperimentali.

Una fenomenologia piuttosto interessante è presentata da tutta una serie di reazioni che coinvolgono atomi di metalli alcalini e molecole di alogeno. Studiate fin dall'inizio degli anni venti, esse hanno mostrato assenza di energia di attivazione, velocità di reazione molto elevate (che corrispondono in qualche caso a sezioni d'urto fino a 2 × 10-14 cm2) accompagnate da una luminescenza così forte da essere chiamate ‛fiamme fredde di Polanyi' (v. Polanyi, 1932). Per queste reazioni è stato avanzato da J. L. Magee (v., 1940) un modello, prima in forma qualitativa e poi semiquantitativa, detto di ‛arpionamento' (harpooning): il modello è ben comprensibile dall'esame della fig. 10A, che si riferisce alla reazione K + Br2. Le due particelle neutre si avvicinano lungo la curva di potenziale covalente che è praticamente costante a lunghe distanze. A una distanza Rx, dove la curva covalente incrocia la curva ionica e dove l'energia coulombiana di interazione degli ioni uguaglia la differenza tra l'affinità elettronica dell'alogeno e l'energia di ionizzazione dell'atomo alcalino, ha luogo un trasferimento di elettrone dal metallo alcalino alla molecola di alogeno, con formazione di una coppia ionica. La forte attrazione coulombiana accelera il moto relativo di K+ e Br−2 e ha luogo la reazione che porta alla formazione di KBr + Br. L'elettrone agisce così da arpione tra il metallo alcalino e la molecola di alogeno: la sezione d'urto Q ~ πR²x è spesso molto elevata perché Rx può essere dell'ordine di parecchie unità in 10-8 cm, e cioè grande rispetto alle dimensioni molecolari. Questo meccanismo è stato confermato dagli studi sperimentali, che hanno mostrato la natura diretta della collisione reattiva (si veda l'asimmetria della distribuzione angolare del prodotto KBr nella fig. 10B) e l'alto livello di eccitazione degli stati vibrazionali del prodotto. È stato anche confermato che il meccanismo di arpionamento ha un ruolo importante in tutte le reazioni dove c'è una marcata differenza di affinità elettronica tra i reagenti.

La reazione HO + CO ⇌ [H•••O•••C•••O] ⇌ H + CO2 è un buon esempio di meccanismo che procede attraverso la formazione di un complesso a lunga vita. Essa è stata studiata in entrambe le direzioni. Nel verso HO + CO è stata impiegata la tecnica dei raggi molecolari incrociati (v. Casavecchia e altri, 1995). Le mappe di contorno per la produzione di CO2 mostrano, oltre alla marcata polarizzazione a 0° e 180° tipica delle reazioni che procedono con formazione di complesso (la più marcata distribuzione in avanti suggerisce che la vita media del complesso è paragonabile al suo periodo di rotazione), anche una notevole eccitazione rotazionale di CO2 (messa in evidenza da una distribuzione angolare quasi isotropa) e una velocità molto elevata dei prodotti stessi. Per lo studio nel verso opposto, H + CO2, sono state impiegate le tecniche della spettroscopia veloce (v. Zewail, 1994). La reazione è stata iniziata da un impulso di pompaggio che fotolizza HI producendo H nel complesso di van der Waals CO2•••HI: l'idrogeno atomico reagisce con CO2 e l'evoluzione della reazione viene seguita con la misurazione della fluorescenza indotta (LIF) dall'impulso di sonda nel prodotto HO. Si sono così potuti ottenere i valori della vita media del complesso HOCO con due tecniche complementari, le quali hanno dato risultati in buon accordo tra loro.

7. Dalla dinamica dei processi elementari alla modellistica dei sistemi complessi

Lo studio della dinamica molecolare nei sistemi che coinvolgono fasi condensate, benché utilizzi tecniche sperimentali e teorico-interpretative basate su principî simili a quelli esposti nei capitoli precedenti, in cui si è fatto esplicito riferimento alla sola fase gassosa, ha avuto uno sviluppo molto ampio nel corso degli ultimi decenni.

Le tecniche dei fasci molecolari e della spettroscopia ultraveloce sono risultate particolarmente utili per la caratterizzazione della dinamica dei processi reattivi che avvengono alle interfasi (v. superfici: Chimica delle superfici, vol. VIII), così come per la caratterizzazione dei processi che coinvolgono aggregazioni molecolari (clusters) di dimensioni sempre crescenti (v. microaggregati, vol. XI). La reattività per sistemi coinvolgenti le superfici e gli aggregati è oggetto di studi dinamici teorici; nelle tecniche utilizzate, un ruolo fondamentale viene svolto dalle simulazioni che fanno esplicito riferimento alla meccanica classica come approssimazione al comportamento quantistico, in generale più difficile da descrivere.

Ulteriori sviluppi recenti, che possono qui essere soltanto menzionati, riguardano i settori fondamentali della chimica delle reazioni nello stato di soluzione, soprattutto acquosa, e della reattività di sistemi inglobati in matrici solide.

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