GERMANIA, REGNO DI

Federiciana (2005)

Germania, Regno di

WWolfgang Stürner

I. Condizioni e contesti fondamentali

A) Estensione e sviluppo demografico; sfruttamento della terra e insediamento a oriente

Gli atti della cancelleria imperiale e gli storiografi del tempo chiamano abitualmente Alamannia, ma anche Germania e un po' meno spesso Teutonia, l'area soggetta alla sovranità dell'imperatore Federico II a nord delle Alpi. È ovvio che a questi concetti, nell'idea di chi li adopera, non è attribuito solo un significato geografico ma anche politico. Infatti il titolo con cui l'arcivescovo di Magonza compare solitamente nell'escatocollo dei diplomi di Federico per il Regno di Germania recita "totius Germaniae archicancellarius". Solo piuttosto di rado gli autori sottolineano espressamente il riferimento politico e parlano per esempio di "regnum Alemanniae".

Semplificando al massimo e adottando i concetti dell'ordinamento politico attuale, il territorio a cui si riferisce questa definizione, quindi il Regno di Germania al tempo di Federico II, comprendeva la Repubblica federale di Germania, i Paesi Bassi, il Lussemburgo, la metà orientale del Belgio e della Svizzera, nonché i territori oggi francesi o italiani della Lotaringia, dell'Alsazia, del Sudtirolo, infine l'Austria, ampie parti della Slovenia e la Repubblica Ceca.

Come nel resto dell'Europa, anche in Germania la popolazione conobbe un notevole incremento dalla fine dell'XI fino alla metà del XIV sec. all'incirca. Intorno al 1100 il paese contava circa quattro milioni di abitanti, intorno al 1200 erano già pressappoco otto milioni e al principio del XIV sec. quattordici milioni. Questa crescita demografica così drastica pose alla società notevoli problemi. La produttività dell'agricoltura del tempo era relativamente modesta, perciò la popolazione che aumentava in modo accelerato poteva essere nutrita solo a condizione di ampliare notevolmente la superficie coltivabile.

Di fatto lo sfruttamento della terra anche nel XIII sec. fu condotto con grande energia. Nel territorio di antico insediamento della Germania esisteva ancora un numero sufficiente di aree boschive e di terreni paludosi incolti, che mediante bonifiche e prosciugamenti potevano essere recuperati all'agricoltura. Così la fondazione di nuovi villaggi proseguì senza su-bire flessioni e, da questo momento, incluse anche zone meno favorevoli, per esempio le aree piuttosto elevate del Mittelgebirge, della Selva Nera, dell'Eifel o dell'Hunsrück. Spesso gli stessi principi interessati allo sviluppo dei loro territori reclutavano i contadini; talvolta questi ultimi, soprattutto quando provenivano da zone sovrappopolate, si adoperavano, da parte loro, per crearsi una nuova esistenza in una regione estranea. I contratti che si sono tramandati riguardanti la loro nuova collocazione danno un'idea della loro posizione giuridica. Di norma alle famiglie contadine veniva assegnata in enfiteusi nel territorio di bonifica la terra di un podere (Hofgut). Quindi sul piano sia economico che giuridico erano relativamente garantiti e soprattutto erano persone libere, non più soggette all'obbligo di prestare servizi personali nelle proprietà del signore. I villaggi di nuova fondazione per lo più possedevano in una certa misura il diritto di amministrazione autonoma. I loro abitanti potevano regolare da sé gli affari quotidiani, come per esempio i problemi relativi alla lavorazione dei campi, ma spesso erano autorizzati anche a esercitare la bassa giurisdizione autonomamente all'interno della comunità del villaggio. Naturalmente i contadini dovevano corrispondere come tributo al signore una parte dei loro guadagni, spesso una decima, in quanto proprietario della terra e organizzatore della nuova fondazione. Inoltre il principe deteneva l'alta giurisdizione e riscuoteva le corrispondenti tasse giudiziarie. In più metteva a disposizione importanti attrezzature, come il mulino o la locanda, e percepiva parte delle loro entrate.

È caratteristico della Germania che una parte della popolazione già nel XII sec. fosse emigrata al di là dell'antico confine degli insediamenti lungo l'Elba e la Saale verso oriente. In un primo tempo questi uomini si stabilirono nei territori slavi che già erano governati da principi tedeschi, i quali ora facevano affluire coloni tedeschi per stabilizzare la propria posizione. Rientravano in questi territori in particolare lo Holstein orientale (Wagrien, intorno a Lubecca), la parte occidentale del Meclemburgo e del Brandeburgo, e l'area della Turingia orientale e della Sassonia compresa tra i fiumi Saale ed Elba.

Nel XIII sec. seguì una seconda ondata molto intensa di questo insediamento verso oriente. Vi presero parte soprattutto uomini provenienti dalle zone di confine colonizzate pochi decenni prima, ora decisi a cercare ancora più a est una nuova base per la loro esistenza. Alla fine del XIII sec. nel Meclemburgo e in Pomerania, come pure nel Brandeburgo orientale fino all'Oder e a sud-est nella Bassa e Alta Lusazia (intorno a Cottbus e Bautzen), abitavano in prevalenza tedeschi. Contemporaneamente immigranti tedeschi reclutati dai sovrani premyslidi si stabilirono nei territori periferici della Boemia e della Moravia e molto spesso, incoraggiati dai duchi Piasti di Slesia, nell'Alta e nella Bassa Slesia. Nel XIII sec. la Slesia conservava la sua indipendenza fra Polonia e Boemia, tuttavia nel XIV sec. si unì alla Corona boema e quindi indirettamente all'Impero tedesco.

L'iniziativa dei progetti di bonifica e della fondazione di villaggi nelle terre dell'antico insediamento germanico, come pure della colonizzazione orientale, fu assunta di regola dai principi, che da una rete più fitta di insediamenti e dallo sfruttamento più efficace dei territori da loro governati si ripromettevano notevoli vantaggi economici e politici. Di fatto gli Hohenstaufen come i Guelfi, ma anche signori di minore importanza come i margravi del Baden, trassero significativi benefici da questo tipo di provvedimenti, e naturalmente a oriente degli antichi confini insediativi la sfera d'azione e le opportunità erano particolarmente ampie. Gli Ascani, per esempio, dovettero essenzialmente la loro ascesa come margravi del Brandeburgo all'attività svolta nello sfruttamento della terra. Analoga fu l'esperienza dei Wettin nella marca di Meissen, o dei signori territoriali slavi come i principi di Meclemburgo e Pomerania e la casa reale boema.

Nell'ambito di questi progetti il lavoro organizzativo vero e proprio era fornito da specialisti in parte di origine nobile, ma spesso anche borghese, che nell'area orientale erano chiamati per lo più 'locatori'. Agivano su incarico del principe, reclutavano i coloni contadini e distribuivano fra loro le nuove terre. Ottenevano come compenso porzioni di terra particolarmente ampie, privilegi e determinati monopoli. Accanto a loro anche gli Ordini monastici promossero lo sfruttamento della terra, in particolare i Cistercensi, che si impegnarono intensamente anche nei territori orientali di nuova colonizzazione. Essi fondarono per esempio, alla fine del XII sec., il monastero straordinariamente attivo di Doberan presso Rostock che, come accadde anche altrove con i Cistercensi, mantenne costantemente stretti contatti con la casa madre tedesca.

I contadini che si stabilirono a oriente dell'antico confine insediativo tedesco ottennero per lo più una posizione giuridica relativamente vantaggiosa, che corrispondeva in sostanza a quella dei nuovi coloni nel territorio tedesco di antica colonizzazione e fu presto generalmente definita come ius theutonicum. Quindi i coloni tedeschi godevano di rapporti giuridici molto più favorevoli rispetto ai contadini slavi che vi si erano insediati più anticamente. Ebbero ben presto anche il sopravvento numerico su questi ultimi e introdussero inoltre alcune innovazioni, come la rotazione triennale delle colture o l'aratro a ruote per rivoltare le zolle. Di conseguenza la popolazione slava si ridusse rapidamente allo stato di minoranza, svantaggiata sul piano sia sociale che economico.

I numerosi villaggi di nuova fondazione, generalmente di dimensioni molto piccole, divennero ben presto per i loro abitanti, in media da settanta a cento persone, il fulcro della loro esistenza in sostituzione della tenuta padronale (Herrenhof, Fronhof) e offrirono loro opportunità relativamente modeste, ma nuove, di organizzazione autonoma della vita e di partecipazione a livello cooperativistico. Il loro esempio influenzò ben presto anche le grandi proprietà terriere antiche che dall'età carolingia praticavano un'amministrazione secondo il sistema della villicatio: si lavorava una parte della terra attraverso la gestione padronale diretta, con lavoranti agricoli non liberi, e il resto, suddiviso in masserie individuali, era dato in affitto a servi soggetti alla prestazione di servizi. I contadini che vivevano in queste terre minacciavano di trasferirsi nei nuovi insediamenti. Ma anche molti proprietari terrieri riconobbero i vantaggi della nuova forma organizzativa e decisero di rinunciare quasi interamente alla gestione diretta dando in affitto le terre di loro proprietà. Così anche in questo sistema l'obbligo della prestazione di servizio personale da parte dei contadini fu spesso sostituito dal meno discriminante pagamento in denaro.

La crescita rapida della popolazione non solo rese inevitabili lo sfruttamento della terra e tutti i cambiamenti connessi a questa situazione nella vita contadina, ma favorì anche la diffusione di modi di produzione più perfezionati, come la rotazione triennale, l'uso di attrezzi moderni, per esempio l'aratro a ruote o i mulini ad acqua, e il miglioramento della concimazione. Inoltre, i contadini si specializzarono più decisamente in determinati prodotti. L'agricoltura basata sul lavoro intensivo fece regredire la pastorizia con la sua grande richiesta di terre. In prossimità delle città, secondo il fabbisogno locale, svolsero un ruolo crescente verdure, frutta e bacche, a cui si aggiunse, per esempio, l'avena come pianta da foraggio per i cavalli dei trasportatori cittadini. In regioni idonee come le valli del Reno o della Mosella la viticoltura acquistò sempre maggior importanza.

Indubbiamente il XIII sec. offrì ai contadini tedeschi condizioni di vita relativamente favorevoli. Molti furono in grado di organizzare la propria vita quotidiana più liberamente dei loro antenati. In seguito alla crescita demografica il prezzo dei generi alimentari di base aumentò e di conseguenza anche il ricavato del lavoro agricolo. Inoltre era possibile regolarsi in modo mirato secondo la domanda della clientela cittadina e accrescere così ulteriormente le entrate. D'altra parte, i contadini dovevano acquistare loro stessi nei mercati cittadini quei beni che non producevano più, per esempio abiti o attrezzi di ogni genere. Inoltre molti non svolgevano le loro attività nelle vicinanze di una città. Qualcuno, anzi, era costretto a ripiegare su luoghi sfavorevoli, come il Mittelgebirge, e la maggioranza si confrontava con un signore feudale potente che con l'aiuto di un'amministrazione efficiente cercava costantemente di elevare la propria quota sul guadagno dei contadini suoi affittuari. Infine, tutti quanti rischiavano come prima di essere rovinati da condizioni atmosferiche infauste e dagli eventi bellici. Si comprende quindi agevolmente che non pochi contadini, desiderosi di una nuova base di esistenza sicura, non optassero per un villaggio di nuovo insediamento in luoghi lontani, addirittura a oriente dell'antico confine dell'Impero, ma cercassero fortuna nei centri urbani.

B) Crescita e molteplicità delle città

In seguito alla crescita demografica la percentuale degli abitanti delle città nell'Alto Medioevo aumentò notevolmente rispetto alla popolazione complessiva della Germania, raggiungendo verso la fine del XIII sec. il 15-20 per cento. Naturalmente di questo sviluppo approfittarono in un primo tempo le città già esistenti, come per esempio le città vescovili sul Reno e sul Danubio che da secoli dominavano come centri religiosi il territorio circostante. Inoltre, dall'XI sec. era attivo in queste città un ceto dirigente borghese, impegnato nel commercio, che aspirava alla partecipazione politica. Centri cittadini come Colonia, Magonza, Metz o Ratisbona mantennero la loro forza d'attrazione anche nel XII sec. e continuarono a crescere. Ad essi allora si aggiunse un gran numero di nuove fondazioni promosse da abati e vescovi, dai sovrani svevi e dall'alta nobiltà dell'Impero. Il duca guelfo Enrico il Leone, per esempio, fondò nel 1159 la città di Lubecca e le diede impulso in modo sistematico. Quasi contemporaneamente, dal 1157-1158, trasformò Monaco, situata in corrispondenza del passaggio sull'Isar di un'importante strada di comunicazione, in una città. Non meno attivi in questo campo si mostrarono gli Svevi, soprattutto l'imperatore Federico I Barbarossa. Nel 1164 concesse lo statuto cittadino all'insediamento di Hagenau che prosperava sotto la protezione della residenza reale (Pfalz) alsaziana omonima. Allo stesso modo privilegiò importanti centri cittadini come Ulma, Gelnhausen, Chemnitz o Zwickau, anch'essi prossimi a residenze reali sveve.

