ERMENGARDA, regina di Provenza

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 43 (1993)

ERMENGARDA, regina di Provenza

François Bougard

Nacque intorno alla metà del sec. IX dall'imperatore Ludovico II e da Engelberga.

E. fu la terza donna della dinastia carolingia a portare tale nome, dopo la nonna (sposa di Lotario) e la bisnonna (sposa di Ludovico il Pio). Probabilmente nacque tra l'853 e l'855, poiché i genitori si erano sposati nell'ottobre 851 o poco dopo, e prima di E. avevano già avuto un'altra figlia, Gisla. Inoltre, si può ragionevolmente supporre che E. avesse già compiuto una quindicina d'anni quando, nell'869, Basilio I inviò Niceta per portarla a Costantinopoli come promessa sposa di suo figlio Costantino.

Nulla si sa della sua giovinezza, se non che ebbe come precettore un certo Anastasio.

Infatti Incmaro ricorda tale nome in una lettera in cui le chiede di intercedere presso Bosone ("litteris sacris imbutam ab Anastasio quodam didascalo": Schrörs, p. 447). L'identificazione di quest'ultimo con Anastasio Bibliotecario fu giustamente messa in dubbio da G. Arnaldi (Anastasio Bibliotecario, p. 30): infatti Incmaro, che lo conosceva bene, non dimentica mai, quando ne parla o quando gli scrive, di dargli il suo titolo, e non lo avrebbe mai designato come un semplice "quidam". Comunque all'epoca l'uso del termine "didascalus" mira sempre a sottolineare l'erudizione del maestro cui si riferisce; inoltre, è da escludere che un precettore della casa imperiale potesse essere di rango inferiore a un vescovo o un grande abate (hanno infatti la qualifica di "didascalus" il precettore di Ludovico il Cieco, Aureliano arcivescovo di Lione, e, più tardi, quello di Ottone III, Bernardo di Hildesheim). D'altronde è possibile, in via d'ipotesi, che la tradizione manoscritta di Flodoardo - dal quale ci sono state conservate le lettere di Incmaro -, piuttosto tardiva, abbia tramandato il nome Anastasio per Atanasio: potrebbe allora trattarsi dell'omonimo vescovo di Napoli (849-872), di cui i biografi esaltano l'erudizione, che molto fece per promuovere l'insegnamento nella sua diocesi e che intrattenne con Ludovico II ed Engelberga una grande familiaritas (Acta sanctorum Iulii, IV, pp. 75 s. e 79-81). Nel periodo che la corte imperiale trascorse nell'Italia meridionale E. potrebbe benissimo essere stata allieva del santo vescovo.

Verso la fine del decennio 860-870 E. fu una pedina importante del riavvicinamento profilatosi tra Basilio I e Ludovico II. Mentre i due sovrani negoziavano un'alleanza militare contro i Saraceni, E. fu fidanzata a Costantino, primogenito dell'imperatore d'Oriente.

Ciò avvenne, verosimilmente, nell'869 o poco prima: Basilio, anche se associato all'Impero il 26 maggio 866, salì al trono solo il 24 sett. 867; lo stesso Costantino fu nominato coimperatore solo il 6 genn. 869, un anno prima di suo fratello Leone.

Anche se i tentativi di alleanza matrimoniale - regolarmente abortiti - sono ricorrenti nella diplomazia franco-bizantina, questo, che fu il quinto, ebbe un rilievo particolare, come ha messo in luce - dopo H. Henze e F. Dölger - W. Ohnsorge, grazie ad un accurato esame della lettera indirizzata nell'871 da Ludovico II a Basilio (Chron. Sal., c. 107). Ludovico ed Engelberga erano stati proclamati imperatori a Costantinopoli nell'estate dell'867, in presenza di Michele III e di Basilio, nel corso del concilio convocato da Fozio. Verosimilmente fu Basilio, dopo aver eliminato Michele, a prendere l'iniziativa di tali trattative matrimoniali (lo spatario Eutimio soggiornò a Roma per un lungo periodo nell'868, e J. Gay, pp. 82 s. e 90, suppone che ottenesse la mediazione di papa Adriano II nella trattativa); il suo intento era di subordinare così il riconoscimento della proclamazione dell'867 ad un'alleanza che avrebbe fatto di lui la fonte reale del potere. Costantino, coimperatore in quanto figlio di Basilio, sarebbe stato il tramite necessario per la trasmissione della qualifica imperiale al futuro suocero. Per Ludovico, viceversa, era ovvio che la imperiale, in quanto dignità trasmessagli dal padre, derivasse direttamente da Dio.

