Regime penitenziario di rigore e colloqui difensivi

Libro dell'anno del Diritto 2014

Regime penitenziario di rigore e colloqui difensivi

Carlo Fiorio

Attraverso la prima declaratoria di illegittimità dell’art. 41 bis l. 26.7.1975, n. 354 (d’ora in avanti: ord. penit.), la Corte costituzionale pone alcuni, fondamentali punti fermi con riferimento all’inviolabilità del diritto di difesa, contribuendo, anche attraverso la metabolizzazione della giurisprudenza di Strasburgo, a declinare con maggior precisione i contenuti dell’art. 24 co. 2 Cost.

La ricognizione. La questione di legittimità costituzionale

Con la sentenza 20.6.2013, n. 1431, la Corte costituzionale ha intaccato, per la prima volta2, il meccanismo delineato dall’art. 41 bis ord. penit., dichiarando l’illegittimità costituzionale del co. 2-quater, lett. b), ultimo periodo, nella parte in cui limita quantitativamente le telefonate ed i colloqui con i difensori3. La questione di legittimità4 aveva preso le mosse da un reclamo cd. generico (artt. 35 e 69 ord. penit.), attraverso il quale un detenuto ristretto in regime carcerario differenziato (art. 41 bis, co. 2, ord. penit.) si doleva del provvedimento con cui la direzione dell’istituto penitenziario aveva respinto l’istanza volta ad ottenere un colloquio visivo con uno degli avvocati di fiducia. Oltre alle limitazioni quantitative previste dalla legge fondamentale di ordinamento penitenziario5, anche il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP), con proprie circolari, aveva precisato che le limitazioni sopra indicate operassero a prescindere dal numero dei procedimenti per i quali il detenuto risulta imputato o condannato e, quindi, dal numero dei difensori nominati, riconoscendo, peraltro, al detenuto la facoltà di effettuare un unico colloquio visivo o telefonico prolungato, della durata rispettivamente di tre ore o di trenta minuti, in luogo dei tre distinti colloqui settimanali di un’ora o di dieci minuti ciascuno6.

Con riferimento alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente richiamava la sentenza costituzionale n. 212/19977, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 ord. penit., nella parte in cui non prevede che il condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della pena. In tale prospettiva, lo stesso giudice rilevava come la diversa disciplina, di maggior rigore, riservata ai detenuti sottoposti al regime speciale violerebbe plurimi parametri costituzionali (artt. 3, 24, co. 2, e 111 Cost.), rinvenendo fondamento non già in una sostanziale diversità delle esigenze difensive, ma nel differente grado di pericolosità sociale del detenuto: elemento, quest’ultimo, non suscettibile di incidere in senso limitativo sull’esercizio del diritto di difesa. Più precisamente, secondo l’impostazione prospettata dal giudice rimettente, la norma censurata viola l’art. 3 Cost., in ragione del trattamento deteriore riservato ai detenuti “speciali” rispetto agli altri. Tale disparità, peraltro, non sarebbe giustificabile né in ragione della loro maggiore pericolosità (dato, quest’ultimo, inconferente con l’esercizio del diritto di difesa), né con un minor livello di esigenze difensive, dal momento che, nella stragrande maggioranza dei casi, i detenuti in regime carcerario differenziato sono interessati da un elevato numero di procedimenti penali (e cautelari), caratterizzati da particolare complessità. La speciale collocazione “geografica” del locus detentionis (art. 41 bis, co. 2-quater, ord. penit.) renderebbe, piuttosto, essenziale una maggiore elasticità nel riconoscimento del diritto di difesa, quasi sempre penalizzato dalla distanza tra carcere, difensore e luogo del processo. Ad essere leso, in secondo luogo, sarebbe anche l’art. 24, co. 2, Cost., dal momento che l’evidente compressione del diritto di difesa non rinviene, nel necessario giudizio di bilanciamento, la necessità di proteggere un altro interesse costituzionalmente garantito. A meno di non voler concepire il difensore quale potenziale “correo”, è da escludere che la funzione difensiva possa essere sospettata di atteggiarsi ad «illecito canale di comunicazione». Infine, la disposizione censurata colliderebbe con l’art. 111, co. 3, Cost., laddove prevede che la legge debba assicurare alla persona accusata di un reato il tempo e le condizioni necessarie per preparare la sua difesa. I limiti oneranti la funzione difensiva, al contrario, sarebbero tali e tanti da ridurre drasticamente il tempo occorrente per predisporre una difesa effettiva.