L'intenso sforzo messo in atto dalla monarchia e dall'alta nobiltà per la fondazione e la promozione di città proseguì nella prima metà del XIII secolo. Il re svevo Federico II durante il suo primo soggiorno in Germania, fra il 1212 e il 1220, trasformò importanti centri in Alsazia, come Schlettstadt e Colmar, in città fortificate e promosse lo sviluppo cittadino di Dortmund, Goslar e Gelnhausen, di Esslingen, Biberach, Lindau o Wangen im Allgäu. Nel suo atto di fondazione per Pfullendorf, del 2 luglio 1220, ordinava di edificare la nuova città sulle sue terre nelle immediate vicinanze del villaggio di Pfullendorf distrutto da un incendio. Prese la città sotto la sua protezione e le accordò consuetudini, istituzioni e privilegi uguali a quelli di cui godevano tutte le altre città regie. Come i cittadini di Molsheim (a ovest di Strasburgo), ai quali poco prima aveva concesso privilegi, gli abitanti di Pfullendorf non dovevano prestare servizi e pagare tributi a nessuno al di fuori della propria città; anche loro erano tenuti a comparire solo dinanzi al tribunale dello sculdascio della loro città insediato dal re e godevano ugualmente di agevolazioni nelle dogane dell'Impero. Gli abitanti di Annweiler, situata sotto il castello imperiale di Trifels, ottennero già nel 1219 analoghi diritti cittadini, esenzioni dalle tasse e dai diritti doganali.

Disposizioni particolarmente dettagliate (diploma del novembre 1219) assicuravano ai cittadini di Norimberga l'indipendenza personale e la libertà di svolgere attività economiche. Sono specificati con precisione i privilegi concessi nei mercati per loro importanti e le agevolazioni doganali. Tuttavia, in questo caso, come in altri, non abbiamo notizie in merito a organi di autogestione cittadina.

Mentre dopo il 1250 nella Germania occidentale iniziò gradualmente a decrescere la tendenza alla fondazione di nuove città, nell'area orientale il loro numero si mantenne costantemente elevato in rapporto allo sfruttamento del suolo per tutto il XIII secolo. Berlino, per esempio, ottenne intorno al 1230 dal margravio del Brandeburgo lo statuto di città, Francoforte sull'Oder nel 1253. Nel Meclemburgo, dopo che Rostock fu elevata al rango di città nel 1218, sorsero altre diciassette città fino al 1250; ancora altrettante se ne aggiunsero fino al 1275. Una situazione analoga si registra in Pomerania, dove intorno al 1300 trentotto comuni possedevano lo statuto di città.

Nell'intera Germania intorno al 1300 si contavano circa tremila città, che comunque non oltrepassavano per lo più i duemila abitanti e si distinguevano appena dai villaggi. Città di cinquemila abitanti erano già considerate molto grandi e di rado il numero degli abitanti superava le diecimila unità. A Colonia, che allora era la città più grande della Germania, abitavano fra le trentamila e la quarantamila persone.

Gli interessi della cittadinanza di fronte al signore della città furono di norma rappresentati già nel XII sec. dal ricco ceto mercantile. Ad esso si affiancò ben presto ‒ una peculiarità tedesca ‒ la ministerialità, una cerchia di persone in origine non libere, che si era affermata al servizio del signore della città. Fra i compiti a loro affidati vi era molto spesso anche l'esercizio dei diritti di sovranità cittadina e l'assicurazione dell'influenza di questa sovranità. Nella prassi gli interessi personali, soprattutto economici, dei ministeriali si congiunsero per lo più rapidamente a quelli delle città da loro amministrate, quindi si trovarono spesso a capo della comunità cittadina insieme ai mercanti, quando si trattò di strappare al signore libertà giuridiche, vantaggi economici o addirittura la partecipazione al governo cittadino.

La posizione della comunità cittadina si rafforzò in modo decisivo a partire dall'inizio del XIII sec., laddove riuscì a introdurre la costituzione consiliare. In questo caso il consiglio assunse gradualmente a discapito del signore gran parte delle posizioni di potere più importanti in città. Quest'organo poteva essere di dimensioni molto differenti: infatti spesso riuniva dodici o ventiquattro membri (consules) che in generale erano eletti ogni anno, spesso dal vecchio consiglio; in ogni caso le famiglie più eminenti si assicuravano quasi dovunque il diritto di occupare queste cariche. Il consiglio si impegnò con energia, competenza e continuità per garantire gli interessi dei cittadini e soprattutto della loro élite. Provvedeva alla pace, alla sicurezza e all'ordine all'interno della città e alla sua difesa esterna; vigilava sui mercati e la produzione artigianale; esercitava la bassa giurisdizione e talvolta addirittura quella alta. Naturalmente creò propri organi, riscosse tasse e tributi.

L'ordinamento consiliare si incontra in Germania dapprima a Utrecht nel 1196, poi a Lubecca nel 1201. Seguirono ben presto altre città come Erfurt e le città vescovili sul Reno: Colonia, Strasburgo, Worms, Spira e Basilea. Nella Germania meridionale dopo il 1218 le città degli Zähringen, per esempio Zurigo, Friburgo in Brisgovia e Berna, approfittarono dell'estinzione della dinastia dei fondatori per introdurre il nuovo e più vantaggioso ordinamento consiliare, che tuttavia si impose più rapidamente soprattutto nell'area settentrionale e orientale del Regno. Molte città fondate in tempi recenti sulla costa baltica ottennero fin dall'inizio lo statuto cittadino secondo il modello di Lubecca: è quanto accadde, per esempio, a Wismar, Rostock, Stralsunda e Greifswald; alla fine se ne contavano oltre cento. Più a sud, nel Brandeburgo, in Lusazia, Sassonia, Boemia o Slesia, le nuove fondazioni adottarono in prevalenza il diritto di Magdeburgo, dove al più tardi intorno al 1240 il consiglio assunse una posizione dominante. Di fronte a questioni giuridiche controverse il consiglio di queste città chiedeva ragguagli ai centri di riferimento come Lubecca o Magdeburgo. L'affinità giuridica portò quindi a intrattenere relazioni strette e durature.

Un piccolo numero di città vescovili nel corso del XIII sec. riuscì in effetti a strappare al signore della città ‒ con la forza, o mediante trattative o grazie a pagamenti ‒ tutti i diritti di sovranità e a trasferirli a sé per farne uso. Queste città, tuttavia, continuarono a far parte dell'Impero, pur evitando qualsiasi azione che avrebbe potuto essere interpretata come un riconoscimento della sovranità regia sulla città. Quindi non si ritennero vincolate nei confronti del sovrano a rendere omaggio, a prestare servizio militare o a pagare delle imposte. In caso di prestazioni per l'Impero, erano attente a dissipare qualsiasi dubbio sulla libertà della loro decisione. Alla cerchia molto ristretta di queste 'città libere' appartenevano Colonia, Magonza, Spira, Worms e Strasburgo sul Reno, e inoltre Ratisbona, Metz, Toul e Verdun.

Ma in massima parte le città tedesche nel corso del XIII sec., e anche in seguito, non riuscirono a spingersi così lontano e neppure giunsero all'istituzione di un consiglio. Soprattutto nelle numerose piccole città di provincia il signore di norma manteneva la sua posizione determinante, che si trattasse di un potente principe dell'Impero o di un membro meno importante della nobiltà. Un funzionario gestiva in suo nome l'amministrazione e il tribunale, che rappresentava anche l'istanza d'appello per il territorio circostante. Questa presenza dell'amministrazione principesca offrì sempre possibilità di collaborazione e di ascesa all'élite borghese, che talvolta da questa base di partenza riuscì addirittura a conquistare alcuni diritti per la propria città.

Le città degli Hohenstaufen assunsero una posizione particolare (si intendono le città situate in quelle regioni della Germania meridionale e centrale che si trovavano sotto la diretta amministrazione dei sovrani svevi, essendo proprietà della famiglia o possedimenti imperiali, vale a dire in quelle regioni che non erano state infeudate a principi dell'Impero). Il comportamento di Federico II è esemplare dell'orientamento degli Svevi nei confronti di queste città. Come abbiamo visto, egli attribuiva un forte valore alla loro importanza economica e quindi promosse energicamente le attività economiche dei loro abitanti. Gli stava però altrettanto a cuore avere in mano il potere decisionale in questi importanti centri militari e amministrativi dei territori regi. Di conseguenza concesse ai loro abitanti assai limitate possibilità di partecipazione politica. Il governo abitualmente era gestito in suo nome da uno sculdascio, da lui stesso insediato, per lo più di provenienza ministeriale. Questi esercitava la giurisdizione e riscuoteva le tasse che le città dovevano al re in quanto loro protettore e amministratore della giustizia. Un prospetto dell'anno 1241, la cosiddetta lista delle tasse imperiali, menziona le somme che all'epoca dovevano essere corrisposte da una serie di importanti città degli Hohenstaufen. Il documento ci mostra quanto sia stata decisiva fino all'ultimo la forza economica e finanziaria di queste città per il dominio svevo in Germania.

Quando nell'ottobre 1251 re Corrado IV lasciò la Germania, insieme a lui si dissolse il potere regio svevo. Le città che fino a quel momento erano state direttamente soggette ad esso, quando non ricaddero sotto l'influenza di potenti aristocratici come i conti del Württemberg, approfittarono dell'opportunità di costruire la loro autonomia all'interno e la loro indipendenza verso l'esterno. Re Rodolfo d'Asburgo (dal 1273) riconobbe il mutamento della situazione. Confermò alle città un tempo sveve, per le quali si impose il nome di 'città imperiali', l'ordinamento consiliare o lo concesse addirittura ex novo, pur mantenendo in un primo tempo attraverso gli sculdasci e i governatori (Reichs-vögte) una forte influenza sulla giurisdizione e l'organizzazione militare. Le città imperiali erano soggette senza istanze intermedie direttamente al re e all'Impero. Dovevano prestare omaggio al sovrano e in tal modo ottenevano il diritto alla sua protezione; d'altra parte erano tenute a fornirgli aiuto militare e a pagargli le imposte. Alla fine del XIII sec. le città imperiali erano appena cento, situate in prevalenza nella Germania meridionale.

La ricchezza delle città era basata in buona parte sulle attività mercantili. Le merci con cui commerciavano provenivano in modo crescente dalla produzione cittadina, soprattutto dalla lavorazione tessile e dei metalli. I mastri artigiani, quindi i proprietari delle singole imprese, già a partire dall'inizio del XII sec. si erano riuniti in corporazioni e intorno al 1250 gli artigiani tedeschi di norma appartenevano a una corporazione. Naturalmente fra le corporazioni e l'élite che dominava il consiglio e la città vi erano forti contrasti sociali e conflitti d'interesse economici e politici sempre crescenti. Questa situazione in singoli casi, come per esempio a Colonia, provocò disordini già nella prima metà del XIII secolo. Ma in un primo tempo l'opposizione comune nei confronti del signore riuscì a dissimulare le tensioni interne alla città.

C) Nuove forme di religiosità; formazione laica e poesia cortese

Mentre i prelati più potenti di Germania, i principi ecclesiastici dell'Impero, dal XII sec. si dedicarono ancora più attivamente di prima a impegni di carattere temporale, concentrandosi sempre più intensamente sulla realizzazione dei loro obiettivi politico-territoriali, sull'imposizione dei loro diritti di sovranità e sull'allargamento della loro influenza politica (v. oltre I.D.), le attività riformatrici all'interno della Chiesa tedesca subirono una battuta d'arresto. Soprattutto i Cistercensi, fino a questo momento i rappresentanti di maggior spicco delle aspirazioni riformistiche nell'intera cristianità, a partire dalla seconda metà del XII sec. si rivolsero in modo crescente alle attività economiche e amministrative. Erano considerati grandi esperti nelle questioni agrarie, lavoravano di concerto con l'amministrazione territoriale sveva e parteciparono intensamente alla bonifica delle terre nell'area orientale tedesca.

Non mancarono le voci critiche nei confronti di quest'evoluzione, tra cui il preposto Gerhoch von Reichersberg am Inn (m. 1169) e un laico come il poeta Walther von der Vogelweide (m. intorno al 1230). Molti dei loro contemporanei cercarono nuove forme di religiosità al di fuori della Chiesa e alcuni si rivolsero al movimento eretico dei catari. Già molto precocemente ‒ dal 1143 ‒ i predicatori catari fecero la loro comparsa nella regione renana, dapprima a Colonia, poi anche in altre città; si incontrano in quest'area o per esempio a Erfurt anche nella prima metà del XIII secolo. Poveri e senza fissa dimora peregrinavano annunciando la loro dottrina della prigionia dell'anima nel regno materiale del Dio malvagio, della sua liberazione e del ritorno al Dio buono, cristiano, della luce. Degni di fede e in contrasto irriducibile con la Chiesa ufficiale, agli occhi di molte persone essi emulavano il modello di Cristo.

In Germania erano presenti anche i valdesi. Dagli anni Novanta questi predicatori laici votati alla perfetta povertà propagandarono la loro forma di imitazione di Cristo nelle regioni occidentali del Regno, a Toul e a Metz, in seguito anche a Treviri e in altre città dell'area renana. Le loro idee religiose coincidevano pienamente con l'ortodossia ecclesiastica, tuttavia la loro insistenza sul diritto di predicare per i laici rese anche loro invisi alla Chiesa.