Nell'estate dell'869 il patrizio Niceta giunse a Bari con la flotta di rinforzo prevista dagli accordi e con l'incarico di condurre E. a Costantinopoli (Ann. de Saint-Bertin, p. 164). Sembra che egli in questa occasione si comportasse in modo offensivo con Ludovico II, forse rifiutandosi di chiamarlo imperatore ("Protervus et contumax erga nostrum fuerit imperium" scrive Ludovico nella sua lettera) e si vide allora opporre un netto rifiuto. Il concilio di Costantinopoli offrì l'occasione di riannodare le fila della trattativa; la missione fu allora affidata ad Anastasio Bibliotecario, come egli stesso ricorda nella sua relazione sul sinodo presentata ad Adriano II (Migne, Patr. Lat. 129, col. 17: "...ferentem legationem ... causa nuptialis commercii quod efficiendum ex filio imperatoris Basilii et genita praefati Dei cultoris augusti ab utraque parte sperabatur simul et parabatur"). Ma anche quella volta la trattativa restò in sospeso.

Durante la rivolta di Benevento E. fu imprigionata insieme con i genitori dalla metà di agosto alla metà di settembre dell'871; a Carlo il Calvo giunse persino la voce che fossero stati uccisi tutti e tre. Dopo la liberazione, anche lei dovette prestare giuramento di non tornare mai più a Benevento e di non tentare di vendicarsi dei Longobardi (Ann. de Saint-Bertin, pp. 182 s.). E. si recò allora con i genitori a Ravenna, dove verosimilmente restò mentre, all'inizio dell'872, Ludovico II attuava la spedizione contro Lamberto di Spoleto. È possibile che abbia assistito ai negoziati tra Engelberga e Ludovico il Germanico, svoltisi a Trento nel maggio dell'872 e relativi alla doppia successione di Lotario II e di Ludovico Ii; è meno probabile infatti che in quel periodo fosse a Roma per assistere alla seconda incoronazione del padre, avvenuta il 18 maggio.

Della presenza di E. a Trento si trova forse un'eco in un diploma del 26 febbr. 875 di Ludovico il Germanico in cui il re donava a sua nipote le curtes di Almenno, Murgula e Cortemaggiore insieme col monasterium novum di Pavia: atto ben strano con cui, secondo J. Jarnut (Bergamo, pp. 36 s.), Ludovico avrebbe cercato di procurarsi il favore della famiglia imperiale atteggiandosi ad erede prescelto, disponendo di beni che non erano ancora in suo potere. Sull'atto pesa peraltro il sospetto di uno di quei "ritocchi" di cui Engelberga si serviva spesso, e ciò impedisce di trarre conclusioni troppo sicure.

Nell'estate dell'872 E. fu presente al ritorno di Ludovico II a Capua, anche se non sappiamo se ella fosse nella città campana fin da luglio o se vi avesse raggiunto il padre un po' più tardi insieme con Engelberga; restò poi a Capua anche dopo la partenza prima di Ludovico e poi di Engelberga fino alla primavera dell'875; quando ritornò al Nord, suo padre era già morto (12 ag. 875: cfr. Chron Sal., c. 119).