La focalizzazione. I colloqui in vinculis con l’avvocato

L’art. 104 c.p.p., nell’innovare profondamente la normativa previgente in materia di colloqui tra l’assistito in vinculis ed il difensore (art. 135 c.p.p. 1930), ha disciplinato espressamente la sola posizione della persona in stato di custodia cautelare o di fermo o di arresto e non anche quella del condannato con provvedimento irrevocabile. Nello specifico, la disposizione codicistica riconosce a detto soggetto il diritto di conferire con il difensore, rispettivamente, fin dall’inizio dell’esecuzione della misura cautelare e subito dopo l’arresto o il fermo. Il concreto esercizio di tale diritto, peraltro, non è scevro da limitazioni: nel tentativo di “bilanciare” il diritto di difesa con le esigenze investigative, l’art. 104, co. 3, c.p.p. stabilisce, infatti, che, nel corso delle indagini preliminari, quando sussistono «specifiche ed eccezionali ragioni di cautela», è possibile dilazionare per un tempo non superiore a cinque giorni l’esercizio del diritto di conferire con il difensore.

Nel silenzio del codice di rito circa i colloqui dei difensori con i detenuti “definitivi”, la prassi era inizialmente orientata nel senso di applicare le circolari amministrative del DAP in tema di colloqui con «persone diverse dai congiunti e dai conviventi»8, le quali, nell’esigere l’autorizzazione del direttore dell’istituto, specificavano, da un lato, che le esigenze connesse alla predisposizione della difesa tecnica integrassero senz’altro i «ragionevoli motivi» richiesti per la concessione del colloquio9 escludendo, dall’altro lato, che gli incontri con il difensore fossero computati nel “monte” mensile riconosciuto al condannato.

Com’è noto, su tale assetto si è abbattuta la scure della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 18 ord. penit., per contrasto con l’art. 24, co. 2, Cost., «nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il proprio difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della pena», vuoi con riferimento a procedimenti giudiziari già promossi, vuoi in relazione a qualsiasi procedimento contenzioso suscettibile di essere instaurato. Attraverso tale significativa pronuncia la Corte costituzionale ha anche stabilito che l’amministrazione penitenziaria, pur potendo regolare le modalità pratiche di svolgimento dei colloqui (individuazione degli orari, dei locali10, dei modi di identificazione del difensore, ecc.), non può compiere alcun sindacato sulla necessità e sui motivi dei colloqui medesimi.

Rimane, invece, ancora aperta la questione dei colloqui telefonici con il difensore11: mentre la giurisprudenza di legittimità continua a ritenere che la materia sia regolata dall’art. 39 reg. es.12, che subordina l’esercizio del diritto alla previa autorizzazione del direttore dell’istituto, la giurisprudenza di merito ha, invece, assunto una posizione di piena aderenza al principio enunciato dalla Corte costituzionale, attestandosi sulla posizione per cui l’esercizio del diritto di conferire col difensore non può essere rimesso a valutazioni discrezionali dell’amministrazione13.

In siffatto contesto si inscrive la peculiare situazione dei detenuti soggetti a regime carcerario differenziato, per i quali la l. 15.7.2009, n. 94 ha drasticamente limitato l’esercizio del diritto di difesa.