Sebbene questi movimenti ereticali in Germania fossero molto meno diffusi rispetto all'Italia settentrionale e alla Francia meridionale, papa Gregorio IX intensificò anche qui le persecuzioni. Intorno al 1230 organizzò ispezioni del clero secolare e dei monasteri e nel novembre del 1231 incaricò espressamente per la prima volta i Domenicani di occuparsi dell'inquisizione degli eretici. Ma già un mese prima aveva assegnato lo stesso compito a Corrado di Marburgo, uomo dallo stile di vita ascetico, di grande cultura ma animato da fanatismo religioso, che nei due anni successivi, con la sua azione, si guadagnò la dubbia fama di cacciatore e di giudice spietato di eretici, soprattutto nella Renania centrale. Si dedicò alla sua nuova attività con una passione e una durezza fino a quel momento inusitata esercitando un vero regime di terrore. Perfino alcuni contemporanei fedeli alla Chiesa deplorarono la sua inesorabile brutalità. Nel luglio del 1233 fu assassinato, probabilmente da aristocratici timorosi della sua azione inquisitoria.

In alcuni casi la persecuzione degli eretici servì da pretesto per imporre obiettivi politici, come nel caso dell'azione dell'arcivescovo Gerardo di Brema contro gli abitanti di Stedingen. I suoi predecessori nel XII sec. avevano insediato questi contadini lungo le sponde acquitrinose del basso corso del fiume Weser concedendo loro condizioni favorevoli. Dall'inizio del XIII sec. sorsero conflitti fra i contadini e la Chiesa di Brema. Probabilmente agli abitanti di Stedingen premeva salvaguardare, o forse anche modificare, la loro posizione giuridica. In ogni caso l'arcivescovo Gerardo nel 1227 non vide altra possibilità se non quella di scomunicare i contadini. Inoltre quattro anni dopo, nel 1231, li fece dichiarare eretici da una sinodo, per poter condurre una crociata contro di loro su questa base giuridica. Nel 1233 papa Gregorio IX approvò l'impresa e nel 1234 un grande esercito crociato sconfisse gli abitanti di Stedingen.

Ai gruppi che praticavano nuove forme di religiosità e che tuttavia erano almeno tollerati dalla Chiesa appartenevano le beghine, comunità di donne che vivevano insieme in singole case o addirittura in piccoli quartieri cittadini. In conformità alle loro convinzioni religiose conducevano volontariamente una vita consacrata alla povertà e alla penitenza, alla preghiera e alle attività caritative, amministrandosi in maniera autonoma, senza aver pronunciato voti duraturi o senza una regola riconosciuta dalla Chiesa. Queste comunità si costituirono già all'inizio del XIII sec. nel territorio della Mosa-Schelda, a partire dagli anni Venti in molte città renane, come per esempio Colonia, e ben presto si diffusero in tutta la Germania settentrionale e centrale.

Il gruppo di beghine che dal 1240 circa è individuabile a Costanza si formò forse sotto l'influsso degli umiliati dell'Italia settentrionale. A causa del loro stile di vita insolito le beghine incorsero spesso in diffidenza e ostilità, sia tra l'opinione pubblica sia di fronte al clero. Perciò non poche donne decisero di entrare in convento e, non a caso, il numero dei conventi femminili cistercensi aumentò considerevolmente in Germania nella prima metà del XIII secolo. Dopo il 1250 l'Ordine cistercense abbandonò comunque questo impegno supplementare e da quel momento gli Ordini mendicanti si dedicarono più intensamente all'assistenza spirituale delle beghine.

Malgrado l'opposizione del clero secolare, nel XIII sec. sia i Francescani che i Domenicani presero rapidamente piede in Germania. Dagli anni Venti il numero delle loro sedi crebbe costantemente. In particolare i Francescani ebbero molto successo; in un primo tempo divisero la Germania in due province dell'Ordine, Renania e Sassonia, ma già poco prima della metà del secolo dovettero suddividere ulteriormente la Renania nelle province di Strasburgo e Colonia.

Invece i Domenicani fondarono in Germania solo la metà circa dei conventi dei Minoriti. Concentrarono le loro attività nelle grandi città dei territori di colonizzazione più antica e, dove ancora non esistevano università paragonabili a Parigi, Oxford o Bologna, influenzarono rapidamente anche l'istruzione. Già nel 1248 istituirono a Colonia uno Studium generale per la provincia tedesca del loro Ordine mettendovi a capo il loro membro più illustre, Alberto Magno. Quest'ultimo, nato intorno al 1200 a Lauingen in Svevia, proveniva dalle fila della piccola nobiltà, aveva studiato a Padova e poi all'Università di Parigi e ora diffondeva in Germania le nuove conoscenze scientifiche italiane e francesi. Il suo allievo più famoso a Colonia fu senz'altro Tommaso d'Aquino (m. 1274). Malgrado le molteplici attività svolte altrove, la città renana rimase per Alberto un saldo centro della sua esistenza. Ripetutamente si adoperò per ricomporre i dissidi fra l'arcivescovo di Colonia e la cittadinanza, e in questa città morì nel 1280.

Più giovane di Alberto di dieci anni, il francescano Bertoldo di Ratisbona (m. 1272) fu altrettanto attivo nella vita pubblica. Le sue prediche ad Augusta e in altre città della Germania meridionale, per lo più appelli alla penitenza e alla conversione, conobbero una eccezionale risonanza. Bertoldo possedeva evidentemente la straordinaria capacità di adattarsi alle idee, alle aspettative e ai desideri dei suoi ascoltatori, sebbene appartenessero a gruppi sociali molto diversificati.

Interessi culturali personali e le crescenti esigenze intellettuali legate alle professioni indussero il ceto dirigente borghese delle città tedesche del XIII sec. a preoccuparsi più intensamente che in precedenza dell'istruzione. Poiché gli Studia degli Ordini mendicanti erano aperti solo limitatamente agli allievi esterni, i consigli cittadini esercitarono pressioni sempre più vivaci sul clero preposto all'istruzione affinché fossero fondate nuove scuole parrocchiali accanto a quelle del duomo o dei conventi. In un primo tempo questi tentativi furono coronati solo raramente da successo, perché il clero vedeva minacciato il suo tradizionale monopolio nel settore educativo. Nel 1262 il consiglio di Lubecca riuscì a imporre l'istituzione di una seconda scuola di latino nella chiesa di S. Giacomo, che tuttavia rimase una rara eccezione. Altrettanto inconsueti furono i positivi sviluppi di Erfurt, dove nel XIII sec. quattro scuole capitolari e conventuali offrivano un insegnamento di alto livello aperto anche a un'ampia cerchia di allievi non chierici e, dalla seconda metà del secolo, presero in considerazione anche i loro obiettivi professionali. Di regola però i mercanti o i ceti dirigenti delle amministrazioni cittadine dovevano le notevoli conoscenze e competenze, di cui disponevano ormai in misura sempre crescente, all'insegnamento privato di ecclesiastici o di studenti.

Importanti innovazioni caratterizzano la produzione letteraria dell'epoca. Gli autori si servirono in misura crescente della lingua tedesca al posto del latino. Fra loro si trovano sempre più spesso uomini che avevano ricevuto un'educazione di buon livello in una scuola ecclesiastica, ma che in seguito non avevano ricevuto alcun ordine superiore, né avevano ottenuto cariche ecclesiastiche, e in parte si incontrano addirittura semplici laici privi di qualsiasi cultura dotta. Proprio questi ultimi si dedicarono intensamente all'elaborazione di problematiche e motivi nuovi ispirati al loro particolare ambiente.

La prima cronaca universale in tedesco, o meglio in basso-tedesco, la Sächsische Weltchronik ('Cronaca universale sassone'), redatta intorno al 1230 nell'area di Magdeburgo, è opera probabilmente di un ecclesiastico. Un laico molto colto era Eike von Repgow (nato a Reppichau presso Dessau, nella Sassonia-Anhalt), che intorno al 1221-1225 compose in basso-tedesco il Sachsenspiegel ('Lo specchio dei sassoni' o 'Codice sassone'). L'opera descrive in due sezioni, dedicate al diritto territoriale e feudale, il diritto consuetudinario in uso nella regione d'origine dell'autore. Conobbe una rapida diffusione in tutta la Germania settentrionale e orientale dove fu adoperato come un codice, malgrado si trattasse del lavoro di un privato. Secondo il suo modello ad Augusta fu composto intorno al 1275 lo Schwabenspiegel ('Lo specchio degli svevi' o 'Codice svevo'), che si occupava dei rapporti giuridici nella Germania meridionale dove fu subito tenuto in grande considerazione.

Il primo straordinario vertice della creazione letteraria a opera di laici in Germania fu senz'altro raggiunto dalla poesia cortese in medio-alto tedesco. Incontriamo fra i poeti imperatori e re, affiancati da esponenti dell'alta nobiltà e da un numero relativamente elevato di ministeriali. Molto spesso, tuttavia, non sappiamo nulla o quasi nulla di certo sulla posizione sociale di questi ultimi. Probabilmente la maggior parte di loro era di condizioni modeste; di solito avevano frequentato una scuola e studiato il latino e vivevano del loro particolare talento come una sorta di poeti professionisti. Dipendevano quindi dall'appoggio dei potenti, da una posizione almeno temporaneamente sicura a corte, dalla committenza di un mecenate principesco, di cui dovevano assecondare il gusto, le predilezioni e gli interessi politici. Perdendo la sua benevolenza veniva meno contemporaneamente anche la base della loro sussistenza. Da 'poeti itineranti' dovevano vivere in condizioni miserevoli e procurarsi una nuova sistemazione, un nuovo benefattore. Questa sorte toccò perfino a grandi artisti come Walther von der Vogelweide.

La nuova arte poetica in volgare fu coltivata e trovò un energico sostegno soprattutto nelle grandi corti della Germania. Erano in stretto contatto con la corte di Federico Barbarossa e di suo figlio Enrico VI, egli stesso autore di versi, Friedrich von Hausen (m. 1190) e la cerchia di poeti che si raccoglieva intorno a lui. La corte di Enrico (VII) era frequentata da Minnesänger della statura di Goffredo di Neuffen o Ulrico di Singenberg, raccomandati dai consiglieri del re Corrado di Winterstetten ed Enrico di Neuffen, come pure da esponenti dell'epica cortese come Ulrico di Türheim e Rodolfo di Ems (m. dopo il 1255), il quale su incarico di Corrado di Winterstetten compose un romanzo e in seguito, per impulso di re Corrado IV, iniziò la sua cronaca universale rimasta incompiuta ma che, ciò nonostante, fu largamente diffusa. Federico II, infine, già intorno al 1220 donò una proprietà al celebre poeta Walther von der Vogelweide a riprova della sua ammirazione e anche come forma di ricompensa. Intorno al 1213 il poeta si era schierato al suo fianco e da allora fino alla morte, avvenuta verso il 1230, con la sua originale poesia politica (Spruchdichtung) si impegnò con risolutezza e passione a sostegno della politica imperiale, mostrandosi soprattutto un critico tagliente delle ambizioni di potere del papa. A favore dell'imperatore si espresse negli anni Venti e Trenta anche il poeta Reinmar von Zweter (m. dopo il 1246), che forse Federico conobbe personalmente fra il 1235 e il 1237. L'imperatore accolse senz'altro con benevolenza anche altre opere poetiche a sostegno degli Svevi.

Altre casate nobiliari tedesche si adoperarono ancora più intensamente degli Svevi a favore della poesia contemporanea. È il caso dei langravi di Turingia e, in particolare, di Ermanno I (m. 1217), che chiamò a sé artisti del rango di Walther von der Vogelweide o di Wolfram von Eschenbach (m. intorno al 1220), assegnò loro incarichi concreti, seguì di persona e con grande interesse il loro lavoro e fece della corte di Turingia il centro letterario più brillante della Germania del tempo. La corte del vicino margravio di Meissen non fu da meno: accanto a Walther von der Vogelweide vi soggiornò per un periodo Enrico di Morungen (m. intorno al 1220), in seguito forse Reinmar von Zweter o Tannhäuser (m. dopo il 1260). Nella Germania sudorientale soprattutto i Babenberg a Vienna e, dopo il 1250, i sovrani boemi a Praga furono attivi e convinti sostenitori dell'arte poetica.

I poeti tedeschi in volgare del XIII sec. si dedicavano al genere epico o alla lirica. A prescindere dal caso particolare del Nibelungenlied (1200 ca.), poema epico eroico, dovevano spesso temi e motivi a modelli francesi. I poeti più grandi, tuttavia, partendo da questi esempi riuscirono a comporre capolavori dal contenuto e dal valore molto personali. Hartmann von Aue (m. intorno al 1220) nei suoi grandi romanzi Erec e Iwein descrisse Artù e la sua corte come modelli della società cortese, osservando con sguardo acuto sia il suo splendore sia la sua problematica. Anche nel Parzifal di Wolfram von Eschenbach il ciclo dei cavalieri di re Artù svolge un ruolo essenziale, ma in questo caso la tematica cavalleresca è notevolmente ampliata perché l'eroe eponimo va alla ricerca del suo destino e del suo valore, della redenzione dalla colpa e dal peccato tramite Dio.

Goffredo di Strasburgo, infine, in Tristan und Isolde (1200-1210 ca.) contrappone alle norme della società cortese e cavalleresca l'amore come forza che travolge e vanifica tutti i valori e gli ordinamenti di quella stessa società.