Nel corso della seconda metà dell'876, mentre soggiornava presso Berengario, duca del Friuli - legato ai Supponidi, quindi ad Engelberga - E. andò sposa a Bosone, conte di Vienne e di Bourges, che Carlo il Calvo aveva nominato "dux et missus Italiae" nell'assemblea pavese (febbraio 1876) che lo aveva coronato re d'Italia dopo la sua incoronazione imperiale.

L'identità del marito, in sé e per sé, non desta meraviglia: pur se una tale alleanza garantiva a Bosone una crescita di prestigio, egli aveva sufficienti legami familiari con la dinastia carolingia e deteneva abbastanza honores per presentarsi come un partito adatto alla seconda figlia di Ludovico II. Viceversa appare strano il ruolo svolto da Berengario: a tale proposito, Incmaro parla di una sua factio e di un iniquum conludium che sarebbe stato alla base del matrimonio. Berengario infatti, come Engelberga, era partigiano dichiarato di Carlomanno contro Carlo il Calvo, e non sappiamo se nella sua mediazione sia da vedersi un piano del partito "tedesco", teso a staccare Bosone dal nuovo imperatore (E Bourgeois, pp. 86-88; J. Calmette, pp. 177 s.) 0, piuttosto, un tentativo pragmatico di Engelberga di riavvicinarsi a Carlo il Calvo dando la figlia al suo favorito, missus e archiminister (R. Poupardin, pp. 71 s.). Sul ruolo di Engelberga si possono fare solo supposizioni, dato che le fonti non ne fanno cenno. Forse si tratta, più semplicemente, come ritiene G. Arnaldi (Berengario I, pp. 45 s.), di una divisione del potere sul Regnum Italiae tra due uomini dello stesso rango, accettata più o meno di buon grado da Carlo il Calvo e preludio delle soluzioni che prevalsero alla fine del secolo. Il matrimonio ebbe nella vicenda la funzione, ancora una volta, di sanzionare per via diplomatica un accordo politico.

Il modo in cui si svolsero realmente le nozze ha dato luogo a versioni contrastanti: secondo l'annalista di Fulda, Bosone - che aveva già avvelenato la prima moglie - avrebbe rapito Ermengarda. Il fatto è dubbio, non perché fuori dall'ordinario - nella nobiltà era comune - ma perché Incmaro, autore di un trattato contro il ratto, senza alcun dubbio non avrebbe mancato di stigmatizzarlo. Comunque conludium, nel suo lessico, indica la macchinazione politica, mentre per il rapimento usa sempre il termine usuale o, talvolta, contubernium. Anche Giovanni VIII non avrebbe potuto intrattenere relazioni così buone con un personaggio incorso in gravi sanzioni canoniche. Appare più credibile Reginone, che presenta un quadro fastoso delle cerimonie nuziali.

Andata in Trancia col marito alla fine dell'876, E. partecipò all'attività politica svolta da Bosone al servizio di Ludovico il Balbo. Gli sposi accolsero ad Arles, l'11 maggio 878, Giovanni VIII, venuto a sollecitare l'appoggio del re contro i Saraceni, e Lamberto di Spoleto. Entusiasta dell'accoglienza, il pontefice espresse ad Engelberga l'augurio - troppo spesso preso alla lettera dalla storiografia - di vedere i due sposi raggiungere mete ancora più alte ("ad maiores excelsioresque gradus modis omnibus salvo nostro honore promovere nichilominus desideramus": Iohannis papae registrum, in Monum. Germ. Hist., Epistolae VII/ 1, n. 94). I due coniugi furono presenti al concilio di Troyes, nel corso del quale, l'11 settembre 878, invitarono il sovrano e tutta la corte ad un banchetto.

I buoni rapporti con Ludovico il Balbo si concretarono nel fidanzamento tra il giovane Carlomanno e una figlia di E. e Bosone, ancora in fasce, probabilmente Engelberga (Annales de Saint-Bertin, p. 229). Potrebbe anche trattarsi di un'altra delle loro figlie ma sicuramente non di quella Ermengarda che andò sposa a Manasse conte di Chalon, come ritenne M. Chaume (Les origines du duché de Bourgogne, I, Dijon 1925, pp. 266, 278 e tav. IX).