Nella previgente formulazione, risalente alla l. 23.12.2002, n. 279, l’art. 41 bis, co. 2-quater, lett. b), ord. penit., pur contemplando consistenti limitazioni, di natura soggettiva (familiari e conviventi) ed oggettiva (non meno di uno e non più di due colloqui visivi al mese da tenersi, sotto controllo auditivo con registrazione, in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti), escludeva espressamente che dette norme si applicassero ai colloqui con i difensori. Al contrario, la l. n. 94/2009, nel dichiarato intento di «ripristina[re] l’originario rigore del regime di detenzione» di cui all’articolo 41 bis ord. penit.14, si caratterizza per un deciso inasprimento del regime carcerario differenziato, per l’ampliamento del novero dei destinatari e per la “neutralizzazione” della discrezionalità giurisdizionale15.

In quest’ottica, particolare rigidità è stata riservata alla disciplina dei colloqui, che sono passati dai due potenziali ad uno, il quale deve sempre essere sottoposto a controllo auditivo, a registrazione e a videoregistrazione. Sempre in ossequio ad una logica “preventiva”, il colloquio telefonico mensile può essere autorizzato esclusivamente nei confronti di coloro che non abbiano effettuano colloqui de visu. Nondimeno, le maggiori perplessità – per quanto qui più interessa – si affacciano in relazione alle limitazioni imposte al diritto di difesa, attraverso le limitazioni “quantitative” apportate alla possibilità di effettuare colloqui o telefonate con il difensore. Benché, come si è già detto, la Corte costituzionale avesse da tempo precisato che «l’esercizio del diritto di conferire col difensore, in quanto strumentale al diritto di difesa, non può … essere rimesso a valutazioni discrezionali dell’amministrazione»16, la legge del 2009 ha irragionevolmente condizionato, se non l’an, sicuramente il quantum del diritto di difesa17.

I profili problematici. Bilanciamento del diritto di difesa

Lungi dall’esaurirsi nell’autodifesa, il diritto «inviolabile» consacrato nell’art. 24, co. 2, Cost.18 si declina nel diritto alla difesa tecnica, il quale presuppone a sua volta il diritto di conferire riservatamente con il difensore. Siffatti approdi, da tempo raggiunti attraverso gli insegnamenti del Giudice delle leggi19, consentono di integrare i contenuti “minimi” palesati dall’art. 24, co. 2, Cost., il quale, a differenza delle norme convenzionali20, non contiene alcun riferimento alla difesa tecnica ed ai rapporti tra difensore ed assistito.

Attraverso il richiamo alla propria giurisprudenza e a taluni arresti della Corte di Strasburgo21, la Consulta, nella decisione in commento, perviene ad affermare che il diritto dell’accusato a comunicare in modo riservato con il proprio difensore rientra tra i requisiti basilari del processo equo in una società democratica, giusta l’art. 6, § 3, lett. c), CEDU. In ambito penitenziario, in particolare, tale diritto assume un rilievo del tutto peculiare alla luce dell’«intrinseca debolezza» in cui versa il detenuto rispetto al “normale” esercizio delle facoltà difensive. In tale prospettiva, le Regole n. 23, § 4, e n. 98, § 2, delle vigenti Regole penitenziarie europee22 riconoscono espressamente tale diritto sia al condannato che all’imputato.

All’indomani del varo della novella il dubbio di costituzionalità sorgeva spontaneo: qualora il legislatore avesse inteso gravare il difensore di una sgradevole presunzione di reità23, allora sarebbe stato inevitabile il contrasto del nuovo art. 41 bis, co. 2-quater, ord. penit. con l’art. 24, co. 2, Cost. Dopo quasi un lustro la Corte costituzionale aderisce a questa lettura, rilevando che i «limiti legislativi di tipo “quantitativo” al diritto dei detenuti in questione a conferire con i propri difensori … appaiono ispirati al sospetto che questi ultimi possano prestarsi a fungere da intermediari per illeciti scambi di comunicazioni tra i detenuti stessi e gli altri membri dell’organizzazione criminale di appartenenza». Da siffatta considerazione il Giudice delle leggi conclude nel senso che tali «le restrizioni in questione, per il modo in cui sono congegnate24, si traducono in un vulnus del diritto di difesa incompatibile con la garanzia di inviolabilità sancita dall’art. 24, secondo comma, Cost.».