La lirica, soprattutto il Minnesang, quindi la lirica d'amore, trovò già nelle canzoni di Enrico di Morungen e di Reinmar il Vecchio (m. dopo il 1200) descrizioni profondamente toccanti dei sentimenti dell'uomo, sia della gioia che del dolore. Ma il suo rappresentante più illustre e forse la personalità poetica di maggior spicco dell'epoca può essere considerato Walther von der Vogelweide, per la maestria linguistico-formale, la pienezza dei contenuti e la bellezza dei suoi testi. Proprio per la sua particolare grandezza, grazie all'impegno dei suoi commenti alla storia contemporanea seppe far raggiungere alla poesia gnomica di ispirazione politica, a quel tempo ancora poco coltivata, un primo vertice letterario. Nell'ambito della creazione letteraria successiva al 1230, di livello più mediocre e scarsamente originale, si distingue, accanto a Rodolfo di Ems e Corrado di Würzburg (m. 1287), anche Neidhart, per il suo talento parodistico e la predilezione per le scene rustico-contadine, e ancora Ulrico di Lichtenstein (m. 1275), che con il suo Frauendienst scrisse la prima autobiografia romanzata in lingua tedesca.

I creatori della letteratura cortese erano senz'altro interessati a corrispondere alle aspettative dei loro autorevoli committenti, quindi a celebrare la società cortese con il suo festoso splendore, a esaltare il valore delle virtù cavalleresche, la bellezza nobilitante del Liebesdienst ('servizio d'amore') per una dama altolocata: in breve, a rappresentare quell'immagine sublime e idealizzata del mondo aristocratico che i loro ascoltatori si attendevano e con cui si identificavano. Malgrado i saldi limiti imposti dal contesto, quest'epoca segna la prima grande fioritura della letteratura tedesca, che vede la creazione di opere la cui forza espressiva trascende il suo tempo ed è tuttora avvertibile.

D) La struttura politica: la monarchia, i principi ecclesiastici e laici

La struttura politica della Germania medievale era caratterizzata da rapporti molto tesi fra la monarchia e l'alta nobiltà. Nelle regioni di Baviera, Svevia, Franconia, Sassonia e Lotaringia, unite da una lingua, un ordinamento giuridico e una tradizione comuni, durante la disgregazione dell'Impero carolingio e la situazione di debolezza dei re franconi orientali all'inizio del X sec., i rappresentanti delle famiglie dell'alta aristocrazia avevano saputo attirare la nobiltà dalla loro parte e si erano costruiti una posizione di potere simile a quella regia. I sovrani ottoniani e salici li riconobbero come duchi (duces) e diedero loro in feudo i ducati come vassalli. Tuttavia, spesso solo a prezzo di grandi difficoltà riuscirono a far valere la propria volontà nei confronti dei duchi, tanto più che la dignità reale dipendeva dall'elezione dei grandi dell'Impero. L'incoronazione e la consacrazione ad Aquisgrana, nella Cappella Palatina di Carlomagno, conferiva loro senz'altro un'autorità particolare sancita dalla Chiesa. I successi riportati sui nemici esterni, la conquista delle corone lombarda e borgognona e l'incoronazione imperiale a Roma ‒ che divenne ben presto una consuetudine ‒ accrebbero ulteriormente il loro credito, e quasi sempre riuscivano a far eleggere un proprio figlio come successore mentre ancora erano in vita. Soprattutto ‒ sentendosi chiamati da Dio a proteggere la Chiesa ‒ poterono avvalersi dell'aiuto dei vescovi e degli abati dell'Impero. Rafforzarono l'influenza di questi ultimi anche grazie al trasferimento di beni e diritti di sovranità, ma d'altra parte orientarono con risolutezza le elezioni ecclesiastiche verso persone di loro fiducia, che in seguito non esitarono a chiamare al loro servizio nell'amministrazione imperiale.

Questi rapporti si modificarono profondamente nella seconda metà dell'XI sec., durante la cosiddetta lotta per le investiture. I riformatori della Chiesa, con a capo papa Gregorio VII, respinsero qualsiasi legame della Chiesa con la monarchia e i suoi interessi temporali. Contemporaneamente l'alta nobiltà diede risalto con rinnovata forza ai suoi diritti a proposito della libera elezione reale nei confronti di re Enrico IV, ormai costretto alla difensiva. Infine famiglie aristocratiche di minor prestigio approfittarono della condizione instabile di questo periodo di rivolgimenti per promuovere la loro ascesa personale. Gli Hohenstaufen ottennero così la dignità ducale sveva alleandosi con il re; nel 1098, tuttavia, dovettero accettare che il loro effettivo potere ducale restasse circoscritto all'area settentrionale dell'antica Svevia, mentre in quella sudoccidentale esercitavano il dominio ducale gli Zähringen e nella zona sudorientale i Guelfi.

Questa suddivisione degli antichi ducati in nuovi domini di minori dimensioni proseguì invariata nel XII sec., in particolare durante il regno dell'imperatore svevo Federico Barbarossa (1152-1190). In seguito alle pressioni di Barbarossa nel 1156 si concluse la di-sputa per il ducato di Baviera: Enrico il Leone rimase duca di Baviera, ma rinunciò al margraviato d'Austria a est della Baviera. L'imperatore eresse l'Austria a ducato e la infeudò a Enrico di Babenberg, che ricevette quindi la stessa dignità principesca, derivata direttamente dall'imperatore, del suo rivale guelfo. Nel 1180 quest'evoluzione ebbe praticamente termine, quando i principi dell'Impero in seguito all'accusa dell'imperatore disconobbero a Enrico il Leone i feudi della Baviera e della Sassonia. Barbarossa cedette la Baviera ai Wittelsbach, ma ne separò la Stiria creando un ducato a sé stante e divise in due nuovi ducati la Sassonia, l'ultimo grande dominio che approssimativamente si identificava con il territorio d'insediamento di una tribù. Intorno al 1200 in Germania c'erano circa venti principi laici di rango ducale, che esercitavano i più importanti diritti di sovranità in un territorio piuttosto vasto con parecchie contee e ricevevano questi diritti in forma di feudo direttamente dalle mani del re senza istanze intermedie. Non tutti portavano comunque il titolo ducale, infatti anche singoli margravi o langravi erano considerati di pari rango.

Già dal 1122, sulla base del concordato di Worms concluso tra l'imperatore Enrico IV e papa Callisto II, gli arcivescovi, i vescovi e gli abati imperiali, i principi ecclesiastici della Germania ‒ in complesso circa novanta individui ‒ godevano di una posizione giuridica altrettanto eminente. Con il concordato l'imperatore, a prescindere da casi particolari, concedeva la libera elezione degli alti prelati. Prima della consacrazione il sovrano con la consegna dello scettro assegnava agli eletti i numerosi diritti di sovranità temporale (regalie), di cui le loro Chiese disponevano grazie agli ampi privilegi dei re sassoni e salici. Per questo, al pari dei principi laici, prestavano al sovrano l'omaggio (hominium) e il giuramento di fedeltà. Di conseguenza il vincolo giuridico feudale diretto, da allora in poi, fu determinante anche per il loro rapporto con il re. Del resto, tutti provenivano di norma dall'alta nobiltà.

Di fatto i principi ecclesiastici e i loro colleghi laici dalla fine del XII sec. furono considerati un ceto unitario, per il quale divenne consueta la denominazione di principi dell'Impero (principes Imperii). I criteri di appartenenza ancora non erano chiaramente definiti, ma ora i principi, all'interno dell'ordinamento sociale dell'Impero basato sul diritto feudale, formavano senza dubbio il gruppo più eminente, essendo vincolato direttamente ed esclusivamente al sovrano.

Il re non aveva quasi più un'influenza decisiva sui rapporti all'interno dei principati e quindi su una gran parte dell'Impero. La successione era regolata attraverso l'elezione canonica o il diritto ereditario e i principi, dopo la loro investitura che solo eccezionalmente poteva essere rifiutata, esercitavano per lo più la sovranità in modo autonomo. Tra l'altro, legarono a sé la nobiltà comitale sottraendola in tal modo al servizio diretto nei confronti del sovrano. La maggior parte di loro sfruttò inoltre risolutamente e con successo le possibilità moderne di sfruttamento della terra o la promozione delle città e del commercio con l'aiuto di un personale amministrativo competente proveniente dalla piccola nobiltà o dal ceto dei ministeriali. La cura dei loro territori e il confronto reciproco, sempre più aspro, per rafforzare e accrescere potere e prestigio assorbirono sempre più intensamente i principi, sia ecclesiastici che laici. Quindi il loro interesse per la politica imperiale e la loro disponibilità a impegnarsi in prima persona a corte necessariamente diminuirono.

Tuttavia la monarchia tedesca, alla svolta del XIII sec., disponeva ancora di possibilità per far valere la sua volontà. Come prima, il giuramento feudale istituiva una forma di obbligo e una certa dipendenza dei principi imperiali nei confronti del re. Questi, da parte sua, poteva far togliere ai vassalli recalcitranti i suoi feudi con un processo o trattenere feudi imperiali ritornati in suo possesso, come fece Enrico VI e dopo di lui Federico II, nel 1218, dopo l'estinzione degli Zähringen e ancora nel 1246 dopo la scomparsa dell'ultimo Babenberg. Si trattava naturalmente di singoli casi e l'opposizione dei principi montava rapidamente se un sovrano sfruttava situazioni vantaggiose in modo troppo spregiudicato. Così i principi imperiali, ormai diffidenti, respinsero il progetto di Enrico VI di rendere ereditario il Regno anche in Germania, come accadeva in Francia e in Sicilia, e solo dopo molte difficoltà, alla fine del 1196, acconsentirono all'elezione al trono del suo unico figlio Federico II.

D'altra parte, l'aspra competizione fra i principi dell'Impero indusse alcuni ecclesiastici delle loro fila a mantenere la tradizionale alleanza fra Chiesa e monarchia e a cercare la vicinanza del sovrano, per assicurarsi in tal modo protezione e aiuto. Sotto Federico I, Rinaldo di Dassel (m. 1167) e Cristiano di Buch (m. 1183), prima come cancellieri e poi come arcivescovi rispettivamente di Colonia e di Magonza, diedero un'impronta decisa soprattutto alla politica imperiale in Italia. A partire da Enrico VI vescovi ricoprirono la carica di cancellieri: fino al 1224 fu cancelliere di Federico II Corrado di Scharfenberg vescovo di Spira e Metz, dal 1230 il vescovo Sigfrido di Ratisbona (m. 1246). Inoltre gli arcivescovi Engelberto di Colonia e Sigfrido di Magonza svolsero la funzione di reggenti per i figli minorenni dell'imperatore. In complesso Federico II fino alla fine degli anni Trenta poté fare affidamento sul sostegno dei principi ecclesiastici di Germania. La Confoederatio cum principibus ecclesiasticis, che gli strapparono nel 1220, dimostra per esempio con quanta consapevolezza premessero per avere una contropartita, per ottenere dal sovrano la legittimazione della loro posizione di potere ulteriormente rafforzata durante la disputa per il trono.

I principali sostegni della politica sveva erano i rappresentanti della nobiltà comitale o della piccola nobiltà della Germania meridionale e centrale, e soprattutto i ministeriali imperiali. I più capaci fra loro, come Guarniero II di Bolanden (m. intorno al 1190) che dominò nell'area palatino-renana o Marcovaldo di Annweiler (m. 1202), creato da Enrico VI duca di Ravenna, margravio di Ancona e conte del Molise, sapevano bene quanto fossero importanti per i loro sovrani svevi.

Gli imperatori svevi, oltre ai beni della loro casata, disponevano anche dei beni imperiali assegnati insieme alla dignità reale. Di norma né gli uni né gli altri erano concessi in feudo ai principi dell'Impero, ma gli imperatori mantennero questi territori sotto la loro amministrazione diretta. Barbarossa e in seguito suo nipote Federico II sfruttarono le particolari opportunità della dignità regale per accrescere notevolmente i beni della loro casata e quelli imperiali tramite matrimoni, eredità, vendite e permute, feudi ecclesiastici e avocazia sulle chiese. Si costituì un territorio relativamente compatto, concentrato nella Germania meridionale e centrale, che gli esperti reali, per lo più ministeriali con funzioni molto diversificate, svilupparono in modo pianificato avvalendosi degli strumenti dell'epoca, grazie a progetti di bonifica, fondazioni di città e incentivi ai mercanti. Qui erano situate le residenze reali (Pfalzen) e le città sveve, qui soprattutto soggiornavano i sovrani svevi, da qui esercitavano nelle diete, attraverso i loro privilegi e la loro presenza autorevole, un'influenza politica diretta sui principi imperiali vicini. A queste regioni prossime al potere regio si contrapponevano le regioni lontane poste sotto la sovranità dei principi nell'area occidentale e soprattutto nel Nord della Germania.

I viaggi dei sovrani attraverso l'Impero e le diete, che su loro invito e sotto la loro direzione dovevano riunire il maggior numero di principi dell'Impero per discutere e chiarire questioni di politica imperiale o problemi giuridici, rappresentavano il tentativo di superare questi limiti. Ma poiché queste attività di dominio si concentravano sulle regioni della Germania vicine al re, non raggiunsero mai pienamente il loro scopo. Solo di rado una dieta imperiale vide affluire tanti principi dell'Impero, conti, cavalieri e ministeriali come la celebre dieta di Magonza, riunita nella Pentecoste del 1184 per celebrare superbamente gli ideali comuni e insieme per rendere omaggio all'imperatore svevo come al più alto rappresentante dell'autentico stile di vita cavalleresco.

La legislazione fu una nuova forma con cui il re, dal XII sec., chiarì e mise in risalto la sua posizione di predominio nei confronti dei principi, la sua responsabilità nel perfezionamento dell'ordinamento giuridico e nel garantire la pace nel Regno. Federico I Barbarossa emanò una serie di leggi in particolare per assicurare la pace territoriale (Landfrieden). Tuttavia per la loro attuazione pratica egli dipendeva dalla collaborazione dei principi dell'Impero. Per il nipote Federico II e la sua celebre pace di Magonza del 1235 questa limitazione si dimostrò ancora altrettanto valida.