Infine, malato, il re d'accordo coi grandi del regno delegò ai due sposi il compito di accompagnare in Italia Giovanni VIII (Ann. de Saint-Bertin, p. 230).

Degna erede delle ambizioni materne, E. secondo Incmaro avrebbe persuaso Bosone a brigare per assurgere al trono di Provenza, sostenendo che, figlia di imperatore e già fidanzata dell'imperatore d'Oriente, non voleva vivere se non fosse riuscita a fare di suo marito un re (ibid., p. 239). Anche se non sappiamo quale sia stato esattamente il suo ruolo nell'ascesa al trono di Bosone, certo è che E. occupò un posto importante nel suo gioco politico tra la morte di Ludovico il Balbo (11 apr. 879) e l'elezione di Mantaille. Anche se gli atti dell'assemblea dei vescovi a Mantaille (15 ott. 879) che incoronò Bosone non parlano di lei, è fuori dubbio che E. vi fosse presente. Non è certo peraltro che ella ricevesse immediatamente il titolo di regina, anche se l'incoronazione della moglie era prassi abituale, poiché le fonti - peraltro un unico atto (R. Poupardin, Recueil, n. XX) - non le danno mai tale titolo durante la vita di Bosone. Comunque, già prima dell'elezione, un atto del 25 luglio, che evitava già di datare il documento dal regno di Ludovico e Carlomanno, la associava al marito ("Boso, Dei gratia id quod sum et dilecta coniux mea Hirmingardi, proles imperialis...": ibid., n. XVI).

L'usurpazione di Bosone scatenò ben presto la reazione di tutti i partigiani carolingi. Vienne, dopo due anni di assedio, cadde nel settembre dell'882: non si sa se Bosone se ne fosse allontanato delegando ad E. (rimastavi con la loro figlia) il compito di difendere la città (Ann. de Saint-Bertin, p. 243) o se avesse partecipato alla difesa (Ann. Vedast., p. 47). Vienne fu conquistata dal fratello stesso di Bosone, Riccardo il Giustiziere, che condusse E. e la figlia prigioniere nella propria contea di Autun (Ann. de Saint-Bertin, p. 247). Da allora in poi le fonti non parlano più di Bosone, che comunque morì l'11 gennaio 887.

Dopo la morte del marito tutta l'attività di E. fu indirizzata a promuovere diplomaticamente le fortune dell'unico figlio maschio, Ludovico, nato probabilmente ad Autun poco dopo l'882. Nel giugno dell'887 E. fu ricevuta a Kirchen insieme con lui da Carlo il Grosso, che accolse "quasi adoptivum filium" il nipote di Ludovico II dopo averne ricevuto il giuramento di fedeltà (Ann. Fuld., p. 115); l'11 agosto ella ottenne per se stessa, per il figlio e per le figlie un diploma di conferma dei loro beni in Italia, in Borgogna e in Francia. In seguito, l'ascesa al potere di Arnolfo impedì ad E. di realizzare la speranza, che forse aveva nutrito, di far succedere il figlio a Carlo il Grosso. Riconoscendo il nuovo imperatore, cui portò dei doni nel giugno 889 (Ann. Fuld., p. 119) a Forchheim, ne ottenne per sua madre, e dopo la morte di quella, per se stessa, una nuova conferma dei beni nel Regno d'Italia.

È probabilmente a questo periodo che si deve datare la sua iscrizione nel Liber memorialis di Reichenau, accanto ai suoi genitori (D. Geuenich).

