Girolami, Remigio dei

Enciclopedia Dantesca (1970)

Girolami, Remigio dei

Ovidio Capitani

Girolami, Remigio dei - Fiorentino (1247 circa-1319), allievo a Parigi di s. Tommaso nel 1269, fu lettore nello Studium del convento di S. Maria Novella per circa quarantadue anni; magister theologiae per volontà di Benedetto XI - che in tal modo parrebbe aver mandato a effetto una decisione già presa da Bonifacio VIII - fece sentire una voce di moderazione e di grande attaccamento alla libertà del comune fiorentino negli anni burrascosi che videro, fra l'altro, l'esilio di D., con sermoni pronunziati in varie occasioni cruciali per la vita politica di Firenze, anche se non scese mai apertamente a contrastare l'atteggiamento bonifaciano e mostrò ripetutamente la sua devozione agli Angioini.

Specie per suggestione di M. Grabmann che, senza una vera e propria verifica testuale e un esame interno delle numerose opere del G., al tempo del Grabmann in grandissima parte inedite, riprendeva un'ipotesi del Salvadori, si è parlato a lungo - e si parla tuttora - di Remigio come di uno dei più probabili maestri di D., cui avrebbe trasmesso quel filone tomistico, che per molti anni costituì l'unica base culturale ammessa dalla critica nel pensiero dantesco. Revocata in dubbio l'univoca caratterizzazione tomistica della cultura di D., conosciuto meglio, attraverso lo studio e l'edizione di alcuni dei più importanti trattati remigiani, il pensiero del G., si è giunti, oggi, pressoché unanimemente, a una valutazione meno drastica delle possibilità dei rapporti fra D. e il magister di S. Maria Novella. Si è cioè ravvisata una larga comunanza di ‛ temi ' culturali tra il domenicano fiorentino e il poeta: la quale non implica per altro nessuna forma di dipendenza diretta. Dalle opere edite del G. - i trattati teologici sono tutti compresi nel codice C.4.940 del fondo Conv. Soppressi della Biblioteca Nazionale di Firenze, mentre i sermoni sono raccolti in G.4.936 - e cioè il De Uno esse in Christo, il De Bono pacis, il De Iustitia, il De Peccato usurae, la Determinatio utrum sit licitum vendere mercationes ad terminum temporis - si ricavano considerazioni di due tipi circa l'accennata comunanza di temi con l'opera di Dante.

C'è intanto una comunanza di sottofondo culturale - che stante la parziale conoscenza che si ha ancora dell'opera del G. non consente giudizi definitivi e, soprattutto, esclusioni recise - nella larga utilizzazione della Fisica, della Metafisica, della Politica, dell'Etica Nicomachea aristoteliche, di cui peraltro il G. sembrerebbe aver avuto una conoscenza mediata attraverso l'opera di commento dell'Aquinate. Può assumere carattere indicativo di ciò il fatto che il capitolo I del I trattato del Convivio si apra con un passo sul valore della scienza in generale che è parso agli editori Busnelli-Vandelli una letterale traduzione di analogo passo remigiano, ma che in realtà sembra dipendere, come quello di Remigio, dal commento tomistico alla Metafisica aristotelica; o anche la coincidenza di impostazioni di dottrina politica, che si riscontra tra il De Bono pacis e la Monarchia (la finalità della città-comune in Remigio e dello stato in D. è sostanzialmente analoga: " operatio est finis ", identico il concetto aristotelico della superiorità del tutto sulle parti, pur con applicazione diversa, comunale quella remigiana, imperiale quella dantesca; identica l'insistenza sul passo di Isaia (32,17) " erit opus iustitiae pax ", anche se il conseguimento della pace è visto in un caso con lo spegnersi delle fazioni, raggiungibile magari con l'espropriazione forzata dei beni; nell'altro caso con l'assoggettamento alle leggi dell'Impero. Identica del resto, al di fuori del De Bono pacis, l'esaltazione della pace universale raggiunta ai tempi di Augusto in un sermone remigiano e in un passo del Convivio (IV V 8), mentre per quanto concerne la coincidenza della venuta di Cristo nel mondo con l'apogeo dell'Impero romano parrebbe meglio pensare, più che a un rapporto Remigio-D. o anche a comunanza di fonti, alla ripetizione di un ' topos' ovvio per la cultura medievale. E a comunanza di cultura, d'altra parte, fanno pensare i numerosi riferimenti astrologici, i ricordi da bestiari o da compilazioni sommistiche (Alberto Magno, Jorath, Vincenzo di Beauvais) presenti ad es. nel De Peccato usurae del G. e sicuramente individuati dall'esegesi dantesca. Ma se ciò è vero, e significativo, dacché in Firenze, negli anni compresi tra il 1272 e il 1302 (con qualche piccola interruzione) la cultura aristotelica trovava il suo più autorevole esponente proprio in Remigio, è anche vero che l'incertezza regnante circa la datazione delle opere teologiche di Remigio - molte probabilmente scritte fra il 1304 e il 1305 -, non consente di andare oltre, nell'individuazione di rapporti tra il G. e Dante. Quando poi non si tratti di fraintendimenti, quali l'individuazione di un'ascendenza in Remigio e in una sua teoria della potestas indirecta (affermata nel trattato inedito Contra faisos ecclesiae professores) di certe ambiguità del pensiero dantesco della Monarchia (la famosa questione del quodam modo).

Nondimeno - ed è il secondo tipo di considerazioni da fare - riscontri puntuali colpiscono: quello di una concezione in Remigio (De Peccato usurae V e XI) dell'origine della ricchezza, che richiama immediatamente Cv IV XI 8, e di una citazione implicita di Giovenale (" crescit amor nummi ") che rimanda a Cv IV XII 5 e 8; quello ancora di una pena immaginata per gli usurai (De Peccato usurae XXXVI) da Remigio, percossi da Mammona col pugno chiuso perché in vita ebbero il pugno chiuso, che rimanda a If VII 56-57: e molte altre similitudini, che negli studi più recenti sono state rilevate. Esiti identici, ma non correlati, di uno stesso tipo di cultura, o riecheggiamenti di cose sentite in gioventù ne le scuole de li religiosi? Par più cauto non negare l'una e l'altra possibilità, che senza conceder troppo a Remigio, consente una verifica più in concreto della cultura fiorentina, a Firenze e nel tempo di Dante.

Bibl. - M. Grabmann, Mittelalterliches Geistesleben, Monaco di B. 1926-1956, 3 voll.; S. Orlandi, Necrologio di S. Maria Novella, I, Firenze 1955, 35-36, 276-387 (con buona bibliografia); C.T. Davis, R. de' G. and D.: a comparison of their conception of peace, in " Studi d. " XXXVI (1959) 105-136 (con ediz. del De Bono pacis); id., An early Fiorentine political theorist, in " Proceedings of the American Philosophical Society " LIV (1960) 662-676; id., Education in Dante's Florence, in " Speculum " XL (1965) 415-435; O. Capitani, Il " De peccato usurae " di R. de' G., in " Studi Medievali " s. 3, VI (1965) 537-662; id., " Questi resurgeranno del sepulcro col pugno chiuso... ", in " Bull. Ist. Stor. Ital. Medio Evo " LXXVII (1965) 257-262; S. Orlandi, Fra R. de' G. e D., in " Memorie Domenicane " IV (1966) 201-226; V (1967) 8-43, 90-113.

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