Come i loro predecessori, anche gli imperatori svevi godettero di una particolare autorità di fronte ai principi imperiali, in quanto rivendicavano contemporaneamente la sovranità sui Regni d'Italia e di Borgogna. A ciò si aggiungeva l'eccezionale credito della dignità imperiale, la più alta dignità laica della cristianità. La sovranità nell'Impero comportava comunque anche notevoli oneri. Potenti città lombarde sotto la guida di Milano opposero una strenua resistenza agli sforzi degli imperatori svevi per recuperare gli antichi diritti imperiali. Il papato temeva che con l'affermazione dei diritti svevi in Italia avrebbe perso la sua autonomia territoriale e di conseguenza paventava la fine dell'esercizio illimitato del suo ufficio religioso universale.

Ciò nonostante gli Hohestaufen ritenevano di non potersi sottrarre al compito a cui Dio li aveva destinati nell'Impero. Di fatto un intento di questo tipo per l'opinione pubblica tedesca avrebbe avuto il valore di un segnale di fallimento, portando a un sensibile indebolimento della posizione sveva anche a nord delle Alpi. Al contrario, gli imperatori svevi si ripromettevano dai successi nel Meridione, non senza ragione, un ulteriore rafforzamento nel Nord. Tuttavia, a fronte delle possibilità amministrative, militari e di circolazione dell'epoca, il loro obiettivo, vale a dire riconquistare all'Impero la sua posizione di potere da lungo tempo perduta e la responsabilità della pace e del diritto in Italia, era di difficile realizzazione. L'inserimento del Regno di Sicilia nella loro sfera di sovranità non rendeva senz'altro più agevole questo gravoso compito. Ma il Regno meridionale con le sue ricche risorse e la sua tradizione centralistica offriva anche nuove possibilità. Federico II le sfruttò di proposito per imporre i suoi progetti nell'Impero. Senza dubbio questa politica sottrasse ancora più di prima al Regno di Germania attenzione, energia e iniziative da parte del sovrano a favore del Meridione, e una reggenza o un governo del figlio controllati da lontano erano in grado solo in parte di compensare quest'assenza sul lungo termine. D'altro canto i successi ottenuti da Federico nell'Impero, come dimostrò palesemente il suo soggiorno nel Nord fra il 1235 e il 1237, tornarono a profitto del credito imperiale e del peso del potere centrale in Germania. Di conseguenza, la monarchia tedesca rischiava di subire danni tanto più gravi se fossero venuti meno simili successi, come accadde a partire dagli anni Quaranta.

II. Gli eventi politici

A) La lotta tra lo svevo Filippo e il guelfo Ottone IV per la dignità reale

Dopo la morte inattesa dell'imperatore Enrico VI a Messina il 28 settembre 1197, ad appena trentadue anni, i Regni su cui aveva dominato rischiarono di disgregarsi rapidamente e di esaurirsi in lotte intestine. Il fratello più giovane dell'imperatore, Filippo (1177-1208), dal 1195 duca di Tuscia e dal 1196 anche duca di Svevia, visse in modo particolarmente drastico il radicale capovolgimento della situazione. Nell'ottobre del 1197, su ordine di Enrico, intendeva accompagnare suo nipote Federico, che non aveva ancora tre anni ed era stato eletto re di Germania alla fine del 1196, da Foligno ad Aquisgrana per l'incoronazione. Tuttavia la notizia della morte dell'imperatore provocò subito in tutta Italia ribellioni contro i rappresentanti del potere imperiale e Filippo poco prima di raggiungere la meta decise di rientrare in Germania senza il giovanissimo nipote. Solo a fatica riuscì ad attraversare la Toscana e la Lombardia alla volta della Germania.

In un primo tempo Filippo era intenzionato ad assumere la reggenza come tutore di Federico fino alla sua maggiore età per salvargli la corona. Ma di fronte alla confusione che regnava nell'Impero molti principi imperiali ritennero auspicabile conferire la dignità reale a un uomo esperto. Inoltre l'arcivescovo Adolfo di Colonia, il capo dell'opposizione formata dai principi contrari a Enrico VI, era già in trattative con diversi candidati al trono. Alla fine, quindi, Filippo accettò di farsi eleggere re il 6 marzo 1198, in Turingia, dalla maggioranza dei principi tedeschi. Solo in settembre l'arcivescovo di Tarantasia (odierna Moutiers nell'alta valle dell'Isère) lo incoronò a Magonza con le autentiche insegne imperiali, ma in un luogo inconsueto e senza essere abilitato a questa funzione.

L'arcivescovo di Colonia, che era l'unico autorizzato all'incoronazione, e i suoi compagni, in prevalenza della Germania nordoccidentale, nel giugno 1198 avevano già eletto Ottone (1177-1218), terzogenito di Enrico il Leone, e in luglio Adolfo lo incoronò nel luogo canonico, ad Aquisgrana.

Ottone aveva trascorso gran parte della sua infanzia in Inghilterra alla corte dei Plantageneti, la famiglia di sua madre. In Germania possedeva soltanto la sua parte d'eredità dei beni della casa guelfa. La sua elezione fu motivata dall'interesse di Colonia a stringere più saldi rapporti economici con l'Inghilterra e soprattutto dal denaro pagato dallo zio, Riccardo Cuor di Leone, che da lui si attendeva aiuto nella sua lotta contro Filippo II Augusto re di Francia. Ottone continuò di fatto a dipendere dall'appoggio inglese durante il confronto militare e politico, che ebbe subito inizio, con il suo rivale Filippo di Svevia. Da parte sua Filippo trovò sostegno nell'alleanza con la Francia, ancora rinnovata nel 1198, e soprattutto nel tesoro della Corona raccolto dal fratello.

Nella disputa, impossibile da risolvere sul piano giuridico, le due fazioni speravano entrambe di conquistarsi l'appoggio di Innocenzo III (1198-1216), appena eletto papa. Questi, uomo di grande cultura animato da un alto concetto del suo ufficio, divenne ben presto la figura dominante della cristianità occidentale. In un primo tempo si concentrò sulle nuove opportunità che la Chiesa poteva sfruttare in Italia. Seguendo un preciso progetto e richiamandosi ad antichi privilegi imperiali di dubbia attendibilità, diresse una politica di 'recuperazioni' di territori situati nell'Italia centrale. Trasferì il ducato di Spoleto e la Marca anconetana sotto l'amministrazione papale, con il risultato che un territorio pontificio compatto separava l'Impero dal Regno di Sicilia.

Nel Regno di Sicilia l'imperatrice Costanza, rimasta vedova, si era fatta ricondurre il figlio Federico dal ducato di Spoleto. Il 17 maggio 1198 lo fece incoronare re di Sicilia e contemporaneamente rinunciò ai diritti del bambino sulla dignità reale tedesca, giudicando le opportunità del figlio in Germania con lo stesso pessimismo di Filippo. Del resto l'incoronazione di Federico a Palermo non avrebbe avuto, in caso contrario, l'approvazione del pontefice, signore feudale della Sicilia. La posizione di Federico nell'isola conobbe subito dopo una rivalutazione sostanziale: poco prima della morte inattesa (27 novembre 1198), Costanza nominò Innocenzo III tutore di suo figlio e reggente del Regno di Sicilia. Solo in tal modo l'imperatrice riteneva di poter salvare almeno la dignità reale siciliana per il bambino di appena quattro anni.

Per un periodo Innocenzo III condusse con una certa esitazione le trattative con i partiti in lotta in Germania. Si riproponeva palesemente di riconoscere come futuro re il candidato che si sarebbe dimostrato più incline a soddisfare i desideri della Chiesa. Alla fine Ottone, che si era trovato in gravi difficoltà in seguito alla morte dello zio Riccardo Cuor di Leone nel 1199, si dichiarò pronto a fare le concessioni richieste. Dopodiché Innocenzo III, tra il 1200 e il 1201, in un celebre discorso tenuto di fronte ai cardinali comunicò la sua decisione favorevole al Guelfo. Egli motivò il suo diritto a esprimere un giudizio sull'elezione reale tedesca con la posizione che avrebbe assunto Ottone come futuro imperatore: un tempo, infatti, il papa aveva istituito la dignità imperiale in Occidente con l'incoronazione di Carlomagno e da allora l'aveva conferita a ogni nuovo detentore di questa carica consacrandolo a Roma. La valutazione dei candidati, fra i quali inserì anche Federico accanto a Ottone e a Filippo, lo indusse a respingere i due Svevi perché appartenevano a un genus persecutorum, una dinastia di persecutori della Sede Apostolica; inoltre la Chiesa temeva da Federico un'unione tra l'Impero e il Regno di Sicilia e, di conseguenza, un accerchiamento dello Stato della Chiesa. A favore di Ottone, secondo le parole di Innocenzo III, parlava l'appoggio della maggioranza di coloro a cui spettava in prima istanza l'elezione reale. Il papa accolse le opinioni dell'arcivescovo Adolfo di Colonia e così facendo favorì un'evoluzione politica che avrebbe condotto al monopolio di sette principi elettori sull'elezione regia. Soprattutto Innocenzo III considerava il Guelfo il solo destinato alla carica regale perché, come la sua famiglia, aveva costantemente testimoniato la massima sottomissione alla Chiesa. Ottone diede prova ancora una volta di questo merito l'8 giugno 1201, a Neuss: giurò obbedienza al papa promettendogli in particolare di appoggiare i suoi sforzi per recuperare i territori rivendicati nell'Italia centrale e conservare il Regno di Sicilia. Quindi Innocenzo III lo riconobbe anche pubblicamente come re eletto imperatore romano e annullò i giuramenti di fedeltà prestati a Filippo. Alle proteste del partito favorevole agli Svevi, il papa rispose nel marzo 1202 ribadendo e precisando i principi già formulati nel 1200-1201. Questo scritto, la decretale Venerabilem, fu inserito nella sua raccolta di decretali e influenzò quindi in maniera duratura il giudizio futuro della Sede Apostolica e dei canonisti.

In Germania tuttavia la lotta per la corona proseguì aggravando pesantemente le condizioni di vita. Gli eventi bellici, le doppie elezioni nell'occupazione delle sedi vescovili, i cambiamenti di fronte, talvolta molteplici, di singoli principi ricompensati da munifiche contropartite, tutto questo ingenerò una profonda insicurezza anche nell'uomo comune. Walther von der Vogelweide esprimeva questo stato d'animo largamente diffuso quando nei cosiddetti Reichssprüchen ('Sentenze sulla situazione dell'Impero') lamentava con passione la miseria di quegli anni.

Dal 1202 il re inglese Giovanni Senzaterra, l'alleato più importante di Ottone, era coinvolto in un'aspra battaglia contro Filippo II Augusto di Francia per i suoi grandi feudi continentali. Le gravi sconfitte e le perdite subite indebolirono rapidamente anche la posizione di suo nipote in Germania. Importanti sostenitori voltarono le spalle a Ottone; nel 1204 lo abbandonò perfino l'arcivescovo Adolfo di Colonia, che si schierò dalla parte di Filippo e nel gennaio 1205, dopo una nuova elezione, lo incoronò ad Aquisgrana. Il grandioso tracollo del potere di Ottone alla fine costrinse anche il papa a rivolgersi a Filippo. Questo contatto si sviluppò in una difficile trattativa che coinvolse tutti gli interessati, per giungere infine a un accordo sulla rinuncia di Ottone al trono e sul riconoscimento di Filippo da parte del papa. Così nel Regno sembrò tornata di nuovo la pace. Ma il 21 giugno 1208 Filippo fu assassinato a Bamberga dal conte palatino Ottone di Wittelsbach, che probabilmente aveva considerato lesivo del suo onore l'annullamento del suo fidanzamento con una delle figlie del re.

L'omicidio del sovrano svevo alla vigilia della sua affermazione definitiva in un primo tempo lasciò i suoi sostenitori scioccati. Papa Innocenzo III invece reagì con sollievo all'evento e si impegnò subito energicamente per il suo candidato Ottone, chiedendo ai principi di Germania di concedere pieno sostegno al Guelfo confermato da Dio in modo tanto clamoroso. Tra i principi tedeschi, anche fra quelli del partito svevo, prevalse comunque il desiderio di concordia e di pace nell'Impero. Così Ottone fu eletto re all'unanimità a Francoforte l'11 novembre 1208. Nella primavera successiva il suo fidanzamento con la figlia di Filippo, Beatrice, doveva suggellare la riconciliazione delle fazioni.

Dopo il suo riconoscimento in Germania il re cercò di ottenere con la massima rapidità la dignità imperiale e a questo scopo nel gennaio 1209 avviò le trattative con Innocenzo III. Gli manifestò la sua gratitudine e la sua deferenza, e nel marzo 1209, come già otto anni prima a Neuss, dichiarò ancora una volta ‒ senza comunque coinvolgere i principi come testimoni ‒ di riconoscere le pretese territoriali del papa nell'Italia centrale, incluso l'Esarcato di Ravenna. Promise alla Chiesa il suo aiuto nella difesa del Regno di Sicilia e degli altri suoi diritti, rinunciò allo spoglio e alle regalie e concesse agli ecclesiastici il libero appello a Roma. Inoltre assicurò la libera elezione canonica dei vescovi. Già in agosto Ottone si trovava in Italia settentrionale con un imponente esercito; in settembre incontrò il papa a Viterbo e il 4 ottobre 1209 ricevette la corona imperiale in S. Pietro a Roma.