Il ragionamento della Corte si appunta, in particolare, sulla voluntas legis diretta a “blindare” il contenuto afflittivo del provvedimento ministeriale, attraverso l’inserimento dell’indicativo presente («prevede») in luogo della maggiormente duttile forma servile («può comportare»). In tale prospettiva, la compressione ex lege del diritto ai colloqui difensivi per tutta la durata del regime detentivo speciale (quattro anni più eventuali proroghe), non derogabile né in ragione della “natura”, della “complessità” o dell’ “urgenza” dei procedimenti giudiziari, non terrebbe nemmeno conto della possibilità/necessità di nominare più difensori25.

Siffatta rigidità, secondo la Corte, non è giustificabile in una prospettiva di bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti quali, da un lato, il diritto di difesa e, dall’altro lato, l’interesse alla protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini nei confronti della criminalità organizzata. Il bilanciamento del diritto di difesa con altre esigenze di rango costituzionale26 in tanto è giustificabile, in quanto «non ne risulti compromessa l’effettività, costituente il limite invalicabile ad operazioni del genere considerato (sentenza n. 317 2009), e ferma restando, altresì, l’esigenza di verificare la ragionevolezza delle restrizioni concretamente apportate (sentenza n. 407 del 1993)».

Orbene: in ambito penitenziario, la difesa tecnica si atteggia diversamente che nei contesti di libertà, dal momento che la persona in vinculis, limitata nelle proprie libertà fondamentali, è più vulnerabile nelle potenzialità di esercizio delle facoltà difensive. Deriva da tanto che ogni limitazione al contatto difensore-assistito sia eccezionale ed assolutamente necessaria27 e non possa comunque frustrare l’effettività dell’assistenza legale alla quale il difensore è abilitato. Questo non accade alla luce della normativa censurata, ove il rigido e prolungato contingentamento dei colloqui difensivi vanifica – a detta della Corte – l’essenza stessa della funzione difensiva e la conduce a rinvenire assonanze con la celebre vicenda Öcalan c. Turchia28, nella quale erano stati consentiti all’imputato, durante il corso del processo, solo due colloqui a settimana con i propri difensori, della durata di un’ora l’uno.

Con riferimento, poi, alla ragionevolezza delle restrizioni, il Giudice delle leggi rileva opportunamente come il colloquio difensivo sia ontologicamente diverso dai normali “colloqui” penitenziari, intervenendo con professionisti appartenenti ad un ordine professionale e tenuti al rispetto di regole deontologiche sanzionate a livello disciplinare. Sebbene non possa escludersi a priori che anche nella categoria possano annoverarsi soggetti idonei a fungere da trait d’union con le organizzazioni di appartenenza, altro è costruire su detta eventualità una regola di esperienza, essendo il colloquio difensivo effettuato con un soggetto terzo, assolutamente non comparabile ai parenti, agli affini o a terzi non qualificati.

Nondimeno, l’argomento risolutivo è un altro: poiché i colloqui con i difensori, a differenza di quanto avviene in relazione ad altri soggetti, sono insuscettibili di ascolto e videoregistrazione, i limiti di cadenza e di durata stabiliti dalla legge sono suscettibili solamente di penalizzare la difesa, senza tuttavia sortire alcun effetto benefico in punto di ordine e sicurezza, non potendo impedire in alcun modo l’eventuale passaggio di direttive e di informazioni tra il carcere e l’esterno. Attraverso tale passaggio, la Corte ribadisce l’esistenza di limiti “interni” all’esercizio del potere ministeriale (ma anche legislativo): «non possono cioè disporsi misure che per il loro contenuto non siano riconducibili alla concreta esigenza di tutelare l’ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento»29.

In tale prospettiva, la Corte rileva come la l. n. 94/2009 confligga con il principio secondo cui, nelle operazioni di bilanciamento, non può esservi un decremento di tutela di un diritto fondamentale se ad esso non fa riscontro un corrispondente incremento di tutela di altro interesse di pari rango. Nel caso in esame, per converso, alla compressione – indiscutibile – del diritto di difesa indotta dalla norma censurata non corrisponde, prima facie, un paragonabile incremento della tutela del contrapposto interesse alla salvaguardia dell’ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini.