Durante questi anni E. sembra esercitare una specie di reggenza. In un placito tenuto a Varennes, datato da R. Poupardin all'890, presiedette col titolo di regina, mentre il figlio, presente, non aveva alcun titolo particolare. D'altronde la datazione dell'atto non è sicura, e non può escludersi che esso sia posteriore all'assemblea di Valence (fine agosto 890) in cui Ludovico, con il consenso di Arnolfo, e richiamandosi al fatto che già Carlo il Grosso gli aveva conferito la "regia dignitas", fu eletto re. Gli atti dell'assemblea prevedevano infatti un "iuvamen" della regina E. e di Riccardo il Giustiziere, assistiti dal Consiglio dei grandi del Regno, in favore del re bambino (Mon. Germ. Hist., Capit. II, 289), ed E. esercitò effettivamente il potere conferitole.

A più riprese, nell'892, nell'894 e nell'896, intervenne come richiedente nei diplomi emessi in nome del figlio (R. Poupardin, Recueil). Nell'896, insieme con l'arcivescovo di Lione, installò a Saint-Chef i monaci di Montièrendier (ibid.), e forse concesse dei diplomi anche in proprio nome: nel 912 infatti Ludovico accenna a una conferma di beni da lei fatta in favore della Chiesa di Valence (ibid.). Infine E. intervenne nell'894 presso Arnolfo perché donasse a Ludovico parecchie città, peraltro ancora da conquistare, del regno di Rodolfo (Ann. Fuld., p. 125; Reginone, p. 142).

Durante il suo governo provenzale E. non si disinteressò degli affari italiani e intrattenne rapporti con i monasteri legati alla famiglia imperiale. Il 30 nov. 891, mentre soggiornava a Piacenza, donò due curtes al monastero di S. Sisto, dove si era ritirata la madre Engelberga che lo aveva fondato nell'870. Quest'atto riprende la maggior parte delle disposizioni testamentarie di Engelberga e va quindi considerato come una conferma di E. subito dopo la morte della madre.

Il testamento di Engelberga, del marzo 877 (in Le carte cremonesi dei secc. VIII-XII, a cura di E. Falconi, I, Cremona 1979, n. 20), prevedeva per E. la possibilità di governare la fondazione se avesse voluto prendere il velo, ma è escluso che ella abbia mai ricoperto la carica di badessa. Del resto già Ludovico II nell'868, donando a sua moglie S. Salvatore di Brescia (Cod. dipl. parmense, a cura di U. Benassi, Parma 1910, pp. 119 ss.), aveva disposto che E. potesse succedere a sua madre a capo del monastero se quest'ultima le fosse premorta e se ella fosse entrata in religione. Ma, come ha dimostrato H. Becher, anche se E. insieme con Bosone è iscritta nel necrologio del monastero (f. 7r), non ne fu mai la badessa.

Non sappiamo con esattezza quando E. morì. Nell'896 intervenne ancora in un diploma di Ludovico III (R. Poupardin, Recueil); il 22 giugno il re chiedeva preghiere per la sua anima, ma la formula non presuppone necessariamente la sua morte: già Bosone l'aveva usata proprio per la moglie nell'881 (ibid.).

D'altro canto la presenza di E. in un atto del 901 (ibid.) non implica necessariamente che ella fosse ancora in vita, dato che il diploma ricopia un altro anteriore. Appare possibile indicare come data della morte l'anno 902 - probabilmente verso la fine -, data che spiegherebbe perché la donazione dell'891 sia stata confermata nel gennaio 903 da una corte giudiziaria. In ogni caso, il termine ante quem della sua morte è il 26 ott. 905, quando Ludovico III chiedeva preghiere per i suoi genitori che diceva sepolti nella cattedrale di Vienne, St.-Maurice (ibid.). Se qui le fu consacrato un epitaffio, non ne è rimasta traccia, a differenza di quello di Bosone; comunque E. lasciò un ricordo assai vivo, poiché le versioni della gesta di Girart de Vienne anteriori a Bertrand de Bar (la Karlamagnús Saga) ne perpetuarono il nome.

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