Ma il nuovo imperatore evidentemente non si sentì più vincolato dalle sue precedenti promesse e in particolare reclamò per l'Impero i territori dell'Italia centrale recuperati da Innocenzo III allo Stato della Chiesa. Indifferente ai moniti del pontefice, Ottone prese provvedimenti per la Marca anconetana e il ducato di Spoleto. Affascinato dall'antica rivendicazione dell'Impero sull'Italia meridionale, si preparò infine anche alla conquista del Regno di Sicilia. Gli avversari di Federico nel Meridione continentale lo rafforzarono nei suoi progetti di guerra. Ottone raccolse truppe nel Regno d'Italia e nel novembre 1210 varcò il confine del Regno di Sicilia.

Il re di Sicilia Federico veniva quindi a trovarsi in una situazione d'emergenza e il papa rischiava che l'imperatore, da lui stesso incoronato, realizzasse il temuto accerchiamento dello Stato della Chiesa. Nel novembre 1210 Innocenzo proclamò pubblicamente la scomunica di Ottone e lo scioglimento dei suoi sudditi dal giuramento di fedeltà. Inoltre incoraggiò in modo sempre più pressante un gruppo di principi tedeschi avversi ai Guelfi affinché eleggessero un nuovo re di Germania e futuro imperatore. Ma i principi esitarono ancora a lungo, perché diffidavano dell'atteggiamento del papa. Probabilmente in settembre a Norimberga elessero imperatore Federico re di Sicilia. Due loro emissari viaggiarono alla volta del Meridione per accompagnare Federico in Germania.

Ottone, avuta notizia dell'elezione di un antiré in Germania, si affrettò a rientrare in patria. Ma nel 1212 anche Federico diede seguito all'appello dei principi tedeschi, senza prestare ascolto ai moniti della sua cerchia e malgrado le sue prospettive in Germania fossero tutt'altro che promettenti. Forse credeva che solo la conquista della Germania gli avrebbe assicurato in modo duraturo anche la Sicilia, ma soprattutto era animato dalla convinzione che la posizione dei suoi antenati nel Regno come nell'Impero gli fosse destinata da Dio e gli spettasse.

B) Il regno di Federico in Germania

Nel marzo 1212 Federico dispose affinché suo figlio Enrico, di appena un anno, fosse incoronato re, nominò la moglie Costanza d'Aragona reggente del Regno e partì verso il Nord. Attraversò la Lombardia rischiando la vita, inseguito dai milanesi e dai loro alleati che erano schierati dalla parte di Ottone. Poi i duchi Ludovico I di Baviera e Ottone I di Merania gli sbarrarono l'accesso diretto in Germania. Compiendo avventurose deviazioni Federico riuscì infine a raggiungere il ducato di Svevia, dove principi ecclesiastici lo accompagnarono fino a Costanza.

Nel frattempo Ottone si adoperò per legare più strettamente a sé i principi suoi sostenitori e spaventare i suoi avversari devastando i loro territori. Dopo la morte della consorte sveva Beatrice, nell'agosto 1212, e in seguito alla notizia dell'arrivo imminente di Federico, molti dei suoi compagni d'armi della Germania meridionale lo abbandonarono: fra questi, anche il cancelliere imperiale Corrado, vescovo di Spira e Metz. Ottone sperava di poter fermare Federico prima che giungesse a Costanza, ma il vescovo di questa città aprì le porte allo Svevo. Così l'imperatore dovette ritirarsi di nuovo verso nord, mentre Federico poté proseguire il suo cammino discendendo lungo il Reno senza incontrare particolari ostacoli. Il 5 dicembre 1212 a Francoforte un gran numero di principi lo elesse di nuovo re e poco dopo l'arcivescovo Sigfrido lo incoronò a Magonza.

Ancora nel novembre 1212 Federico, seguendo l'esempio dei suoi antenati, decise di stringere un patto d'amicizia con Filippo Augusto re di Francia. Fece di-stribuire subito fra i principi suoi sostenitori l'ingente somma di denaro che questi gli inviò, in segno di gratitudine per il loro impegno. Con questo gesto dimostrò nuovamente quella liberalità che fin dal principio lo aveva distinto a suo vantaggio da Ottone e che agevolò largamente la decisione in suo favore.

Della massima importanza per la posizione di Federico in Germania fu naturalmente l'attivo incoraggiamento del pontefice che indusse numerosi principi ecclesiastici a schierarsi al fianco del re svevo: in primo luogo furono senz'altro loro i sostenitori più importanti di Federico. Quest'ultimo ringraziò Innocenzo III per i suoi buoni uffici anche il 12 luglio 1213 in un ampio documento, noto col nome di Bolla d'oro di Eger. Come già Ottone IV, concesse la libera elezione dei vescovi, proclamò la sua rinuncia al diritto di spoglio e di regalie e riconobbe i possedimenti della Chiesa romana in Italia. I principi diedero espressamente la loro approvazione.

Sul piano militare la situazione in un primo tempo rimase incerta; cambiò solo in seguito alla decisione relativamente tardiva di Ottone di acconsentire alle richieste di assistenza dello zio Giovanni Senzaterra. A capo di una grande coalizione di eserciti decise di avanzare da nord contro il re di Francia Filippo Augusto. Il 27 luglio 1214 si giunse alla battaglia nella località di Bouvines, situata al confine fra le Fiandre e Hennegau, in cui Filippo Augusto inflisse all'imperatore una piena sconfitta.

La disfatta e la fuga di Ottone furono il preludio del suo declino. Passando per Colonia si ritirò a Bruns-wick e fino alla morte, sopraggiunta nel maggio 1218, intraprese solo di rado e senza successo iniziative di una certa portata. Nulla invece poteva ormai togliere a Federico la dignità reale. Comunque ancora alla fine del 1214 egli ritenne necessario lasciare formalmente alla Danimarca i territori imperiali a nord dell'Elba conquistati dal re danese Valdemaro, allo scopo di indurlo a schierarsi in suo favore. Nel frattempo anche altri grandi, soprattutto sassoni, passarono dalla parte di Federico e nell'estate del 1215 Aquisgrana gli aprì le porte. Il 25 luglio si fece incoronare ancora una volta dall'arcivescovo di Magonza nel luogo giusto, la Cappella Palatina di Carlomagno. Si può interpretare la circostanza che Federico abbia subito preso pubblicamente la croce come segno della sua gratitudine verso Dio e come riconoscimento delle imprese e degli obiettivi dei suoi antenati svevi.

Lo Svevo si trattenne in Germania per altri cinque anni, fino all'agosto 1220, quindi in complesso otto anni senza interruzione, tanto a lungo come in nessun altro dei suoi domini. Si proponeva di riconquistare gli antichi beni e diritti svevi e reali che erano andati perduti nel precedente periodo di disordini. Ma erano ormai spesso in mano a quei principi ecclesiastici e laici ai quali Federico doveva la sua ascesa; erano i suoi più importanti sostenitori, la cui collaborazione avrebbe continuato a essergli indispensabile anche per il futuro. La sua politica nei loro confronti doveva mantenere un difficile equilibrio fra una generosa accondiscendenza e la tenace aspirazione a recuperare posizioni irrinunciabili sul piano materiale e giuridico. Lo Svevo assolse questo compito dimostrando perspicacia per le particolari condizioni tedesche, intuito diplomatico e grande abilità tattica.

Federico fino al 1220 restituì in buona parte alla monarchia tedesca il prestigio e il peso che aveva posseduto al tempo di suo padre. Essenziale per questi sviluppi positivi fu senza dubbio la sua politica territoriale energica e vincente nella Germania meridionale e centrale. Tornarono rapidamente nelle sue mani i territori più importanti e i centri tradizionali in cui i suoi antenati svevi avevano esercitato per lungo tempo un'influenza diretta, che si trattasse di beni familiari o imperiali, di avocazia sulle chiese o di feudi ecclesiastici. Si batté accanitamente, per esempio, con i vescovi di Strasburgo per i feudi di grande valore che questa Chiesa possedeva in Alsazia; solo nel marzo 1236 si giunse a un accordo assai favorevole per Federico. Il sovrano si mosse con risolutezza anche in occasione dell'estinzione di ricche dinastie aristocratiche, per assicurarsi i loro feudi imperiali o far valere i suoi diritti di successione come parente. Particolarmente faticoso e complesso si dimostrò il conflitto per l'ingente eredità dell'ultimo dei duchi di Zähringen Bertoldo V, morto nel febbraio del 1218. Federico soppresse il principato imperiale degli Zähringen e incamerò i feudi imperiali che ne facevano parte, fra cui Zurigo, Berna, Solothurn, Rheinfelden e Sciaffusa. Acquisì alcuni importanti feudi ecclesiastici degli Zähringen e una parte dei loro beni allodiali, ma dovette affrontare una lunga contesa con gli altri eredi.

Fu determinante per il successo di Federico il fatto che l'antica e sperimentata cerchia dei sostenitori, degli stretti collaboratori e dei servitori della causa sveva si schierò quasi integralmente al suo fianco con rapidità e da allora continuò a impegnarsi in suo favore. A questo gruppo appartenevano nobili come il margravio Ermanno V di Baden e i conti del Württem-berg, ma soprattutto ministeriali dell'Impero, e alla loro testa uomini importanti ed esperti nella prassi amministrativa come i fratelli Guarniero e Filippo di Bolanden, Eberardo di Waldburg o Corrado di Winterstetten. Grazie al loro impegno e alla sua tenacia personale, Federico riuscì a imporre le sue rivendicazioni politico-territoriali in misura consistente e anche a organizzare gradualmente con maggior efficienza l'amministrazione dei suoi possedimenti territoriali. Come unità di base si riconoscono gli officia soggetti agli sculdasci; inoltre c'erano territori amministrativi più estesi che comprendevano parecchi di questi sottodistretti ed erano governati da un procuratore. Ministeriali particolarmente competenti come Gerardo di Sinzig (centro situato alla confluenza dell'Ahr nel Reno) o Wolfelin di Hagenau diedero buona prova di sé in questa prestigiosa carica. Sculdasci, burgravi e procuratori dovevano occuparsi della giustizia e dell'ordine e riscuotere le imposte che spettavano al sovrano. Si dedicarono con notevole competenza soprattutto alla promozione e allo sviluppo delle città. Grazie all'opera di questi ministeriali, le imposte pagate dai cittadini assunsero un'importanza crescente fra le entrate dell'amministrazione sveva.

La brillante riconquista delle basi del potere svevo nella Germania meridionale e centrale era la premessa necessaria perché Federico fosse in condizione di esercitare la sua funzione di regnante. Ma se al di là di questa sfera d'influenza diretta voleva agire effettivamente da sovrano in tutta la Germania, era costretto a dipendere dalla collaborazione con i principi dell'Impero, in particolare dopo i disordini causati dalla lotta per il trono fra Svevi e Guelfi. Federico fu consapevole fin dall'inizio di questa circostanza.

Il duca Ludovico di Baviera, il cancelliere Corrado, vescovo di Spira e Metz, o gli arcivescovi Alberto di Magdeburgo e Sigfrido di Magonza erano fra i suoi consiglieri più importanti nella cerchia dei principi. Accanto a loro numerosi altri grandi laici ed ecclesiastici si incontrano con relativa regolarità alle diete solenni convocate dal re. Con il loro aiuto Federico cercò di salvaguardare il diritto e la pace nell'Impero. Ne richiese il giudizio, come già erano soliti fare i suoi antenati, quando si pose la necessità di chiarire questioni giuridiche o casi controversi; egli stesso in seguito lo confermava e provvedeva a imporlo. I principi chiesero privilegi per assicurarsi la posizione di supremazia nei loro territori. Su incarico di Federico agirono da pacificatori o come esecutori delle decisioni prese a corte. D'altra parte il re si premurò di mettere in risalto con piena consapevolezza la sua responsabilità nei confronti del mantenimento della pace e del diritto, e poteva perfino accadere che successivamente modificasse in autonomia una sentenza dei principi in nome dell'equitas iuris.

La Confoederatio, concordata nel 1220, rispecchia con estrema chiarezza il rapporto fra il re e i principi nella Germania dell'epoca. Vincolava il re a limiti ben definiti e rigidamente calcolati nella gestione delle singole regalie sul territorio dei principi ecclesiastici; inoltre il sovrano rinunciava all'ulteriore applicazione contro la loro volontà di metodi ed elementi essenziali della sua politica territoriale. Tuttavia la prassi dei funzionari regi in seguito a questo statuto subì soltanto cambiamenti di modesta portata. A compenso delle sue concessioni il re ottenne nell'aprile 1220 l'elezione reale per il figlio Enrico, a lungo auspicata e ritenuta spesso impossibile a causa delle resistenze dei principi. Assicurò così la continuità del dominio svevo in Germania e creò le premesse per l'unione duratura dell'Impero con il Regno di Sicilia.

Nell'agosto del 1220 Federico lasciò la Germania; il 22 novembre 1220 fu incoronato imperatore a Roma e da qui si diresse verso il Regno di Sicilia. Sarebbe tornato in Germania solo nel 1235.