Note

1 Tra i primi commenti alla decisione v. Manes, V.-Napoleoni, V., Incostituzionali le restrizioni ai colloqui difensivi dei detenuti in regime di “carcere duro”: nuovi tracciati della Corte in tema di bilanciamento dei diritti fondamentali, in www. penalecontemporaneo.it, 3 luglio 2013. Fiorentin, F., Regime speciale del “41-bis” e diritto di difesa: un difficile equilibrio tra diritti fondamentali, in corso di pubblicazione in Giur. cost., 2013; Corvi P., La Corte costituzionale riafferma il diritto di difesa dei soggetti sottoposti al regime detentivo previsto dall’art. 41 bis o.p., in corso di pubblicazione in Dir. pen. e processo, 2013.

2 I precedenti interventi della Corte costituzionale, invero, mai si erano concretizzati in una declaratoria di illegittimità costituzionale (cfr. C. cost., ord. 18.2.2011, n. 56; ord. 17.6.2010, n. 220; sent. 28.5.2010, n. 190; ord. 23.12.2004, n. 417; ord. 23.7.2002, n. 390; ord. 26.5.1998, n. 192; sent. 5.12.1997, n. 376; sent. 18.10.1996, n. 351; ord. 22.7.1994, n. 332; sent. 23.11.1993, n. 410; sent. 28.7.1993, n. 349).

3 C. cost. n. 220/2010, cit., aveva dichiarato la manifesta inammissibilità di un’analoga questione, a causa della coincidenza di oggetto tra giudizio principale e procedimento incidentale di incostituzionalità e per mancanza di motivazione sulla rilevanza della questione stessa.

4 Cfr. Mag. sorv. Viterbo, 7.6.2012, X, in G.U., I Serie speciale, 2012, n. 43.

5 La norma censurata consente ai detenuti in regime carcerario differenziato di effettuare con i difensori, «fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari», rispettivamente pari a dieci minuti e a un’ora.

6 Cfr. le circ. DAP n. 297600-2009 del 3.9.2009; n. 434778-2009 del 3.12.2009 e n. 233598 del 1°.4.2010.

7 A margine della quale, v. Della Casa, F., Il colloquio con il difensore in sede esecutiva: da “graziosa concessione” a “diritto”, in Dir. pen. e processo, 1998, 210.

8 Cfr. la circ. n. 694328/2-11 del 1.2.1994.

9 V. l’art. 18, co. 1, ord. penit. e l’art. 35, co. 1, dell’allora vigente regolamento di esecuzione (d.P.R. 29.4.1976, n. 431).

10 Cfr. l’art. 37, co. 6, d.P.R. 30.6.2000, n. 230 (d’ora in avanti nel testo: reg. es).

11 V. Lara, C., Colloqui telefonici difensivi per il condannato: preventiva autorizzazione discrezionale o lacuna normativa?, in Giur. mer., 2012, 2389 s.; nonché Picozzi, F., Rimane aperto il dibattito sulla corrispondenza telefonica difensiva del condannato detenuto, in Cass. pen., 2012, 1124.

12 Cfr. Cass. pen., 14.10.2004, R., in Mass. Uff., 230094; nello stesso senso, più di recente cfr. anche Cass. pen., 20.12.2011, Panaro, ibidem, 251419.

13 V. Mag. sorv. Vercelli, 15.6.2011, Zavettieri, in Cass. pen., 2012, 1119; Mag. sorv. Vercelli, 17.6.2009, Morelli, in Rass. penit. crim., 2010, 115; Mag. sorv. Varese, 15.12.2005, in www.diritto.it.