C) Re Enrico (VII)

Verso la fine del 1220 Federico affidò all'arcivescovo Engelberto di Colonia la direzione degli affari di governo in Germania e la responsabilità di suo figlio Enrico. Di fatto, però, in un primo tempo, si occupò dell'educazione del giovane re e dell'amministrazione dell'Impero un gruppo di consiglieri nominati da Federico che si raccolsero attorno ai fidati collaboratori Corrado di Winterstetten ed Enrico di Neuffen. Furono coadiuvati anche da alcuni principi imperiali e dal cancelliere Corrado di Scharfeuberg vescovo di Spira e Metz. Engelberto invece si dedicò soprattutto ad assicurare i suoi interessi arcivescovili nei confronti dei rivali politico-territoriali. Solo dalla metà del 1223 esercitò un'influenza più decisa sugli eventi alla corte reale. In queste circostanze egli agì per lo più di concerto con l'imperatore.

Questo vale sia per la prosecuzione della politica territoriale sveva, sia per la condotta tenuta nei confronti del re danese Valdemaro. Nel 1223 quest'ultimo era stato fatto prigioniero da un suo vassallo, il conte Enrico di Schwerin, e l'imperatore insieme all'arcivescovo Engelberto si adoperò in ogni modo per strappare a Valdemaro i territori imperiali a nord dell'Elba che gli erano stati ceduti nel 1214. I loro sforzi diplomatici rimasero infruttuosi, ma i territori contesi, dopo la sconfitta inflitta al re danese dal conte di Schwerin e dai suoi alleati della Germania settentrionale (battaglia di Bornhøved presso Kiel, 1227; v. Danimarca), ritornarono all'Impero.

Nel quadro di questo conflitto l'imperatore, su richiesta degli abitanti di Lubecca, nella primavera del 1226 rilasciò un privilegio che la elevava al rango di città libera (civitas Imperii) in cambio di un pagamento annuale. Contemporaneamente confermò i possedimenti dell'Ordine dei Portaspada in Livonia (a est di Riga, odierna Lettonia), dove già nell'autunno 1225 re Enrico aveva concesso ai vescovi di Riga e Dorpat (Tartu) i diritti di principi dell'Impero. Quindi sia il re che l'imperatore si sforzarono di preservare dall'influenza danese la loro posizione nell'estremo Nord dell'Impero, come pure nei territori confinanti, e di tenersi aperta la possibilità di intraprendere iniziative future.

A questo scopo doveva servire anche la Bolla d'oro di Rimini, che Federico rilasciò nel marzo 1226 all'Ordine teutonico, fondato ad Acri nel 1198, e al suo capo Ermanno di Salza che intratteneva con lui stretti rapporti. Con questo diploma il Gran Maestro dell'Ordine e i suoi successori ottennero il diritto di proprietà e il potere integrale di principi dell'Impero su tutti i territori che in futuro sarebbero loro spettati nella regione dei pruteni (terra Prussie). Nel 1230 i Cavalieri dell'Ordine cominciarono la conquista delle terre e subito reclutarono coloni fra i nobili, i borghesi e i contadini sulla base di un diritto vantaggioso (Kulmer Handfeste).

Solo i rapporti con le case regnanti inglese e francese furono all'origine di divergenze d'opinione fra la corte imperiale e quella reale. Federico mirava a intensificare le relazioni con la Francia, mentre Engelberto, considerando anche gli interessi economici di Colonia, era favorevole a una stretta cooperazione con l'Inghilterra e, di conseguenza, si adoperò perché Enrico non sposasse una principessa francese, bensì un'inglese. Ma l'imperatore decise del tutto diversamente: il 29 novembre 1225, tre settimane dopo la morte di Engelberto, fu celebrato il matrimonio di Enrico con Margherita, maggiore di sette anni, figlia di Leopoldo VI duca d'Austria e di Stiria. In estate Federico affidò la cura del novello sposo, che aveva compiuto quindici anni, e la direzione del governo tedesco al duca Ludovico di Baviera. Anche in questo caso l'imperatore lontano esercitò quindi un'influenza determinante in Germania.

Dopo un accordo iniziale fra il re e il suo tutore la politica di Enrico, facendosi più autonoma, generò ben presto crescenti tensioni. Alla rottura definitiva si giunse tra il 1228 e il 1229, probabilmente perché Enrico rimproverava a buon diritto al duca di sostenere, insieme al vescovo Bertoldo di Strasburgo, papa Gregorio IX nella sua battaglia contro l'imperatore scomunicato che allora era impegnato nella crociata. L'opinione pubblica tedesca era schierata in prevalenza dalla parte dell'imperatore. Enrico sfruttò questo stato d'animo per attaccare militarmente il duca di Baviera, che fu costretto a sottomettersi. Poi si diresse verso Strasburgo, ma alla fine, cedendo alle pressioni di molti principi, tolse l'assedio alla città.

Nel periodo successivo il re mantenne un atteggiamento passivo, soprattutto nella Germania sud-occidentale. Approvò una lega di città nel vescovato di Liegi, ma non cercò contatti con i principi imperiali. Tuttavia i loro rappresentanti in quel periodo avevano influenzato in modo decisivo le trattative di pace tra l'imperatore e il pontefice. Poco dopo, in occasione di una dieta a Worms nel gennaio 1231, costrinsero Enrico a rafforzare formalmente la loro posizione di predominio come signori delle città. In aprile-maggio dello stesso anno (di nuovo a Worms) Enrico dovette inoltre rilasciare ai principi un importante privilegio che si riallacciava alla Confoederatio del 1220 e confermava la loro posizione come domini terrae.

I rapporti tesi di Enrico con i principi irritarono sempre più l'imperatore, che in loro vedeva i sostegni irrinunciabili della sua politica imperiale. L'acquisto di terre e persone di Uri nel maggio del 1231 ‒ che assicurava all'Impero l'accesso al passo del S. Gottardo ‒ rappresentò indubbiamente un successo del re, ma nel novembre seguente Enrico non ritenne di dare seguito alla convocazione del padre alla dieta di Ravenna provocando così la collera di Federico. Di conseguenza l'imperatore e i principi discussero gli affari tedeschi in assenza del re. Federico infeudò agli eredi degli Ascani il margraviato di Brandeburgo e la Pomerania, risolse controversie, pronunciò sentenze con il consiglio dei principi e confermò le decisioni di Worms del gennaio 1231 insieme al grande privilegio a favore dei principi rilasciato da suo figlio, sempre a Worms, nel maggio dell'anno precedente. In aprile Enrico, in seguito alle pressanti esortazioni dell'imperatore, si recò ad Aquileia per il suo primo incontro con il padre dopo quasi dodici anni di lontananza. Federico lo riconobbe come re, ma Enrico dovette giurare di esercitare il suo governo in assoluta obbedienza alle direttive paterne. In caso contrario i principi dell'Impero sarebbero stati sciolti dal giuramento di fedeltà nei suoi confronti. In una forma rude, addirittura umiliante, l'esercizio dell'ufficio regale fu dunque definitivamente subordinato alla volontà imperiale.

Nei mesi seguenti Enrico oscillò incerto fra provvedimenti favorevoli alle città e appoggio ai signori delle città vescovili. Quando nelle diete del luglio 1233 a Magonza e nel febbraio 1234 a Francoforte il re si espresse contro la dura persecuzione degli eretici condotta da Corrado di Marburgo, agì in accordo con la maggioranza degli ecclesiastici tedeschi. Ma così facendo entrò apertamente in contrasto con papa Gregorio IX, che aveva sempre appoggiato Corrado, e contemporaneamente irritò l'imperatore che cercava di rafforzare la fiducia del papa con una politica attendibile nei confronti degli eretici.

La maggior fonte di contrarietà per Federico rimase però il rapporto di suo figlio con i principi imperiali. Nell'agosto 1233 Enrico, senza apparenti motivi, invase la Baviera e costrinse il duca Ottone a sottomettersi e a consegnare ostaggi. Nel febbraio 1234 emise sentenze contro il margravio Ermanno di Baden e contro Goffredo di Hohenlohe; prese in ostaggio il figlio dell'uno e distrusse alcuni castelli dell'altro per aver violato la pace territoriale, senza essere completamente al riparo del diritto. Entrambi gli interessati si rivolsero a Federico, essendo collaboratori fidati dell'imperatore, e questi ordinò la revoca immediata dei provvedimenti contro la Baviera e contro Baden e Hohenlohe. Inoltre preannunciò che sarebbe giunto in Germania nell'estate del 1235.

Enrico a questo punto non vide altra via d'uscita che un'aperta ribellione. Nell'autunno del 1234 conquistò alla sua causa qualche principe e strinse un'alleanza con la Lega lombarda. Già in novembre scoppiarono le prime ostilità; nella primavera del 1235 Enrico cercò di assicurarsi manu militari la Valle del Reno, ma davanti a Worms fallì il suo obiettivo. D'altra parte agli occhi di Federico le intenzioni di alto tradimento del figlio erano apparse chiare a partire dalla sua cooperazione con le città lombarde nemiche dell'Impero. A metà aprile del 1235 l'imperatore partì alla volta della Germania.

D) Il secondo soggiorno di Federico in Germania (1235-1237)

Quando Federico II nel maggio 1235 fece il suo ingresso nel Regno di Germania, i principi tedeschi gli si fecero incontro ovunque, nella convinzione che l'imperatore fosse nel giusto e che indubitabilmente fosse il più forte. Enrico si sottomise di fatto già all'inizio di luglio a Worms e Federico gli concesse la grazia. Ma probabilmente in seguito si rifiutò di rinunciare alla dignità reale e l'imperatore lo fece imprigionare e condurre nel Regno di Sicilia, dove nel 1242 Enrico pose fine ai suoi giorni.

Nei due anni seguenti Federico fece valere brillantemente la sua autorità imperiale. Il 15 luglio 1235 sposò a Worms Isabella, sorella del re d'Inghilterra Enrico III. I suoi rapporti con questo paese si intensificarono tangibilmente, senza che ne fossero pregiudicati quelli con il re di Francia. Inoltre l'avvicinamento di Federico all'Inghilterra agevolò la sua riconciliazione con Ottone di Luneburgo, l'ultimo dei Guelfi. In occasione della solenne dieta di Magonza, che nell'agosto 1235 vide riuniti quasi tutti i principi dell'Impero e l'imperatore, Ottone cedette al suo signore imperiale i beni allodiali che possedeva intorno a Luneburgo e da lui li ricevette di nuovo in feudo, con l'aggiunta di territori controversi come per esempio la città di Brunswick. Con il benestare dei principi imperiali Ottone di Luneburgo fu solennemente creato duca del nuovo insieme di territori sovrani e, di conseguenza, la casa Guelfa riconquistò una posizione solida e riconosciuta nel Nord dell'Impero.

L'evento più importante di questa dieta fu l'emanazione dell'editto di pace di Magonza, che fu subito diffuso non solo in latino ma per la prima volta anche in tedesco. Federico si presentò quindi anche in Germania in veste di legislatore. Proibì la faida indirizzando invece ai tribunali ordinari, ma soprattutto mise in risalto il carattere delle regalie come diritti reali di sovranità. Egli li aveva affidati ai principi, tuttavia la loro amministrazione doveva essere orientata alle sue direttive e soggetta al suo controllo. Per finire, secondo il modello siciliano, Federico provvide a insediare un iusticiarius, capo permanente del tribunale di corte, che come suo rappresentante e per alleggerirlo doveva far valere il diritto durevolmente e in modo incorruttibile. Il documento magontino rafforzò sensibilmente i privilegi di cui ancora disponeva il re e divenne un modello per molti dei successori di Federico. Per il resto il prestigio dell'imperatore indusse i convenuti alla dieta di Magonza a impegnarsi in una spedizione militare in Italia per reintegrare l'Impero nei suoi diritti in questo paese.

Problemi sorti in Germania ritardarono l'impresa italiana. Federico approfittò della sconfitta dei sostenitori di Enrico per potenziare ulteriormente i possedimenti territoriali svevi. Assolse gli ebrei della città di Fulda accusati di infanticidio e rese tutti gli ebrei di Germania 'servi della camera imperiale' (servi camere nostre). In tal modo li sottopose alla sua diretta protezione, facendone tuttavia derivare anche il diritto di imporre loro tasse speciali. Federico si impresse nella memoria di un'immensa moltitudine come esemplare monarca cristiano quando a Marburgo, il 1o maggio 1236, partecipò attivamente in prima persona all'elevazione delle ossa della langravia Elisabetta di Turingia canonizzata l'anno precedente.

Nell'agosto 1236, le ripetute violazioni del diritto da parte di Federico II duca d'Austria resero necessaria un'azione giudiziaria nei suoi confronti: il duca fu temporaneamente deposto e i principi suoi vicini iniziarono senza indugio a dare esecuzione alla condanna. Sebbene lo Svevo per questo motivo si muovesse verso la Lombardia con un esercito leggermente ridotto, riuscì ugualmente a ottenere con rapidità alcuni importanti successi militari. La situazione tedesca all'inizio di dicembre lo richiamò comunque, ancora una volta, al di là delle Alpi.

L'imperatore si trattenne lungamente a Vienna nella residenza cittadina dei Babenberg. Trattò i ducati di Austria e di Stiria come feudi imperiali tornati in possesso della Corona e assoggettò la città di Vienna direttamente all'Impero. Soprattutto riuscì a far eleggere suo figlio Corrado IV re di Germania, in una dieta riunita nel febbraio del 1237, senza che fosse necessario offrire contropartite, come era accaduto nel 1220. Nel settembre 1237 lasciò per sempre la Germania. Come era già accaduto nel 1220, un figlio di nove anni rimase nel paese in qualità di re eletto; l'arcivescovo Sigfrido di Magonza avrebbe diretto gli affari di governo in qualità di procuratore.

E) Corrado IV e gli antiré Enrico Raspe e Guglielmo d'Olanda

I contatti della corte tedesca con l'imperatore dopo il 1237 rimasero molto stretti. Già nel giugno 1238 Corrado IV insieme a un gruppo di principi ecclesiastici e a un imponente esercito raggiunse il padre a Verona, con l'intenzione di sostenerlo nella sua lotta contro le città della Lega lombarda che continuavano a opporre resistenza. Solo in ottobre, dopo la fine dell'assedio di Brescia, Corrado rientrò in Germania.

Dalla seconda scomunica di Federico, fulminata il 20 marzo 1239, in un primo tempo il duca Federico d'Austria trasse concreti vantaggi. Riconquistò rapidamente parti consistenti del suo dominio e alla fine del 1239 ottenne addirittura il perdono dell'imperatore, il quale sperava così di conquistarsi un importante alleato nella Germania sudorientale.

Alla maggioranza dei principi tedeschi premeva una rapida riconciliazione fra l'imperatore e il papa. Corrado di Turingia, nuovo Gran Maestro dell'Ordine teutonico da loro inviato a Roma come mediatore, morì in quella città nel luglio 1240 senza aver ottenuto alcun risultato.

Neppure la minaccia dell'avanzata mongola attraverso la Polonia in direzione della Slesia e dell'Ungheria, che incombeva sull'intero Occidente, determinò un riavvicinamento fra i due supremi rappresentanti della cristianità. Anche i principi dell'area orientale della Germania si organizzarono troppo tardi per prestare il loro aiuto.

Così, a fianco del duca Enrico II di Slesia e del re d'Ungheria Béla si batterono soltanto i loro vassalli, quando nell'aprile 1241, quasi contemporaneamente, il primo presso Liegnitz e il secondo nel Nord dell'Ungheria, si scontrarono con l'esercito mongolo guidato da Genghiz Khān. Entrambi subirono pesanti sconfitte e solo l'inattesa ritirata dei mongoli salvò sia loro che i vicini paesi occidentali.

Il 22 agosto 1241 morì papa Gregorio IX. Poco dopo, nell'autunno dello stesso anno, importanti principi dell'Impero abbandonarono Federico per passare apertamente in campo pontificio. I più illustri prelati di Germania, gli arcivescovi Sigfrido di Magonza e Corrado di Colonia, si posero a capo del movimento di defezione. Corrado aveva già dovuto promettere particolare fedeltà al papa all'atto della sua nomina. Ma soprattutto sia Sigfrido che Corrado si sentivano ostacolati da re Corrado nel perseguimento della loro politica territoriale. Di fatto entrambi, nei mesi successivi, si impegolarono in ostinati conflitti regionali per ottenere vantaggi territoriali.

Alla fine del 1241 Federico nominò il langravio di Turingia Enrico Raspe procuratore per la Germania al posto di Sigfrido, sperando che un accordo con il nuovo papa Innocenzo IV (1243-1254) avrebbe rapidamente spezzato l'opposizione tedesca. Grazie alla mediazione del patriarca Bertoldo di Aquileia nel marzo del 1245 si giunse a un'intesa con il duca Federico ‒ che non aveva figli ‒ in base alla quale l'imperatore avrebbe sposato Gertrude, nipote ed erede del Babenberg, e innalzato contemporaneamente quest'ultimo al rango di re del nuovo Regno d'Austria e di Stiria. Alla dieta imperiale di Verona, nel giugno 1245, accanto a re Corrado e ad altri principi della Germania sudorientale, comparve anche il duca Federico. Ma sua nipote non si presentò perché rifiutava le nozze con l'imperatore scomunicato. Quindi si dovette rinunciare sia al matrimonio dell'imperatore, sia all'elevazione del ducato a Regno.

In questo periodo le trattative di Federico con il papa erano già naufragate definitivamente. Nel luglio 1245 Innocenzo IV depose l'imperatore dinanzi al concilio riunito a Lione. Lettere circolari del pontefice e prediche del clero, in particolare dei Mendicanti, spiegarono all'opinione pubblica tedesca la condotta di Innocenzo IV. Mediante ricompense e aiuti finanziari, sanzioni ecclesiastiche e controlli sulle nuove elezioni, il papa cercò di legare saldamente a sé i vescovi tedeschi più influenti sul piano politico. Così riuscì a conquistare largamente la Chiesa di Germania fino alla fine degli anni Quaranta. La concessione di di-spense matrimoniali, l'assegnazione di feudi ecclesiastici, la revoca del bando o le generose promesse di aiuti finanziari portarono anche alcuni grandi laici a schierarsi dalla parte del papa.

Inoltre, in seguito a un'opera di persuasione il procuratore imperiale Enrico Raspe si dichiarò pronto ad assumere la dignità reale. Il 22 maggio 1246 fu eletto re di Germania dagli arcivescovi di Colonia e di Magonza e da alcuni vescovi. Subito dopo Innocenzo IV fece predicare la crociata in tutta la Germania contro l'imperatore deposto; ingenti finanziamenti pontifici rafforzarono ulteriormente la posizione del nuovo re. Già nell'agosto 1246 egli sconfisse a Francoforte l'esercito di re Corrado che si era mosso rapidamente contro di lui. Penetrò quindi in profondità nel cuore dei territori svevi, ma dovette rinunciare all'assedio di Ulma e poco dopo morì nel febbraio 1247.

Re Corrado il 1o settembre 1246 aveva sposato Elisabetta, figlia del duca Ottone di Baviera, e in seguito trovò appoggio sia nel ducato di Baviera che nelle città tedesche meridionali. Inoltre l'imperatore, dopo la morte di Federico, ultimo dei Babenberg, nel giugno 1246 incamerò come feudi tornati in suo possesso Austria e Stiria, lungamente ambite, e le assoggettò all'amministrazione dei governatori da lui stesso nominati. Questo nuovo ordine gli assicurò l'accesso in Germania dall'Italia settentrionale e offrì alla posizione di suo figlio un solido appoggio nel meridione dell'Impero tedesco.

Il 3 ottobre 1247 il partito filopapale raccolto intorno agli arcivescovi di Magonza e di Colonia elesse come nuovo re il conte Guglielmo d'Olanda (m. 1256). I modesti mezzi del potere personale di Guglielmo lo rendevano fortemente dipendente dall'aiuto dei suoi elettori, anche questa volta in prevalenza ecclesiastici; per questo il denaro papale affluì ancora più copiosamente di prima. Guglielmo riuscì a farsi incoronare ad Aquisgrana solo nell'ottobre 1248; ma dal 1249 si volse direttamente contro i centri che rientravano nella sfera d'influenza di Corrado nel territorio del Reno-Meno.

Senza dubbio il re di Germania alla fine degli anni Quaranta venne a trovarsi in gravi angustie, tanto più che non ricevette aiuti concreti dall'imperatore. Si dimostrò preziosa la situazione relativamente affidabile nelle terre che erano appartenute ai Babenberg. Inoltre Corrado si appoggiò alla coalizione con i Wittels-bach, che governavano in Baviera e nel Palatinato renano. Furono soprattutto i ministeriali dell'Impero a rimanere in gran parte al suo fianco, insieme agli abitanti delle città sveve e di molte città vescovili situate lungo il Reno.

Quindi, alla fine del 1250, all'area nordoccidentale della Germania schierata con Guglielmo si contrapponeva l'area meridionale e sudorientale che continuava a essere in maggioranza favorevole agli Svevi. Ma tutto l'Impero risentiva dell'enorme carico finanziario della guerra, nell'incertezza del diritto e nella violenza crescente. Alla notizia della morte di suo padre, Corrado decise di assicurare in primo luogo la sua eredità siciliana. Nominò suo rappresentante il suocero Ottone di Baviera (m. 1253), impegnò e alienò una serie di possedimenti allo scopo di finanziare la sua spedizione militare in Italia e nell'ottobre 1251 lasciò la Germania. I territori svevi caddero rapidamente in mano ai principi imperiali confinanti e ad altre casate nobiliari. Il figlio di Corrado, Corradino (m. 1268), nato nel marzo 1252 e cresciuto sotto la tutela dello zio Ludovico II duca di Baviera, fin dal principio non ebbe in Germania alcuna base di potere territoriale degna di nota.

F) Gli anni dell'incertezza fino all'elezione di Rodolfo d'Asburgo (1273)

Con la partenza di Corrado IV alla volta dell'Italia meridionale lo spazio di manovra di Guglielmo aumentò nettamente in Germania. Energicamente sostenuto da Innocenzo IV, si guadagnò nuovi importanti alleati nel Nord. Dopo la morte di Corrado anche le città che erano state fedeli agli Svevi passarono dalla parte di Guglielmo. Questa circostanza assume un'importanza particolare perché proprio nel 1254 numerose città tedesche si unirono per la prima volta in un'ampia alleanza: la grande Lega renana. I suoi membri, oltre settanta città da Aquisgrana e Brema nel Nord-Ovest a Basilea e Ratisbona nel Sud, a cui si aggiunsero alcuni principi imperiali e conti, intendevano assicurare la pace e il diritto dopo la fine del dominio svevo e inoltre difendere le libertà cittadine e abolire dazi illegittimi, ricorrendo in caso di necessità alla forza militare.

Re Guglielmo riconobbe la Lega nel febbraio 1255, se ne pose a capo e nello stesso tempo l'assoggettò al suo controllo. Così facendo aprì nuove possibilità alla politica regia. Ma anche i suoi limiti si manifestarono rapidamente. Per esempio, nel suo conflitto con la contessa Margherita di Fiandra in merito al futuro della contea di Hennegau gli premevano non solo i vantaggi politico-territoriali personali ma anche gli interessi dell'Impero. Nonostante ciò l'arcivescovo Corrado di Colonia si schierò al fianco della sua avversaria; poco più tardi, nel gennaio 1256, Guglielmo perse la vita nel tentativo di sottomettere alla sua autorità, come conte d'Olanda, i frisoni.

Nell'elezione del suo successore il ruolo determinante spettò per la prima volta a una ristretta cerchia di principi imperiali, vale a dire a sette di loro (Kurfürsten): gli arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri, il re di Boemia, il conte palatino di Renania, il duca di Sassonia e il margravio di Brandeburgo. La teoria di un gruppo di elettori definito e limitato era già emersa nel dibattito relativo alla doppia elezione del 1198. Il Sachsenspiegel di Eike von Repgow e il poeta Reinmar von Zweter l'avevano puntualizzata; ora, per la prima volta, trovava applicazione pratica, e in futuro si sarebbe mantenuto il privilegio dei sette principi elettori nell'elezione reale.

Nessun candidato tedesco riuscì a ottenere il trono dopo la morte di Guglielmo, neppure Ottocaro di Boemia che nel frattempo si era impadronito dell'Austria. L'influenza e il denaro delle corti straniere ebbero il sopravvento, così nel gennaio 1257 tre principi elettori elessero Riccardo conte di Cornovaglia, fratello di re Enrico III d'Inghilterra, mentre altri tre, undici settimane dopo, diedero la preferenza a re Alfonso X di Castiglia, sostenuto dalla corte francese. Poiché il re di Boemia si dichiarò favorevole a entrambi i candidati, non si giunse a una soluzione. La Lega renana, che aveva fatto energiche pressioni affinché fosse insediato un sovrano forte, in grado di difendere efficacemente la pace, non giunse a una presa di posizione unanime e si disgregò: un chiaro sintomo della paralisi e della spaccatura della società tedesca.

Sia Riccardo che Alfonso erano imparentati con gli Hohenstaufen, ma nessuno di loro poteva contare su una base di potere territoriale in Germania. Entrambi vedevano nella dignità reale tedesca solo un primo passo verso la conquista della corona imperiale che avrebbe legittimato l'auspicato dominio sull'Italia e sull'area mediterranea. Mentre Alfonso non mise mai piede in Germania e non esercitò alcuna influenza rilevante nel paese, Riccardo già nel maggio 1257 si fece incoronare ad Aquisgrana. Si recò ancora tre volte nel suo Regno tedesco, ma non oltrepassò mai la Renania e Francoforte per raggiungere l'area orientale del paese. Comunque molte città, in particolare nel Nord della Germania, si schierarono dalla sua parte e perfino il potente re Ottocaro gli chiese l'infeudamento di Austria e Stiria nel 1262, per dare una base giuridica alla sua posizione in quei territori. Di norma però i principi imperiali, tanto più quelli favorevoli agli Hohenstaufen come i Wittelsbach, non tennero in conto la monarchia di Riccardo. I pontefici evitarono di prendere una decisione chiara a favore di Riccardo o di Alfonso, limitandosi a proibire categoricamente l'elezione di Corradino a re di Germania, ripetutamente caldeggiata dall'arcivescovo Guarniero di Magonza.

Dopo la morte di Riccardo di Cornovaglia, il 2 aprile 1272, i principi elettori ignorarono le pretese di Alfonso e alla fine anche le aspirazioni di altri importanti candidati; il 1o ottobre 1273 elessero all'unanimità ‒ a parte le proteste di Ottocaro di Boemia che era assente ‒ il conte Rodolfo d'Asburgo (m. 1291), il quale cercò di riallacciarsi alla politica dei suoi antenati svevi e di fatto riuscì, in una certa misura, a conferire nuovamente alla monarchia credito e autorità.

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(traduzione di Maria Paola Arena)

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