14 Cfr. Senato della Repubblica, n. 733-A, Relazione delle Commissioni permanenti 1ª e 2ª riunite, 7.

15 Con riguardo alle modificazioni introdotte dalla l. n. 94/2009 v. Corvi, P., Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, Padova, 2010, spec. 113 ss.; Bresciani, L., Art. 2, comma 25 l. 15 luglio 2009, n. 94, in De Francesco, G., a cura di, Commentario al pacchetto sicurezza, Torino, 2011, 281; Cortesi, M.F., L’inasprimento del trattamento penitenziario, in Dir. pen. e processo, 2009, 1069; Della Bella, A:, Il regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis ord. penit., in Corbetta, S.-Della Bella, A.-Gatta, G., a cura di, Sistema penale e “sicurezza pubblica”: le riforme del 2009, Milano, 2009, 447; nonché, volendo, Fiorio, C., La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”: modifiche in tema di ordinamento penitenziario, in Mazza, O.- Viganò, F., a cura di, Il “pacchetto sicurezza” 2009, Torino, 2009, 395.

16 Così C. cost. n. 212/1997, cit.

17 Viene, infatti, stabilito che «con i difensori potrà effettuarsi, fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari»: cioè a dire della durata massima di un’ora, quanto ai colloqui visivi (art. 37, co. 10, reg. es.), e di dieci minuti, quanto ai colloqui telefonici (art. 41 bis, co. 2-quater, lett. b), in ossequio alla regola “generale” scandita dall’art. 39, co. 6, reg. es.).

18 V., in prospettiva generale e di fondo, Ferrua, P., Difesa (diritto di), in Dig. pen., IV, Torino, 1989, 466; Presutti, A., Autodifesa giudiziaria, in Enc. dir., Aggiornamento, I, Milano, 1997, 234; Scella, A., Per una storia costituzionale del diritto di difesa: la Corte e le ambiguità del processo «misto», in Conso, G., a cura di, Il diritto processuale penale nella giurisprudenza costituzionale, Napoli, 2006, 197; Scaparone, M., Il 2° comma dell’art. 24. Il diritto di difesa nel processo penale, in Comm. Cost. Branca, Bologna, 1981, 84; Voena, G.P., Difesa (diritto processuale penale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, 3.

19 Cfr. C. cost., sent. 25.6.1996, n. 216; sent. 29.3.1984, n. 80; sent. 10.10.1979, n. 125; sent. 3.5.1963, n. 59.

20 V. gli artt. 6, § 3, lett. c), CEDU (diritto all’assistenza di un avvocato) e 14, § 3, lett. b), Patto internazionale sui diritti civili e politici (diritto a comunicare con l’avvocato).

21 Cfr. C. eur. dir. uomo, 13.1.2009, Rybacki c. Polonia; 9.10.2008, Moiseyev c. Russia; 27.11.2007, Asciutto c. Italia; 27.11.2007, Zagaria c. Italia; 5.10.2006, Marcello Viola c. Italia; 12.3.2003, Öcalan c. Turchia.

22 V. la raccomandazione R (2006) 2 adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa l’11.1.2006.

23 Cfr. l’art. 391 bis c.p.

24 Rileva la Corte «come si sia di fronte a restrizioni rigide, indefettibili e di lunga durata: ben diverse, dunque, da quella resa possibile, in termini generali, dal citato art. 104, co. 3, cod. proc. pen. nei confronti dell’imputato in custodia cautelare».

25 In tal senso, v. la circ. DAP n. 297600-2009 del 3.9.2009, cit.

26 V. C. cost., sent. 3.12.2009, n. 317, 11.6.2009, n. 173, 25.7.2008, n. 297, 27.10.2006, n. 341, 23.11.1993, n. 407, nonché, con specifico riferimento alla materia dei colloqui dei detenuti, sent. n. 212/1997, cit..

27 In tal senso v. C. eur. dir. uomo, 27.11.2007, Asciutto contro Italia; 27.11.2007, Zagaria c. Italia. Nel senso che il diritto ad una assistenza legale effettiva deve essere garantito in tutte le circostanze, cfr. C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 2.11.2010, Sakhnovskiy c. Russia.

28 Cfr. C. eur. dir. uomo, 12.3.2003, Öcalan c. Turchia.

29 V. C. cost. n. 351/1996, cit.

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